Questo discorso della Presidente della Commissione, pronunciato il 30 marzo 2023 al Mercator Institute of China Studies (MERICS) e allo European Policy Centre, si inserisce in un’intensa sequenza diplomatica sino-europea, cominciata a novembre scorso con la visita a Pechino del cancelliere Scholz e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, continuata con il tour delle capitali europee compiuto di Wang Yi , attualmente in corso con la visita del presidente del governo spagnolo Sanchez di queste ore e che terminerà la settimana prossima con il viaggio in Cina del presidente Macron e della stessa Von der Leyen.

Porta uno sguardo preoccupato sulla Cina. Sul fronte interno, il presidente della Commissione rileva il rafforzamento del potere personale di Xi Jinping e il controllo esercitato dal partito-stato sull’economia e sulla società. Sulla scena internazionale, il partenariato sino-russo, nel contesto della guerra in Ucraina, e la volontà revisionista della Cina. La Cina rimane quindi, come si legge nella prospettiva strategica dell’Unione europea per il 2019, un «rivale strategico».

Ma questa rivalità deve coesistere con i partenariati. La Cina è diventata centrale negli affari internazionali. Innanzitutto può contribuire alla pacificazione delle relazioni internazionali, usando la sua influenza per avvicinare l’Iran e l’Arabia Saudita e, forse, o almeno così sperano i leader europei, per porre fine al conflitto in Ucraina. Ma anche per rispondere alle sfide globali, prima fra tutte il riscaldamento globale e la conservazione della biodiversità. Soprattutto, la Cina è un gigante industriale e commerciale, con cui sono stati stretti molti legami economici.  

Prendendo atto dell’interdipendenza, la Presidente Von der Leyen illustra gli sforzi dell’Unione europea per aumentare la propria resilienza e proteggersi quando la Cina, o altri, si rifiutano di giocare secondo le regole comuni dell’economia di mercato. Di fronte ai capitalismi politici, costruire la capacità di reagire alle pratiche distorsive e all’armamento delle interdipendenze.

È un vero piacere essere presenti a questo evento speciale organizzato congiuntamente da due dei think tank più informati e indipendenti d’Europa. In un momento in cui la situazione globale diventa sempre più difficile da decifrare e in cui i fatti vengono regolarmente messi in discussione, il lavoro che svolgete non è mai stato così importante per l’Europa. Solo avendo una migliore comprensione del mondo così com’è realmente – e non come vorremmo che fosse – possiamo elaborare politiche più informate. Ecco perché ritengo che i think tank svolgano un ruolo fondamentale nella nostra democrazia. In soli dieci anni, il MERICS ha sviluppato un’esperienza unica nell’analisi delle tendenze politiche, economiche e sociali in Cina e del loro impatto sull’Europa e sul mondo. E dobbiamo preservare e difendere il vostro diritto – e quello di tutti i think tank – di essere analitici e critici. Vorrei quindi esprimere la mia solidarietà a voi e a tutte le altre persone e istituzioni che sono state ingiustamente sanzionate dal governo cinese. 

Creato nel 2013 dalla Fondazione Mercator, MERICS è un centro di ricerca sulla Cina contemporanea che si occupa degli sviluppi politici in Cina, delle relazioni UE-Cina e della sicurezza economica. Nel 2021, il MERICS è stato incluso nella (breve) lista di entità sanzionate dalla Cina in reazione all’adozione da parte dell’Unione Europea di sanzioni contro alcuni dei responsabili delle violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang.

Vorrei anche congratularmi con lo European Policy Centre per il suo venticinquesimo anniversario. Sin dal primo giorno, siete stati una voce veramente europea nel mondo politico e accademico. Questo spirito è molto vicino a quello di uno dei vostri fondatori, nonché uno dei padri dell’Europa più sconosciuti: Max Kohnstamm. Max Kohnstamm ha vissuto un trauma personale e una tragedia durante la Seconda guerra mondiale. Ciò che ha vissuto lo ha ispirato a dedicare la sua vita alla costruzione di un’Europa unita. Una domanda ha sempre guidato il suo lavoro: «Pensiamo che gli Stati siano condannati […] a non fidarsi mai di un altro Stato? Oppure crediamo nella possibilità di cambiare, di evolvere gradualmente la mentalità e il comportamento delle persone?». Questo impegno a costruire una migliore comprensione reciproca perdura all’interno della comunità dei think tank in Europa.

Ed è proprio la necessità di approfondire la conoscenza di un mondo in rapida evoluzione che ci porta qui a discutere della politica europea nei confronti della Cina. Il nostro rapporto con la Cina è uno dei più complessi e importanti al mondo. Il modo in cui lo gestiamo sarà un fattore determinante per la nostra futura prosperità economica e sicurezza nazionale. La Cina è una nazione con una storia unica che risale alle origini della civiltà e all’ascesa e alla caduta delle dinastie. I suoi filosofi hanno plasmato la cultura e la società di gran parte del mondo di oggi, dagli insegnamenti di Lao Tzu sul vivere in armonia con la natura ai valori etici di Confucio. 

Le quattro grandi invenzioni dell’antica Cina – la bussola, la polvere da sparo, la fabbricazione della carta e la stampa – hanno rivoluzionato la civiltà mondiale. Ma l’epoca attuale è, per molti versi, uno dei capitoli più notevoli di questa lunga, complessa e spesso turbolenta storia. In meno di 50 anni, la Cina è passata dalla povertà diffusa e l’isolamento economico all’essere la seconda economia mondiale e leader in molte tecnologie avanzate. 

Vorrei anche congratularmi con lo European Policy Centre per il suo venticinquesimo anniversario. Sin dal primo giorno, siete stati una voce veramente europea nel mondo politico e accademico. Questo spirito è molto vicino a quello di uno dei vostri fondatori, nonché uno dei padri dell’Europa più sconosciuti: Max Kohnstamm. Max Kohnstamm ha vissuto un trauma personale e una tragedia durante la Seconda guerra mondiale. Ciò che ha vissuto lo ha ispirato a dedicare la sua vita alla costruzione di un’Europa unita. Una domanda ha sempre guidato il suo lavoro: «Pensiamo che gli Stati siano condannati […] a non fidarsi mai di un altro Stato? Oppure crediamo nella possibilità di cambiare, di evolvere gradualmente la mentalità e il comportamento delle persone?». Questo impegno a costruire una migliore comprensione reciproca perdura all’interno della comunità dei think tank in Europa.

Ed è proprio la necessità di approfondire la conoscenza di un mondo in rapida evoluzione che ci porta qui a discutere della politica europea nei confronti della Cina. Il nostro rapporto con la Cina è uno dei più complessi e importanti al mondo. Il modo in cui lo gestiamo sarà un fattore determinante per la nostra futura prosperità economica e sicurezza nazionale. La Cina è una nazione con una storia unica che risale alle origini della civiltà e all’ascesa e alla caduta delle dinastie. I suoi filosofi hanno plasmato la cultura e la società di gran parte del mondo di oggi, dagli insegnamenti di Lao Tzu sul vivere in armonia con la natura ai valori etici di Confucio. 

Le quattro grandi invenzioni dell’antica Cina – la bussola, la polvere da sparo, la fabbricazione della carta e la stampa – hanno rivoluzionato la civiltà mondiale. Ma l’epoca attuale è, per molti versi, uno dei capitoli più notevoli di questa lunga, complessa e spesso turbolenta storia. In meno di 50 anni, la Cina è passata dalla povertà diffusa e l’isolamento economico all’essere la seconda economia mondiale e leader in molte tecnologie avanzate. 

Dal 1978, la crescita è stata in media di oltre il 9% all’anno e oltre 800 milioni di persone sono state sottratte alla povertà. Si tratta di una delle più grandi realizzazioni dell’ultimo secolo. Il raggio d’azione della Cina si estende su tutti i continenti e in tutte istituzioni globali, e le sue ambizioni sono ancora più ampie. Attraverso l’iniziativa “Una cintura, una strada”, Pechino è il più grande finanziatore dei Paesi in via di sviluppo. La sua potenza economica, industriale e militare contraddice l’idea che vede la Cina stessa come un Paese in via di sviluppo. Lo abbiamo visto quando, lo scorso ottobre, il Presidente Xi ha dichiarato al Congresso del Partito Comunista di volere che la Cina diventi leader mondiale sul piano della «forza nazionale composita e dell’influenza internazionale» entro il 2049. O, per dirla più semplicemente, vuole che la Cina diventi la nazione più potente del mondo. Date le sue dimensioni e la sua influenza globale, la riapertura dell’economia cinese dopo il Covid-19 è positiva. Ed è positivo che i nostri cittadini, le nostre imprese e i nostri diplomatici siano di nuovo in grado di commerciare con Pechino.

Perché la comprensione reciproca inizia con la discussione.

Tuttavia, siamo preoccupati per le ragioni di questo ritorno sulla scena mondiale. La definizione di una strategia europea nei confronti della Cina – o di una strategia efficace – deve partire da una valutazione obiettiva delle nostre attuali relazioni e delle intenzioni strategiche della Cina. Le  nostre relazioni con la Cina sono troppo importanti per essere messe a rischio senza una chiara definizione dei termini di un sano dialogo. È chiaro che negli ultimi anni le nostre relazioni sono diventate più distanti e difficili.

L’approccio dell’Unione europea nei confronti della Cina, come indicato nelle Prospettive strategiche della Commissione europea del 12 marzo 20191, si riassume nella seguente definizione: «la Cina è un partner di cooperazione, un concorrente economico e un rivale sistemico». Si distingue quindi tra ambiti in cui Europa e Cina hanno interessi convergenti, come il clima o l’ambito economico, che genera grandi benefici ma anche rischi perché la Cina non gioca con le stesse regole, e l’ambito politico-strategico, in cui la Cina cerca di promuovere il suo modello autoritario e la sua visione dell’ordine internazionale. 

La Bussola strategica 2022 ribadisce questa postura nei confronti di Pechino. Nel testo, Bruxelles dimostra di essere ben consapevole della sfida storica che deve affrontare: «Lo sviluppo e l’integrazione della Cina nella sua regione e nel mondo intero segneranno il resto di questo secolo. Dobbiamo assicurarci che ciò avvenga in modo da contribuire al mantenimento della sicurezza globale e che non sia in contrasto con l’ordine internazionale basato sulle regole e con i nostri interessi e valori»2.

Da qualche tempo assistiamo a un indurimento deliberato della posizione strategica complessiva della Cina. Ora è accompagnato da un’ondata di azioni sempre più assertive. Ne abbiamo avuto un vivido ricordo la scorsa settimana a Mosca, durante la visita di Stato del Presidente Xi. Lungi dall’essere scoraggiato dall’atroce e illegale invasione dell’Ucraina, il Presidente Xi mantiene la sua amicizia “illimitata” con la Russia di Putin. Ma c’è stato un cambiamento nelle dinamiche delle relazioni tra Cina e Russia. Dalla visita è emerso chiaramente che la Cina vede nella debolezza di Putin un modo per aumentare la propria influenza sulla Russia. Ed è chiaro che l’equilibrio di potere in questa relazione – che per la maggior parte del secolo scorso è stato a favore della Russia – si è spostato. L’elemento più significativo è stata la dichiarazione del Presidente Xi a Putin mentre lasciava il Cremlino: «In questo momento si stanno verificando cambiamenti che non si vedevano da 100 anni. E siamo noi che, insieme, stiamo guidando questi cambiamenti». 

Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Cina ha la responsabilità di sostenere i principi e i valori che sono alla base della Carta delle Nazioni Unite. E la Cina ha il dovere di svolgere un ruolo costruttivo nella promozione di una pace giusta. Ma questa pace può essere giusta solo se si basa sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. L’Ucraina definirà i termini di una pace giusta, che include il ritiro delle truppe che l’hanno invasa. Qualsiasi piano di pace che sancisca le annessioni russe è semplicemente non realizzabile. Dobbiamo essere franchi su questo punto. Il modo in cui la Cina continuerà a rispondere alla guerra di Putin sarà un fattore determinante per il futuro delle relazioni UE-Cina.

L’influenza della Cina sulla Russia putinista è ora al centro dei calcoli strategici delle élite europee nei confronti di Pechino. È in questa luce che va letta l’attuale sequenza diplomatica. Il Presidente Macron ha recentemente dichiarato, in vista della sua visita a Pechino, di condividere una visione comune con il Cancelliere Scholz, che consiste nella necessità di «interagire con la Cina per fare pressione sulla Russia». L’Unione europea sta cercando di evitare che la Cina sposti la sua posizione verso un sostegno più attivo sotto forma di fornitura di armi e munizioni.

E, naturalmente, la Cina stessa ha adottato una linea più dura con i suoi vicini. Le dimostrazioni di forza militare nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, così come al confine con l’India, hanno implicazioni dirette per i nostri partner e i loro legittimi interessi. Sottolineiamo inoltre l’importanza della pace e della stabilità nello Stretto di Taiwan. Qualsiasi indebolimento della stabilità regionale in Asia, la regione a più rapida crescita del mondo, è dannoso per la sicurezza globale, il libero flusso del commercio e i nostri interessi nella regione. Anche le gravi violazioni dei diritti umani nello Xinjiang destano grande preoccupazione, come dimostra il recente rapporto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il modo in cui la Cina rispetterà i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani sarà un altro criterio per determinare come – e in che misura – potremo cooperare con lei. 

L’ultimo vertice UE-Cina si è tenuto nell’aprile 2022, dopo una pausa nel 2021. Descritto dall’Alto rappresentante Borrell come un dialogo tra sordi, questo vertice non ha portato all’istituzione di un programma di cooperazione sino-europeo come quello esistente tra il 2013 e il 2020. Le due parti non sono nemmeno riuscite a concordare un comunicato congiunto. L’unico risultato positivo del vertice è stata la decisione di rilanciare il dialogo sui diritti umani.

Così come ha rafforzato la sua posizione militare, la Cina ha anche intensificato le sue politiche di disinformazione e di coercizione economica e commerciale. Si tratta di una politica deliberata che mira a colpire altri Paesi per indurli a conformarsi ai desiderata cinesi. Lo abbiamo visto quando la Cina ha reagito all’apertura di un ufficio taiwanese a Vilnius con una ritorsione contro la Lituania e altre aziende europee. Lo abbiamo visto con i boicottaggi contro i marchi di abbigliamento che hanno preso posizione sulla questione dei diritti umani, o con le sanzioni contro europarlamentari, funzionari e istituzioni accademiche a causa delle loro opinioni sulle politiche cinese. Abbiamo visto che gli Stati membri si confrontano sempre più spesso con attività cinesi nelle loro società che non sono tollerabili. Lo abbiamo visto anche nelle zone geografiche prossime ai confini cinesi, per esempio, quando Pechino ha limitato severamente le esportazioni di orzo e vino australiani a causa delle domande del governo di Canberra sull’origine del Covid-19. Tutto questo fa parte di un uso deliberato della dipendenza e della leva economica per garantire che la Cina ottenga ciò che vuole dai Paesi più piccoli.

Signore e signori,

L’escalation a cui stiamo assistendo indica che la Cina sta diventando più repressiva all’interno e più dura all’estero. Possiamo trarre tre conclusioni principali sul modo in cui la Cina si sta evolvendo, e tenerne conto nel riorientare le nostre politiche. La prima è che la Cina ha voltato pagina rispetto all’era della “riforma e dell’apertura” e sta entrando in una nuova era di sicurezza e controllo. Lo abbiamo visto all’inizio di questo mese, quando il Presidente Xi ha ribadito il suo impegno a fare dell’esercito cinese una «grande muraglia d’acciaio che protegga efficacemente la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo della Cina». Lo vediamo con l’iniziativa di Pechino per la sicurezza globale, che sta cercando di inserire nei documenti delle Nazioni Unite, e più in generale nella sua retorica sulla politica internazionale. Possiamo quindi aspettarci una maggiore enfasi sulla sicurezza, sia essa militare, tecnologica o economica. 

La trasformazione delle priorità politiche cinesi, con la sicurezza che diventa la nuova priorità a scapito dello sviluppo economico, corrisponde molto da vicino all’ipotesi di capitalismo politico formulata da Alessandro Aresu e approfondita in una serie di pubblicazioni settimanali. In Cina si assiste a una doppia dinamica di securizzazione dell’economia – questa è la logica della fusione civile-militare – e della sua trasformazione in arma offensiva, cioè dello sfruttamento delle interdipendenze per far avanzare gli interessi cinesi, come dimostrano in particolare le azioni di coercizione economica nei confronti della Lituania o dell’Australia. 

L’apertura di un ufficio di rappresentanza taiwanese a Vilnius alla fine del 2021 ha provocato misure di ritorsione da parte della Cina. Oltre al declassamento delle relazioni bilaterali al livello di un incaricato d’affari, la Cina ha moltiplicato le misure di coercizione economica (blocco della circolazione dei treni merci, prodotti bloccati alla dogana cinese, ecc.) Questa politica, vista come un attacco al funzionamento del mercato unico dai decisori europei, ha motivato un progetto di strumento anti-coercizione, che è appena stato oggetto di un accordo politico tra il Consiglio e il Parlamento europeo3.

Tutte le aziende cinesi, ad esempio, sono già tenute per legge a contribuire alle operazioni di raccolta di informazioni di Stato e a mantenerle segrete.

Possiamo aspettarci controlli economici ancora più severi, dal momento che il Partito Comunista Cinese, attraverso le sue istituzioni e la sua leadership, ha assunto un ruolo più rilevante nella guida dell’economia. E possiamo aspettarci pressioni evidenti affinché la Cina diventi meno dipendente dal resto del mondo, ma il resto del mondo più dipendente dalla Cina. O, come ha detto in modo franco il presidente Xi qualche anno fa: «la Cina deve rafforzare la dipendenza delle catene produttive internazionali dal suo mercato per costruire una potente capacità di risposta e di deterrenza». Questo è particolarmente vero per le materie prime critiche come il litio o il cobalto, per settori come l’alta velocità ferroviaria e la tecnologia delle energie rinnovabili, o per le tecnologie emergenti che sono vitali per la futura sicurezza economica e nazionale, come l’informatica quantistica, la robotica o l’intelligenza artificiale. 

La seconda conclusione che possiamo trarre è che l’imperativo della sicurezza e del controllo è ormai superiore alla logica del libero mercato e del commercio aperto. Nella sua relazione al recente Congresso del Partito, il Presidente Xi ha invitato il popolo cinese a prepararsi alla lotta. Non è un caso che nel suo discorso di apertura abbia usato ripetutamente le parole «Douzheng» e «endou», entrambe traducibili con “lotta”, il segno di una certa visione del mondo plasmata da una per la nazione cinese. 

Questo mi porta alla terza conclusione. Vale a dire che il chiaro obiettivo del PCC è un cambiamento sistemico dell’ordine internazionale, che dovrà diventare incentrato sulla Cina. Questo è evidente dalle sue posizioni nei forum multilaterali, che mostrano la determinazione a promuovere una visione alternativa dell’ordine mondiale. Una visione in cui i diritti individuali sono subordinati alla sovranità nazionale. In cui la sicurezza e l’economia hanno la precedenza sui diritti civili e politici. Lo abbiamo visto con l’iniziativa “Una cintura, una strada”, con le nuove banche internazionali o altre istituzioni guidate dalla Cina create per competere con l’attuale sistema internazionale. Lo abbiamo visto nell’insieme di iniziative globali che la Cina ha intrapreso e nel modo in cui si sta ponendo come potenza e mediatore per la pace, ad esempio nel contesto del recente accordo tra Arabia Saudita e Iran. E abbiamo assistito alla dimostrazione di amicizia a Mosca, che la dice lunga su questa nuova visione dell’ordine internazionale.

Durante la sua visita a Mosca, preparata in anticipo da un articolo pubblicato dalla stampa russa, Xi Jinping è tornato sul «partenariato illimitato» dei due Paesi, i cui leader si sono incontrati di persona non meno di quaranta volte dal 2012. In superficie, Pechino e Mosca mostrano un’amicizia che sarebbe coerente con la costruzione di un nuovo ordine mondiale basato sulla prosperità del loro blocco inalienabile. In realtà, la Russia, impegnata in una guerra di logoramento in Ucraina e sottoposta a sanzioni economiche, non ha altra scelta che riorientare la propria economia, trovandosi sempre più dipendente dal vicino cinese.

Per quanto riguarda il riferimento di Ursula von der Leyen alle Vie della Seta e altri tentativi cinesi di influenzare la governance globale – che possono essere visti in settori diversi come la sanità e la tecnologia digitale – si può fare riferimento, oltre che agli episodi della serie settimanale “Le dottrine cinesi di Xi”, ai testi di Li Bin o He Yafei pubblicati nelle nostre pagine.

Signore e signori,

In questo contesto, la nostra risposta deve essere innanzitutto quella di lavorare per rafforzare il sistema internazionale stesso. Vogliamo lavorare con i nostri partner su questioni globali come il commercio, la finanza, il clima, lo sviluppo sostenibile o la salute. Per farlo, dobbiamo rafforzare le istituzioni e i sistemi in cui i Paesi possono competere e cooperare, e da cui traggono beneficio. Per questo è fondamentale garantire la stabilità diplomatica e linee di comunicazione aperte con la Cina. Non credo sia fattibile prendere le distanze dalla Cina né ritengo sia nell’interesse dell’Europa. La nostra relazione non è né bianca né nera, né può esserlo la nostra risposta. Per questo motivo dobbiamo concentrarci sulla riduzione del rischio, non sulla presa di distanza. Questo è uno dei motivi per cui presto mi recherò a Pechino con il Presidente Macron. La gestione di questo rapporto e uno scambio aperto e franco con le nostre controparti cinesi sono elementi essenziali di quella che definirei la riduzione del rischio attraverso la diplomazia nelle nostre relazioni con la Cina. 

In linea con la prospettiva strategica dell’UE, dopo aver delineato le cause e le manifestazioni della rivalità sistemica con la Cina, la Presidente Von Der Leyen passa alla cooperazione e alla concorrenza economica.

Non esiteremo mai a sollevare le questioni profondamente preoccupanti che ho già menzionato. Ma credo che dobbiamo lasciare spazio a un dibattito su un partenariato più ambizioso e su come rendere la concorrenza più equa e disciplinata. E, più in generale, dobbiamo pensare a come collaborare in modo produttivo nel sistema globale e a quali sfide affrontare in futuro. Ci sono settori che ci offrono opportunità su cui costruire. Prendiamo come esempio il cambiamento climatico e la conservazione della natura. Accolgo con grande favore la leadership della Cina nel garantire lo storico accordo globale di Kunming-Montreal sulla biodiversità. Solo poche settimane fa, la Cina ha svolto un ruolo attivo anche nell’accordo globale per la protezione della biodiversità nelle acque internazionali. In un periodo di conflitti e tensioni a livello mondiale, si tratta di risultati diplomatici significativi, per i quali la Cina e l’Unione hanno lavorato insieme. Siamo ansiosi di lavorare insieme con lo stesso spirito nel corso di quest’anno, in vista della COP28. Tutto ciò dimostra cosa si può fare quando gli interessi convergono. E dimostra anche che la diplomazia può ancora funzionare, che si tratti di prepararsi alle pandemie, di combattere la proliferazione nucleare o di lavorare per la stabilità finanziaria globale.

Il fatto è che non vogliamo rompere i legami economici, sociali, politici e scientifici. La Cina è un partner commerciale fondamentale: rappresenta il 9% delle nostre esportazioni di beni e oltre il 20% delle nostre importazioni di beni. Sebbene gli squilibri siano in aumento, la maggior parte dei nostri scambi di beni e servizi rimane reciprocamente vantaggiosa e priva di rischi. Tuttavia, le nostre relazioni sono squilibrate e risentono sempre più delle distorsioni create dal capitalismo di Stato cinese. Dobbiamo quindi riequilibrare questa relazione sulla base di trasparenza, prevedibilità e reciprocità. Dobbiamo garantire che le nostre relazioni commerciali e di investimento.

Dobbiamo garantire che le nostre relazioni commerciali e di investimento promuovano la prosperità in Cina e nell’Unione europea. L’Accordo globale sugli investimenti – i cui negoziati si sono conclusi nel 2020 – mira a questo riequilibrio. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il mondo e la Cina sono cambiati negli ultimi tre anni e dobbiamo rivalutare l’AGI alla luce della nostra strategia complessiva nei confronti della Cina. Sappiamo che ci sono aree in cui il commercio e gli investimenti rappresentano un rischio per la nostra sicurezza economica o nazionale, soprattutto perché la Cina fonde esplicitamente i suoi settori militari e commerciali. È il caso di alcune tecnologie sensibili, di beni a doppio utilizzo o anche di investimenti accompagnati da trasferimenti forzati di tecnologia o know-how. Per questo motivo, dopo la riduzione del rischio attraverso la diplomazia, la seconda componente della nostra strategia futura nei confronti della Cina deve essere la riduzione del rischio attraverso l’economia. 

Negli ultimi anni, la visione dell’apertura economica e finanziaria da parte di Bruxelles è cambiata. Sebbene il commercio sia ancora considerato reciprocamente vantaggioso, è emersa una duplice constatazione: alcuni Paesi non rispettano le regole del gioco e alcune aziende possono comportarsi in modo predatorio. L’UE ha quindi sviluppato una serie di strumenti di difesa commerciale e di sicurezza economica. 

Per ripristinare una concorrenza leale nei confronti di alcuni Stati, come la Cina, che mobilitano fondi pubblici a favore di alcuni settori ritenuti strategici, l’Europa ha adottato un regolamento sui sussidi esteri. Questo consente di imporre misure correttive e di controllare determinate concentrazioni di imprese. È stato inoltre creato un meccanismo di controllo degli investimenti esteri in Europa, che prevede la notifica alla Commissione. 

La Commissione europea ha inoltre proposto uno strumento anti-coercizione. Questo strumento consente di adottare misure di ritorsione nel caso in cui uno Stato ricorra alla coercizione economica contro uno Stato membro. L’UE potrebbe reagire aumentando i dazi doganali, le licenze di importazione o di esportazione o le restrizioni sui servizi o sugli appalti pubblici.

Il punto di partenza di questo approccio è una chiara visione dei rischi. Ciò richiede il riconoscimento dell’evoluzione delle ambizioni economiche e di sicurezza della Cina. Ma significa anche esaminare criticamente la nostra resilienza e le nostre dipendenze, in particolare all’interno della nostra base industriale e di difesa. A tal fine, è essenziale testare le nostre relazioni per capire dove si trovano le maggiori minacce alla nostra resilienza, alla prosperità a lungo termine e alla sicurezza. Questo ci permetterà di sviluppare la nostra strategia di riduzione del rischio attraverso l’economia in quattro aree. La prima è quella di rendere la nostra economia e la nostra industria più competitive e resilienti. Questo vale soprattutto per i settori della salute, del digitale e delle tecnologie pulite. Il mercato globale delle tecnologie net zero, ad esempio, dovrebbe triplicare entro il 2030. La nostra capacità di essere all’avanguardia in questo settore darà forma alla nostra economia per i decenni a venire. Ecco perché la scorsa settimana abbiamo introdotto il regolamento sull’industria net zero, una parte fondamentale del nostro piano industriale Green Deal.

L’obiettivo è essere in grado di produrre almeno il 40% delle tecnologie pulite di cui abbiamo bisogno per la transizione verde, come l’energia solare, l’eolico terrestre e le energie rinnovabili in alto mare, le batterie e lo stoccaggio, le pompe di calore e le tecnologie di rete. Ma per raggiungere questo obiettivo, avremo bisogno anche di una maggiore indipendenza e diversità nei fattori di produzione chiave necessari per la nostra competitività. Sappiamo di dipendere da un unico fornitore, la Cina, per il 98% delle nostre forniture di terre rare, per il 93% del magnesio e per il 97% del litio. Siamo consapevoli di ciò che è accaduto con le importazioni giapponesi di terre rare dalla Cina dieci anni fa, quando le tensioni di politica estera si sono intensificate tra i due Paesi nel Mar Cinese Orientale. 

La nostra domanda di questi materiali esploderà con l’accelerazione della transizione digitale ed ecologica. Si prevede che le batterie che alimentano i nostri veicoli elettrici aumenteranno la domanda di litio di 17 volte entro il 2050. Per questo motivo abbiamo proposto un regolamento sulle materie prime critiche, che dovrà contribuire alla diversificazione e alla sicurezza dell’approvvigionamento. 

Mentre l’adozione dell’Inflation Reduction Act ha suscitato scalpore nell’Unione Europea, con gli Stati Uniti accusati di protezionismo – con alcuni sussidi soggetti a criteri di origine mineraria o di localizzazione della produzione – la Presidente Von Der Leyen ha riorientato il dibattito evidenziando la natura massiccia dei sussidi cinesi alle industrie verdi, in vigore da oltre un decennio.

L’attuale politica industriale verde dell’UE, la legge sull’industria a zero emissioni e la legge sulle materie prime critiche, nata come risposta agli Stati Uniti, ha trovato un nuovo concorrente, mentre i partenariati transatlantici fanno passi in avanti4.

Dobbiamo anche riflettere su questo tema in tutto il nostro mercato unico, per rafforzare la nostra resilienza nei settori del cyberspazio e del trasporto marittimo, dello spazio e del digitale, della difesa e dell’innovazione. La seconda parte della strategia di riduzione del rischio consiste nell’utilizzare meglio la gamma di strumenti commerciali a nostra disposizione. Negli ultimi anni abbiamo messo in atto misure per affrontare i problemi di sicurezza, sia che riguardino il 5G, gli investimenti diretti esteri o i controlli sulle esportazioni. Ci siamo dotati di strumenti per affrontare le distorsioni economiche, tra cui il regolamento sulle sovvenzioni estere, e di un nuovo strumento per scoraggiare la coercizione economica. Ora dobbiamo essere uniti a livello europeo per utilizzare questi strumenti in modo più audace e rapido quando sono necessari, e dobbiamo far rispettare la legge con maggiore fermezza. 

In terzo luogo, l’evoluzione delle politiche cinesi potrebbe richiedere lo sviluppo di nuovi strumenti di difesa per alcuni settori critici. L’Unione europea deve definire il suo futuro rapporto con la Cina e con altri Paesi in aree sensibili ad alta tecnologia come la microelettronica, l’informatica quantistica, la robotica, l’intelligenza artificiale, la biotecnologia e altre.

Quando i beni possono essere a doppio uso o quando sono in gioco i diritti umani, deve essere chiaro se gli investimenti o le esportazioni sono effettivamente al servizio della nostra sicurezza. Dobbiamo assicurarci che i capitali, le competenze e il know-how delle nostre aziende non vengano utilizzati per rafforzare le capacità militari e di intelligence di coloro che sono anche i nostri rivali sistemici. Dobbiamo quindi cercare i cavilli che permettono alle tecnologie emergenti o sensibili di trapelare attraverso gli investimenti in altri Paesi. Per questo motivo stiamo riflettendo se e come l’Europa debba sviluppare uno strumento mirato sugli investimenti esteri. Questo strumento coprirebbe un numero limitato di tecnologie sensibili in cui gli investimenti possono portare allo sviluppo di capacità militari che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale. 

Nel corso dell’anno, la Commissione presenterà alcune idee nel contesto di una nuova strategia di sicurezza economica, che individuerà dove dobbiamo rafforzare la nostra sicurezza economica e come possiamo utilizzare meglio i nostri strumenti di sicurezza commerciale e tecnologica.

La quarta parte della nostra strategia di riduzione del rischio economico è l’allineamento con gli altri partner. Sui temi che riguardano la nostra sicurezza economica, abbiamo molto in comune con i nostri partner in tutto il mondo. Ciò è particolarmente vero per i nostri partner del G7 e del G20, e per i vicini della Cina, che spesso hanno un rapporto più integrato con essa e sono più avanti nella loro capacità di riduzione del rischio. In questo quadro, ci concentreremo sugli accordi di libero scambio laddove non ne abbiamo ancora – come con la Nuova Zelanda, l’Australia, l’India e i nostri partner dell’ASEAN e del Mercosur – sull’ammodernamento di alcuni accordi – come quelli con il Messico e il Cile – e su un migliore utilizzo di altri accordi già esistenti. 

Rafforzeremo la cooperazione in settori come il digitale e le tecnologie pulite, attraverso il Consiglio per il commercio e la tecnologia con l’India o l’Alleanza verde UE-Giappone. Inoltre, investiremo nelle infrastrutture della regione e non solo, attraverso la Global Gateway Strategy. 

Global Gateway è la risposta dell’Europa alla strategia cinese “Una cintura una strada”. Per soddisfare le esigenze di connettività e di infrastrutture dei Paesi del Sud, l’Europa vuole mobilitare 300 miliardi di euro nel periodo 2021-2027, di cui 18 miliardi di euro dal bilancio europeo, 135 miliardi di euro in garanzie fornite dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile e 145 miliardi di euro in finanziamenti forniti dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e dalla Banca europea per gli investimenti.

Stiamo offrendo ai Paesi in via di sviluppo una scelta reale nel finanziamento delle infrastrutture. Tutto questo contribuirà a costruire la resilienza della nostra catena di approvvigionamento e a diversificare il nostro commercio, che deve essere una parte centrale della nostra strategia di riduzione del rischio attraverso l’economia.

Signore e signori,

La prospettiva che abbiamo di fronte è quella di una rifocalizzazione sulle questioni più importanti. Questo riflette anche la necessità di adattare la nostra strategia per rispondere al modo in cui la controparte centrale sembra evolversi. Ma se vogliamo gestire questo rapporto in modo da prepararci al futuro, dobbiamo farlo insieme. In questo momento decisivo per il mondo, abbiamo bisogno di una volontà collettiva per rispondere insieme. Una politica europea forte nei confronti della Cina deve basarsi su uno stretto coordinamento tra gli Stati membri e le istituzioni europee sulla volontà di contrastare le tattiche che cercano di dividere e governare. Tuttavia, voglio anche dire che in geopolitica nulla è inevitabile. La Cina è un mix affascinante e complesso di storia, progresso e sfide. E definirà questo secolo. Ma la storia del nostro rapporto con la Cina non è ancora del tutto scritta, e non deve essere necessariamente difensiva. Dobbiamo dimostrare collettivamente che il nostro sistema democratico, i nostri valori e la nostra economia aperta possono portare prosperità e sicurezza alla popolazione. Allo stesso tempo, dobbiamo essere sempre pronti a dialogare e a lavorare con chi vede il mondo in modo diverso. Questo mi riporta al punto di partenza e a ciò che Max Kohnstamm ha detto sulla graduale evoluzione degli atteggiamenti e delle azioni. È su questo che si lavora ogni giorno. E questo è ciò in cui l’Europa crederà sempre.

Lunga vita all’Europa e grazie per la vostra attenzione.

Note
  1.  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52019JC0005
  2. https://www.google.com/url?q=https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-7371-2022-COR-1/fr/pdf&sa=D&source=docs&ust=1680199514995106&usg=AOvVaw0PLVmfIcbwKwFxsXHyTOD-
  3.  Commerce: accord politique sur l’instrument de lutte contre la coercition – Consilium (europa.eu)
  4. U.S. lays out possible critical raw materials agreement with EU -Handelsblatt | Reuters
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