L’inizio del 2023 mostra un grande aumento degli sbarchi rispetto agli anni passati, e alcuni media italiani hanno rilanciato un rapporto dei servizi segreti che prevederebbe tra i 700mila e i 900mila sbarchi quest’anno. È un’ipotesi credibile oppure i dati sono stati travisati?

Matteo Villa

Matteo Villa è Senior Research Fellow all’ISPI e co-dirige l’ISPI Data Lab, che segue le tendenze geopolitiche e geoeconomiche (in particolare le tendenze migratorie e l’evoluzione della pandemia da Covid-19). È stato copresidente della task force del T20 sulla sanità mondiale e la pandemia, e membro della task force T20 sulle migrazioni

L’ipotesi di 700-900mila arrivi in Italia quest’anno è del tutto inverosimile. La stima dei “quasi 700mila” arriva dai servizi segreti italiani, che però si riferiscono al numero di stranieri presenti oggi in Libia, stimati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM). Per fare un esempio, l’anno scorso IOM stimava in circa 400.000 le persone straniere presenti in Libia: ovviamente non tutte hanno tentato di raggiungere l’Italia (la Libia era e rimane uno dei Paesi più ricchi dell’Africa, e molti stranieri vi si dirigono per lavorare in pianta stabile). Sempre nel 2022, sono stati in 53.000 a raggiungere l’Italia dalla Libia, e in 78.000 hanno tentato di raggiungerla (includendo le persone intercettate e riportate in LIbia).

D’altra parte, per raggiungere l’Italia non si parte solo dalla Libia, e così gli arrivi totali sono stati 105.000. Per arrivare a stime credibili bisogna dunque osservare i trend, intersecandoli con le crisi (come quella politica ed economica in Tunisia). A oggi, ISPI stima possibili circa 120.000-140.000 arrivi in Italia. Si tornerebbe ai livelli della “crisi” del 2014-2016, comunque difficili da gestire, ma non sopra.

A oggi, ISPI stima possibili circa 120.000-140.000 arrivi in Italia

Matteo villa

Il governo italiano ha accusato l’agenzia Wagner di alimentare le partenze dalla Libia, come parte di una strategia di «guerra ibrida» contro le posizioni atlantiste di Roma. I russi hanno un controllo così forte da poter influenzare la rotta Libia-Italia?

Ci sono pochissimi elementi per poterlo sostenere. Il traffico di migranti dalla Libia è gestito in maniera “diffusa” da una varietà di attori, privati, pubblici e para-pubblici, che certamente possono prestarsi a influenze esterne. Nel 2017, per esempio, il crollo delle partenze dalla Libia fu ottenuto attraverso una pressione italiana ed europea che ebbe effetti molto coordinati sui gruppi che organizzavano il traffico di migranti verso l’Italia.

D’altra parte negli anni non abbiamo avuto quasi nessuna notizia di sistematici tentativi di ingerenze russe, da parte dell’agenzia Wagner o qualsiasi altro attore, nel traffico di migranti dalla Libia. E negli ultimi mesi la cosa si fa ancora meno probabile, visto l’enorme sforzo che Wagner sta rivolgendo all’invasione dell’Ucraina e in particolare alla conquista di Bakhmut, con il coinvolgimento (e la perdita) di migliaia di uomini.

© AP Photo/Francisco Seco

Giorgia Meloni ha avuto a lungo posizioni piuttosto lontane da quelle dei principali partiti europei, in particolare socialisti e popolari. Negli ultimi mesi di campagna elettorale e poi una volta arrivata al governo, tuttavia, ha rinnegato molte delle sue posizioni: è accaduto anche sull’immigrazione?

Di sicuro è tramontata l’ipotesi, troppo costosa e poco realistica, di attuare un blocco navale di tipo militare di fronte alle coste dei Paesi con il maggior numero di partenze. Si è invece proseguito sulla linea di arginare l’attività di soccorso in mare delle Ong, tanto che nel periodo di governo (22 ottobre 2022 – 30 marzo 2023) le Ong sono state responsabili del 7% degli sbarchi in Italia, contro il 20% dello stesso periodo dell’anno scorso.

La linea è arginare l’attività di soccorso in mare delle Ong, tanto che nel periodo di governo (22 ottobre 2022 – 30 marzo 2023) le Ong sono state responsabili del 7% degli sbarchi in Italia, contro il 20% dello stesso periodo dell’anno scorso.

Matteo villa

La cosa più interessante è che, dopo la prima crisi con la Francia di novembre dell’anno scorso, Meloni in Europa si è fatta portatrice di istanze nettamente più moderate in Europa, cercando il dialogo anche con Parigi. La linea italiana sembra persino più morbida rispetto ad alcuni Paesi dell’Europa settentrionale, che nei position paper resi noti propongono di usare un approccio molto severo con quei Paesi terzi che non aumentino il tasso di rimpatrio dei propri connazionali. D’altra parte, sul tema migrazioni il governo Meloni sa di giocarsi molto, e la maggioranza è divisa anche a causa dell’approccio “massimalista” della Lega, che in questi giorni ha fatto notare che l’unico periodo con sbarchi bassi e in diminuzione in Italia sia coinciso con quello in cui Matteo Salvini era a capo del Ministero dell’Interno.

Sul naufragio di Cutro, in Calabria, dove sono morte 93 persone dopo che le autorità italiane non sono riuscite a prestare soccorso al caicco arenato a pochi metri dalla costa, si assiste a un rimpallo di responsabilità tra le molte istituzioni coinvolte, in particolare Frontex, la Guardia Costiera, la marina militare italiana. Al di là delle responsabilità sulla singola tragedia, è possibile che quanto accaduto sottolinei un grave problema, oggi, di catena di comando sulla gestione dei salvataggi in mare?

Il problema esiste dal 2018. Da quando, cioè, si è deciso che un evento sia da dichiarare SAR, ovvero di ricerca e soccorso in mare, solo a fronte di una esplicita richiesta d’aiuto di un’imbarcazione che si trovi nella zona SAR italiana (o, talvolta, nei suoi pressi, come quella maltese o quella algerina).

Prima del 2018, un’unità della Guardia costiera (nel caso questa fosse stata disponibile) avrebbe certamente tentato di raggiungere l’imbarcazione a seguito della segnalazione di Frontex, che in questo caso ha invece provocato l’attivazione del dispositivo della Guardia di finanza per il contrasto dell’immigrazione irregolare. E’ prevedibile che un ritardo nei soccorsi aumenti il rischio che tragedie come quelle di Cutro si ripetano; tragedie che però, bisogna dirlo, sono state molto rare tra il 2018 e oggi.

Dopo i fatti di Cutro, il governo ha risposto aumentando le pene per gli scafisti e introducendo nuovi reati. È sintomatico dell’approccio italiano alla questione, e più in generale del «panpenalismo» degli esecutivi, convinti che l’azione penale basti a risolvere problemi complessi?

Assolutamente sì. Si pensi a un’altra mossa del governo italiano, quella della nuova restrizione delle maglie della protezione internazionale in atto in questi giorni proprio con il “decreto Cutro”. Fino al 2018, l’Italia aveva utilizzato il terzo livello di protezione internazionale, la cosiddetta protezione umanitaria, anche come “scappatoia” per regolarizzare persone che non avremmo comunque mai rimpatriato. Poi con Salvini si è abolita la protezione umanitaria e introdotta una protezione “speciale”. Risultato: è aumentato il numero dei dinieghi di protezione, e di conseguenza l’irregolarità.

Con Salvini si è abolita la protezione umanitaria e introdotta una protezione “speciale”. Risultato: è aumentato il numero dei dinieghi di protezione, e di conseguenza l’irregolarità

Matteo villa

La speranza era che la minor protezione internazionale riducesse la voglia dei migranti di raggiungere irregolarmente l’Italia. Con la ripresa degli sbarchi, Lamorgese aveva allargato nuovamente le maglie della protezione per evitare che il numero degli irregolari aumentasse troppo. Adesso il governo propone di stringere nuovamente, nella falsa convinzione che questo torni a dissuadere le partenze. Invece, come dimostrato già nel 2018, minori tutele non fanno altro che ingrossare le fila di chi resta in Italia irregolarmente.

Esiste una differenza tra la linea di Giorgia Meloni e quella di Matteo Salvini? I giornali italiani hanno raccontato di profonde divergenze tra Palazzo Chigi e il Viminale, tuttavia queste presunte differenze non trovano riscontro nei decreti emanati in questi primi mesi di governo

La Lega sta giocando una partita di sponda con il governo, appoggiando Meloni ma di fatto facendole opposizione interna. E’ anche naturale che sia così: sui migranti, come dicevamo, Salvini sente di avere l’argomento migliore per sottrarre il consenso che Fratelli d’Italia gli ha “rubato” negli ultimi due anni.

D’altronde lo stesso esecutivo è in enorme difficoltà di fronte al tema migranti, dal momento che le promesse fatte in campagna elettorale erano di tenore opposto rispetto al trend degli sbarchi degli ultimi mesi. Sul tema non resta dunque a Meloni che adeguarsi alle richieste “massimaliste” della Lega, per non perdere ulteriori consensi e dimostrarsi troppo morbido con i propri elettori, e al contempo sperare di riuscire a mostrarsi diplomatico a livello europeo e internazionale. In questo è aiutato dalla netta svolta a destra in atto in tutta Europa sulle politiche migratorie: mentre nel 2018 sia Merkel, sia Macron appoggiavano le politiche di Salvini solo implicitamente (per esempio accettando di mettere fine alla missione Sophia nel Mediterraneo su richiesta del governo italiano), ma vi si opponevano nella forma, oggi i governi europei non fanno mistero di essere allineati sulle politiche italiane: contrastare il più possibile le partenze irregolari, e convincere i Paesi terzi a rimpatriare chi arriva.

L’esecutivo è in enorme difficoltà di fronte al tema migranti, dal momento che le promesse fatte in campagna elettorale erano di tenore opposto rispetto al trend degli sbarchi degli ultimi mesi

Matteo villa

Il governo italiano ha da tempo smesso di pattugliare le acque meridionali per intercettare i barconi carichi di migranti, esiste dunque una continuità tra il governo attuale e i precedenti, anche quelli di centrosinistra, mi riferisco in particolare a quello guidato da Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016 e quello di Paolo Gentiloni, tra il 2016 e il 2018? La continuità si può ravvisare per esempio nel rapporto travagliato tra tutti i governi italiani e le navi ONG, che comincia probabilmente durante il mandato da ministro dell’Interno di Marco Minniti, che emanò il primo codice di comportamento. Anche il primo atto del governo Meloni sulla materia prova a regolare le attività di queste organizzazioni: come mai attirano tutte queste attenzioni, pur non esistendo studi che dimostrino il loro ruolo di “pull factor”?

Sì, certo, esiste una continuità, sia di forma, sia di sostanza. Nella forma, l’attuale Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi era capo di gabinetto del Ministero sia sotto Matteo Salvini (giugno 2018 – agosto 2019), sia sotto Lamorgese (settembre 2019 – agosto 2020). La linea di contrasto alle navi Ong con la “chiusura dei porti” nel 2018, i decreti immigrazione e la linea Lamorgese sono tutte l’esito di negoziati che passavano dalla sua persona.

Nella sostanza, la prassi di inviare le Ong a porti italiani sempre più lontani, anziché consentirgli di sbarcare i migranti in Sicilia o Lampedusa, è cominciata negli ultimi mesi di ministero Lamorgese (da fine giugno 2022), dunque con il governo Draghi e a diversi mesi dall’inizio del governo Meloni. La stessa pratica di continuare a cercare un capro espiatorio colpevolizzabile, come la presenza delle (poche) navi Ong nel Mediterraneo centrale, anziché tentare di prendere atto del fenomeno e cercare di darvi risposte strutturali, è in netta continuità con un percorso cominciato dalla fine del 2016, quando i primi argomenti sul “pull factor” delle Ong hanno cominciato a farsi strada in Italia.

© AP Photo/Jeremias Gonzalez

Come mai l’argomento immigrazione resta politicamente così sensibile quando la maggior parte delle persone che arrivano sulle coste italiane non resta in Italia ma raggiunge le famiglie o cerca fortuna in altri paesi europei, in particolare in Francia, Germania, Regno Unito e paesi scandinavi? “L’invasione”, come viene definita da parte dell’opinione pubblica, non è mai avvenuta: il numero di stranieri in Italia è stabile attorno ai 5,5 milioni dal 2014.

Per dirla facile: perché gli sbarchi sono visibili, li possiamo contare quotidianamente, e perché possono dare l’idea di un fenomeno fuori controllo. Il paradosso è proprio quello: l’Italia continua a lamentarsi in Europa del fatto che sia lasciata sola a gestire il fenomeno migratorio, ma nella realtà le frontiere nord sono porose, e almeno la metà dei 900.000 migranti sbarcati in Italia dal 2013 sono finiti altrove in Europa.

All’opposto di quanto credano i governi italiani, il regolamento Dublino non ha bisogno di una riforma, nel senso che la redistribuzione di chi sbarca già avviene in maniera informale. E lo stesso regolamento Dublino (art. 13) prevede che, dopo 12 mesi dall’attraversamento irregolare di una frontiera tra Paesi europei (per es. dall’Italia alla Francia), l’esame della richiesta d’asilo si sposta e diventa a carico del Paese in cui si trova lo straniero (in questo caso, della Francia). Certo, questo genera tensioni diplomatiche con i Paesi di destinazione dei “movimenti secondari” in Europa, come Germania, Francia e Svezia, ma espone pienamente la contraddizione di un sistema che funziona proprio in quanto ciò che è previsto dalle norme già oggi non penalizza in misura eccessiva i Paesi di primo ingresso (Italia inclusa).

Tutti i governi italiani chiedono una riforma del regolamento di Dublino, e anche un aiuto nella redistribuzione degli arrivi: il cambiamento delle regole appare complicato, e gli altri Stati membri non sembrano così pronti ad aiutare Roma. Prevede un passo in avanti al prossimo consiglio europeo oppure è difficile immaginare grandi cambiamenti?

No, non prevedo alcun passo in avanti. Come sempre, in Europa, nelle misure politicamente delicate si può agire solo là dove c’è unità. Sul ricollocamento dei richiedenti asilo questa unità non c’è e probabilmente non c’è mai stata, ed è dunque improbabile che si faccia qualcosa di concreto.

Gli unici passi in avanti che registriamo sono quelli sull’inasprimento dei controlli e delle valutazioni preliminari della legittimità delle domande d’asilo direttamente alla frontiera esterna. Procedure che non faranno altro che aumentare più rapidamente il tasso di presenza irregolare, se non sono affiancate a (improbabili) rimpatri altrettanto rapidi.

L’Italia deve affrontare un enorme problema di declino demografico sul lungo termine e una grave mancanza di manodopera sul breve periodo. Il governo ha annunciato di essere pronto ad accogliere legalmente circa 500mila lavoratori extracomunitari nel prossimo biennio: come si tiene insieme questa necessità con la più generale linea dura sull’immigrazione?

In realtà l’annuncio dei 500mila posti regolari su due anni è stato seguito da polemiche e poi subito smorzato dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. E questo proprio in ragione del fatto che, in presenza di alti sbarchi irregolari, il governo fa fatica a conciliare ciò che accade con la sua linea dura, e dunque ha molto meno capitale politico da poter spendere per giustificare una linea aperturista sui canali legali di ingresso.

In presenza di alti sbarchi irregolari, il governo fa fatica a conciliare ciò che accade con la sua linea dura, e dunque ha molto meno capitale politico da poter spendere per giustificare una linea aperturista sui canali legali di ingresso.

Matteo villa

Basti pensare che quest’anno abbiamo portato le quote di ingresso regolare previsto dal decreto flussi italiano da 69.700 persone nel 2021 a 82.705 persone nel 2022.