Il 23 ottobre 2017, nella sala da concerti nazionale di Taipei, l’orchestra diretta da Christian Arming suona la Fantasia corale e la Nona Sinfonia di Beethoven. L’Inno alla gioia, come spiega la brochure distribuita agli ospiti, vuole celebrare la gratitudine per i trent’anni dalla fondazione dell’azienda e la strada dei prossimi trenta. L’azienda in questione è Tsmc, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company. 

Il suo fondatore, Morris Chang, nato nel 1931 in Cina, si rilassa ascoltando il concerto. Poco prima, il forum sui semiconduttori, momento clou delle celebrazioni del miracolo di Tsmc, l’ha visto protagonista come moderatore di una lunga discussione. Per tre ore, l’ottantaseienne Chang ha chiacchierato con i capi azienda di Nvidia, Qualcomm, Arm, Adi, Asml, e col direttore operativo di Apple, Jeff Williams. È un incontro storico tra i protagonisti dell’ecosistema dei semiconduttori, le aziende del design e dei macchinari che muovono l’era digitale, con lo scopo di immaginare i prossimi dieci anni. 

Sentire parlare quei manager è come ascoltare il respiro della globalizzazione: materiali, laboratori, componenti chimici, macchine, contenitori che si muovono da un lato all’altro del pianeta, attraverso vie marittime e aeree, consegne, standard, regolamenti, campagne pubblicitarie, battaglie sui costi, montaggi e test, innovazioni alla frontiera tecnologica. 

È un ritrovo senza precedenti, ma anche le assenze sono notevoli. Manca Samsung, perché la divisione semiconduttori del grande conglomerato coreano è un concorrente temibile (il più temibile, secondo Morris Chang). E manca Intel, che con Samsung si contende il trono di maggiore azienda del settore per fatturato, ed è allo stesso tempo cliente e avversaria di Tsmc. 

È Morris Chang, più di ogni altro, a dirigere ormai questa sinfonia della globalizzazione.

Alessandro aresu

Chang si sente il direttore d’orchestra tra i suoi partner e clienti. Nel produrre per gli altri ciò che è più delicato, è essenziale guadagnare e mantenere la loro fiducia: in questo, Chang ha mostrato anno dopo anno un’impareggiabile maestria. Altri (i pionieri, i designer dei primi anni) hanno composto la musica iniziale. Ma è lui, più di ogni altro, a dirigere ormai questa sinfonia della globalizzazione. Come è stato possibile? 

Dalla birra con Moore e Noyce alla scelta di Taiwan

Il diciottenne Morris Chang si imbarca per gli Stati Uniti nel 1949. Non vede alcun futuro nella Cina comunista. L’America è la terra promessa per costruire la sua vita. Dopo una breve esperienza a Harvard, si trasferisce al Massachusetts Institute of Technology (Mit), dove nel 1950 vede per la prima volta un computer e impara a programmare. E soprattutto scopre, con la laurea in ingegneria meccanica, la neonata industria dei semiconduttori, che conosce un enorme sviluppo nell’elettronica di consumo dopo le scoperte di William Shockley alla fine degli anni ’40, e con la diffusione dell’utilizzo del silicio.  

Dopo una breve esperienza a Harvard, si trasferisce al Massachusetts Institute of Technology (Mit), dove nel 1950 vede per la prima volta un computer e impara a programmare.

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I procedimenti dell’industria portano la frontiera dell’innovazione e della miniaturizzazione dei circuiti integrati sempre più in là. In sintesi, i tanti Morris Chang sono ricercatori, designer, artigiani e venditori: progettano soluzioni, che realizzano attraverso fabbriche, con l’aiuto di macchinari e componenti chimici, e rispondono a esigenze di mercato. Per citare la ricostruzione di Alexandre Koyré sulla filosofia della misura, essi si muovono secondo il progetto galileiano della ricerca della precisione quantitativa, della scoperta delle misure con cui Dio ha fatto il mondo. Ma il loro movimento non può avvenire senza i soldi. Il percorso è dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, fino alla realtà del prodotto. 

L’industria dei semiconduttori non riguarda gli esperimenti in laboratorio, ma i progetti da riprodurre costantemente su vasta scala.  I perfezionisti dei semiconduttori vivono nel mondo del commercio. Perseguono il loro sogno disegnando macchinari e abitando enormi fabbriche, con prodotti volti a servire e a conquistare mercati. 

A dicembre 1958, in un albergo di Washington, si tiene il convegno annuale dei dispositivi elettronici. Dopo i lavori, Morris Chang, che ha ventisette anni, va a prendere una birra con Gordon Moore e Robert Noyce, fondatori di Intel, che al tempo hanno ventinove e trentuno anni. Dopo aver mangiato e bevuto, i tre giovani si ritrovano a cantare sotto la neve. Moore e Noyce diventeranno il simbolo, assieme ad Andy Grove, della leadership di Intel, mentre Morris Chang sarà uno dei manager più importanti di Texas Instruments. 

Ma a poco più di cinquant’anni, negli anni ’80, Chang non è soddisfatto. Non viene mai selezionato come amministratore delegato di Texas Instruments, che abbandona. Si trasferisce a New York con un incarico più cerimoniale che operativo. Ogni tanto incontra in ascensore il proprietario dell’edificio in cui vive, da poco inaugurato: Donald Trump.

Chang viene contattato dal governo di Taiwan, che vuole diversificare rispetto alle fabbriche delle Barbie di Mattel, e gli offre la presidenza del polo tecnologico Industrial Technology Research Institute, col compito di posizionare l’isola nell’industria dei semiconduttori. 

Morris Chang sarà uno dei manager più importanti di Texas Instruments. 

alessandro aresu

Negli anni ’80, il grande fenomeno internazionale è l’ascesa del Giappone, che proprio sui semiconduttori si scontrerà con gli Stati Uniti durante l’amministrazione Reagan, con una lotta di sussidi, dazi e controllo degli investimenti: un passaggio oggi dimenticato, ma che è uno dei più importanti per comprendere il nostro tempo.  

A Taiwan, Chang riprende un’idea che già aveva catturato il suo interesse anni prima, da dirigente di Texas Instruments: la separazione tra l’attività di design dei chip e la loro produzione. Questa è la radice da cui nasce la sua azienda, Tsmc, che riprende gli studi di due ricercatori, Lynn Conway e Carver Mead, e avvia una lunga controversia con un altro imprenditore di Taiwan, Robert Tsao di Umc, il quale sostiene di averci pensato prima di Chang. 

La separazione di una funzione produttiva su vasta scala (le grandi fabbriche, cosiddette fab) dalle capacità pure di design, con la nascita corrispondente di straordinarie aziende dedicate alla progettazione (e quindi senza fab, cosiddette fabless), tra cui le Qualcomm, Nvidia, Amd dei nostri tempi, segna un ruolo di primissimo piano per la “tigre asiatica” Taiwan nella manifattura avanzata, all’interno del nuovo allineamento produttivo tra Occidente e Oriente. 

A fare la differenza è il modo in cui la rivoluzione di Morris Chang è stata eseguita, nel rapporto con fornitori e clienti e nella gestione aziendale: garanzie di protezione di proprietà intellettuale, tecniche organizzative, investimenti in ricerca e sviluppo fino all’ottimizzazione attraverso l’intelligenza artificiale, produzione e gestione costante di talenti. 

All’inizio in pochi vollero scommettere su Tsmc: qualche imprenditore di Taiwan e una grande azienda, Philips. Poi è arrivato il grande successo, che oggi ha portato a una posizione di grande preminenza di Tsmc nella capacità computazionale avanzata. Per dare un’idea, nel documento ufficiale della Casa Bianca sulle supply chains del 2021 si dice che il supercomputer Aurora del Dipartimento dell’Energia dell’Argonne National Laboratory, uno storico laboratorio di grande importanza, è passato da Intel a Tsmc come fornitore per i ritardi dell’azienda statunitense sui processi tecnologici più avanzati. Va specificato che comunque, nell’industria dei semiconduttori, tutti dipendono da tutti, chi più chi meno. Tsmc non è certo autosufficiente. Però è determinante. La sua affidabilità è impareggiabile: l’azienda, con una cultura precisa e spietata, rispetta i suoi target sulla tecnologia e sui prodotti, come un perfetto metronomo, e così soddisfa i clienti e fa avanzare la frontiera. Il suo portafoglio clienti è una straordinaria ricchezza, come la capacità di ricerca e sviluppo. I colpi che Tsmc ha ricevuto dagli avversari, soprattutto da parte di Samsung, hanno proprio riguardato il reclutamento di alcune figure centrali dei processi di ricerca. 

Tsmc non è certo autosufficiente. Però è determinante. La sua affidabilità è impareggiabile: l’azienda, con una cultura precisa e spietata, rispetta i suoi target sulla tecnologia e sui prodotti, come un perfetto metronomo, e così soddisfa i clienti e fa avanzare la frontiera.

alessandro aresu

È con questa consapevolezza che possiamo tornare nel 2017 a Taipei, nell’aula delle feste. Il filmato del trentennale di Tsmc evidenzia tre risultati tangibili: un’impressionante serie di fabbriche di semiconduttori (le fab), i luoghi avveniristici disseminati per Taiwan in cui Chang ha realizzato il suo sogno, tassello per tassello; la quotazione dell’azienda negli anni Novanta, tappa fondamentale della sua crescita; infine, la rivendicazione del salto tecnologico compiuto da Tsmc, che l’ha portata davanti ai suoi concorrenti.  

Partito dal nulla, Chang ha superato i leader di un tempo, e ora presidia la frontiera tecnologica da Taiwan. Nella sua identità c’è l’ossessione verso i clienti: la capacità di lavorare costantemente con loro per capirne le esigenze e servirle al meglio, organizzando allo stesso tempo i rapporti con la supply chain, con le decine di aziende che da tutto il mondo riforniscono Tsmc. 

Alcune aziende sono esse stesse supply chains: lavorano come direttrici d’orchestra che devono convocare nello stesso momento i musicisti, i fornitori, per suonare insieme in un auditorium, che è la camera pulita in cui avviene, nella massima sicurezza, la produzione dei vari tasselli dell’industria dei semiconduttori. E tutto questo deve essere sincronizzato, per garantire la tenuta del mondo contemporaneo: dei server, degli smartphone, delle automobili, dei frigoriferi, delle armi e così via. 

© Walid Berrazeg/Sipa USA

Tsmc tra Apple e Huawei 

Il destino di Morris Chang si incrocia, nei primi anni duemila, con quello di Apple, che col grande ritorno di Steve Jobs, tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo, lancia iMac, iPod, iPhone, con straordinarie economie di scala.  

Il racconto sul successo di Apple si focalizza spesso sul genio di Steve Jobs, sulla sua potenza magnetica, sul suo intuito per il prodotto, o sulle capacità di design del progettista Jonathan “Jony” Ive. Ovviamente, la forza del marchio non è comprensibile senza le caratteristiche di semplicità, bellezza e facilità d’uso dei suoi oggetti, che allo stesso tempo, però, sono formati da diversi componenti. 

In questi termini, l’iPhone è senz’altro un simbolo del fenomeno che per semplicità chiamiamo globalizzazione: i fornitori dei suoi componenti, dai processori allo schermo, passando per la videocamera, le batterie, l’accelerometro, il giroscopio, vengono da decine di paesi diversi. Elementi di un’orchestra che deve seguire lo stesso ritmo. Materiali da acquistare e da trattare, componenti e prodotti finiti da spedire in un periplo di container, sulla base di accordi e contratti: una macchina con investimenti di lungo termine, in continua evoluzione, nata e cresciuta per fare profitti, costruita grazie al lavoro di supply chain guys come Tim Cook e Jeff Williams. Quest’ultimo è uno dei protagonisti della foto di Morris Chang con i leader dell’industria dei semiconduttori. Ed è essenziale capire perché. 

Williams, nel 2010, è vicepresidente delle operazioni di Apple. Va a cena a casa di Morris Chang e di sua moglie a Taipei. Chang è tornato da poco al timone della sua Tsmc. È una delle sue tante vite, perché il titano dei semiconduttori ha settantotto anni. Dopo essersi messo a riposo nel 2005, infatti, ha capito di non essere pronto alla pensione.

Morris Chang capisce che nell’iPhone c’è una grande opportunità per Tsmc. Samsung, diventato fornitore di Apple, ha lanciato sul mercato il Galaxy per sfidare il suo cliente. Sta per cominciare una lunga battaglia legale sulla proprietà intellettuale, mentre è palpabile il disprezzo di Jobs per l’azienda coreana. Così, la cena del 2010 è il primo tassello di una storica partnership, su cui sia Apple sia Chang fanno un’enorme scommessa. I volumi produttivi dell’iPhone e dell’iPad necessitano di investimenti giganteschi e Apple decide di affidarsi completamente a Tsmc, che investe 9 miliardi di dollari e mobilitando seimila persone per una nuova fabbrica. L’esecuzione di Tsmc, secondo Williams, è perfetta, senza alcuna sbavatura. Nel 2013, assicurato quest’ultimo colpo da maestro, Chang si ritira dal ruolo di ceo, mantenendo la carica di presidente. L’anno seguente l’azienda comincia a distribuire i microprocessori ad Apple. E nel 2015 Morris Chang afferma che sarebbe disposto a vendere una quota dell’azienda a investitori cinesi, se la strapagassero rispetto ai valori di borsa. Il fondatore di Tsmc si dimette dalla presidenza nel 2018, tra gli applausi e le lacrime dei suoi dipendenti. Nel 2021, Tsmc sorpassa la cinese Tencent e diviene l’azienda asiatica a maggiore capitalizzazione. Nello stesso anno, il ruolo dei semiconduttori nell’economia e nella politica globale esce dal cono d’ombra degli specialisti e cattura l’interesse di un pubblico più vasto. Il disallineamento del mercato noto come chip shortage, assieme ad altre strozzature delle supply chains, amplia i tempi di consegna dei dispositivi elettronici e delle automobili.  

Nel 2021, Tsmc sorpassa la cinese Tencent e diviene l’azienda asiatica a maggiore capitalizzazione.

alessandro aresu

A fianco e oltre a tutte queste ragioni, c’è il tema essenziale: il ruolo dei semiconduttori nella guerra economica e tecnologica tra Stati Uniti e Cina. Tsmc inizia a sentire il suo respiro nel 2019, quando i semiconduttori sono la prima voce di importazioni della Cina e si avvicina l’obiettivo fallito del piano Made in China 2025, che puntava a portare la produzione di microchip cinesi dal 10% al 40% per cento della domanda nazionale entro il 2020 (ci si fermerà al 16%). Quell’anno, il maggiore venditore di smartphone al mondo è Samsung, Apple si colloca solo al terzo posto, superata da un’azienda di Shenzhen che ha raggiunto la notorietà globale: Huawei. L’ascesa dell’operatore cinese si fonda anche sui chip prodotti da Tsmc, che ottiene in quell’anno circa il 14% del proprio fatturato da Huawei, diventando il suo secondo cliente dopo Apple. 

Sempre nel 2019, gli Stati Uniti colpiscono Huawei, con la pesante accusa di violazione delle sanzioni all’Iran attraverso Hong Kong, che porta anche all’arresto in Canada della direttrice finanziaria e figlia del fondatore. L’azienda e le sue affiliate sono inserite nella entity list del dipartimento del Commercio, la lista di controlli sulle esportazioni che interrompe il normale flusso dei rapporti commerciali: per vendere a certi soggetti, bisogna avere l’autorizzazione del governo statunitense. L’esito di questo processo è l’interruzione, da parte della stessa Tsmc, delle forniture a Huawei nel corso del 2020. 

Le sanzioni a Huawei possono essere lette in due modi: in primo luogo, segnano chiaramente la volontà di azzoppare il gigante cinese delle telecomunicazioni, colpendo le sue attività con maggiori margini; in secondo luogo, segnano implicitamente il tentativo di una maggiore visibilità della supply chain dei semiconduttori da parte del governo americano. A inciampare in una nuova intensità tra Stati Uniti e Cina è la stessa Apple, il cui operato sarà sempre più messo in discussione per la collaborazione con le aziende cinesi, fino ai controlli sulle esportazioni che azzoppano nell’ottobre 2022 il campione cinese delle memorie, l’azienda di Wuhan Ymtc, in procinto di rifornire Apple. 

Janet Yellen e Carl Schmitt 

Morris Chang è nato nel 1931. La sua lunga vita ormai lo avvicina quasi a un secolo. Quale sarà il simbolo del suo secolo? Il suo secolo potrebbe finire attorno al 2031, per esempio, con un’invasione cinese di Taiwan. Oppure, ricordiamo che Morris Chang ha lasciato la nascente Repubblica Popolare Cinese nel 1949. Il suo secolo potrebbe quindi finire nel 2049, con la Repubblica Popolare che non ha ripreso Taiwan nel centenario, o che nel tentativo si è fatta troppo male, e ormai si trova a combattere profondi problemi demografici.

Questi sono alcuni futuri possibili del secolo di Morris Chang. Più semplicemente, la fine del suo secolo può essere indicata con i vincoli politici che avvolgono il commercio, che insidiano sempre di più l’orologio economico del mondo e i funzionamenti delle supply chains. Soprattutto, nel convergere verso un luogo, il suo luogo: Taiwan. 

Il successo, superiore a ogni aspettativa, di Taiwan nell’industria dei semiconduttori, ha portato all’elaborazione della teoria dello “scudo di silicio”. Lo status controverso di Taiwan è la sua vulnerabilità, mentre il silicio – non il materiale in sé, ma il ruolo fondamentale dell’isola in un’industria così importante – dovrebbe fornire lo scudo. Perché, infatti, bisogna cambiare ciò che attraverso il meccanismo del commercio garantisce benefici per tutti, dai giganti fabless degli Stati Uniti alle startup della Repubblica Popolare? E i rapporti economici tra le aziende cinesi e Tsmc non sono forse un vincolo che porta a evitare azioni sconsiderate, che interromperebbero questo meccanismo che fa guadagnare tutti? 

I tanti rapporti fiduciari, tra fornitori e clienti, avvolgono Taiwan in una rete che non può essere facilmente scardinata.

alessandro aresu

I tanti rapporti fiduciari, tra fornitori e clienti, avvolgono Taiwan in una rete che non può essere facilmente scardinata. Anche perché la stessa Tsmc per operare, come hanno mostrato in modo definitivo nei loro reportage due bravissime giornaliste di Nikkei, Cheng Ting-Fang e Lauly Li, che meriterebbero qualunque premio immaginabile, dipende da una rete di fornitori internazionali che non potrà mai essere controllata a livello nazionale né semplificata in modo decisivo. È sufficiente leggere la provenienza dei fornitori raccolti dalle giornaliste nelle loro impareggiabili inchieste, i tempi d’attesa, i vari componenti, per capire che tecnicamente non si può fare. La resilienza come autosufficienza nazionale non può esistere, almeno in questo campo. L’interesse nazionale o regionale riguarda invece due aspetti più realistici: il punto della catena del valore in cui ci si colloca e la riduzione dei maggiori rischi per l’operatività. 

Gli stessi discorsi di Morris Chang, che a Taiwan è giustamente considerato una divinità e a oltre novant’anni è ancora attivo, evidenziano il cambiamento di paradigma che ci riguarda tutti. Nel suo commento al caso Huawei, Chang ha affermato che il libero commercio ormai avviene con “condizioni”. E nelle sue più recenti interviste ha detto che, in un mondo che ragiona secondo criteri economici, lo “scudo di silicio” ha senz’altro senso, e, sulla base criteri di convenienza e razionalità commerciale, dovrebbe avere effetto sugli stessi leader cinesi. Questo stesso ragionamento lascia aperta la possibilità di una decisione con criteri esclusivamente politici, che polverizzi lo scudo per altri fini.   

© SOPA Images/SIPA

La fine del secolo di Morris Chang è un mondo che, anche in superficie e non solo in senso profondo, a volte ragiona senza considerare i criteri economici. Le stesse aziende devono per forza tenere conto di quest’altro lato della medaglia, nell’equilibrio dei rischi. 

Il commercio dovrebbe essere il meccanismo capace di rendere le differenze del mondo comparabili, secondo le reciproche convenienze. Smussare gli angoli per i vantaggi comuni. Bilanciare la politica con l’economia. Ma il mondo vive già una guerra economica e tecnologica, che impegna gli Stati Uniti, attraverso i complessi ingranaggi di violente sanzioni e pervasivi controlli alle esportazioni: il sistema che io chiamo “sanzionismo”. L’avversario è il Partito Comunista Cinese, che ha operato – anche nell’industria di Morris Chang – attraverso i sussidi alle imprese, i documentati furti di proprietà intellettuale ai danni di Tsmc e del gigante olandese Asml, la fusione militare-civile. La Cina continuerà a utilizzare la leva del potere sul più grande mercato al mondo, in nome del concetto onnipotente di sicurezza nazionale avanzato dal segretario generale Xi Jinping. Gli Stati Uniti hanno già riesumato la politica industriale – che non era mai morta – e soprattutto hanno rafforzato in modo molto violento il sanzionismo, per alterare le supply chains internazionali, per mantenere i propri vantaggi nei semiconduttori e per recuperare il terreno nelle batterie e nei loro componenti.  

La Cina continuerà a utilizzare la leva del potere sul più grande mercato al mondo, in nome del concetto onnipotente di sicurezza nazionale avanzato dal segretario generale Xi Jinping.

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L’uomo che ha ricoperto per più tempo l’incarico di segretario di stato degli Stati Uniti, il mitico Cordell Hull, ha dichiarato nel 1937: “Non ho mai vacillato, e mai lo farò, nella mia convinzione che la pace duratura e il benessere delle nazioni siano connessi indissolubilmente con l’amicizia (friendliness), l’equità (fairness), l’eguaglianza (equality) e il massimo grado praticabile di libertà nel commercio internazionale”.   

Qual è il massimo grado di libertà della fase storica in cui viviamo? Come misurarne le oscillazioni, e renderle prevedibili per le imprese? E come si ripensano i concetti di amicizia ed equità, nel vortice del conflitto tra Stati Uniti e Cina? Difficile evitare di vacillare. Difficile fornire una risposta perentoria. Ciò che sappiamo è che la sicurezza entra, inarrestabile, nell’equazione. In un discorso di aprile 2022, il segretario al tesoro Janet Yelle ha enfatizzato il neologismo friendshoring, con cui descrive un commercio “libero ma sicuro” (free but secure), in cui “non possiamo permettere ai paesi di utilizzare la loro posizione di mercato in materie prime fondamentali, tecnologie o prodotti fino ad avere il potere di danneggiare la nostra economia o di esercitare una leva geopolitica ostile”. 

Il concetto di friendshoring avrebbe interessato uno scomodo e inquietante pensatore del Novecento, il giurista Carl Schmitt, che oggi gode di una nuova notorietà in Cina e di certo non è ignoto a Wang Huning, l’intellettuale-consigliere del Partito Comunista che si è formato su Bodin e Maritain, prima di plasmare la teologia politica del Politburo. 

Com’è noto, Schmitt disprezzava l’idea che le transazioni commerciali potessero oltrepassare l’essenza della politica, la distinzione tra amico e nemico, e non credeva che esistesse un meccanismo in grado di superare quest’elemento essenziale, di comporre le differenze oltre la politica. La tendenza fondamentale del nostro tempo, con la corsa globale alla sicurezza nazionale, ci suggerisce appunto l’incapacità del commercio di superare in modo definitivo le categorie e le condizioni politiche. Se ogni capitalismo è “totalmente” politico, se la sfera di sicurezza nazionale prevale in ogni caso sulla libertà, l’ingranaggio dell’economia non può funzionare. Come, è evidente, non è possibile che tutti siano produttori di ultima istanza di tutto con surplus commerciali, visto che la bilancia dei pagamenti prevede creditori e debitori. Ma la politicizzazione avanza comunque. 

Il nostro mondo è molto diverso da quello di Schmitt, che possiamo definire un antisemita nostalgico che disprezzava ardentemente gli Stati Uniti (o, più sbrigativamente, con Alberto Predieri, un nazista senza coraggio). Il giurista di Plettenberg, che non dava grande dignità alle forme politiche diverse dallo Stato-nazione europeo, non avrebbe apprezzato la realtà del friendshoring di oggi e domani, e cioè il tentativo di alleanza non solo nella sfera dei Five Eyes (che comprendono potenze minerarie come Australia e Canada) ma anche con le potenze tecnologiche asiatiche, tra cui Giappone, Corea del Sud e naturalmente Taiwan. È divertente immaginare gli intellettuali eurocentrici alle prese con l’Indonesia che propone l’OPEC per i materiali delle batterie. In aggiunta a un contrappasso speciale per gli umanisti, che oggi per scoprire la forza dell’Occidente devono andare a fare l’apprendistato nella cittadina di Ditzingen, presso l’azienda Trumpf, e imparare il funzionamento dei suoi laser. 

La tendenza fondamentale del nostro tempo, con la corsa globale alla sicurezza nazionale, ci suggerisce appunto l’incapacità del commercio di superare in modo definitivo le categorie e le condizioni politiche.

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Di sicuro oggi Schmitt avrebbe discusso con interesse della politicizzazione dell’economia con Alexandre Kojève, il filosofo divenuto attore degli ingranaggi del commercio internazionale. Ad accompagnare le loro conversazioni immaginarie al Rhein-Ruhr Club, tra gli imprenditori tedeschi preoccupati per il futuro delle loro vendite in Cina, s’ode l’eco lontana dell’Inno alla Gioia nella sala da concerti nazionale di Taipei.

Morris Chang è costretto ad affrontare un mondo che spinge in una direzione ostinata e contraria rispetto alle condizioni del suo meritato primato. D’altra parte, in caso di guerra nello Stretto di Taiwan, è difficile pensare che Tsmc possa sopravvivere, per vari fattori: l’estrema delicatezza dei macchinari che hanno bisogno di assoluta stabilità, la necessità di ricorrere a specifiche e insostituibili competenze tecniche per il funzionamento delle fabbriche, l’effetto devastante che avrebbero le sanzioni verso l’invasore cinese, spezzando il rapporto cruciale dell’azienda con fornitori e clienti. Ma il destino di questa straordinaria impresa indica un problema ben più vasto per l’umanità. Come ha detto Morris Chang qualche mese fa, “se davvero ci sarà la guerra nello Stretto di Taiwan, dovremo preoccuparci di ben altro che dei chip”. 

A Phoenix, la quasi morte della globalizzazione 

Il 6 dicembre 2022, cinque anni dopo la festa di  Taipei per il trentennale di Tsmc, a Phoenix va in scena la quasi morte della globalizzazione. 

Nella cerimonia per l’installazione del primo equipaggiamento della fabbrica di Tsmc, si ritrovano numerosi leader dell’ecosistema dei semiconduttori. L’elenco è impressionante: il gigante dei macchinari Asml e il gigante dei clienti, Apple, rappresentata da Tim Cook in persona, aziende cruciali degli Stati Uniti come Applied Materials, Kla, Lam Research, fondamentali per i controlli sulle esportazioni della guerra tecnologica tra Washington e Pechino, Lisa Su, la manager nata a Taiwan che ha risollevato Amd. Poi ci sono anche Joe Biden con Gina Raimondo, segretario al commercio che ha un ruolo fondamentale nella strategia industriale degli Stati Uniti. E soprattutto, c’è Morris Chang, che a 91 anni è tornato per l’occasione nella terra del suo sogno, il sogno americano. 

Nel suo discorso, Morris Chang è severo. Con gli altri e con sé. Dice di non essere stato in grado di realizzare il sogno della produzione negli Stati Uniti perché la precedente esperienza di Tsmc, negli anni ‘90, con un’iniziativa vicino a Portland, non è stata un successo. La tecnica sopraffina e altera degli ingegneri di Taiwan non è riuscita a creare una cultura comune con i lavoratori degli Stati Uniti. Ora tocca a una nuova generazione realizzare un nuovo sogno americano, che per Washington ha un’indubbia natura politica: avviare una diversificazione rispetto alla concentrazione a Taiwan, consentire un rilancio manifatturiero attraverso l’azienda più esperta, con un investimento complessivo di 40 miliardi di dollari e due fabbriche molto avanzate (N4 e 3nm, secondo il gergo di Tsmc), mentre fioccano iniziative di Intel, Micron, Samsung e altri. Queste iniziative devono ora confrontarsi col ciclo che da sempre caratterizza l’industria dei semiconduttori, in una fase di contrazione che segue all’ebbrezza da chip shortage. 

Tsmc deve navigare in questo interregno, in cui il governatore uscente dell’Arizona menziona il supporto anche militare per Taiwan mentre Biden, per evitare tensioni, preferisce glissare.

alessandro aresu

Tutto questo avviene, secondo Morris Chang, in una globalizzazione “quasi morta”, come è “quasi morto” il libero commercio: è un nuovo scenario da cui non si tornerà indietro. Tsmc deve navigare in questo interregno, in cui il governatore uscente dell’Arizona menziona il supporto anche militare per Taiwan mentre Biden, per evitare tensioni, preferisce glissare. E mentre, anche nelle settimane successive, si susseguono gli annunci su un “multilateralismo del controllo delle esportazioni”, con cui gli Stati Uniti cercano di portare a bordo i campioni dei macchinari dei Paesi Bassi e del Giappone. Se la diplomazia del Novecento prevedeva le missioni segrete di Henry Kissinger in Cina, nella diplomazia del XXI secolo dobbiamo immaginare le discussioni, dietro la patina della politica, tra burocrati della sicurezza nazionale e gli specialisti della tecnologia, come il leggendario capo della tecnologia di ASML, Martin van den Brink.  

Morris Chang e Jen-Hsun “Jensen” Huang a Phoenix il 6 dicembre 2022. © AP Photo/Ross D. Franklin

Nella straordinaria cerimonia di Phoenix, dove si muovono manager ignoti ai più da cui dipende la nostra capacità di comunicare e di lavorare, il discorso più importante è stato pronunciato da Jen-Hsun “Jensen” Huang, nato a Taiwan, co-fondatore e capo di Nvidia, azienda fabless emersa negli anni ‘90 e poi divenuta, tra le altre cose, il gigante dell’hardware per l’intelligenza artificiale. Jensen Huang indossa sempre, in qualunque occasione, un giubbotto in pelle da motociclista, anche se deve parlare davanti al Presidente degli Stati Uniti. Negli anni ‘90, quando ha detto a sua madre che nella vita voleva costruire un’azienda in grado di migliorare la resa grafica dei videogiochi, lei le ha risposto che doveva trovarsi un lavoro vero, un mestiere da adulto. Ora Huang costruisce un supercomputer gemello digitale della Terra per prevedere il cambiamento climatico. 

Ora Huang costruisce un supercomputer gemello digitale della Terra per prevedere il cambiamento climatico. 

alessandro aresu

Il capo di Nvidia, legato a Morris Chang da affetto personale e lunga relazione d’affari, nel suo discorso si sofferma sul concetto di fiducia. Il capolavoro di Tsmc è stato legare fornitori e clienti attraverso la fiducia. “La loro superpotenza è un sistema operativo, una cultura aziendale che genera fiducia”. La fiducia ha fatto crescere l’ecosistema fabless, con la sua enorme potenza e capacità di attrazione, che la Cina non è riuscita a replicare. La fiducia ha alimentato gli ingranaggi del talento che, nella supply chain dei semiconduttori, devono combaciare, marciare nella stessa direzione, seguire lo stesso ritmo. Questa fiducia è uno dei nomi del secolo di Morris Chang. Ma la sua permanenza, nelle crepe dei vincoli politici e della sicurezza nazionale, della tecnologia che si fa oggetto della tensione tra le potenze, è tutta da dimostrare. Anche il direttore d’orchestra che ha guadagnato la fiducia di tutti i musicisti, Morris Chang, lo sa. E nel suo ritorno al sogno americano, egli porta questo gravoso fardello.

Credits
Questo scritto riprende e integra ampiamente il primo capitolo del libro “Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia”, Feltrinelli, 2022