Secondo Joseph S. Nye, il Soft Power va definito come «il potere di seduzione che uno Stato esercita sugli altri». Secondo questo teoria, il peso di un paese sulla scena internazionale dipende sì dalla forza militare e da quella economica, ma in misura crescente dalla sua capacità di affermarsi mediante la comunicazione, l’immagine e la cultura. Il soft power, in effetti, negli ultimi anni, è diventato sempre più un aspetto fondamentale dell’azione internazionale degli stati, che lo usano spesso e volentieri come strumento di influenza alternativo al mero dispiegamento della forza.
Dalla storia, all’arte, fino alla musica – come testimonia anche il festival di Sanremo, la cui edizione di quest’anno si è appena conclusa -, l’Italia sembra avere un enorme potenziale, fino a potersi definire facilmente una «superpotenza culturale». Anche, a volte, suo malgrado. Perché, per trasformarsi in vero Soft Power, capace quindi di generare un beneficio per il paese in termini di influenza e di ricadute economiche, il generico prestigio culturale non basta: deve tradursi in istituzioni e azioni precise.
Che ruolo hanno la cultura e l’arte nella proiezione dell’Italia nel mondo? Esiste una strategia condivisa? E quali lezioni possono essere tratte nel contesto europeo?
Ne parleremo al prossimo lunedì del GC con:
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