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Una delle prime preoccupazioni del comitato organizzatore delle Olimpiadi di Tokyo fu il caldo. Come avrebbe fatto la capitale giapponese ad ospitare la maratona con la temperatura costantemente intorno ai 30 gradi e l’umidità vicina al 75%? Tra tutte le soluzioni, la più creativa fu quella di rivestire la pavimentazione del percorso con un materiale innovativo che rifletteva il calore e permetteva di abbassare la temperatura a terra di circa il 10% 1. Metro dopo metro, quindi, tutti i 42 chilometri del percorso, compresa la grande Aoyama-dori, vennero ripavimentati, come un enorme serpente argentato che aveva iniziato a strisciare al centro della città. Due mesi dopo la conclusione dei lavori, però, il Comitato Olimpico Internazionale decise, contro il volere delle autorità cittadine, di spostare la maratona oltre mille chilometri più a nord, a Sapporo, dove le temperature di media sono circa 5 gradi più basse 2. Anche se non ho modo di verificare che il vecchio percorso della maratona di Tokyo sia ancora oggi pavimentato in questo modo, l’idea stessa che per mesi qualcuno ci si sia potuto imbattere senza capire il senso di quello strano rivestimento ci dice qualcosa di queste Olimpiadi. Soprattutto adesso che il nord del Giappone è investito da un’ondata di caldo senza precedenti, con le temperature a Sapporo circa dieci gradi oltre il normale. 3
Con gli spettatori esclusi dagli eventi olimpici per la prima volta nella storia, la preoccupazione per i contagi e un malcontento molto diffuso tra la popolazione giapponese, sapere che queste erano state ufficialmente definite “Olimpiadi della rinascita” potrebbe fare lo stesso effetto che ritrovarsi in una strada familiare a chiedersi cosa sia successo all’asfalto. Questa definizione venne coniata poco dopo la presentazione della candidatura di Tokyo alle Olimpiadi del 2020, il 16 luglio del 2011. Erano passati circa quattro mesi dal disastro nucleare di Fukushima e adesso il Giappone, che aveva già perso la candidatura alle Olimpiadi del 2016 in favore del Brasile, rispetto ai suoi avversari aveva un’arma in più: una storia da raccontare. Una storia di rinascita, per l’appunto.
Questa storia comincia l’11 marzo 2011, quando un terremoto nato tra le acque del Pacifico e un conseguente maremoto colpiscono le coste della regione di Tohoku. Solo il cataclisma provoca quasi 20mila vittime – oltre ovviamente al disastro nucleare della centrale di Fukushima Daiichi, che pone problemi meno visibili ma più complessi. Se è vero che le esplosioni all’interno della centrale non portarono a quasi nessuna morte diretta, e che le conseguenze di lungo periodo della radioattività sulla popolazione sembrano al momento sotto controllo, è vero anche infatti che il rilascio di radiazioni nell’atmosfera e nel mare a seguito del disastro nucleare costrinsero il Giappone ad evacuare oltre 150mila persone all’interno della regione, circa 50mila delle quali non possono fare ritorno alle loro case ancora oggi, a dieci anni di distanza. Il disastro nucleare di Fukushima ha lasciato segni poco tangibili, soprattutto oggi che il suo ricordo è sbiadito di fronte alla pandemia e alla crisi climatica, ma non per questo meno gravi. Facendo attenzione, si potrebbe notarlo nella salute mentale delle persone evacuate, nei suicidi delle persone allontanate dalle loro case, nelle città fantasma di Futaba o di Okuma, che nei sogni del governo un giorno diventeranno città ecosostenibili dedicate alla ricerca sulle energie rinnovabili, nell’invecchiamento e nella desertificazione di regioni lontane dal centro di gravità di Tokyo.
La narrazione intorno a queste Olimpiadi – le Olimpiadi della Rinascita – ha provato a ricucire ciò che il disastro nucleare di Fukushima aveva squarciato. A partire dal viaggio in Giappone della torcia olimpica, o meglio, della “fiamma della ripresa”, com’è stata chiamata. Il suo cammino verso Tokyo è iniziato il 25 marzo, proprio dalla prefettura di Fukushima. Più precisamente dal J-Village: uno stadio che veniva utilizzato da una squadra femminile di proprietà della TEPCO, la società elettrica giapponese che gestiva anche la centrale nucleare Fukushima Daichi, e che durante il disastro era stato adibito come luogo di emergenza e ristoro per gli operai che lavoravano alla decontaminazione delle zone colpite. Il simbolo era di facile lettura: il J-Village era uno stadio che nell’emergenza era diventato un rifugio e che grazie alle Olimpiadi sarebbe tornato a essere uno stadio vero e proprio. Per via della pandemia, però, questa cerimonia di guarigione si è svolto a porte chiuse, senza nessuno quindi che potesse apprenderne la simbologia. E allora qual è stato il suo significato?
La narrazione della rinascita è stata portata avanti anche dislocando lo svolgimento di diverse discipline nella regione di Tohoku e nelle altre zone più colpite dallo tsunami e dal disastro nucleare. A Fukushima si giocheranno le partite di baseball e di softball, compreso il primo evento sportivo ufficiale delle Olimpiadi, che si è tenuto ancora prima della cerimonia inaugurale, e cioè la gara di softball tra Australia e Giappone (vinta mercoledì dai padroni di casa). A Rifu, nella prefettura di Miyagi, sempre nella regione di Tohoku, si giocheranno invece 10 partite di calcio. È nella prefettura di Chiba, più a sud rispetto a queste zone, dove però la metafora si farà più chiara. Lì, infatti, per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, si svolgeranno delle gare di surf su quelle stesse onde del Pacifico che 10 anni prima avevano causato lo tsunami e il conseguente disastro nucleare. Il comitato organizzatore ha perfino deciso che i fiori dei bouquet per le premiazioni e il cibo per le squadre olimpiche verranno dalle zone colpite dal disastro nucleare. Quest’ultima iniziativa, però, è stata nascosta all’ultimo momento, eliminando le etichette che indicavano la provenienza del cibo, per via della protesta di alcuni dei Paesi ospitati 4. La Corea del Sud, che sta vivendo l’ennesimo periodo di relazioni non felicissime con il Giappone e che ha di recente annullato la visita del presidente Moon Jae-in ai Giochi Olimpici, ne ha approfittato per prendersi una piccola rivincita diplomatica, annunciando che saranno i suoi cuochi a cucinare per la squadra olimpica e a condurre test aggiuntivi sulla radioattività degli ingredienti.
Il racconto delle Olimpiadi che il Giappone voleva raccontare al mondo era comunque andato in crisi già prima dell’inizio della pandemia. Innanzitutto perché il livello delle radiazioni in alcune delle zone in cui prima sarebbe dovuta passare la torcia olimpica e poi si sarebbero tenute le gare sembravano meno sotto controllo di quanto le autorità giapponesi dicessero. In diversi report, ad esempio, Greenpeace ha fatto notare come in alcune zone vicine al J-Village il livello delle radiazioni fosse ancora troppo alto per garantire la sicurezza di un evento pubblico. E forse è anche per questa ragione che molti atleti che erano stati sentiti per portare la torcia nei primi giorni – dal maratoneta Suguru Osako alle calciatrici Nahomi Kawasumi e Saki Kumagai, protagoniste del Mondiale vinto dal Giappone proprio nel 2011 – abbiano alla fine declinato l’invito. Ma ad incrinare ancora di più la narrazione di Tokyo 2020 come Olimpiade della rinascita c’era la perplessità riguardo all’impatto economico sulle regioni colpite dal disastro del 2011. Come faranno delle Olimpiadi che si terranno principalmente nella capitale a fermare o addirittura invertire la desertificazione di quelle zone? E se al contrario accentreranno ancora di più gli investimenti su Tokyo, aumentando il divario tra centro e periferia, cosa ne dovremmo pensare?
A complicare ulteriormente le cose ci si è messa la pandemia, con la preoccupazione diffusa che un evento di queste proporzioni possa portare i contagi fuori controllo in un paese in cui la campagna vaccinale va ancora molto a rilento, almeno per gli standard occidentali. Oggi appaiono molto lontani i tempi in cui il Giappone aveva provato a riconvertire la metafora della rinascita, che era passata da essere “solo” il superamento di un disastro nucleare di un Paese alla sopravvivenza dell’essere umano a una pandemia. Come ha detto lo scorso anno il premier giapponese, Yoshihide Suga 5, decidere di non annullare le Olimpiadi nonostante il coronavirus sarebbe stata «la prova che l’umanità ha sconfitto la pandemia». Al momento 6, però, meno del 30% della popolazione giapponese ha ricevuto entrambe le dosi di uno dei vaccini disponibili e a fine giugno il governo è stato costretto a interrompere le vaccinazioni delle aziende sul luogo di lavoro perché non era sicuro di poter distribuire le dosi in tempo. Nel frattempo Tokyo è entrata per la quarta volta in stato d’emergenza e la bolla pensata per il villaggio olimpico, che doveva proteggere la popolazione da eventuali contagi dall’estero (e viceversa), si è immediatamente dimostrata fragile. Mercoledì i casi registrati al suo interno, tra atleti e staff, erano già 75, tra cui anche il primo volontario dell’organizzazione 7. Se questa è una storia di metafore che non coincidono più con la realtà, quella della bolla, che esplode al minimo movimento, forse è l’unica che tiene.
Il Giappone ha provato a tutelarsi lo stesso, decidendo di escludere del tutto il pubblico dagli eventi sportivi. Così facendo, però, ha aumentato ancora di più la distanza tra la popolazione giapponese e queste Olimpiadi, che già era molto ampia. L’ultimo sondaggio 8, tenuto all’inizio di giugno, a meno di due mesi dall’inizio delle competizioni, ha trovato il 48% degli intervistati favorevole alla cancellazione delle Olimpiadi, comunque in calo rispetto al 59% dell’ultima rilevazione, effettuata all’inizio di maggio. Un altro sondaggio, realizzato sempre a maggio, vedeva questa percentuale intorno al 43% 9. Un fronte che si è rafforzato con la pandemia, ma che era già presente prima, soprattutto nelle zone colpite dal disastro di Fukushima, forse scettiche sulle capacità di queste Olimpiadi di far rinascere il Giappone davvero. Alla luce di questo contesto, è meno sorprendente di quanto non sembri la decisione di alcuni importanti sponsor giapponesi di non apparire durante queste Olimpiadi. La Toyota, ad esempio, ha deciso di non mandare in onda gli spot a tema nelle due settimane dei Giochi Olimpici. «Le Olimpiadi non sono riuscite a guadagnarsi la comprensione del pubblico», ha dichiarato un dirigente della casa automobilistica giapponese al quotidiano Yomiuri Shimbun 10. E il pubblico, come detto, non potrà essere nemmeno presente, in un momento in cui invece in Giappone si poteva assistere ad alcuni eventi sportivi in presenza, seppur con le precauzioni che abbiamo imparato a conoscere.
Calate in un contesto sostanzialmente ostile, con gli sponsor impauriti anche solo di apparire e il pubblico lontano dagli stadi, forse mai come questa volta ci si è chiesti quale fosse il senso delle Olimpiadi in generale, e di queste in particolare – le Olimpiadi della rinascita del Giappone. «Un sacco di soldi delle tasse dei cittadini sono stati utilizzati per organizzare queste Olimpiadi», ha dichiarato recentemente il capitano della squadra maschile di calcio del Giappone, Maya Yoshida 11. «E nonostante questo, nessuno può andare a vedere le competizioni. Quindi è inevitabile chiedersi per chi sono state fatte queste Olimpiadi, e per quale ragione».
Oltre le metafore e le narrazioni, ci ha pensato la realtà a riannodare i fili del discorso. Con il Giappone investito da un caldo eccezionale, e le persone costrette a chiudersi in casa per guardare le Olimpiadi, la domanda di energia elettrica per i condizionatori è aumentata vertiginosamente. Per evitare i blackout e le crisi energetiche che hanno afflitto il Giappone in inverno, il governo ha quindi deciso all’inizio di luglio di riattivare un altro reattore nucleare, il quinto dall’inizio dell’anno 12. Tra questi c’è anche il reattore di Mihama, vecchio di oltre quarant’anni e fermo da dieci, per il quale c’è voluta una controversa deroga per allungargli la vita. Secondo Tatsujiro Suzuki, ex vicepresidente della commissione governativa sull’energia atomica sentito da Reuters, è da iniziative come questa che si capisce come «l’industria e il governo non abbiano imparato le lezioni di Fukushima» 13. In totale sono diventati nove i reattori tornati in attività sui 54 totali, il numero più alto da quando il Giappone aveva deciso di spegnerli tutti dopo il disastro nucleare, quasi esattamente dieci anni fa.
Note
- Beating the heat at the Tokyo Olympics, Japan Times, 14 agosto 2019
- Tokyo 2020 marathon to Sapporo finalized; golf venue will not change, ESPN, 1 novembre 2019
- Tweet di Sakaya Mori, 19 luglio 2021
- S.Korea team to screen its food over Fukushima radiation concerns, Reuters, 20 luglio 2021
- Max Bernhard, The Fukushima nuclear disaster and the Tokyo Olympics, E&T, 16 giugno 2021
- Reuters Covid Tracker, Japan
- https://www.japantimes.co.jp/news/2021/07/21/national/olympic-infections-athletes-schedule/?utm_source=pocket_mylist
- Japan resistance to the Olympics seeing signs of easing, polls show, Japan Times, 7 giugno 2021
- Over 80% of Japanese oppose Olympics this summer, poll shows, Japan Times, 17 maggio 2021
- Olympics to begin but softball opener is unlikely to distract a fearful nation, The Guardian, 19 luglio 2021
- Tokyo spectator ban leaves Olympic athletes perplexed, Japan Times, 19 luglio 2021
- Japan goes nuclear in bid to stay cool during Summer Olympics, Reuters, 21 luglio 2021
- As Japan reboots ageing Mihama nuclear reactor, experts express concern, Reuters, 23 giugno 2021