«Obviamente», ha ripetuto con enfasi il Primo ministro António Costa nel primo pomeriggio di martedì 7 novembre, per annunciare le sue improvvise dimissioni. «Ovviamente», si è dichiarato totalmente disponibile a collaborare con il sistema giudiziario, «sorpreso di apprendere», secondo le sue stesse parole, che il procedimento penale avviato dal Procuratore Generale della Repubblica era imminente, con gli investigatori che si stavano riversando, in particolare a São Bento, la residenza ufficiale del Capo del Governo. «Ovviamente», ha presentato immediatamente le sue dimissioni al Presidente della Repubblica, dopo aver deciso che i suoi doveri di Primo ministro non erano compatibili con il minimo sospetto che mettesse in discussione la sua integrità. «Ovviamente», come un’eco lontana della famosa apostrofe pronunciata nel maggio 1958 dal Generale Delgado contro il dittatore Salazar, quando un giornalista dell’AFP gli aveva appena chiesto cosa avrebbe fatto con l’allora Presidente del Consiglio. «Obviamente, demito-o», rispose il «generale senza paura»: «Naturalmente lo manderò via!»

Sono le dimissioni repentine di una figura di spicco della politica portoghese da quasi dieci anni. La pagina scritta da questa figura di spicco della socialdemocrazia europea non è facile da voltare.

Yves Léonard

Questo segna «ovviamente» la fine di un’epoca, «una fase che si sta concludendo», ha detto il Primo ministro dimissionario. Non senza dignità e nel pieno rispetto delle istituzioni democratiche, ha deciso di consegnarsi ai tribunali, pienamente fiducioso nella sua capacità di dimostrare la sua innocenza in una torbida vicenda di corruzione relativa al fiorente mercato dell’esplorazione del litio e dell’«idrogeno verde», in cui sono coinvolte alcune persone a lui vicine, tra cui il suo capo di gabinetto e uno dei suoi principali consiglieri e amici, per non parlare del suo stesso ministro delle Infrastrutture. Sono le dimissioni repentine di una figura di spicco della politica portoghese da quasi dieci anni – da quando António Costa ha preso le redini del Partito Socialista nel settembre 2014, prima di essere nominato Primo ministro nel novembre 2015. La pagina scritta da questa figura di spicco della socialdemocrazia europea non è facile da voltare. In primo luogo, perché il rischio di una profonda crisi politica – se non di un terremoto, quel terramoto così diffuso nella cultura politica portoghese – non è nullo, e rivela una serie di difetti e pericoli. In secondo luogo, perché solleva la questione ricorrente del ruolo di qualsiasi figura carismatica nel funzionamento delle istituzioni democratiche. In breve, la questione del ’dopo’, dove queste dimissioni è un test per la democrazia portoghese, mentre si avvicina il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione dei Garofani, il 25 aprile 1974.

Un terremoto all’ombra del «TAPgate»

Come tutti i terremoti, quello del 7 novembre è stato preceduto da segnali di allarme e sarà seguito da scosse di assestamento. I segnali si erano moltiplicati negli ultimi mesi, all’ombra del «TAPgate», la compagnia aerea nazionale in via di privatizzazione, il cui nome è stato associato dal dicembre 2022 a diversi scandali e dimissioni all’interno del Governo, tra cui quella, all’inizio di gennaio 2023, di Pedro Nuno Santos, l’influente ministro delle Infrastrutture e dell’Abitazione, a lungo presentato come il successore di António Costa. Insomma, si tratta di uno dei fattori scatenanti del terramoto di questo novembre. 

Alla fine della scorsa primavera, João Galamba, successore di Pedro Nuno Santos alle Infrastrutture, era già messo in croce, a causa del suo ruolo, ritenuto equivoco, nell’assegnazione di lucrose concessioni per l’esplorazione del litio – una delle grandi ricchezze del futuro del Portogallo – a Montalegre e Boticas, quando era Segretario di Stato per l’Energia. Tuttavia, António Costa si rifiutò di rimuovere João Galamba dal suo incarico, come aveva chiesto il Presidente Marcelo Rebelo de Sousa. Tutte queste tensioni hanno rivelato un malessere crescente nel corso dei mesi, se non una crisi di governo all’interno di una maggioranza assoluta tentata dall’egemonia. Alcuni dei detrattori del Primo ministro sono allora andati alla ribalta, puntando il dito contro la sua procrastinazione nella gestione politica del «TAPgate» e la sua mancanza di sostegno pubblico a Pedro Nuno Santos. 

L’incredulità è stata rapidamente sostituita dallo stupore davanti al vuoto temuto, dopo che l’atteggiamento dignitoso del Primo ministro è stato salutato come «la decisione migliore»

Yves Léonard

Tuttavia, nonostante questi segnali e il malessere che aleggiava, António Costa era riuscito a sopravvivere, grazie alla sua leggendaria abilità, alla sua grande padronanza della macchina politica e parlamentare e alla sua immagine unificante, se non consensuale, che l’elettorato aveva largamente premiato nelle elezioni anticipate del gennaio 2022. Dopo otto anni di successo al potere e con altri tre anni davanti a sé grazie alla sua maggioranza assoluta in Parlamento, il politico sembrava inaffondabile, sostenuto dalla sua statura internazionale e dalla sua aura sulla scena europea. Da qui la sorpresa e l’incredulità della maggior parte degli osservatori ieri, quando sono state annunciate le sue dimissioni. L’incredulità è stata rapidamente sostituita dallo stupore davanti al vuoto temuto, dopo che l’atteggiamento dignitoso del Primo ministro è stato salutato come «la decisione migliore».

In effetti, rispettando le istituzioni democratiche e le regole della giustizia fin dall’inizio, il Primo ministro ha cercato di disinnescare una crisi di lunga durata sulla presunta ’corruzione dell’élite’. Senza tergiversare, ha scelto di elevare il dibattito ponendolo sul piano giuridico, rifiutando di aggiungere ulteriore benzina al fuoco dei media e ritirandosi con un discorso breve e dignitoso. Il Primo ministro si è preoccupato di indicare che non si sarebbe candidato alla sua stessa successione, ma senza specificare quale sarebbe stato il suo futuro all’interno del Partito Socialista, di cui è Primo segretario dall’autunno 2014. Ha preso saldamente il controllo del partito per condurlo risolutamente fuori dall’era post-José Socrates e tornare al potere nell’autunno 2015, inizialmente come parte della Geringonça, un’alleanza senza partecipazione ministeriale con il Partito Comunista e il Blocco di Sinistra (Bloco de Esquerda, BE), fino al 2019. 

L’iniziativa spetta ora al Presidente della Repubblica che, dopo aver ascoltato i partiti politici rappresentati in Parlamento mercoledì 8 e aver ottenuto il parere del Consiglio di Stato giovedì 9, potrà decidere di indire nuove elezioni legislative anticipate sciogliendo l’Assemblea della Repubblica, oppure di nominare un nuovo Primo ministro tra le fila del Partito Socialista, che ha la maggioranza assoluta in Parlamento. Negli ultimi mesi, durante i precedenti periodi di tensione con il Capo del Governo – e al punto da alterare una convivenza finora abbastanza armoniosa – il Capo dello Stato sembrava preferire la soluzione di un ritorno all’elettorato, una soluzione favorita anche dalla maggior parte dei raggruppamenti politici. 

Nonostante ciò, la nomina di un Primo ministro tra le fila del Partito Socialista offre una serie di vantaggi, non da ultimo in termini di evitare un periodo di latenza, di almeno tre mesi, durante il quale il bilancio 2024 non è ancora stato votato – avrebbe dovuto esserlo a fine novembre – e altre riforme sarebbero state lasciate in sospeso o gestite al ritmo degli affari correnti, in un contesto teso in cui l’inflazione non è sotto controllo, la crescita si sta contraendo e la disoccupazione è in aumento. All’interno del PS esistono potenziali candidati alla successione di António Costa, con il nome dell’attuale Presidente dell’Assemblea della Repubblica ed ex ministro degli Esteri (dal 2015 al 2022), Augusto Santos Silva, che è tra i più citati, insieme a quello di Mário Centeno, attuale Governatore della Banca del Portogallo, dopo essere stato ministro delle Finanze dal 2015 al 2020.

All’interno del PS esistono potenziali candidati alla successione di António Costa

Yves Léonard

Questa soluzione di non tenere elezioni ha due precedenti. In primo luogo, nell’inverno del 1980, dopo la tragica morte del Primo ministro Sá Carneiro in un incidente aereo, Francisco Pinto Balsemão, un’altra figura di spicco del PSD, fu scelto dal Presidente della Repubblica, il Generale Eanes. Poi, nel 2004, in seguito alla nomina di Manuel Durão Barroso a capo della Commissione Europea, il Presidente Jorge Sampaio nominò Pedro Santana Lopes Primo ministro, per poi dimettersi sei mesi dopo. In entrambi i casi, l’esperienza non fu affatto definitiva, e si concluse dopo diversi mesi turbolenti con elezioni legislative anticipate, rispettivamente all’inizio del 1983 e del 2005. 

L’era post-Costa

In altre parole, qualunque sia la soluzione scelta dal Capo dello Stato, il rischio di una crisi è alto. In caso di elezioni anticipate, è difficile valutare la probabilità di un’impennata del sostegno all’estrema destra. Rappresentato in Parlamento dal partito Chega (7,5% e 12 deputati su 230 nel gennaio 2022), è accreditato in alcuni sondaggi, anche prima delle dimissioni del Primo ministro, con il 15% delle intenzioni di voto. La crisi attuale, con il suo sfondo di scandali di corruzione, è uno dei principali combustibili per questo partito, che denuncia costantemente «la corruzione delle élite» e chiede una grande pulizia della classe politica, guidata dal Partito Socialista, i cui leader sono da tempo nel mirino di André Ventura. Ventura presiede un partito che è emerso nel 2019 ed è entrato in Parlamento – una prima volta dalla Rivoluzione dei Garofani del 1974 – nelle elezioni legislative dell’ottobre 2019. Lo stesso André Ventura ha conquistato quasi il 12% dell’elettorato nelle elezioni presidenziali del gennaio 2021. Da allora, ha continuato a promuoversi come il «cavaliere bianco» di una democrazia ritenuta corrotta e di un «Portogallo che ha bisogno di un colpo di spugna», come hanno proclamato negli ultimi mesi i manifesti di grande formato con il suo volto e questo slogan. 

Un ritorno alle urne potrebbe fornire l’opportunità perfetta per un’estrema destra che non fa più mistero delle sue ambizioni.

Yves Léonard

Con la destra in piena ricomposizione – il CDS, il Centro Democratico e Sociale, è scomparso dal Parlamento nel gennaio 2022, mentre il PSD sta cercando di risolvere i suoi ricorrenti problemi di leadership con l’elezione di Luís Montenegro nell’estate del 2022 – e la sinistra divisa – dalla rottura definitiva della Geringonça nel 2021, quando il PC e il BE si sono opposti al bilancio 2022 – i segnali di allarme si stanno moltiplicando. L’auspicato chiarimento che potrebbe rappresentare il ritorno alle urne potrebbe mettere alla prova un sistema politico finora considerato resistente, con i due principali partiti di governo, PS e PSD, che si alternano al potere dal centro-sinistra al centro-destra, e offrire l’opportunità perfetta a un’estrema destra che non fa più mistero delle sue ambizioni, continuando a indebolire il PSD e superando l’Iniziativa Liberale, con i suoi 8 deputati eletti nel 2022. Contano di mobilitare gli astensionisti – oltre il 50% dell’elettorato – e «i portoghesi di buona volontà» su questi temi di onestà e «operazione pulizia». 

Per quanto riguarda il Partito Socialista, sebbene si sia dichiarato pronto a prendere in considerazione tutte le soluzioni attraverso la voce del Presidente del suo gruppo parlamentare, Carlos César – che è stato anche menzionato come possibile Primo ministro – la realtà sarà probabilmente più cupa se si terranno nuovamente le elezioni. A causa dell’inevitabile discredito legato a questi scandali di corruzione e all’usura del potere. C’è anche il problema di come gestire il «post-Costa», dato che Costa ha lasciato il segno nella vita del suo partito, al punto da rendere impensabile per molto tempo la questione stessa della sua successione, come ha già fatto Pedro Nuno Santos. Trovare una figura così carismatica, abile e politicamente astuta si sta rivelando un compito particolarmente difficile, se non impossibile, in un ambiente così turbolento.

Mentre il futuro politico di António Costa non sembra essere minacciato a lungo termine, soprattutto per le opportunità offerte dalla scena europea, quello del suo partito è più incerto e non si può escludere la fine di un ciclo.

Yves Léonard

Mentre il futuro politico di António Costa non sembra essere minacciato a lungo termine, soprattutto per le opportunità offerte dalla scena europea, quello del suo partito è più incerto e non si può escludere la fine di un ciclo. In altre parole, con un PSD che finora non è riuscito a offrire un’alternativa credibile e un PS indebolito, l’intero sistema politico emerso dalla transizione alla democrazia nel 1976 rischia di essere scosso in modo permanente. A meno che non ci sia un possibile rimbalzo in caso di elezioni anticipate, in cui il marchio di António Costa, la stabilità e la fiducia nelle istituzioni democratiche, potrebbe prevalere. Una prova importante in vista del cinquantesimo anniversario della Rivoluzione dei Garofani. Una sfida da affrontare con successo. Obviamente ?