Politica

Lo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen: un richiamo o un incidente della storia?

Questa mattina, la Presidente della Commissione europea ha tenuto l’esercizio più visibile e codificato della politica europea: il discorso sullo Stato dell’Unione, l’ultimo del suo mandato. Dopo più di un'ora di resoconto dei suoi 1.200 giorni alla guida della Commissione, una domanda rimane senza risposta: quale sarà il corso del nuovo ciclo politico? Come ogni anno, pubblichiamo il testo integrale del discorso, commentato riga per riga

Autore
Alberto Alemanno
Cover
© AP Photo/Jean-Francois Badias

Strasburgo, 13 settembre 2023

«Un’Europa pronta per l’appuntamento con la storia»: il titolo e l’asse portante dell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione pronunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen rivelano il suo tentativo di ammantare di una luce positiva una delle principali caratteristiche del suo mandato.

Dopo essere stata messa alla testa della Commissione in modo quasi accidentale, al seguito di una carriera sulla scena politica tedesca, il suo mandato è stato profondamente segnato da un succedersi di crisi inaspettate: dalla pandemia di Covid-19 fino all’invasione russa dell’Ucraina e le sue numerose conseguenze sulle politiche europee in materia di energia, alimentazione e sicurezza. Ursula von der Leyen può felicitarsi del successo di gran parte della sua presidenza, che comprende la fine delle negoziazioni sulla Brexit, la lotta contro la pandemia e la doppia risposta all’invasione russa dell’Ucraina e alla crisi energetica scatenata da Mosca. Questo le è valso l’encomio di diversi osservatori, come Brigid Laffan, che l’ha giudicata come una dei più efficaci presidenti della Commissione dopo Jacques Delors.

Tuttavia, come mostra questo discorso, la sua presidenza è stata anche e soprattutto segnata dal dover gestire una crisi permanente, radicando nella normalità l’eccezionalità di uno stato di urgenza, rispondendo agli eventi, delegando spesso ai leader degli Stati membri all’interno del Consiglio europeo il compito di tracciare la rotta  — in una rivalità sempre più visibile, e a momenti sconcertante, con il suo presidente Charles Michel. A Parigi si prenderà nota di un segno rivelatore: nel suo lungo discorso — poco più di un’ora  — non si trova alcun riferimento alla «autonomia strategica» o alla «sovranità europea»…

Dall’inizio del suo mandato, la rotta fissata da von der Leyen, esponente tedesca del PPE, era il Green Deal, inteso come punto di consenso nella «grandissima coalizione» retta dalle forze ecologiste e liberali e dall’accordo europeo con l’Alleanza progressita dei socialisti e democratici. Tuttavia, le attuali esitazioni del PPE e dei liberali sul ritmo imposto alla transizione ecologica minacciano la completa attuazione del Green Deal e rendono incerto il suo futuro nel nuovo ciclo politico. Per ottenere la nomination (questa volta in qualità di Spitzenkandidat), von der Leyen avrà bisogno del sostegno del suo partito, lo stesso PPE che oggi emerge come uno dei principali oppositori alla realizzazione dell’agenda verde. 

In un interregno sempre più minaccioso, quale sarà l’asse portante del nuovo ciclo politico? Su quali basi e con quali priorità si definirà la prossima transizione geopolitica? 

Leggendo il discorso, emerge una domanda fondamentale: le istituzioni europee continuano a vivere nell’ombra di una virtuosa improvvisazione? Nella struttura politica mutevole dell’Unione, un consenso dovrebbe essersi sedimentato dopo l’invasione dell’Ucraina: bisogna smettere di improvvisare, complimentandoci di sapere reagire agli shock esterni — fantasticando spesso sul loro carattere eterogeneo — per ricominciare a costruire, a pianificare, a proiettarsi nella storia. Per uscire dal caos, in un’Unione che riunisce 27 Stati membri e prevede rapidamente di ammetterne altri, bisognerà sforzarsi di ricomporre molti pezzi in un solo insieme. «Meno Bill Evans, più Beethoven». 

UN’EUROPA PRONTA PER L’APPUNTAMENTO CON LA STORIA

INTRODUZIONE – TRASFORMARE IL PRESENTE, PREPARARSI PER IL FUTURO

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

tra meno di 300 giorni i cittadini e le cittadine dell’UE saranno chiamati alle urne nella nostra democrazia unica e straordinaria.

+++ Dalla nascita della rivista, siamo i primi a pubblicare in diverse lingue europee il testo integrale del discorso sullo Stato dell’Unione. Più di un milione di europei hanno potuto leggere da vicino questo importante discorso e costruirsi la propria idea. Se pensate che questo lavoro sia importante, se ne avete i mezzi, vi invitiamo a sostenerci. Abbonandovi, contribuite a mantenere il Grand Continent una pubblicazione aperta.

Come accade in tutte le elezioni, il voto sarà per tutti gli europei un’occasione per riflettere sullo stato della nostra Unione e sul lavoro svolto da chi li rappresenta.

Il discorso sullo stato dell’Unione è un evento cui si sottopone ogni anno la Presidenza della Commissione europea nella seduta plenaria di rientro del Parlamento europeo dopo la pausa estiva. Lo scopo è tradizionalmente tirare un bilancio e indicare i grandi orientamenti che la Commissione seguirà l’anno successivo. Prima di tutto, Ursula von der Leyen inserisce il suo discorso nella prospettiva delle elezioni europee che si terranno all’inizio di giugno 2024. Si tratta di difendere il bilancio dei quattro anni passati a capo della Commissione europea, segnalando allo stesso tempo i grandi assi dell’imminente campagna elettorale.

Sebbene il suo nome venga spesso proposto per guidare la campagna del Partito Popolare Europeo, Ursula von der Leyen non ha ancora indicato se desidera candidarsi per un secondo mandato. Non è neanche nota la sua strategia: aspetterà di essere riconfermata dai Capi di Stato e di Governo? Cercherà di diventare Spitzenkandidat del Partito Popolare Europeo?

Ma sarà anche l’occasione in cui decidere quale futuro e quale Europa vogliono.

Nonostante tutta la retorica sull’ascolto dei cittadini, la Conferenza sul Futuro dell’Europa e le sue 49 raccomandazioni dei cittadini rimangono al momento lettera morta. Lo stesso vale per la sua promessa di riformare le regole etiche dell’Unione dopo il Qatargate, compreso il Comitato Etico dell’UE.

Tra loro ci saranno milioni di persone che voteranno per la prima volta, le più giovani nate nel 2008.

Nella cabina elettorale penseranno ai temi che stanno loro a cuore:

penseranno alla guerra che infuria ai nostri confini.

O all’impatto devastante dei cambiamenti climatici.

Al modo in cui l’intelligenza artificiale influenzerà le loro vite.

O alle loro possibilità di comprare una casa o trovare un lavoro negli anni a venire.

Oggi la nostra Unione rispecchia la visione di coloro che sognavano un futuro migliore dopo la Seconda guerra mondiale.

Un futuro in cui un’Unione di nazioni, democrazie e persone avrebbe lavorato insieme all’insegna della pace e della prosperità.

Per loro l’Europa significava rispondere alle sfide della Storia.

I riferimenti alla «storia» si sono moltiplicati dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Si tratta ovviamente di un rimando poco velato alla «fine della storia» di Francis Fukuyama: lungi dall’essere morta, la storia vive e costringe gli europei a svegliarsi dal loro letargo geopolitico. È difficile rintracciare la prima apparizione di questa espressione. Tuttavia, va notato che compare in Les Noyers de l’Altenburg, l’ultimo romanzo di André Malraux (pubblicato per la prima volta in Svizzera con il titolo La Lutte avec l’Ange). Pubblicato nel 1943, il libro ritrae un professore, filosofo dell’azione, durante il periodo interbellico: per lui, rispondere alla «chiamata della storia» significa «lasciare una cicatrice sulla terra». Inoltre, la nozione di chiamata è inseparabile in francese dalla mitologia legata a de Gaulle, che Malraux abbracciò pienamente dopo la guerra. L’appello del 18 giugno, in cui Charles de Gaulle invitava alla resistenza contro la Germania nazista, fu una risposta e un ingresso nella storia per il generale Anche Emmanuel Macron l’ha utilizzata durante la sua visita di Stato negli Stati Uniti nell’aprile 2018. In un discorso al Congresso, e dopo aver ricordato la visita di de Gaulle nel 1958, ha detto: «Gli Stati Uniti sono un elemento chiave della nostra fiducia nel futuro, nella democrazia. La chiamata che sentiamo oggi è la chiamata della storia».

Non stupisce che il Presidente francese abbia usato questa espressione proprio negli Stati Uniti. In inglese, «il richiamo della storia» sembra far parte della retorica presidenziale. Diversi Presidenti l’hanno usata negli ultimi due decenni. George W. Bush l’ha usata due volte nei suoi discorsi sullo Stato dell’Unione, nel 2003 e nel 2006. Nel primo, pochi mesi prima dell’inizio della guerra in Iraq, ha spiegato che i due anni che avevano seguito l’11 settembre erano stati una chiamata della storia alla quale il Paese era stato in grado di rispondere; tre anni dopo, ha detto che gli Stati Uniti avevano accettato «la chiamata della storia a liberare i popoli oppressi e a guidare questo mondo verso la pace». Anche il suo successore ha utilizzato questa espressione. Già nella campagna elettorale del 2008, Barack Obama si è servito della formula per criticare la politica estera di Bush, affermando che rispondere alla chiamata della storia non poteva ridursi a «dare lezioni» al mondo senza mai ascoltarlo. Nel gennaio 2013, l’ha usata di nuovo nella conclusione del suo discorso inaugurale, dicendo di voler «portare in un futuro incerto questa preziosa luce di libertà». Due anni dopo, anche Joe Biden, allora Vicepresidente, l’ha pronunciata: nel dicembre 2015, in un discorso alla Rada (il Parlamento ucraino), ha ricordato ai deputati il loro «obbligo di rispondere alla chiamata della storia e di costruire finalmente una nazione ucraina unita e democratica che possa resistere alla prova del tempo». La frase è anche diventata parte di uno dei passaggi più intensi del suo discorso inaugurale nel 2021, quando Biden si è congratulato con i suoi elettori (rappresentanti di «un’America della decenza e della dignità») per aver risposto «alla chiamata della storia». 

In questo caso, è probabile che Ursula von der Leyen non voglia emulare la retorica gaullista, ma più probabilmente assumere dei toni che renderebbero il suo discorso sullo Stato dell’Unione simile ai grandi appuntamenti della vita pubblica americana.

Quando parlo con le nuove generazioni di giovani vedo la stessa visione di un futuro migliore.

La stessa voglia di costruire un mondo migliore.

La stessa convinzione che, in un’epoca di incertezze, l’Europa debba ancora una volta rispondere alle sfide della Storia 

Ed è proprio quello che dobbiamo fare insieme.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

il primo passo è guadagnare la fiducia degli europei e delle europee per rispondere alle loro aspirazioni e preoccupazioni.

Nei prossimi 300 giorni dobbiamo portare a termine l’incarico che ci hanno affidato.

Voglio ringraziare il Parlamento per il ruolo di primo piano che ha avuto nel realizzare una delle trasformazioni più ambiziose mai intraprese dall’Unione.

So bene che nel 2019, quando vi ho presentato il mio programma per un’Europa verde, digitale e geopolitica, qualcuno aveva dei dubbi, e questo prima ancora che il mondo venisse sconvolto da una pandemia globale e da un brutale conflitto sul suolo europeo.

Nel luglio 2019, Ursula von der Leyen ha esposto la sua base programmatica in un discorso che abbiamo ampiamente commentato, definendo la sua Commissione come una «commissione geopolitica». L’uso della parola «geopolitica» è sembrato innanzitutto un modo per posizionare la Commissione in relazione alla sua storia istituzionale, esprimendo il desiderio di marcare la sua differenza dal suo predecessore, il lussemburghese Jean-Claude Juncker. Nel 2014, Juncker ha dichiarato di voler rendere la Commissione di cui era Presidente un’istituzione «più politica». Opponendosi al suo predecessore portoghese José Manuel Barroso, la cui Commissione era apparsa ad alcuni troppo orientata verso i tecnici, persino «tecnocratica», Juncker ha promesso di conferire un vero potere decisionale ai Commissari europei, focalizzati sulle principali questioni politiche continentali e capaci di imporre le loro opinioni a una burocrazia di Bruxelles ritenuta onnipotente. Con un approccio «geopolitico», von der Leyen sembrava voler dire che intendeva posizionare la sua Commissione europea su una scala diversa. O, per essere più precisi, che il primato della politica sulla burocrazia a livello europeo era significativo e interessante solo se permetteva all’Unione di posizionarsi come attore a pieno titolo sulla scena globale. Interrogato dalla rivista, Jean-Claude Juncker aveva dichiarato: «Avevo detto che volevo che la mia Commissione diventasse politica. Questo implicava già che la dimensione geopolitica avrebbe giocato un ruolo maggiore».

Ma pensate a dov’è arrivata oggi l’Europa.

Abbiamo visto nascere un’Unione geopolitica, che sostiene l’Ucraina, si oppone con forza all’aggressione della Russia, risponde all’assertività della Cina e investe nei partenariati.

Abbiamo ora un Green Deal europeo come fulcro della nostra economia, un programma la cui ambizione non ha eguali.

Abbiamo avviato la transizione digitale e siamo all’avanguardia a livello mondiale nel campo dei diritti online.

Abbiamo NextGenerationEU, uno strumento storico che destina 800 miliardi di euro a riforme e investimenti e sta creando posti di lavoro dignitosi per il presente e per il futuro.

Il piano di ripresa NextGenerationEU è certamente senza precedenti e rappresenta un passo storico nella costruzione dell’Europa. Tuttavia, la sua attuazione solleva molti interrogativi sulla sostenibilità politica dell’iniziativa. I ritardi si stanno accumulando: dei 185 miliardi di euro che avrebbero dovuto essere richiesti dagli Stati membri, solo 138 miliardi di euro sono arrivati. L’aumento dei tassi di interesse sta influenzando anche il prezzo al quale l’Unione può prendere in prestito, e la capacità di rimborsare prima del 2058 senza progressi significativi verso nuove risorse autonome rimane incerta.  Resta anche da vedere se questa iniziativa abbia creato un precedente nell’acquis comunitario o sia destinata a rimanere un accordo ad hoc giustificato dalla natura eccezionale degli eventi che l’hanno provocata. 

Abbiamo gettato le basi di un’Unione della salute, contribuendo a vaccinare un intero continente e un’ampia parte del mondo.

Abbiamo iniziato a renderci più indipendenti in settori cruciali come l’energia, i chip o le materie prime.

Vorrei anche ringraziarvi per il lavoro rivoluzionario e innovativo che abbiamo svolto in tema di parità di genere, un risultato che, come donna, significa molto per me.

Abbiamo portato a compimento alcuni dossier che molti pensavano sarebbero rimasti per sempre in stallo, come la direttiva sulla presenza delle donne nei consigli di amministrazione e la storica adesione dell’UE alla Convenzione di Istanbul.

Con la direttiva sulla trasparenza retributiva abbiamo sancito il principio basilare secondo cui allo stesso lavoro deve corrispondere la stessa retribuzione.

Non c’è nessun motivo per cui, a parità di mansioni, una donna debba guadagnare meno di un uomo.

Tuttavia il nostro lavoro è tutt’altro che finito, e dobbiamo continuare a batterci insieme per il progresso.

So che questo Parlamento sostiene la proposta della Commissione sulla lotta alla violenza contro le donne, e a questo proposito vorrei che il diritto dell’UE sancisse un altro principio fondamentale: Un «No» è un «no».

Senza libertà dalla violenza non può esserci vera parità.

Grazie al Parlamento, agli Stati membri e alla mia squadra di Commissari, oltre il 90 % degli orientamenti politici che ho presentato nel 2019 sono diventati misure concrete.

Insieme abbiamo dimostrato che, quando agisce con coraggio, l’Europa raggiunge i propri obiettivi.

C’è ancora molto da fare, perciò restiamo uniti.

Trasformiamo il presente e prepariamoci per il futuro.

GREEN DEAL EUROPEO

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

quattro anni fa abbiamo risposto alle sfide della Storia con il Green Deal europeo.

Nel luglio 2019, durante il suo discorso al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha promesso di lanciare un Green Deal entro i primi cento giorni del suo mandato. Per Céline Charveriat, questo senso di urgenza proveniva dall’opinione pubblica, anche se nulla nella carriera politica della nuova Presidente della Commissione in Germania poteva far presagire annunci importanti. «In un sondaggio di aprile 2019, il 77% dei potenziali elettori ha identificato il cambiamento climatico come un criterio importante nella scelta. Ma la rivoluzione copernicana operata da Ursula von der Leyen, in contrasto con il programma politico del suo partito, è soprattutto la conseguenza delle circostanze politiche che hanno accompagnato la sua nomina. Il verdetto delle urne è stato tale che il nome per la Presidenza proposto dal Consiglio ha dovuto contare su alcuni voti del Partito Socialista Europeo per ottenere il sostegno del Parlamento. La coalizione uscente, composta dal Partito Popolare Europeo e dai Liberali, non ha più la maggioranza assoluta». 

E questa estate, la più calda mai registrata in Europa, ci ha ricordato duramente quanto sia necessario.

La Grecia e la Spagna sono state colpite prima da brutali incendi e poi, solo poche settimane dopo, da terribili inondazioni.

Abbiamo visto la devastazione e le morti causate dalle condizioni meteorologiche estreme in Slovenia, in Bulgaria e nel resto della nostra Unione.

È quello che succede su un pianeta in ebollizione.

Il Green Deal europeo è scaturito dalla necessità di proteggere il nostro pianeta.

Ma è stato concepito anche come un’opportunità per preservare la nostra prosperità futura.

Abbiamo iniziato questo mandato definendo una prospettiva a lungo termine con la normativa sul clima e l’obiettivo del 2050.

Abbiamo trasformato l’agenda per il clima in un’agenda economica.

Per Nathalie Tocci, dopo anni di crisi esistenziale, l’Europa ha trovato una nuova ragion d’essere: il Green Deal europeo e la transizione energetica che ne è il cuore pulsante. Vede in questa Europa Verde una visione normativa, una strategia per la crescita economica e un percorso verso un’Unione politica che rafforzerebbe l’Integrazione e la legittimità dell’Unione stessa. Tuttavia, alla vigilia delle elezioni europee, questa visione sembra essere scomparsa a causa della riluttanza non solo del partito di von der Leyen, il Partito Popolare Europeo, ma anche dei liberali, che, dal Presidente Macron al Vice Cancelliere tedesco Lindner, hanno ripetutamente chiesto di sospendere tale agenda.

Abbiamo dato un segnale chiaro della direzione da prendere per gli investimenti e l’innovazione.

Abbiamo già visto i risultati ottenuti con questa strategia di crescita nel breve periodo.

Gli sforzi di decarbonizzazione dell’economia statunitense, dopo l’adozione dell’Inflation Reduction Act, sollevano domande sulla rilevanza delle politiche climatiche europee. Il mercato del carbonio rimane lo strumento principale del Green Deal, mentre lo sviluppo delle industrie verdi è per il momento, e nonostante l’annuncio di diverse strategie – tra cui la legge sull’industria a zero emissioni – principalmente lasciato alla responsabilità degli Stati membri. Questo è il nocciolo della questione per la campagna elettorale europea che sta per iniziare: in assenza di una politica decisiva volta a trasformare direttamente l’economia e la società, utilizzando gli investimenti per aggregare una coalizione, le politiche ambientali saranno politicamente sostenibili? 

L’industria europea dimostra giorno dopo giorno di essere pronta a dare slancio a questa transizione,

confermando che modernizzazione e decarbonizzazione possono andare di pari passo.

Negli ultimi cinque anni il numero di acciaierie pulite nell’UE è passato da 0 a 38.

Attualmente riusciamo ad attrarre più investimenti in idrogeno pulito di Stati Uniti e Cina messi insieme.

È difficile identificare con esattezza le cifre a cui si riferisce la Presidente della Commissione. Negli Stati Uniti, l’Inflation Reduction Act ha incrementato notevolmente gli investimenti nell’idrogeno verde, al punto che ora superano di gran lunga quelli dell’UE, almeno in termini di venture capital. Secondo Cleantech for Europe, i progetti di idrogeno pulito hanno raggiunto un picco di 343 milioni di euro nell’UE nel primo trimestre del 2022, quasi tre volte il finanziamento equivalente negli Stati Uniti. Tuttavia, in ogni trimestre da allora, gli investimenti nell’idrogeno verde negli Stati Uniti hanno superato quelli nell’UE, con gli Stati Uniti che hanno investito un totale di 1,2 miliardi di euro in più in questo periodo.

Sempre secondo Cleantech for Europe, l’UE è rimasta indietro nel finanziamento delle tecnologie pulite in fase iniziale, con un totale di 8,7 miliardi di dollari investiti in start-up in settori come lo stoccaggio del carbonio, i veicoli elettrici l’energia pulita nell’anno successivo all’entrata in vigore dell’IRA. Al contrario, negli Stati Uniti sono stati impegnati più di 21,7 miliardi di dollari per progetti simili.

Domani sarò in Danimarca con la prima ministra Mette Frederiksen per vedere con i miei occhi l’innovazione di cui vi parlo.

Inaugureremo la prima nave portacontainer alimentata da metanolo pulito ottenuto da energia solare.

Questa è la forza della risposta dell’Europa ai cambiamenti climatici.

Il Green Deal europeo fornisce il quadro necessario, incentivi e investimenti, ma sono le persone, gli inventori e gli ingegneri a sviluppare le soluzioni.

Per questo, onorevoli deputate, onorevoli deputati,

ora che entriamo nella prossima fase del Green Deal europeo, c’è una cosa che non cambierà mai.

Continueremo a sostenere l’industria europea durante questa transizione.

Abbiamo iniziato con un pacchetto di misure che comprende la normativa sull’industria a zero emissioni nette e quella sulle materie prime critiche.

Con la nostra strategia industriale analizziamo i rischi e le esigenze di ciascun ecosistema coinvolto in questa transizione.

L’enfasi sull’aspetto industriale del Green Deal e sulla competitività nei paragrafi successivi è un modo in cui von der Leyen rassicura la sua famiglia politica sul futuro dell’iniziativa.

Dobbiamo completare questo lavoro.

E per questo dobbiamo sviluppare un approccio per ciascun ecosistema industriale.

A partire da questo mese, terremo quindi una serie di dialoghi sulla transizione pulita con l’industria.

L’obiettivo principale sarà sostenere tutti i settori nella costruzione di un modello imprenditoriale per la decarbonizzazione dell’industria.

Crediamo infatti che questa transizione sia fondamentale per la nostra competitività futura in Europa.

Ma altrettanto importanti sono le persone e i lavori che ora stanno svolgendo.

La nostra industria eolica, ad esempio, rappresenta un esempio di successo europeo, ma attualmente si trova a far fronte a un insolito insieme di problemi.

Per questo motivo presenteremo, in stretta collaborazione con l’industria e gli Stati membri, un pacchetto europeo per l’energia eolica.

Accelereremo ulteriormente le procedure di autorizzazione.

Miglioreremo i sistemi d’asta in tutta l’UE.

Ci concentreremo sulle competenze, sull’accesso ai finanziamenti e su catene di approvvigionamento stabili.

Questo approccio va però al di là di un singolo settore.

Dall’eolico all’acciaio, dalle batterie ai veicoli elettrici, i nostri obiettivi ambiziosi non lasciano spazio a dubbi: il futuro della nostra industria delle tecnologie pulite deve concretizzarsi in Europa.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

tutto questo dimostra che, per quanto riguarda il Green Deal europeo: 

Manteniamo la rotta.

Non rinunciamo ai nostri obiettivi ambiziosi.

Restiamo fedeli alla nostra strategia di crescita.

Sottolineando che non intende cambiare rotta sull’implementazione del Green Deal, Ursula von der Leyen risponde direttamente alle crescenti critiche sulle conseguenze economiche di questo pacchetto legislativo. Negli ultimi mesi, diversi capi di Stato e di Governo hanno chiesto una «pausa normativa», mentre questa settimana la Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha espresso preoccupazione per l’impatto negativo che le normative attualmente in fase di negoziazione potrebbero avere sulla competitività dell’Unione Europea. Queste dichiarazioni ai massimi livelli fanno eco alle preoccupazioni di molti industriali europei, ad esempio del settore automobilistico, che si trovano direttamente toccati dal Green Deal.

Il nostro obiettivo sarà sempre una transizione equa e giusta!

Ciò significa garantire un risultato equo per le generazioni future: vivere su un pianeta più sano.

E garantire a tutti lavori decorosi con la promessa solenne di non lasciare nessuno indietro.

Questo riferimento alle generazioni future richiede ordine, in quanto la considerazione degli interessi delle generazioni future è stata finora legata alla politica climatica. Dobbiamo aspettarci la creazione di un Commissario europeo per le generazioni future, responsabile di iniettare una prospettiva a lungo termine in tutte le politiche dell’Unione? O magari la creazione di una commissione all’interno del Parlamento europeo con lo stesso compito?

Basti pensare ai posti di lavoro nel comparto manifatturiero e alla concorrenza, un tema di cui si parla molto in questi giorni.

La nostra industria e le imprese tecnologiche amano la concorrenza.

Sanno che la concorrenza mondiale è positiva per gli affari,

che crea e protegge posti di lavoro di qualità qui in Europa.

Ma questo vale solo se la concorrenza è equa.

Troppo spesso le nostre società sono escluse da mercati esteri o sono vittime di pratiche predatorie.

Spesso sono indebolite da concorrenti che beneficiano di ingenti aiuti statali.

Non abbiamo dimenticato il modo in cui le pratiche commerciali sleali della Cina hanno condizionato la nostra industria solare.

Molte giovani imprese sono state estromesse da concorrenti cinesi fortemente sovvenzionati.

Imprese pionieristiche hanno dovuto dichiarare fallimento.

Talenti promettenti sono andati a cercare fortuna altrove.

Ecco perché l’equità è così importante nell’economia globale: ha ripercussioni sulle vite e sui mezzi di sostentamento.

Interi settori e comunità dipendono da essa.

Dobbiamo quindi essere consapevoli dei rischi che corriamo.

Prendiamo il settore dei veicoli elettrici.

Si tratta di un’industria cruciale per l’economia verde, con un potenziale enorme per l’Europa.

Attualmente però i mercati globali sono invasi da automobili elettriche cinesi a buon mercato, i cui prezzi sono mantenuti bassi artificialmente grazie a ingenti sovvenzioni statali.

L’industria automobilistica cinese ha registrato un’impennata nelle esportazioni, soprattutto di veicoli a basso costo. Secondo il governo cinese, la Cina esporterà 3,2 milioni di veicoli nel 2022, con un aumento del 57% rispetto all’anno precedente. Il mercato europeo è uno dei suoi obiettivi principali.

Queste pratiche causano distorsioni sul nostro mercato.

E come non le accettiamo quando provengono dall’interno, così non le accettiamo neppure dall’esterno.

Posso quindi annunciarvi oggi che la Commissione avvierà un’inchiesta antisovvenzioni riguardo ai veicoli elettrici provenienti dalla Cina.

Questo annuncio è una risposta diretta alle pressanti richieste della Francia, che nei giorni scorsi ha espresso alla Commissione Europea le sue serie preoccupazioni sulla concorrenza dell’industria automobilistica cinese. Alessandro Aresu, che dirige la serie «Capitalismi politici in guerra», ha firmato sulla rivista l’articolo necessario a cogliere il quadro di fondo dell’elettrificazione del settore in Cina, basandosi sugli esempi di BYD e CATL. Si prevede che il tema sarà all’ordine del giorno del dialogo economico e commerciale ad alto livello che si terrà il 25 settembre.

L’obiettivo di un’indagine antisovvenzioni è quello di esaminare se le sovvenzioni in questione sono tali da causare un danno diretto all’industria europea e nel caso individuare misure di compensazione, come l’imposizione di tariffe. Questa procedura viene avviata entro 45 giorni dalla richiesta di un’azienda denunciante, se la Commissione lo decide. È insolito e significativo che Ursula von der Leyen abbia colto l’occasione di un discorso sullo Stato dell’Unione per fare un annuncio del genere, volendo chiaramente sottolineare l’attuazione della dottrina di de-risking che ha esposto qualche mese fa.

L’Europa è aperta alla concorrenza, non a una corsa al ribasso.

Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali.

Allo stesso modo, però, è essenziale mantenere aperta la porta della comunicazione e del dialogo con la Cina.

Vi sono infatti anche temi su cui possiamo e dobbiamo cooperare.

Ridurre i rischi senza disaccoppiarsi: questo sarà il mio approccio con i leader cinesi al vertice UE-Cina alla fine di quest’anno.

Qui Ursula von der Leyen riprende la formula – «de-risking, non decoupling» – che ha usato nel suo discorso all’Istituto Mercator per gli Studi sulla Cina a marzo, prima della visita congiunta in Cina con il Presidente Macron. Questo discorso è stato ampiamente riportato, commentato e discusso dalla rivista. Questa formula, che consiste nell’affermare che la vocazione dell’UE non è quella di separarsi economicamente dalla Cina, ma solo di proteggersi da eccessive vulnerabilità nei settori strategici, è stata ampiamente sostenuta dagli Stati membri in quanto equilibrata. Da quel momento fornisce un quadro diplomatico centrale utilizzato dagli europei nelle loro relazioni con la leadership cinese.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

nell’Unione europea siamo orgogliosi della nostra diversità culturale.

Siamo l’«Europa delle regioni» con una diversità eccezionale di lingue, musica, arti, tradizioni, artigianato e specialità culinarie.

La nostra Europa possiede anche una biodiversità unica. 

Solo nel nostro continente sono presenti circa 6 500 specie.

Nel nord dell’Europa si trova il mare dei Wadden, patrimonio naturale mondiale, un habitat unico che ospita specie animali e vegetali rare e consente la sopravvivenza di milioni di uccelli migratori.

Insieme al Mar Baltico costituisce il più grande bacino di acque salmastre del mondo.

Verso sud si susseguono le pianure europee, da sempre caratterizzate da grandi zone umide e palustri.

Queste regioni rappresentano alleati importanti contro l’avanzata dei cambiamenti climatici.

Le zone umide e palustri protette trattengono grandi quantità di gas a effetto serra, garantiscono cicli idrologici regionali e ospitano una biodiversità unica.

L’Europa è anche ricca di foreste.

Dalle imponenti foreste di conifere del nord e dell’est alle ultime foreste antiche di quercia e faggio dell’Europa centrale fino ai boschi di alberi da sughero dell’Europa meridionale: tutte queste foreste forniscono beni e servizi che sono insostituibili per noi.

Sequestrano il carbonio, forniscono legno e altri prodotti, producono terreni fertili, filtrano l’aria e l’acqua.

La biodiversità e i servizi ecosistemici sono indispensabili per la sopravvivenza di tutte le persone in Europa.

La perdita di questo patrimonio naturale non solo compromette i mezzi di sussistenza, ma mina anche il senso di appartenenza delle persone.

Dobbiamo proteggerlo.

Al tempo stesso dobbiamo anche garantire che il nostro approvvigionamento alimentare avvenga in armonia con la natura.

Oggi vorrei rendere omaggio ai nostri agricoltori e ringraziarli per il cibo che ci forniscono quotidianamente.

La concreta attuazione del Green Deal nel settore agricolo attraverso il programma Farm to Fork continua a incontrare la resistenza degli agricoltori. Ciò si è riflesso a livello politico, in particolare nei Paesi Bassi con la vittoria del partito agricolo BBB alle elezioni provinciali del 2023, e in Polonia e Ungheria, dove i governi hanno vietato le importazioni di cereali ucraini per proteggere gli agricoltori dal calo dei prezzi.

Alimenti sani: per noi in Europa questo compito dell’agricoltura costituisce la base della nostra politica agraria.

Anche l’indipendenza dell’approvvigionamento alimentare è importante per noi.

La otteniamo grazie ai nostri agricoltori.

Non si tratta di una cosa scontata: le conseguenze dell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina, i cambiamenti climatici e la siccità, gli incendi boschivi e le inondazioni, uniti a nuovi obblighi, stanno influenzando in misura sempre maggiore il lavoro e il reddito degli agricoltori.

Dobbiamo tenerne conto.

Molti si stanno già impegnando a favore di un’agricoltura più sostenibile.

Dobbiamo affrontare queste nuove sfide insieme agli uomini e alle donne del settore agricolo.

È l’unico modo per garantire la nostra sicurezza alimentare anche in futuro.

Abbiamo bisogno di un maggiore dialogo e di una minore polarizzazione.

Per questo motivo vogliamo avviare un dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nell’UE.

Sono profondamente convinta che l’agricoltura e la tutela della natura possano andare di pari passo.

Abbiamo bisogno di entrambe.

ECONOMIA, SFERA SOCIALE E COMPETITIVITÀ

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

una transizione equa per gli agricoltori, le famiglie e l’industria:

è questo il segno distintivo dell’attuale mandato.

E acquista ancora più importanza alla luce delle tensioni economiche che ci troviamo ad affrontare.

L’anno a venire porterà tre grandi sfide economiche per l’industria europea: la carenza di manodopera e di competenze, l’inflazione e la necessità di agevolare l’attività economica per le nostre imprese.

I settori più colpiti dalla carenza di manodopera sono l’edilizia, la sanità e i settori STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Le imprese europee fanno anche fronte a un rallentamento della domanda, causato in particolare da un calo dei consumi delle famiglie. Due giorni prima di questo discorso, la Commissione Europea ha pubblicato le sue previsioni di crescita riviste per il 2023 e il 2024, scendendo allo 0,8% e all’1,4% (rispetto all’1% e all’1,17% rispettivamente delle previsioni di primavera). Il tasso di inflazione è stato del 5,3% ad agosto, con grandi disparità tra gli Stati membri (ha raggiunto il 9,6% in Slovacchia).  

La prima sfida riguarda il mercato del lavoro.

L’inizio della pandemia è ancora impresso nella nostra mente.

In quei giorni si prospettava l’arrivo di una nuova ondata di disoccupazione di massa pari a quella del 1930.

Ma abbiamo sovvertito questa previsione.

Grazie a SURE, la prima iniziativa europea di riduzione dell’orario lavorativo, abbiamo salvaguardato 40 milioni di posti di lavoro.

È questa la forza dell’economia sociale di mercato europea

e possiamo andarne fieri!

Successivamente ci siamo prodigati per ridare slancio alla nostra economia con NextGenerationEU.

Oggi ne ammiriamo i risultati.

L’Europa si appresta a raggiungere la piena occupazione.

È vero che la disoccupazione è in calo costante nell’UE dal 2013, a parte il rimbalzo relativamente rapido causato dalla pandemia di Covid-19. Tuttavia, nel giugno 2023 si attesterà al 5,9% nell’UE e al 6,4% nella zona euro. In particolare, la disoccupazione tra i giovani di età inferiore ai 25 anni si è attestata al 14,1% nell’Unione a giugno, dato che implica che 2,7 milioni di giovani erano senza lavoro.

Se prima erano le persone a cercare lavoro, oggi ci sono milioni di posti di lavoro per cui si cercano persone disponibili.

Le carenze di manodopera e di competenze stanno raggiungendo livelli record, sia nell’UE che in tutte le principali economie.

Il 74 % delle PMI dichiara di trovarsi di fronte a carenze di competenze.

Nel picco della stagione turistica, i ristoranti e i bar in Europa lavorano ad orario ridotto per l’impossibilità di trovare personale.

Gli ospedali rinviano le cure per mancanza di infermieri e due terzi delle imprese europee sono alla ricerca di specialisti informatici.

Allo stesso tempo milioni di genitori, per lo più madri, faticano a conciliare lavoro e famiglia, data l’assenza di strutture per l’infanzia.

Inoltre ci sono otto milioni di giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano.

Rimangono bloccati, con i loro sogni messi da parte.

Questa situazione non crea solo un profondo disagio personale.

Ma costituisce anche una delle strozzature più significative per la competitività dell’Unione.

Le carenze di manodopera minano infatti le capacità di innovazione, crescita e prosperità.

Dobbiamo pertanto migliorare l’accesso al mercato del lavoro, in primo luogo per i giovani e le donne.

Abbiamo anche bisogno di una migrazione qualificata.

Dobbiamo inoltre rispondere ai profondi cambiamenti in campo tecnologico, sociale e demografico.

Per farlo dovremo affidarci alle competenze delle imprese e dei sindacati, ovvero i nostri partner coinvolti nella contrattazione collettiva.

Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando Jacques Delors ha convocato l’incontro di Val Duchesse, dando il via al dialogo sociale europeo.

Da allora le parti sociali hanno plasmato l’Unione di oggi, garantendo a milioni di persone progresso e prosperità.

E mentre il mondo cambia ad un ritmo senza precedenti, le parti sociali devono tornare ad essere il fulcro del nostro futuro.

Insieme dovremo affrontare le sfide che gravano sul mercato del lavoro, dalle carenze di competenze e di manodopera ai nuovi problemi scaturiti dall’intelligenza artificiale.

Perciò il prossimo anno, insieme alla Presidenza belga, convocheremo a Val Duchesse un nuovo vertice delle parti sociali.

Le parti sociali forgeranno così il futuro dell’Europa: con noi e per noi.

La seconda grande sfida economica è data dall’inflazione persistentemente elevata.

Christine Lagarde e la Banca centrale europea (BCE) stanno lavorando sodo per tenere sotto controllo l’inflazione.

Come sappiamo, il ritorno all’obiettivo a medio termine della BCE richiederà tempo.

La buona notizia è che l’Europa ha iniziato a ridurre i prezzi dell’energia.

Non dimentichiamo come Putin abbia deliberatamente usato il gas come arma e come ciò abbia innescato in noi la paura del blackout e della crisi energetica, ricatapultandoci negli anni ’70.

Molti temevano che non avremmo avuto abbastanza energia per affrontare l’inverno.

Ma ce l’abbiamo fatta

e questo perché siamo rimasti uniti, aggregando la domanda e optando per l’acquisto di energia in comune.

Allo stesso tempo, contrariamente agli anni ’70, abbiamo approfittato della crisi per investire massicciamente nelle energie rinnovabili e accelerare la transizione pulita.

Abbiamo usato la massa critica dell’Europa per ridurre i prezzi e garantire l’approvvigionamento.

Lo scorso anno il gas in Europa costava più di 300 euro/MWh. Quest’anno ne costa 35.

Dobbiamo quindi capire come replicare questo modello di successo in altri campi, come ad esempio quello delle materie prime critiche o dell’idrogeno pulito.

Con lo sblocco di 646 miliardi di euro dal 2021 per proteggere i consumatori dall’aumento dei prezzi dell’elettricità, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di gas per staccarsi dalla Russia e l’accettazione di pagare di più per le importazioni di gas naturale liquefatto (LNG), la politica energetica degli Stati membri adottata in risposta all’invasione russa dell’Ucraina sembra essere stata efficace. All’11 settembre, le riserve di gas naturale del blocco erano piene al 93,85%, il livello più alto in questo periodo dell’anno dal 2019. Il calo del prezzo del gas naturale ha fatto sì che il prezzo spot dell’elettricità sui mercati all’ingrosso sia diminuito di quattro volte, passando da 483 euro per MWh in Francia nell’agosto 2022 a 91 euro il mese scorso, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia. Il calo è dello stesso ordine per la maggior parte dei Paesi dell’Europa centrale e occidentale, ad eccezione della Penisola Iberica e della Polonia, che hanno beneficiato di tariffe relativamente basse la scorsa estate rispetto ai loro vicini. 

Nonostante questi segnali positivi, l’AIE ritiene che gli elevati livelli di riserve di gas non siano una garanzia contro la volatilità dei prezzi invernali, che potrebbero essere riaccesi da un inverno più freddo della media nel 2023-2024, combinato con l’interruzione totale delle forniture di gas russo tramite gasdotto a partire dal 1° ottobre. Va inoltre sottolineato che l’aumento dei prezzi del gas ha portato a un’erosione della competitività complessiva dell’industria europea, particolarmente visibile in Germania – la cui crescita negli ultimi anni si è in parte basata sull’accesso a un’energia relativamente economica, sebbene più costosa rispetto agli Stati Uniti. Il calo dei prezzi del gas in Europa si spiega in parte con un calo della domanda del 20% a luglio rispetto alla media 2019-2021, che sta avendo un impatto diretto sulla produzione industriale.

La terza sfida per le imprese europee consiste nella necessità di agevolare le attività economiche.

Le piccole imprese non hanno la capacità per gestire una struttura amministrativa complessa e sono frenate dalla lunghezza dei processi.

Di conseguenza spesso producono meno nel tempo a disposizione, perdendo importanti opportunità di crescita.

Per questo motivo, entro la fine dell’anno nomineremo un rappresentante dell’UE per le PMI che riferirà a me direttamente.

Vogliamo che le piccole e medie imprese possano parlarci direttamente dei problemi a cui devono far fronte quotidianamente.

Per ogni nuovo atto legislativo procediamo a un controllo della competitività a opera di un comitato indipendente.

E il mese prossimo presenteremo le prime proposte legislative atte a ridurre del 25 % gli obblighi di comunicazione a livello europeo.

 Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

siamo onesti: non sarà un’impresa facile.

E avremo bisogno del vostro aiuto.

Si tratta di uno sforzo comune che coinvolge la totalità delle istituzioni europee.

Coopereremo con gli Stati membri perché anche a livello nazionale si giunga a una riduzione del 25 %.

È giunto il momento di agevolare le imprese in Europa!

Tuttavia le imprese europee hanno anche bisogno di accedere alle tecnologie chiave di innovazione, sviluppo e fabbricazione.

Come sottolineato dai leader nel Consiglio europeo informale di Versailles, si tratta di una questione di sovranità europea.

Preservare un vantaggio europeo sulle tecnologie critiche ed emergenti è un imperativo per l’economia e la sicurezza nazionale.

Tale politica industriale europea richiede anche finanziamenti europei comuni.

Per questo motivo, nell’ambito della proposta di revisione del bilancio, abbiamo lanciato la piattaforma STEP, con cui potremo incrementare, mobilitare e orientare i fondi dell’UE per investire in qualsiasi tipo di prodotto: dalla microelettronica all’informatica quantistica fino all’intelligenza artificiale.

Come pure dalle biotecnologie alle tecnologie pulite.

Il sostegno alle imprese deve arrivare ora, per cui chiedo che la proposta di bilancio sia approvata in tempi rapidi.

E so di poter contare sui membri di questa assemblea.

Ma la competitività è anche molto altro.

Abbiamo assistito a strozzature concrete lungo le catene di approvvigionamento globali, anche a causa delle politiche deliberate di altri paesi.

Basti pensare alle restrizioni sulle esportazioni dalla Cina di gallio e germanio, elementi essenziali per produrre semiconduttori e pannelli solari.

Ciò dimostra l’importanza per l’Europa di rafforzare la sicurezza economica.

Riducendo i rischi senza disaccoppiarsi.

Questo concetto ha trovato ampio sostegno fra i partner principali dell’UE e ciò mi riempie di orgoglio.

Parlo dell’Australia, del Giappone e degli Stati Uniti.

Inoltre sono molti i paesi del mondo che desiderano collaborare.

Di questi, molti dipendono eccessivamente da un unico fornitore di minerali critici.

Altri, dall’America latina all’Africa, intendono sviluppare industrie locali di trasformazione e raffinazione, anziché limitarsi a spedire le proprie risorse all’estero.

Per questo motivo entro quest’anno convocheremo la prima riunione del nuovo Club delle materie prime critiche.

Allo stesso tempo continueremo a promuovere un commercio aperto ed equo.

Finora abbiamo concluso nuovi accordi di libero scambio con il Cile, la Nuova Zelanda e il Kenya.

Dovremmo puntare a concludere gli accordi con l’Australia, il Messico e il Mercosur entro la fine dell’anno,

per poi passare a quelli con l’India e l’Indonesia.

Il commercio intelligente crea posti di lavoro di qualità e prosperità.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

queste tre sfide — manodopera, inflazione e contesto imprenditoriale — affiorano mentre chiediamo all’industria di guidare la transizione pulita.

Nel frattempo dovremo essere più lungimiranti e definire un modo per salvaguardare la nostra competitività.

Ecco perché ho chiesto a Mario Draghi, una fra le più grandi menti dell’Europa in materia di economia, di preparare una relazione sul futuro della competitività europea.

Perché l’Europa farà tutto il necessario, costi quel che costi, per mantenere il suo vantaggio competitivo.

IL DIGITALE E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Onorevoli deputate, onorevoli deputati, 

abbiamo visto qual è l’importanza della tecnologia digitale per agevolare la vita economica e migliorare le nostre vite. 

La dice lunga il superamento del nostro obiettivo del 20 % di investimenti in progetti digitali di NextGenerationEU. 

Gli Stati membri hanno usato questi investimenti per digitalizzare i sistemi sanitari, i sistemi giudiziari o le reti di trasporto.

Allo stesso tempo l’Europa si è posta all’avanguardia nella gestione dei rischi del mondo digitale. 

L’internet è nata come strumento per condividere le conoscenze, aprire le menti e collegare fra loro le persone.

Ma ha anche sollevato gravi problemi.

Come la disinformazione, la diffusione di contenuti nocivi e i rischi alla protezione dei nostri dati. 

Tutto ciò ha portato a un’erosione della fiducia e alla violazione di diritti fondamentali delle persone. 

In risposta a ciò l’Europa è diventata capofila mondiale dei diritti dei cittadini nell’ambiente digitale. 

Il regolamento sui servizi digitali e quello sui mercati digitali stanno creando uno spazio digitale più sicuro in cui i diritti fondamentali sono tutelati. 

Le nuove norme garantiscono anche l’equità, con responsabilità chiare per le grandi imprese tecnologiche. 

Si tratta di una realizzazione storica di cui possiamo essere orgogliosi. 

Lo stesso dovrebbe valere per l’intelligenza artificiale.

Migliorerà la medicina, aumenterà la produttività e aiuterà a far fronte ai cambiamenti climatici.

Ma non possiamo sottovalutare le reali minacce che ne derivano. 

Centinaia di prestigiosi sviluppatori di intelligenza artificiale, di accademici e di esperti ci hanno recentemente ammonito con queste parole:

«La riduzione del rischio di estinzione in conseguenza dell’intelligenza artificiale dovrebbe essere una priorità globale alla stregua di altre minacce per l’intera società quali le pandemie e la guerra nucleare».

L’intelligenza artificiale è una tecnologia generica, accessibile, potente e adattabile per un’ampia gamma di impieghi, civili e militari. 

Si sta evolvendo più rapidamente di quanto immaginassero i suoi stessi creatori.

Abbiamo opportunità limitate per indirizzare questa tecnologia in modo responsabile.

Credo che l’Europa, insieme con i suoi partner, debba indicare la via per un nuovo quadro globale dell’intelligenza artificiale, fondato su tre pilastri: misure protettive, governance e guida dell’innovazione.

In primo luogo, le misure protettive. 

La nostra prima priorità è garantire che l’intelligenza artificiale abbia uno sviluppo antropocentrico, trasparente e responsabile.

Per questo nei miei orientamenti politici mi sono impegnata a definire un approccio normativo entro i primi 100 giorni.

Abbiamo presentato la normativa sull’intelligenza artificiale: il primo atto legislativo completo al mondo sull’intelligenza artificiale, favorevole all’innovazione.

E voglio ringraziare questo Parlamento e il Consiglio per l’impegno instancabile dedicato a questa legislazione profondamente innovatrice.

La nostra normativa sull’intelligenza artificiale è già un modello per il mondo intero.

Ora dobbiamo impegnarci per adottare le norme il prima possibile e garantirne l’applicazione.

Il secondo pilastro è la governance. 

Stiamo gettando le basi di un sistema unico di governance in Europa.

Ma dobbiamo anche unire le forze con i nostri partner per garantire un approccio globale alla comprensione dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulle nostre società.

Basti pensare al contributo inestimabile del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, un comitato globale che riferisce gli ultimi aggiornamenti scientifici ai responsabili politici.

Penso che abbiamo bisogno di un organismo analogo per l’intelligenza artificiale che si occupi dei rischi e dei vantaggi di questa tecnologia per l’umanità.

Questo nuovo comitato dovrebbe riunire intorno a uno stesso tavolo scienziati, imprese di tecnologia ed esperti indipendenti. 

Così saremo in grado di articolare rapidamente una risposta coordinata a livello mondiale, sulla base dei risultati del processo di Hiroshima e altri ancora.

Il terzo pilastro consiste in una guida per l’innovazione responsabile.

Grazie ai nostri investimenti degli ultimi anni l’Europa è oggi all’avanguardia nella tecnologia di supercalcolo e possiede tre dei cinque supercomputer più potenti del mondo.

Dobbiamo approfittare di questo vantaggio.

Per questo oggi ho la soddisfazione di annunciare una nuova iniziativa per l’accesso delle startup di intelligenza artificiale ai nostri computer ad alte prestazioni, perché possano mettere alla prova i loro modelli.

Ma sarà solo una parte della nostra azione per guidare l’innovazione.

Abbiamo bisogno di un dialogo aperto con coloro che sviluppano e applicano l’intelligenza artificiale.

Così avviene negli Stati Uniti, dove sette grandi imprese tecnologiche hanno già aderito a regole volontarie su sicurezza, ordine pubblico e fiducia. 

E così sarà in Europa, dove collaboreremo con le imprese di intelligenza artificiale affinché aderiscano volontariamente ai principi della nostra normativa prima che entri in vigore.

Ora dobbiamo mettere insieme tutte queste iniziative per conseguire norme minime per l’impiego sicuro ed etico dell’intelligenza artificiale.

L’analisi della lista delle cento persone più influenti nell’ambito dell’intelligenza artificiale stilata questa settimana dalla rivista Time ci ricorda che l’Unione Europea è rimasta chiaramente indietro sull’IA. A parte il Commissario responsabile, Margrethe Vestager, e una attivista di Bruxelles, Sarah Chander, non c’è nessuno che lavori in Europa continentale. La nostra breve prosopografica si può consultare qui.

DIMENSIONE GLOBALE, MIGRAZIONE E SICUREZZA

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

la prima volta che mi sono presentata a voi quattro anni fa, ho dichiarato che se fossimo rimasti uniti tra di noi, nessun’altro avrebbe potuto dividerci.

Ed è in quest’ottica che si è mossa la Commissione geopolitica.

Il nostro approccio Team Europa ci ha resi più strategici, più assertivi e più uniti.

Qualità che oggi sono più che mai importanti.

Il nostro cuore è dilaniato davanti alla drammatica perdita di vite umane in Libia e in Marocco, dopo le violente inondazioni e il catastrofico terremoto.

L’Europa sarà sempre pronta a prestare aiuto, in tutti i modi possibili.

Pensate ora al Sahel, una delle regioni più povere, ma con la crescita demografica più rapida.

Il susseguirsi di colpi di Stato militari renderà la regione più instabile negli anni a venire.

E anche più soggetta all’influenza della Russia, che sta traendo vantaggio dal caos che si è creato.

E la regione, nel frattempo, è diventata terreno fertile per una recrudescenza del terrorismo.

Questa situazione riguarda direttamente l’Europa, la nostra sicurezza e la nostra prosperità.

Nei confronti dell’Africa dobbiamo quindi dar prova della stessa unità d’intenti che abbiamo dimostrato per l’Ucraina.

Questo punto, che sottolinea un asse «euro-africano», è particolarmente rilevante. Per compiere pienamente la sua transizione geopolitica, l’Unione europea deve adottare una prospettiva realistica della sua situazione geografica.

Ciò significa approfondire strategicamente le relazioni con i Paesi vicini che hanno un’influenza diretta sulle principali tendenze geopolitiche del continente. Questo riconoscimento è tanto più cruciale se si considera che l’Europa si trova al centro di un «arco di crisi» estremamente diversificato che attraversa e circonda il suo territorio.

La guerra in Ucraina, ad esempio, mette in evidenza la dimensione orizzontale di questi problemi, in quanto investe direttamente l’Europa orientale e ha ripercussioni sull’intero continente. Tuttavia, è altrettanto importante non sottovalutare l’esistenza di una dimensione verticale di questa complessa configurazione geopolitica. In altre parole, le sfide e le opportunità per l’Unione europea non si limitano al suo ambiente immediato, ma si estendono anche a questioni globali e verticali che coinvolgono attori globali. Per navigare con successo in questo panorama geopolitico sempre più conflittuale, l’Unione europea deve quindi sviluppare una visione strategica che tenga conto di queste due diverse dimensioni, puntando su partenariati rafforzati, accordi di cooperazione e una diplomazia proattiva con i Paesi vicini, pur rimanendo impegnata a promuovere la stabilità e la sicurezza globale. Un tale approccio permetterà all’Unione di affrontare meglio le sfide attuali e future della geopolitica europea.

Dobbiamo concentrarci sulla cooperazione con i governi legittimi e con le organizzazioni regionali.

E dobbiamo sviluppare un partenariato reciprocamente vantaggioso che si occupi essenzialmente di questioni comuni per l’Europa e l’Africa.

Per questo motivo, insieme all’Alto rappresentante Borrell, lavoreremo ad un nuovo approccio strategico da promuovere in occasione del prossimo vertice UE-UA.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

la Storia è in movimento.

La Russia sta scatenando una guerra su vasta scala contro i principi fondanti della Carta delle Nazioni Unite, sollevando immense preoccupazioni nei paesi dell’Asia centrale fino alla regione indo-pacifica, nei quali si fa largo il timore di potersi trovare, in un mondo senza leggi, di fronte allo stesso destino dell’Ucraina.

Assistiamo, da parte di alcuni, al chiaro tentativo di tornare a un pensiero stereotipato e polarizzato, cercando nel frattempo di isolare e influenzare altri paesi che non hanno fatto scelte di campo.

E, questo, in un momento in cui molte economie emergenti manifestano crescente insoddisfazione sul modo in cui le istituzioni e la globalizzazione operano nei loro confronti.

Si tratta di preoccupazioni legittime.

Queste economie emergenti, con le loro popolazioni e le loro risorse naturali, sono alleati essenziali per costruire un mondo più pulito, più sicuro e più prospero.

Con loro l’Europa non smetterà di collaborare per riformare e migliorare il sistema internazionale.

Vogliamo fare da guida agli sforzi tesi a rendere più equo l’ordine fondato sulle regole e a garantire una più giusta distribuzione.

Il che significa anche collaborare con i partner, nuovi o vecchi che siano, per approfondire i nostri legami.

Quanto offre in questo senso l’Europa con il Global Gateway è davvero unico.

Il Global Gateway è più trasparente, più sostenibile e più economicamente interessante.

Solo la settimana scorsa ero a Nuova Delhi a firmare il progetto più ambizioso della nostra generazione,

il corridoio economico India-Medio Oriente- Europa.

Il progetto, annunciato al G20, che dovrebbe includere importanti investimenti nelle infrastrutture di trasporto, è una risposta diretta degli Stati Uniti all’iniziativa della Nuova Via della Seta, che ha guidato i massicci investimenti cinesi all’estero nell’ultimo decennio e che ha subito un brusco rallentamento a partire dal 2020. Tuttavia, non è ancora chiaro il volume che sarà investito nel nuovo corridoio.

D’ora in poi sarà il collegamento più diretto tra l’India, il Golfo arabo e l’Europa: con un collegamento ferroviario il commercio tra l’India e l’Europa sarà più rapido del 40 %, con una linea elettrica e una condotta per l’idrogeno pulito si favoriranno scambi di energia pulita tra l’Asia, il Medio Oriente e l’Europa.

E, infine, con un cavo dati ad alta velocità sarà possibile collegare alcuni degli ecosistemi digitali più innovativi al mondo e creare opportunità per le imprese lungo tutto il corridoio.

Si tratta di connessioni all’avanguardia per il mondo di domani.

Più veloci, più brevi e più pulite.

Il Global Gateway sta davvero cambiando le cose.

La Global Gateway è la risposta dell’Europa alle Nuova Via della Seta cinesi, che dovrebbe mobilitare 300 miliardi di euro di investimenti tra il 2021 e il 2027.

Ho potuto toccarlo con mano in America latina, nel sud-est asiatico e in tutta l’Africa: dalla costruzione di un’economia locale basata sull’idrogeno con la Namibia e il Kenya a un’economia digitale con le Filippine.

Si tratta non solo di investimenti nelle economie dei nostri partner.

Ma anche di investimenti nella prosperità e nella sicurezza dell’Europa in un mondo in rapida evoluzione.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

ogni giorno conflitti, cambiamenti climatici e instabilità spingono le persone a cercare rifugio altrove.

Sono sempre stata fermamente convinta che la migrazione debba essere gestita.

Ma ci vogliono pazienza, iniziative a lungo termine con i nostri partner e soprattutto unità all’interno della nostra Unione.

È questo lo spirito del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo.

Quando sono entrata in carica, non sembrava esserci alcuna possibilità di compromesso all’orizzonte.

Ma con il patto abbiamo trovato un nuovo equilibrio:

tra la protezione delle frontiere e la protezione delle persone, tra la sovranità e la solidarietà e tra la sicurezza e l’umanità.

Abbiamo ascoltato tutti gli Stati membri,

abbiamo esaminato tutte le rotte migratorie

e abbiamo tradotto lo spirito del patto in soluzioni pratiche.

Abbiamo reagito in modo rapido e unitario all’attacco ibrido della Bielorussia.

Abbiamo lavorato in stretta collaborazione con i nostri partner dei Balcani occidentali e abbiamo ridotto i flussi irregolari.

Abbiamo firmato con la Tunisia un partenariato che comporta vantaggi reciproci che vanno al di là della migrazione: dall’istruzione e dalle competenze professionali all’energia e alla sicurezza.

Questo partenariato – firmato al di fuori del Trattato da quello che la Commissione chiama «Team Europe» – rimane molto controverso. Fa parte di una tendenza crescente a esternalizzare il controllo dei flussi migratori. Negli ultimi anni, l’UE e i suoi Stati membri hanno concluso diversi accordi con i Paesi vicini, in particolare con la Turchia nel 2016. Nel 2017 l’UE, attraverso la Dichiarazione di Malta, ha approvato il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia.

Questo tipo di accordo è apparso problematico a diversi osservatori per molte ragioni. In primo luogo, è improbabile che raggiunga l’obiettivo dichiarato di salvare vite umane e combattere il traffico di esseri umani. Al contrario, se un Paese come la Tunisia fosse seriamente intenzionato a combattere l’immigrazione irregolare, l’accordo rischierebbe di spingere le persone in cerca di rifugio su rotte ancora più pericolose. Un’ulteriore critica verte sulla natura dei governi, spesso autoritari, che sarebbero in questo modo finanziati in cambio del controllo dei flussi.

Come ha osservato il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, il fatto che l’accordo con la Tunisia contenga solo termini molto generici sui diritti umani è preoccupante: non vi è alcuna indicazione concreta sulle garanzie per proteggere i diritti umani delle persone che si muovono. Il protocollo d’intesa, peraltro, non prevede un meccanismo di monitoraggio dei diritti umani. Eppure, la situazione disastrosa degli sfollati in Libia dimostra che i riferimenti generici ai diritti umani negli accordi di migrazione non sono sufficienti a garantire che la loro attuazione sia conforme ai principi fondamentali.

E ora vogliamo lavorare ad accordi analoghi con altri paesi.

Abbiamo rafforzato la protezione delle frontiere.

Le agenzie europee hanno intensificato la cooperazione con gli Stati membri.

In particolare, voglio ringraziare la Bulgaria e la Romania per averci indicato la via da seguire, promuovendo le buone pratiche in materia di asilo e rimpatrio.

La Bulgaria e la Romania hanno dimostrato di far parte del nostro spazio Schengen.

Facciamole finalmente entrare, senza ulteriori ritardi!

La partecipazione di Bulgaria e Romania all’area Schengen è stata bloccata nel dicembre 2022 dall’Austria a causa delle preoccupazioni sui flussi migratori. Tuttavia, i due Paesi potrebbero entrare nella zona di libera circolazione attraverso i controlli aeroportuali già da quest’anno, in vista della piena adesione l’anno prossimo.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

il nostro lavoro sulla migrazione si fonda sulla convinzione che l’unità è alla nostra portata.

Un accordo sul patto non è mai stato così vicino.

Il Parlamento e il Consiglio hanno un’occasione storica per portarlo a buon fine.

Mostriamo che l’Europa è in grado di gestire le migrazioni con efficacia e compassione

e portiamo a termine il lavoro iniziato!

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

sappiamo che la migrazione richiede un lavoro costante, importantissimo soprattutto nella lotta contro le reti dei trafficanti di esseri umani.

Con le loro menzogne i trafficanti attirano persone disperate,

le trasportano per il deserto su strade che le conducono verso la morte o le caricano su barconi inadatti alla navigazione.

Il modus operandi dei trafficanti è in costante evoluzione.

Ma la nostra legislazione ha più di vent’anni e va urgentemente aggiornata.

Abbiamo quindi bisogno di nuove norme e di una nuova struttura di governance.

Abbiamo bisogno di applicare più rigorosamente la legge, di perseguire questo reato e di dare un ruolo più incisivo alle nostre agenzie: Europol, Eurojust e Frontex.

Dobbiamo collaborare con i nostri partner per combattere questa piaga mondiale.

Ecco perché la Commissione organizzerà una Conferenza internazionale sulla lotta contro la tratta di esseri umani.

È ora di porre fine a quest’attività efferata e criminale!

UCRAINA

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

il giorno in cui i carri armati russi attraversarono la frontiera dell’Ucraina, una giovane madre ucraina partì per Praga per mettere il figlio al sicuro.

Quando la guardia di frontiera ceca timbrò il suo passaporto, scoppiò in lacrime.

Il figlio non capì e chiese alla madre perché piangeva.

Lei rispose: «Perché siamo a casa».

«Ma questa non è l’Ucraina«, osservò lui.

E la madre gli spiegò: «Questa è l’Europa».

Quel giorno, quella madre ucraina ha sentito che l’Europa era casa sua.

Perché ci sentiamo a casa dove possiamo fidarci gli uni degli altri.

E il popolo ucraino poteva fidarsi degli altri popoli europei.

Si chiamava Victoria Amelina.

Era una delle grandi voci letterarie emergenti della sua generazione e un’instancabile attivista per la giustizia.

Dopo aver lasciato il figlio al sicuro, Victoria ritornò in Ucraina per documentare i crimini di guerra perpetrati dalla Russia.

Un anno dopo, mentre cenava con dei colleghi, è stata uccisa da un missile balistico russo.

Vittima di un crimine di guerra russo, uno degli innumerevoli attacchi sferrati contro civili innocenti.

Uno dei tre amici con cui Amelina si trovava quel giorno è lo scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince.

Héctor partecipa a una campagna intitolata «Aguanta, Ucrania» – «Resisti, Ucraina» – creata per informare i latinoamericani sulla guerra di aggressione scatenata dalla Russia e sugli attacchi ai civili.

Ma non avrebbe mai immaginato di poter diventare egli stesso un bersaglio.

In seguito ha detto di non conoscere il motivo per cui è sopravvissuto, mentre Victoria è morta.

Ma adesso parla di lei a tutto il mondo, per conservarne il ricordo e per porre fine a questa guerra.

Sono onorata che Héctor sia qui con noi, oggi,

e desidero che sappia che manterremo in vita il ricordo di Victoria e di tutte le altre vittime.

Aguanta, Ucraina! Slava Ukraini!

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

saremo al fianco dell’Ucraina in ogni momento.

Per tutto il tempo che sarà necessario.

Dall’inizio della guerra, quattro milioni di ucraini hanno trovato rifugio nella nostra Unione.

Germania e Polonia sono i Paesi europei che ospitano il maggior numero di rifugiati ucraini, rispettivamente 1,1 milioni e 968.000, secondo le ultime stime dell’Alto commissariato per i rifugiati. L’Estonia e la Repubblica Ceca accolgono il maggior numero di rifugiati in percentuale della loro popolazione, rispettivamente il 3,5% e il 5%.

A loro dichiaro che sono i benvenuti oggi così come lo erano in quelle fatidiche prime settimane.

Abbiamo assicurato loro l’accesso agli alloggi, all’assistenza sanitaria, al mercato del lavoro e molto di più.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

l’Europa si è fatta trovare pronta all’appuntamento con la Storia.

Sono quindi orgogliosa di annunciare che la Commissione proporrà di prorogare la protezione temporanea offerta agli ucraini nell’UE.

Gli ucraini godono di un diritto di soggiorno quasi automatico nell’UE grazie alla direttiva sulla protezione temporanea del 2001, attivata per gli ucraini dal Consiglio Giustizia e Affari interni del 4 marzo 2022: le procedure per i permessi di lavoro, l’alloggio e l’istruzione dei bambini sono semplificate. Questo sistema non consente agli ucraini in fuga dalla guerra di ottenere lo status di rifugiati, ma garantisce loro lo status di protezione temporanea, in modo che non siano soggetti alle norme del Regolamento di Dublino.

Il nostro sostegno all’Ucraina è destinato a proseguire.

Soltanto nel corso di quest’anno abbiamo stanziato 12 miliardi di euro per contribuire a pagare salari e pensioni.

Per aiutare a mantenere in funzione ospedali, scuole e altri servizi.

E con la nostra proposta di legge «ASAP» intendiamo aumentare la produzione di munizioni per contribuire a soddisfare le esigenze immediate dell’Ucraina.

Allo stesso tempo guardiamo al futuro.

Perciò abbiamo proposto di stanziare altri 50 miliardi di euro, su quattro anni, a favore degli investimenti e delle riforme.

Dopo un primo anno dominato dagli aiuti americani, gli aiuti europei all’Ucraina sono ora in testa, con un contributo totale più che doppio rispetto a quello degli Stati Uniti. Gli aiuti già concessi e gli impegni a lungo termine dell’Unione ammontano a 131,9 miliardi di euro, contro i 69,5 miliardi degli Stati Uniti. Il motivo principale di questo balzo in cima alla classifica è infatti l’inclusione della proposta della Commissione europea per la creazione di un nuovo «strumento specifico per sostenere la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell’Ucraina» per un totale di 50 miliardi di euro nel periodo 2024-2027 (33 miliardi di euro in prestiti e 17 miliardi di euro in sovvenzioni).

Così aiuteremo l’Ucraina a costruire il suo futuro, a ricostruire un paese moderno e prospero.

È un futuro chiaro da prevedere.

Come questa assemblea ha dichiarato senza mezzi termini, il futuro dell’Ucraina è nella nostra Unione.

Il futuro dei Balcani occidentali è nella nostra Unione.

Il futuro della Moldova è nella nostra Unione.

E so quanto sia importante la prospettiva dell’UE per tanti cittadini della Georgia.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

ho iniziato il mio discorso parlando di un’Europa che deve prepararsi all’appuntamento con la Storia.

Oggi la Storia ci chiama ad adoperarci per completare la nostra Unione.

In un mondo in cui c’è chi prende di mira i paesi uno dopo l’altro, non possiamo permetterci di lasciare indietro i nostri concittadini europei.

In un mondo in cui contano le dimensioni e il peso, il completamento dell’Unione è chiaramente nell’interesse strategico e di sicurezza dell’Europa.

Ma al di là degli aspetti politici e geopolitici, dobbiamo avere in mente qual è la posta in gioco.

Dobbiamo delineare una visione per il successo dell’allargamento.

Un’Unione completa in cui più di 500 milioni di persone vivano nella libertà, nella democrazia e nella prosperità.

UnoUnione completa in cui i giovani possano vivere, studiare e lavorare in libertà.

Un’Unione completa con democrazie vitali in cui la magistratura sia indipendente, le opposizioni siano rispettate e i giornalisti siano protetti.

Perché lo Stato di diritto e i diritti fondamentali saranno sempre il fondamento della nostra Unione, sia negli Stati membri attuali che in quelli futuri.

È per questo che le relazioni sullo Stato di diritto sono diventate una priorità della Commissione.

Adesso collaboriamo strettamente con gli Stati membri per individuare i progressi compiuti e gli aspetti preoccupanti, e formuliamo raccomandazioni per l’anno successivo.

Questo esercizio ha permesso di rendere conto in materia di fronte a questa assemblea e ai parlamenti nazionali.

Ha dato vita a un dialogo tra gli Stati membri.

E sta producendo risultati.

Sono convinta che possa produrre gli stessi risultati per i futuri Stati membri.

Perciò sono molto lieta di annunciare che estenderemo le relazioni sullo Stato di diritto anche ai paesi in via di adesione che progrediscono più velocemente.

Questo li metterà in condizioni di parità con gli Stati membri.

Li sosterrà nelle loro iniziative di riforma.

E contribuirà a garantire che la nostra futura Unione tuteli la libertà, i diritti e i valori per tutti.

I risultati della Presidenza von der Leyen sul rispetto dello Stato di diritto sono contrastanti. Dopo aver esitato a usare tutti i mezzi legali contro gli Stati membri recalcitranti – Ungheria e Polonia – la Commissione ha poi ritardato l’approvazione dei loro piani di risanamento nell’ambito della NextGenerationEU. Nel caso della Polonia, il piano è stato infine approvato dal Consiglio nonostante il governo non abbia rispettato diverse sentenze della Corte di giustizia che condannavano la mancanza di indipendenza del suo sistema giudiziario. Per la prima volta nella storia, in solidarietà con i giudici polacchi attualmente sospesi in piena violazione del diritto europeo, tre associazioni di giudici di diversi Stati membri hanno intrapreso un’azione legale contro la decisione del Consiglio europeo.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

tutto questo è nel nostro interesse comune.

Pensate al grande allargamento di vent’anni fa.

L’abbiamo battezzato «European Day of Welcomes», la giornata europea dei benvenuti.

È stato il giorno in cui la determinazione e la speranza hanno trionfato sui retaggi del passato.

I vent’anni trascorsi da allora hanno assistito a un successo economico che ha migliorato la vita di milioni di persone.

Invito noi tutti ad attendere con speranza la prossima giornata europea dei benvenuti e i prossimi successi economici.

Sappiamo che non si tratta di un percorso facile.

L’adesione è basata sul merito, e la Commissione difenderà sempre questo principio.

Richiede intenso lavoro e leadership.

Ma i progressi sono già consistenti.

Abbiamo visto i grandi passi compiuti dall’Ucraina da quando le abbiamo concesso lo status di paese candidato.

E abbiamo constatato la determinazione con cui altri paesi candidati intraprendono le riforme.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

tocca a noi, adesso, dimostrare altrettanta determinazione.

Dobbiamo cioè pensare a come prepararci al completamento dell’Unione.

È l’ora di abbandonare le vecchie discussioni manichee sull’allargamento.

Ursula von der Leyen sottolinea quanto la questione dell’allargamento dell’UE all’Est e ai Balcani sia destinata a dominare i dibattiti dei prossimi mesi e anni. In ottobre, infatti, la Commissione si appresta a pubblicare la relazione annuale sui progressi compiuti dai Paesi candidati, prima che il Consiglio europeo di dicembre decida sull’eventuale apertura dei negoziati di adesione con Ucraina e Moldavia, che rappresenterebbe un segnale particolarmente forte.

Per molti Stati membri, a partire da Francia e Germania, tuttavia, questo dibattito non può essere separato da una revisione fondamentale del funzionamento dell’Unione. Al di là della questione delle regole istituzionali, le principali politiche dell’Unione (politica agricola, politica di coesione, ecc.) rischiano di essere fortemente influenzate dall’allargamento. Il concetto di «capacità di assorbimento» rischia di diventare più politicizzato con l’inizio della campagna per le elezioni europee del 2024.

Non si tratta di scegliere se approfondire l’integrazione o allargare l’Unione.

Possiamo e dobbiamo fare entrambe le cose.

Per acquistare il peso geopolitico e la capacità di agire.

Del resto, la nostra Unione lo ha sempre fatto.

Ogni allargamento è stato accompagnato da un approfondimento politico.

Siamo passati dalla comunità del carbone e dell’acciaio alla piena integrazione economica.

E dopo la caduta della «cortina di ferro», abbiamo trasformato un progetto economico in un’autentica Unione di persone e di Stati.

Sono convinta che il nuovo allargamento debba essere anche catalizzatore di progresso.

Eravamo in 27 quando abbiamo cominciato a costruire un’Unione della salute:

credo che potremo completarla quando saremo in 30 e più.

Eravamo in 27 quando abbiamo cominciato a costruire un’Unione europea della difesa:

penso che potremo completarla in 30 e più.

Abbiamo dimostrato di poter essere un’Unione geopolitica e di poter progredire velocemente quando siamo uniti.

E ritengo che «Team Europa» funzionerà anche quando saremo in più di 30.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

so che questa convinzione è condivisa dalla vostra assemblea.

Il Parlamento europeo è sempre stato uno dei principali motori dell’integrazione europea.

Lo è stato nel corso dei decenni.

E lo è anche oggi.

Sosterrò sempre questa assemblea, e tutti coloro che desiderano riformare l’UE affinché funzioni meglio per i suoi cittadini.

Anche attraverso una Convenzione europea e un cambiamento dei trattati, se e laddove necessario!

Al momento della sua nomina a sorpresa, Ursula von der Leyen aveva promesso di realizzare una riforma approfondita delle procedure di nomina dei top jobs, compresa una revisione della riforma elettorale, e di convocare una conferenza sul futuro dell’Europa per esaminare le questioni da poi sottoporre a una convenzione. Tuttavia, le 49 raccomandazioni della Conferenza, approvate dal Parlamento europeo e trasmesse al Consiglio, non sono ancora state discusse come previsto dall’articolo 48 del TUE.

Ma non possiamo e non dobbiamo aspettare che cambino i trattati per proseguire sul percorso dell’allargamento.

Un’Unione adatta all’allargamento può essere ottenuta più rapidamente.

Si tratta di risolvere questioni pratiche sul modo in cui funzionerà concretamente un’Unione di oltre 30 paesi.

In particolare, sulla nostra capacità di agire.

Ci rincuora constatare che in occasione di ogni allargamento abbiamo smentito chi prevedeva una riduzione della nostra efficienza.

Pensate agli ultimi anni.

Eravamo in 27 quando abbiamo concordato NextGenerationEU.

Eravamo in 27 quando abbiamo deciso di acquistare i vaccini.

Eravamo in 27 anche quando abbiamo deciso di imporre sanzioni in tempi record.

Abbiamo deciso di acquistare gas naturale non solo in 27, ma insieme all’Ucraina, alla Moldova e alla Serbia.

Quindi, si può fare.

Ma dobbiamo studiare attentamente ogni settore di azione e valutare quale sarebbe su ciascuno l’impatto dell’allargamento dell’Unione.

Ecco perché la Commissione comincerà a dedicarsi a una serie di esami delle politiche pre‑allargamento, per valutare le modalità di un eventuale adeguamento di ogni settore a un’Unione più ampia.

Dobbiamo riflettere sul modo in cui funzionerebbero le nostre istituzioni, su come si trasformerebbero il Parlamento e la Commissione.

Dobbiamo discutere sul futuro del nostro bilancio: che cosa finanzierà, in che modo lo finanzierà e come sarà finanziato.

E dobbiamo capire come potremo assumere impegni credibili in materia di sicurezza in un mondo in cui la deterrenza conta più che mai.

Si tratta di questioni da affrontare oggi se vogliamo essere pronti domani.

La Commissione farà la sua parte.

Perciò presenteremo le nostre idee alla discussione dei leader sotto la presidenza belga.

Ci guiderà la convinzione che completare la nostra Unione sia il migliore investimento a favore della pace, della sicurezza e della prosperità nel nostro continente.

È tempo che l’Europa pensi di nuovo in grande e sia artefice del suo destino!

CONCLUSIONE

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

Victoria Amelina era convinta che fosse nostro dovere collettivo scrivere una nuova storia per l’Europa.

Ecco dove si trova oggi l’Europa:

nel momento e nel luogo in cui si scrive la Storia.

Il futuro del nostro continente dipende dalle scelte che facciamo oggi.

Dai passi che faremo per completare la nostra Unione.

Gli europei vogliono un’Unione che li difenda in un periodo di accesa competizione per il potere.

Ma anche un’Europa che li protegga e li sostenga, in veste di partner e alleata, nelle loro battaglie quotidiane.

Ascolteremo la loro voce.

Ciò che è importante per gli europei è importante per l’Europa.

Ripensate alla visione e all’immaginazione dei giovani che ho evocato all’inizio del discorso.

È il momento di mostrare loro che possiamo costruire un continente in cui ognuno può essere ciò che è, amare chi desidera e cercare di realizzare le sue ambizioni.

Un continente riconciliato con la natura e che funga da guida nel settore delle nuove tecnologie.

Un continente unito nella libertà e nella pace.

Ancora una volta, per l’Europa è giunta l’ora di farsi trovare pronta all’appuntamento con la Storia.

Viva l’Europa!

Il grand Continent – IT logo