Andiamo dritti al punto: l’operazione offensiva ucraina, che sarebbe più appropriato probabilmente dividere in tre – Orikhiv, Velika Novosilka e Bakhmut – non è una vera e propria operazione di conquista: non è possibile seguirla sulla mappa vedendo le bandierine che avanzano rapidamente verso un obiettivo lontano. Ciò potrebbe avvenire in futuro, ma per il momento non è possibile. Ora, se queste non sono operazioni di conquista, sono necessariamente operazioni di logoramento, operazioni “cumulative” dalle quali speriamo un giorno di vedere emergere un risultato più decisivo come la rottura di una diga, per usare l’espressione di Guillaume Ancel (qui). Il problema principale di queste operazioni – omicidi mirati, sanzioni economiche, campagne aeree, guerriglia, ecc. – è che non sappiamo mai quando si verificherà il cambio di passo e spesso rimaniamo delusi.
Back in Donbass
Facciamo un passo indietro. La guerra di movimento, nel senso inglese di warfare, si è trasformata in guerra di posizione fin dall’aprile 2022, secondo un fenomeno del tutto classico, anche se non necessariamente obbligato. La guerra di posizione, che implica una durata lunga del conflitto, incoraggia anche azioni nelle retrovie (attacchi aerei, sabotaggi, ecc.), e una partecipazione delle “grandi retrovie” ucraine (noi della Nato) attraverso una campagna di influenza, nella speranza che uno dei due fronti raggiunga la motivazione zero e quindi annulli l’intero sforzo bellico. Ecco il senso dell’espressione “azioni cumulative”.
Sul terreno, i russi hanno avuto più fretta e hanno provato a conquistare rapidamente l’intero Donbass. Il metodo utilizzato è stato il classico martellamento o “rompi-mattoni”, per usare l’espressione coniata da @escortert su Twitter (qui): neutralizzare la difesa con fuoco indiretto e assalto di battaglioni, ripetuto centinaia di volte intorno alla sacca che si sperava di conquistare, da Severodonetsk a Kramatorsk. I russi hanno spesso fallito, ma a volte hanno ottenuto risultati e addirittura “infranto la diga” una volta, a Popasna, il 9 maggio 2022, non lontano da Bakhmut. Questa colpo non è stato sufficiente di per sé, ma ha dato loro un vantaggio decisivo che, dopo altre settimane di martellamento e la conquista di Mariupol, gli ha permesso di impadronirsi delle città di Severodonetsk e Lysychansk proprio all’inizio di luglio .
Metà del lavoro necessario a una conquista territoriale in piena regola era stato fatto ma poi, in maniera più inaspettata, tutto si è fermato. In parte perché l’arrivo dell’artiglieria occidentale ha riequilibrato un po’ le cose, in parte per la carenza di combattenti, perché per andare all’assalto… servono truppe d’assalto, e i russi hanno avuto molto rapidamente carenza di effettivi, mentre gli ucraini continuavano a costruire brigate. Qui sta la differenza clausewitziana tra un piccolo esercito professionale progettato per guerre limitate e l’esercito di una nazione in armi impegnata in una guerra assoluta.
Ma non dimentichiamo la lezione tattica: le forze russe sono state in grado di avanzare contro posizioni trincerate da anni solo perché sparavano il triplo dei proiettili di quelli che gli venivano sparati contro. Il principio del vantaggio di 3 a 1 in termini di uomini per chi attacca non ha molto senso, ma il principio di una proporzione del genere riferita ai proiettili è decisivo nella guerra di posizione. Non stiamo parlando di un rapporto di forze (RAPFOR), che è sempre più o meno equilibrato, ma di un rapporto di fuoco (RAPFUO), che lo è più raramente.
L’esercito russo è diventato sterile dal punto di vista offensivo e ci si poteva legittimamente chiedere cosa stesse succedendo agli ucraini, che erano sulla difensiva da aprile. L’attacco di settembre a Kharkiv e poi la riduzione della testa di ponte di Kherson fino a metà novembre hanno dimostrato che questo scetticismo era sbagliato. All’improvviso, le operazioni ucraine sono diventate nuovamente dinamiche, sebbene molto diverse tra le province di Kharkiv e Kherson. Alla fine, però, si è trattato solo di un risultato illusorio e temporaneo. Illusorio perché nella provincia di Kharkiv si è verificata una sorprendente combinazione di circostanze, con un’incredibile debolezza e cecità da parte dei russi in questo settore del fronte, che ha fornito l’opportunità, brillantemente colta dagli ucraini, di sferrare un colpo. È stato il secondo e unico sfondamento del fronte, dopo Popasna, ma con effetti molto più profondi.
La battaglia per la testa di ponte di Kherson è stata molto diversa, ma ha beneficiato anch’essa di circostanze favorevoli, la principale delle quali era il fatto che si stava attaccando una testa di ponte. Ancora una volta, le operazioni offensive si sono arrestate alla fine di novembre, questa volta in gran parte a causa di un significativo miglioramento delle difese russe. I russi avevano compiuto un ulteriore passo verso la guerra assoluta attraverso una forma di parziale stalinizzazione della società e il numero di truppe al fronte era raddoppiato. Sotto la guida del generale Surovikin, hanno accorciato il fronte evacuando la testa di ponte di Kherson e affidandosi all’ostacolo del Dnieper. Poi hanno costituito una “linea Surovikin” nei settori che fino ad allora erano stati più deboli. L’aspetto offensivo è stato affidato alla compagnia Wagner, nel suo attacco a Bakhmut ed è stato demandato soprattutto alle operazioni di retrovia, come la campagna di colpi alla rete elettrica, una nuova operazione cumulativa che non ha ottenuto grandi risultati, e affidato alla compagnia Wagner, nel suo attacco a Bakhmut.
Con Gerasimov al comando, i russi hanno cercato di tornare alla strategia di “rompere i mattoni”, ma hanno conquistato solo 500 chilometri quadrati in quattro mesi, la metà di quelli conquistati tra aprile e luglio 2022. È legittimo domandarsi se ci fosse una reale volontà di conquistare il Donbass come in passato visto l’avanzamento limitato a 3 o 4 chilometri al giorno, o se non si trattasse semplicemente di migliorare la posizione difensiva e di acquisire qualche vittoria più che altro simbolica a Soledar e Bakhmut. Oltre 1000 chilometri quadrati e tre grandi città, Mariupol, Severodonetsk e Lysychansk, conquistati nell’operazione Donbass 1 e 500 chilometri e Bakhmut nell’assalto Donbass 2. Il fatto che i russi abbiano sparato circa 3-4 milioni di proiettili diversi nel Donbass 1 e solo uno o due milioni nel Donbass 2 non è una coincidenza.
Alla ricerca dell’effetto emergente
Va ricordato che, strategicamente, i russi possono accontentarsi di un fronte bloccato o semplicemente rosicchiato dagli ucraini. Sono “in testa” e se la guerra finisse domani il Cremlino potrebbe convivere con questa situazione e dichiarare la vittoria («abbiamo sventato preventivamente una grande offensiva contro il Donbass», «abbiamo resistito alla NATO», «abbiamo liberato questo o quello» e rivendicazioni di questo genere) La loro strategia potrebbe essere semplicemente quella di resistere e aspettare che le retrovie ucraine, e soprattutto “le grandi retrovie” si esauriscano, certamente mettendole anche sotto pressione. Gli ucraini sono in una posizione diversa, perché il loro obiettivo è liberare l’intero territorio da qualsiasi presenza russa, così come in una posizione diversa ci troviamo noi, interessati a una rapida, se non completa, vittoria ucraina (anche se nulla viene detto chiaramente).
Gli ucraini sono sulla buona strada per raggiungere questo obiettivo, o almeno una parte significativa di esso prima della fine dell’estate? Possiamo sperarlo, ma in realtà non c’è nulla che lo faccia pensare. Dimentichiamo l’idea di uno sfondamento come nella provincia di Kharkiv: l’intero fronte russo è ormai solido. Ciò che rimane è il martellamento, o il famoso “rompi-mattoni”, ed eccoci di nuovo di fronte a un’operazione cumulativa da cui speriamo di vedere emergere qualcosa prima della fine dell’estate.
Parliamo innanzitutto del terreno. Secondo l’account Twitter @War_Mapper, gli ucraini hanno liberato 200 chilometri quadrati in un mese, l’equivalente di cinque cantoni francesi, mentre dovrebbero recuperare l’equivalente delle regioni Occitania e PACA messe insieme. Ovviamente gli ucraini non possono accontentarsi di questo. Non vinceranno la guerra conquistando 7 chilometri quadrati al giorno, da qui la speranza che accada qualcosa di relativamente inaspettato, come la famosa diga che si rompe sotto le onde o il castello di sabbia che si scioglie. Il problema è che, per il momento, tutto ciò rimane nel regno del wishful thinking.
Per quanto riguarda le perdite, il bilancio delle unità da combattimento è piuttosto magro: secondo «Saint Oryx», dal 7 giugno 2023 sono stati colpiti 455 grandi mezzi di equipaggiamento russo, tra cui 233 grandi veicoli da combattimento (carri armati e veicoli corazzati di fanteria), vale a dire circa 7,5 MBV al giorno. In definitiva, si tratta di un numero appena superiore a quello registrato dall’inizio dell’anno. Peggio ancora, le perdite ucraine identificate nello stesso periodo sono state rispettivamente di 283 equipaggiamenti e 126 veicoli da combattimento principali, cioè circa 4 al giorno, un numero superiore a quello registrato dall’inizio della guerra: non c’è mai stato un divario così ridotto tra le perdite delle due parti su Oryx. È quindi difficile dire che gli ucraini stiano dissanguando i russi. Queste perdite giornaliere, tra le quali c’è una buona parte di equipaggiamento riparabile, corrispondono all’incirca alla produzione industriale. Di questo passo, entro la fine dell’estate, il capitale materiale della Russia sarà esaurito, ma non in modo catastrofico, e quello degli ucraini sarà quasi altrettanto in difficoltà.
Quindi, almeno per il momento, dobbiamo riporre le nostre speranze altrove. Questo è solitamente il momento di parlare del morale delle truppe russe. Si dice che sia ai minimi storici, come confermato da numerose lamentele filmate e messaggi intercettati. Il problema è che lo sentiamo dire quasi dalla fine del primo mese di guerra e non vediamo ancora alcun effetto sul campo, a parte una certa apatia offensiva. La prima cosa che notiamo è che questi soldati non mettono in discussione le ragioni della guerra, ma solo le condizioni in cui la combattono, chiedendo equipaggiamenti e munizioni migliori (in particolare i proiettili, si torna sempre su questo punto).
Non vediamo nemmeno rese di massa o gruppi di disertori che vivono nelle retrovie del fronte, come accadde all’esercito tedesco alla fine del 1918. Sono questi i segni più evidenti che qualcosa non va, e per adesso non possiamo constatarli: l’ammutinamento della Wagner non può essere interpretato come un segno di indebolimento del morale della truppa. In breve, basare una strategia sulla speranza che l’esercito russo crolli come nel 1917 non è assurdo, ma semplicemente molto incerto. Ed è complicato combattere solo sulla base di una speranza molto incerta.
L’essenziale è invisibile agli occhi
In breve, finché gli ucraini non avranno una superiorità di fuoco schiacciante, il famoso rapporto di 3 a 1 in proiettili di ogni tipo, non possono ragionevolmente sperare di ottenere un successo. Anche perché forse è utile ribadire ancora una volta che conquistare un villaggio non è un successo strategico. Un successo importante sarebbe arrivare a Melitopol o a Berdiansk; un successo minore, ma pur sempre un successo, sarebbe prendere Tokmak. Per raggiungere questi obiettivi non c’è altra soluzione che avanzare paralizzando le difese con una forza d’attacco sufficientemente schiacciante come accaduto a El Alamein, sulla linea Mareth in Tunisia, sulla linea Gotica in Italia, sulle linee tedesche in Russia a Orel e altrove, o ancora come accadde alle difese tedesche in Normandia. Il Capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, Mark Milley, ha recentemente parlato dei due mesi di duri combattimenti in Normandia prima dello sfondamento ad Avranches. Ha dimenticato di dire che gli Alleati avevano sparato l’equivalente di un’arma nucleare tattica contro i tedeschi per quattro volte prima dello sfondamento, e che ciò è servito persino come base per le prime riflessioni sull’uso di questo tipo di ordigno negli anni Cinquanta.
A questo proposito, posso solo consigliare la lettura dell’impressionante Combattere in dittatura – 1944 la Wehrmacht di fronte allo sbarco di Jean-Luc Leleu per capire cosa significasse. Alcune linee di difesa potevano essere aggirate, come quella dell’ottava Armata britannica a El-Gazala nel maggio 1942 o, naturalmente, la Linea Maginot due anni prima, che avevano entrambe la sfortuna di essere aggirabili. Per il resto, non c’è modo di passare senza un diluvio di proiettili, colpi di mortaio, cannoni, obici, razzi, missili e quant’altro, e non importa che il lanciatore sia a terra, in aria o in acqua; l’importante è che lanci qualcosa.
L’aspetto negativo dell’artiglieria ucraina, che oggi è la più potente d’Europa, è che spara la metà dei proiettili che sparava al culmine dell’assalto a Kherson, nell’estate del 2022, e soprattutto spara ancora meno di quanto riesca a fare l’artiglieria russa, che ha anche aggiunto alcune munizioni telecomandate piuttosto efficaci. Ribaltiamo il problema: se gli ucraini lanciassero tanti proiettili al giorno quanti ne hanno lanciati i russi durante Donbass 1, il caso sarebbe molto probabilmente chiuso e avrebbero già raggiunto e forse superato la linea di difesa principale a Tokmak. Ma non è così, almeno non ancora. Tralasciando la questione degli aerei F-16, che sarebbero un contributo interessante ma non decisivo, non si capisce perché gli Stati Uniti abbiano aspettato così tanto a consegnare le munizioni a grappolo, che hanno il doppio merito di essere molto utili nel fuoco di controbatteria e abbondanti.
Forse si trattava di una riluttanza morale a consegnare un’arma considerata “sporca”, perché il suo utilizzo comporta un certo numero di ordigni inesplosi (le forze speciali francesi hanno subito le perdite più pesanti nel 1991 proprio a causa di questo fenomeno), ma se fosse stata consegnata molto prima avrebbe cambiato le carte in tavola. Lo stesso vale per i missili ATACMS, che sono meno numerosi, ma molto efficaci e con una gittata molto lunga. Anche i venerabili aerei d’attacco A-10 richiesti dagli ucraini avrebbero potuto essere aggiunti molto tempo fa: sono certamente vulnerabili nell’ambiente moderno, ma avrebbero terrorizzato le prime linee russe.
Soprattutto, i nervi della guerra in guerra sono i proiettili da 155 mm (ne servirebbero centinaia di migliaia in Ucraina, per avere un impatto), o i proiettili da 152 mm comprati dai Paesi precedentemente equipaggiati dall’Unione Sovietica e che non li utilizzeranno mai. Dovremmo anche spiegare perché, sedici mesi dopo l’inizio della guerra, non siamo ancora in grado di produrre altri proiettili. È un bene che non siamo stati noi a essere invasi.
In breve, se vogliamo davvero che l’Ucraina vinca, dobbiamo inviarle molti proiettili. Ciò consentirà innanzitutto di vincere la battaglia di artiglieria in corso, di cui non si parla mai perché poco visibile, ma che è il presupposto essenziale per il successo. A volte mi chiedo persino se i piccoli attacchi dei battaglioni di mischia ucraini non facciano parte innanzitutto di questa strategia, avendo come obiettivo non conquistare nuove posizioni, ma indurre l’artiglieria russa a sparare a raffica in modo da essere scoperta e colpita a sua volta.
Se c’è un dato incoraggiante per Oryx è quello delle perdite dell’artiglieria russa. In due mesi, con una quarantina di cannoni colpiti o danneggiati, gli ucraini hanno messo fuori uso il triplo dei cannoni russi, l’equivalente dell’artiglieria francese. Contando le distruzioni invisibili e l’usura fisiologica dell’artiglieria, indubbiamente più rapida nelle vecchie artiglierie russe che in quelle ucraine, le perdite effettive potrebbero essere addirittura il doppio. Depositi di munizioni come Makiivka, sorprendentemente vicina alle linee, continuano ad essere colpiti. Aumentando leggermente il ritmo e con un contributo occidentale accelerato, questo confronto di fuoco potrebbe essere vinto alla fine di agosto o all’inizio di settembre.
Questo è forse l’unico effetto realistico che possiamo vedere emergere da tutta questa battaglia, e probabilmente anche l’unico che potrebbe sbloccare la situazione strategica, congelata da sette mesi. Se non riusciamo a farlo entro la fine dell’estate, quando le scorte e la produzione saranno in difficoltà in entrambi i casi, probabilmente ci troveremo su un fronte congelato e ogni speranza di vedere cambiare qualcosa sarà persa.