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Marcello De Cecco, scomparso nel 2016, è stato un personaggio unico per varietà di interessi e curiosità. Economista e storico di origini abruzzesi, come il grande banchiere umanista Raffaele Mattioli, De Cecco ha unito nella sua carriera l’apertura internazionale e la divulgazione giornalistica1. Acuto osservatore degli squilibri dell’Eurozona e delle ambiguità della stagione italiana di privatizzazioni, a De Cecco si deve anche l’idea che qui analizzeremo e riprenderemo: l’integrazione economica franco-italiana. 

Questo è infatti il titolo di un obliato intervento dello studioso italiano nella tribuna di Le Monde, ne 19932. Lo scritto parte dal “terremoto” geopolitico e monetario dell’inizio degli anni ’90. Alla fine della guerra fredda, De Cecco scorge tra i leader tedeschi un atteggiamento “neo-gollista”. La Germania si prepara ad “affrontare il mare aperto della politica internazionale” con enormi investimenti nelle sue regioni orientali. La priorità per la Francia e per l’Italia sta nel capire questo nuovo ruolo della Germania. Secondo De Cecco, “un’Europa balcanizzata si adatta perfettamente alla nuova Germania”: massimo livello di integrazione economica, a partire dalla ex Germania Est per comprendere un più ampio nodo geoeconomico centro-orientale, prima di parlare di altri ambiti di integrazione. Il vecchio equilibrio dell’integrazione, fondato su una Germania divisa, è già superato. L’unico modo per bilanciare il nuovo gigante, secondo De Cecco, è “un’altra entità di dimensioni paragonabili alla Germania. Questa nuova entità può essere costituita solo da una più profonda integrazione economica tra Italia e Francia.” Perché? “Da un punto di vista industriale, l’Italia è una Germania in scala ridotta. Ma, dove è debole, l’industria francese è forte”.

La “nuova entità economica latina” non è germanofoba, ma indica un problema inevitabile per un’integrazione europea legata solo a una catena del valore geoeconomica tedesca in crescita.

ALESSANDRO ARESU

Nel 1993, la sostanziale parità di forze rendeva difficile il percorso, ma sembravano comunque possibili integrazioni e fusioni nell’industria automobilistica, nella chimica, nell’aeronautica, nella siderurgia. De Cecco cita anche il percorso già avviato sull’alimentare, nonché sull’elettronica. Imputa ai francesi una scarsa volontà politica di trasformare in realtà i progetti industriali citati. E invita i “fieri cugini transalpini” ad abbandonare le immagini offensive degli italiani mafiosi e mangiatori di spaghetti. È tempo piuttosto di capire che una profonda integrazione con la più grande economia tedesca e col suo centro di gravità comporterà per la République un’erosione della propria “individualità economica” più profonda. Invece, l’opzione italiana rappresenta il percorso ideale per la potenza francese, in grado di utilizzare anche la sua “capacità di costruzione e gestione delle infrastrutture” in uno spazio geopolitico.

La capacità profetica di De Cecco ci riporta subito al nostro presente: la “nuova entità economica latina” non è germanofoba, ma indica un problema inevitabile per un’integrazione europea legata solo a una catena del valore geoeconomica tedesca in crescita. De Cecco fa un ragionamento politico: “Non è possibile credere che italiani e francesi si sottomettano tranquillamente alla necessità di chiudere sempre più fabbriche nei due Paesi, che, se rimarranno divisi, saranno schiacciati dalla produttività della rinnovata industria tedesca, rafforzata dai bassi salari dei paesi dell’Est, in cui le aziende tedesche stanno già trasferendo le produzioni”. L’integrazione franco-italiana sarà capace di dialogare su un piano di parità con la Germania, potrà dedicarsi al “rapido collegamento ferroviario Torino-Lione, alla gestione dei porti del Mediterraneo, agli accordi siderurgici su Taranto, alle grandi holding franco-italiane nell’aeronautica, nella chimica, nel petrolio e, soprattutto, nel settore automobilistico”. Perciò De Cecco chiama alle armi “la tradizionale capacità visionaria dei leader francesi” che “non può restare fissa sull’asse Parigi-Bonn”. 

Proprio l’attualità dei vari nodi industriali ricordati da De Cecco deve farci interrogare sul nostro presente. Per gli altri attori mondiali forse i progetti industriali e geoeconomici sono ancora quelli di trent’anni fa? L’impressione, nel riprendere quello scritto visionario, è il senso di tempo perduto che ci imprigiona. Un’aria diversa da quella che si respira negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone, in Corea del Sud, a Taiwan: luoghi che hanno continuato a inventare il futuro. Non credo che De Cecco conoscesse nel 1993 il testo di Alexandre Kojève sull’impero latino, reso noto nel 19903, ma non posso escluderlo: comunque la sua profezia sullo scenario europeo come allargamento della sfera economica tedesca e centro-orientale si è realizzata, mentre non è emersa alcuna “area latina”. Non credo nemmeno che i “visionari leader francesi”, siano essi attori politici, industriali o finanziari, abbiano letto il testo di De Cecco nell’orchestrare le loro “campagne d’Italia”. Ma quel messaggio nella bottiglia può fotografare un momento importante per le nostre nazioni, in questo tornante della storia d’Europa.  

Una Fritalia (o Itancia, se preferite) oggi vale circa il 26% del PIL dell’UE, il 22,4% degli occupati e il 23,2% degli investimenti in ricerca e sviluppo. Il peso dell’Italia nell’economia europea è sceso nell’ultimo decennio, quello della Francia è stazionario, quello della Germania è aumentato. Il volume di interscambio commerciale tra Italia e Francia nel 2019 è stato di 86 miliardi di euro.   

Ma per dare anima a questi dati, torniamo alla storia, e al grande abruzzese della finanza italiana, Raffaele Mattioli – il quale pagò tra l’altro gli studi a Cambridge4 di Marcello De Cecco, nato nel 1939. Nel 1939, il giovane banchiere Enrico Cuccia sposò la figlia del creatore dell’Iri, Alberto Beneduce, che si chiamava – veramente – Idea Nuova Socialista. Mattioli regalò a Cuccia una gigantesca mappa (circa tre metri per due metri e mezzo) della Parigi settecentesca, sotto il Prévôt des marchands Michel Etienne Turgot5. Cuccia tenne sempre la mappa (Plan de Paris) nel suo ufficio di Mediobanca, la banca d’investimento del capitalismo italiano che rappresentò anche un trait d’union col sistema francese, soprattutto grazie alla grande amicizia tra lo stesso Cuccia e André Meyer, lo storico capo di Lazard negli Stati Uniti. 

La relazione tra istituzioni finanziarie è uno dei tratti di lungo periodo del rapporto Francia-Italia.

alessandro aresu

Mediobanca è un nodo finanziario: tra i soci francesi, oltre a Lazard, ci saranno in tempi più recenti attori come Dassault, Groupama, Bolloré, e la banca d’investimento italiana ha acquisito nel 2019 la francese Messier Maris. Ce ne sono molti altri, nella storia e nelle prospettive delle banche italiane. Le relazioni tra istituzioni finanziarie è uno dei tratti di lungo periodo del rapporto Francia-Italia. Pensiamo alla finanza per lo sviluppo, sempre più importante nella nostra epoca. Nel 1816, l’invenzione della Caisse des dépôts et consignations è dovuta al Conte Corvetto, ministro delle finanze francese nato a Genova. Il mondo italiano era diviso e frammentato, rispetto alle opportunità che il mondo francese offriva alle sue intelligenze. La “sorella” italiana, Cassa Depositi e Prestiti, nascerà nel 1850, prima dell’unità italiana. Roma ha guardato a Parigi in questo campo anche in tempi più recenti, cercando di portare nel sistema italiano le lezioni del modello Bpifrance. 

Oggi viviamo in un contesto diverso da quello di Cuccia e Lazard, e da quello di De Cecco. Viviamo all’ombra dello scontro tra Stati Uniti e Cina, e nel capitalismo politico vediamo l’allargamento progressivo della sicurezza nazionale. La Germania è evoluta nella gestione di questa crisi, rispetto alla crisi precedente che ha indebolito tutti gli europei. Ma la capacità di esecuzione dei progetti europei, nel nostro continente, va ancora dimostrata. Grandi sfide ci toccano, come quelle che Emmanuel Macron ha esposto nella sua intervista a Le Grand Continent. Sulla salute, sulla digitalizzazione, sulla sostenibilità questo decennio creerà vincitori e vinti e cambierà le nostre società. Il fiume impetuoso dell’innovazione rischia di portare gli europei alla deriva, dopo un decennio in cui abbiamo dormito e perso troppi treni.

Borsa-Euronext, Fca-Psa, Fincantieri-Stx, Essilor-Luxottica-Mediobanca-Unicredit-Generali, Tim-Vivendi- Mediaset, Crédit Agricole-Creval, Leonardo-Thales, Stm: queste e molte altre sono le partite industriali e finanziarie che coinvolgono la Francia e l’Italia. 

L’Italia è grande sconfitta del trentennio che ci separa da Maastricht e dal progetto di De Cecco. È evidente. Noi italiani dobbiamo riflettere sulla nostra debolezza. Il fenomeno delle multinazionali tascabili, comunque del nostro medio capitalismo, per come viene descritto negli studi di Giuseppe Berta6 e di Dario Di Vico, deve affrontare prove inedite. La ritrosia finanziaria e organizzativa del motore essenziale del nostro sistema economico, le medie imprese con capacità internazionale, non è sostenibile nel medio periodo. Inoltre, lo Stato azionista italiano è uscito da alcuni ambiti (telecomunicazioni, autostrade) dove i privati non hanno dato buona prova. In questa fase lo Stato, attraverso veicoli di mercato e sovrani, vi rientra. Alcuni imprenditori italiani guardano alla Francia con una strategia che dura da tempo, a partire da Leonardo Del Vecchio, e il coinvolgimento finanziario e industriale francese nel nostro Paese è innegabile. 

A mio avviso, è indispensabile che pensiamo in termini di dimensioni e di scala. Nel mondo attuale e futuro, non possiamo fare quasi nulla senza una scala pertinente.

alessandro aresu

A mio avviso, è indispensabile che pensiamo in termini di dimensioni e di scala. Nel mondo attuale e futuro, non possiamo fare quasi nulla senza una scala pertinente. Nonostante sia stato a lungo presidente di Generali, il sistema finanziario italiano è stato incapace di imparare quello che contava veramente da Antoine Bernheim, definito con giusta enfasi “padrino del capitalismo francese”7, per il suo supporto ad Arnault e Bolloré. E noi italiani non abbiamo avuto un Thierry Breton, un unificatore dei nostri servizi IT. Telecom Italia alla fine degli anni ’90 era di gran lunga la migliore azienda di telecomunicazioni d’Europa. Un “autocomplotto” italiano l’ha danneggiata fortemente e ha modificato i rapporti di forza. Ma le grandi aziende di telecomunicazioni europee hanno problemi comuni di redditività e di attaccare la frontiera tecnologica, che coinvolgono anche i francesi.  

L’Italia ha perso ma la Francia non ha certo “vinto”. Siccome non c’è più equilibrio di forze tra noi, è emersa una strategia offensiva più forte della Francia sull’Italia nell’ultimo decennio, con una serie di acquisizioni e di operazioni nei vari settori industriali. Non senza resistenza: tutti i Paesi praticano una “corsa alla sicurezza nazionale”, che è e sarà rafforzata dalla pandemia. Nessuna strategia industriale su scala bilaterale né continentale potrà funzionare senza un tessuto di fiducia. Altrimenti le resistenze vinceranno e i mercati europei non avranno alcun governo industriale autonomo, saranno semplicemente una delle arene strategiche dello scontro tra Stati Uniti e Cina. Non solo: tutti dovremo fare i conti con la Germania dopo Merkel, una situazione inedita. Nell’evoluzione europea, è a mio avviso impossibile che, in un irrigidimento futuro della posizione tedesca, la Francia lasci l’Italia al suo destino. È troppo coinvolta nel Paese. 

Il sentimento italiano verso la Francia oscilla tra il complesso d’inferiorità e il fastidio. È un tema reale. Sul piano geopolitico, la Francia ha spesso agito in sottile o aperto contrasto verso l’Italia, senza trarne peraltro reali vantaggi. Pensiamo alla guerra libica. La colpa è francese, la sconfitta è di entrambi. Sul nostro cortile di casa, nessuno di noi è “padrone”: ci riduciamo a chiamare gli emiratini affinché ammorbidiscano chi sta a loro libro paga. Possiamo veramente andare avanti così? No, soprattutto mentre gli storici contrasti tra le nostre imprese energetiche si confrontano con un terremoto tecnologico e finanziario.  

Su quali basi ricostruire “l’integrazione economica franco-italiana”? Non è questa la sede per descrivere nel dettaglio tutti i dossier industriali e finanziari aperti, ma cerchiamo di dare una direzione di marcia. 

Primo punto: parlare con franchezza dei nostri contrasti, invece di usare “dossier” o perdere tempo. Le vicende delle telecomunicazioni e di Fincantieri – Stx devono insegnarci anzitutto questo: bisogna mettere sul tavolo i propri interessi senza far incancrenire le situazioni davanti allo scorrere del tempo. Altrimenti non faremo altro che arricchire gli avvocati: un supporto economico indiretto, ma non proprio quello di cui le nostre economie hanno bisogno. 

Bisogna mostrare a una nuova generazione che quando parliamo di dimensione mediterranea non ci limitiamo alle chiacchiere. Come dice spesso il ministro Giuseppe Provenzano, siamo una generazione cresciuta con la “promessa” del Mediterraneo e dell’Africa, che però non ha prodotto nessun effetto reale.

alessandro aresu

Secondo punto: i gruppi che risulteranno da una nuova unione franco-italiana non possono essere solo a testa e a guida francese. Certo, la Francia è un’economia più grande di quella italiana e ha un sistema istituzionale che funziona meglio. Inutile negarlo. D’altra parte, l’Italia ha ancora alcuni punti di forza e non può essere “acquisita” dal sistema francese, anche perché nei settori strategici è tecnicamente impossibile senza accordi. Altrimenti le reazioni renderanno disfunzionali i rapporti. Quando parlo di gruppi, parlo anche di ciò che conta veramente: l’alta tecnologia, l’elettronica, la sistemistica, la difesa e la sicurezza, le infrastrutture, la finanza. 

Terzo punto: mostrare a una nuova generazione che quando parliamo di dimensione mediterranea non ci limitiamo alle chiacchiere. Come dice spesso il ministro Giuseppe Provenzano, siamo una generazione cresciuta con la “promessa” del Mediterraneo e dell’Africa, che però non ha prodotto nessun effetto reale. L’opzione “latina” di De Cecco ha senso se in queste aree logistiche, economiche e geopolitiche la collaborazione italo-francese porta frutti. Anche attraverso la finanza sostenibile, secondo un percorso che la Francia ha già avviato con Finance in Common, che può essere ripreso dal G20 a guida italiana. 

Quarto punto: cogliere con un’azione anticipatoria il terremoto che sta arrivando nella catena del valore tedesca, e nei suoi collegamenti alla manifattura italiana sulla componentistica e la robotica industriale, che presenta ancora punti di eccellenza. Coordinare gli investimenti sulle nuove filiere elettriche e sul deep tech in funzione dei mercati europei e delle filiere della manifattura, anche attraverso rapporti più stretti delle università, dei politecnici, dei centri di ricerca. Non dire mai più che dobbiamo creare una DARPA o una BARDA europea se non siamo in grado di farlo entro un anno, se non siamo in grado di recuperare la capacità di pensare in grande, lo spirito che ci ha fatto fondare il CERN e l’Agenzia Spaziale Europea e che abbiamo perduto ormai da decenni. 

Dal 2018, Roma e Parigi stanno negoziando il Trattato del Quirinale. Tutti questi elementi possono far parte di un nuovo patto tra Italia e Francia, che andrebbe discusso al più presto, mentre affrontiamo ancora la bufera del coronavirus e le sue incognite. Per arrivare pronti almeno per ottobre 2023, trentennale dello scritto di De Cecco.

Note
  1. Il testo, inedito, riprende diverse ricerche sulla relazione economica e geopolitica tra Italia e Francia, pubblicate a partire dal 2016 su “Limes”, “Atlante Treccani”, “L’Espresso”.
  2. Marcello De Cecco, “Pour une intégration économique franco-italienne”, Le Monde, 2/10/1993. Sui progetti franco-italiani di inizio anni ’90 si veda anche la testimonianza di Paolo Savona, Come un incubo e come un sogno. Memorialia e moralia di mezzo secolo di storia, Rubbettino, 2018.
  3. Alexandre Kojève, L’empire latin (1945), in “La Regle du Jeu”, I, 1990, 1
  4. Secondo la stessa testimonianza di De Cecco in La figura e l’opera di Raffaele Mattioli, Ricciardi, 1999
  5. Si veda Giorgio La Malfa, Cuccia e il segreto di Mediobanca, Feltrinelli, 2014. Si veda anche Fulvio Coltorti, “La Biblioteca storica di Mediobanca”, 8/10/2014, http://www.archiviostoricomediobanca.mbres.it/documenti/FC_presentazione%20della%20Biblioteca%20Mediobanca.pdf
  6. Giuseppe Berta, Che fine ha fatto il capitalismo italiano?, il Mulino, 2016.
  7. Pierre de Gasquet, Antoine Bernheim: le parrain du capitalisme français, Grasset, 2011.