Europa

«I poliziotti combattono perché siamo in guerra»

Da tre notti, dopo l’omicidio di un giovane francese di 17 anni durante un fermo di polizia, la Francia è in fiamme. In risposta a questa fase di grande violenza, il principale blocco sindacale della polizia ha pubblicato oggi un comunicato stampa che ha fatto scalpore. Lo contestualizziamo e lo traduciamo

Da tre notti, dopo l’omicidio di un giovane francese di 17 anni durante un fermo di polizia, la Francia è in fiamme. Dalla periferia di Parigi a Vaulx-en-Velin, ci sono stati migliaia di incendi e auto bruciate, quasi mille persone sono state arrestate e circa cinquecento agenti di polizia sono stati feriti.

Questa fase di estrema violenza ha sollecitato una risposta a un intreccio di problemi praticamente senza precedenti, sia per il mantenimento dell’ordine pubblico che per il perseguimento dei colpevoli. Il governo ha annunciato la mobilitazione di veicoli blindati e ha disposto il coprifuoco in alcune zone, mentre il Presidente della Repubblica ha lanciato un appello alla responsabilità dei genitori. Una parte molto consistente degli arresti riguarda minorenni («adolescenti molto, molto giovani: tra i 13 e i 18 anni»): il ministro della Giustizia ha annunciato che si aspetta che piattaforme come Snapchat aiutino le autorità giudiziarie a identificare i minorenni in questione e che i genitori potrebbero essere ritenuti penalmente responsabili per non aver esercitato la patria potestà quando avrebbero potuto. Questa strategia è rappresentativa della peculiarità del momento.

Leggendo questo comunicato stampa, ampiamente commentato nel pomeriggio di venerdì, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un volantino scritto da un gruppo di estrema destra tanto violento quanto marginale. Ma non è così. Il blocco sindacale Alliance-UNSA Police che ha firmato questo testo ha vinto le elezioni dello scorso dicembre con quasi il 50% dei voti. La polizia ha la più alta densità sindacale della funzione pubblica francese, con quasi il 90% di personale iscritto: si tratta quindi di un blocco sindacale potente, in grado di sostenere una lotta di potere con il Ministero dell’Interno, capace di esprimere una posizione politica che deve essere letta e compresa oltre i confini della Francia. Lo traduciamo e lo commentiamo per la prima volta in italiano.

Adesso basta…

Parigi, 30 giugno 2023

Di fronte a queste orde selvagge, non basta più chiedere la calma: bisogna imporla!

«Orde selvagge» riattiva l’immaginario sedentario insito nel neonazionalismo contemporaneo, che gioca in particolare sulla proiezione nelle ex metropoli di una contrapposizione tra i rappresentanti della società civilizzata e i «selvaggi» violenti e inquietanti. Fin dall’inizio, questo testo introduce un argomento che porterà avanti fino alla sua conclusione: la polizia è l’unica istituzione in grado di difendere la civiltà minacciata.

Ristabilire l’ordine repubblicano e impedire alle persone arrestate di continuare a compiere danni sono i soli segnali politici da dare.

Di fronte a questi atti di violenza, la famiglia della polizia deve essere solidale.

Descrivendo la polizia come una «famiglia», i due sindacati di polizia estremizzano la logica corporativa sempre più diffusa nelle forze di polizia francesi. Da un lato, c’è un corpo organizzato che riflette un’unità familiare strutturata e organizzata; dall’altro, una società minacciosa sull’orlo della guerra civile. Si noti come l’orizzonte performativo dell’apertura del testo («Ora basta») proponga una visione di autorità vacillante. Come ha scritto Alexandre Kojève: «un Potere fondato sull’Autorità può, naturalmente, fare uso della forza; ma se l’autorità può generare la forza, la forza non può mai, per definizione, generare alcun tipo di Autorità».

I nostri colleghi, come la maggior parte dei cittadini, non possono più tollerare di subire i diktat di queste minoranze violente.

In questo passaggio, gli autori del comunicato stampa giocano chiaramente sull’ambiguità del termine «minoranza». È semplicemente un modo per sottolineare che i rivoltosi rappresentano solo una piccola parte della popolazione francese? Oppure è un modo per promuovere l’idea che la maggior parte di loro sono immigrati?

Non è il momento di fare azioni sindacali, ma di combattere questi «elementi dannosi».

Questo termine, senza dubbio messo tra virgolette per ridurne l’impatto, è un riferimento intenzionale alla retorica dell’estrema destra violenta. Fu durante il periodo tra le due guerre che si sviluppò in tutta Europa il paragone sistematico di stranieri ed ebrei con parassiti, elementi dannosi o vermi. Come hanno sottolineato storici come Pierre-André Taguieff e Johann Chapoutot, applicando un discorso biologico al corpo sociale, questa retorica disumanizza e apre la strada all’eliminazione dei gruppi presi di mira. Dopo la Seconda guerra mondiale, questa retorica non è mai scomparsa nei discorsi delle frange più violente dell’estrema destra, e riemerge in questo comunicato stampa.

Sottomettersi, capitolare e compiacerli deponendo le armi non sono soluzioni, vista la gravità della situazione.

Ogni mezzo deve essere messo in campo per ristabilire lo Stato di diritto il prima possibile

Una volta ristabilito, sappiamo già che dovremo affrontare lo stesso chienlit (disordine, caos, ndt) che abbiamo dovuto sopportare per decenni.

Originariamente, il termine «chienlit» (che qui traduciamo come disordine, caos) si riferiva a un personaggio del carnevale parigino e, per estensione, era usato per descrivere il disordine. Entrò nel lessico politico nel 1968, quando Charles de Gaulle fu citato per aver detto: «La riforma, sì; la chienlit, no». Il generale non era nuovo a questo termine gergale antiquato, avendolo usato nel 1944 in occasione della sfilata della Liberazione di Parigi sugli Champs-Élysées. 

Per gli autori di questo testo, questo riferimento è ovviamente un modo per stare dalla parte dell’ordine e, come spesso accade nella politica francese, per rivendicare l’eredità gollista in una sua particolare connotazione.

Per questi motivi, l’Alliance Police Nationale e la Polizia dell’UNSA si assumeranno le proprie responsabilità e avvertono già il governo che saremo operativi e che senza misure concrete di protezione legale degli agenti di polizia, un’adeguata risposta penale e risorse sufficienti, i poliziotti saranno in grado di valutare il livello di considerazione che ricevono.

Oggi gli agenti di polizia combattono perché siamo in guerra.

Quest’ultima frase sembra un riferimento al discorso in cui Emmanuel Macron aveva annunciato il primo lockdown nel marzo 2020. Ma è anche un modo per diffondere il topos comune agli ambienti di estrema destra sulla guerra civile che minaccia – o è già in corso – il territorio francese: serve a mettere i giovani dei quartieri popolari, in gran parte di origine immigrata, contro una popolazione “autoctona” che sarebbe fisicamente minacciata. Eric Zemmour ha dichiarato che la Francia è in «una guerra civile, etnica e razziale».

Domani saremo in resistenza e il governo dovrà prenderne coscienza.

Sebbene gli agenti di polizia non godano del diritto di sciopero, le manifestazioni sono consentite a determinate condizioni. I sindacati Alliance e UNSA, insieme ad altre organizzazioni di polizia, hanno sfilato in massa davanti all’Assemblea nazionale nell’estate del 2021 – un corteo a cui si sono uniti diversi politici e il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin. I movimenti di rabbia di poliziotti e gendarmeria non sono una novità. Nel 2001, per la prima volta nella storia recente della Francia, dei cortei di gendarmi, in uniforme ed equipaggiati con le armi di ordinanza, hanno sfilato in diverse città francesi, mentre le manifestazioni della polizia del 2021 erano caratterizzate più che altro da fischi. L’utilizzo di risorse militari per sostenere una manifestazione – dalle uniformi ai veicoli, alle apparecchiature di comunicazione – pose i gendarmi al di fuori della legge, che impone loro un dovere di riserva assoluto in quanto militari.

Gli agenti di polizia non appartengono a un corpo militare, ma questo comunicato stampa firmato dal principale blocco sindacale segna un passo ulteriore, perché utilizza una retorica che sfiora la minaccia per esercitare pressioni sul governo. Il termine «resistenza» suggerisce che i sindacati di polizia potrebbero decidere di disobbedire all’esecutivo qualora le loro richieste non fossero soddisfatte. Il termine «resistenza» riecheggia anche il lessico utilizzato dalla frangia più radicale dell’estrema destra, che si vede «resistere» a un progetto di distruzione della civiltà guidato congiuntamente dalle élite liberali, dalla sinistra e dagli stranieri.

Forse in reazione a questo testo, il ministro dell’Interno ha diramato un comunicato stampa un’ora dopo, ribadendo il suo sostegno ai poliziotti ma sottolineando il necessario rispetto delle regole etiche e della legge: «Le prossime ore saranno decisive e so di poter contare sul vostro costante impegno nel rispetto della legge e delle regole etiche. I rinforzi umani e materiali che stiamo inviando vi daranno, insieme ai sindaci e sotto l’autorità dei prefetti che ho nuovamente riunito, i mezzi per difendere la Repubblica e i suoi valori».

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