+++ Nell’interregno post-pandemico, dopo l’invasione dell’Ucraina, la guerra del Sukkot è un momento di rottura che rivela l’evoluzione dei rapporti di forze e degli equilibri a scala planetaria. Con il Groupe d’études géopolitiques analizziamo i posizionamenti dei diversi Stati davanti all’attacco, costruendo una mappa delle reazioni ufficiali a scala globale. Un errore o un’informazione mancante? Non esitare a scrivere a [email protected]

Dopo più di una settimana dall’inizio dell’operazione Tempesta Al-Aqsa iniziata da Hamas nella mattina del 7 ottobre, le reazioni dei leader internazionali permettono di tirare un primo bilancio geopolitico della guerra del Sukkot

In questa fase, ci sono quattro tipi di posizione: 

  1. Una condanna chiara e inequivocabile, che porta al sostegno di Israele;
  2. Un invito alla de-escalation, spesso accompagnato da una condanna;
  3. Sostegno all’operazione di Hamas, Tempesta al-Aqsa;
  4. Un’assenza di presa di posizione in questa prima fase del conflitto, comune alla maggior parte dei Paesi del mondo.

L’Occidente compatto nella condanna:

La prima posizione – chiara condanna – riunisce la maggior parte dei Paesi della NATO, con la notevole eccezione della Turchia. La mappa del sostegno a Israele si sovrappone quindi in modo molto forte alla mappa dei Paesi che sostengono lo sforzo bellico ucraino.

  • L’Unione Europea nel suo complesso ha condannato l’attacco e ha espresso la sua solidarietà a Israele.
  • Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden stava negoziando un mega-deal con l’Arabia Saudita e Israele con l’obiettivo di proporre una soluzione a lungo termine alla questione palestinese prima della campagna presidenziale del 2024. L’attacco e l’inequivocabile sostegno allo Stato di Israele e al suo Primo Ministro Benjamin Netanyahu mettono in discussione l’intero piano. La guerra del Sukkot e la sua dimensione internazionale diventeranno sicuramente un tema chiave della campagna elettorale nelle prossime settimane. Trump aveva accusato Biden che l’accordo della sua amministrazione con l’Iran sarebbe stato «utilizzato per attacchi terroristici in Medio Oriente e più specificamente per rapimenti».
  • L’Ucraina ha condannato con forza l’attacco e ha espresso il suo sostegno a Israele.

È anche apparsa una dimensione indopacifica del sostegno occidentale:

  • Insieme al Giappone e all’Austrialia, l’India, Taiwan e la Corea del Sud hanno dichiarato il loro sostegno a Israele e la loro condanna di Hamas.
  • In America centrale e meridionale, insieme all’Argentina – con l’India il solo Paese dei BRICS+ a condannare nettamente l’operazione Tempesta Al-Aqsa – dobbiamo notare il posizionamento di Guatemala, Perù, Ecuador e Paraguay.

L’appello alla de-escalation: tra neutralità strategica e sostegno ambiguo 

La seconda posizione – condanna accompagnata da un invito alla moderazione o alla de-escalation – riguarda diversi Paesi arabi o musulmani.

  • La Lega Araba ha infatti chiesto l’arresto immediato delle operazioni militari a Gaza e del confronto armato tra le parti, sottolineando che «La continuazione, da parte di Israele, di politiche violente ed estremiste è una bomba a orologeria che priverà la regione di ogni seria possibilità di stabilità»
  • L’Arabia Saudita, che è coinvolta nei negoziati del mega-deal con gli Stati Uniti, ha assunto una posizione attendista. In una dichiarazione rilasciata dal suo Ministero degli Affari Esteri, ha chiesto una de-escalation, affermando che stava monitorando da vicino «la situazione senza precedenti tra alcune fazioni palestinesi e le forze di occupazione israeliane». La dichiarazione ha anche ricordato che il Regno dell’Arabia Saudita ha spesso avvertito dei rischi di esplosione legati alla «continuazione dell’occupazione, alla privazione dei diritti legittimi dei palestinesi e alle provocazioni sistematiche e ripetute contro i loro luoghi santi».

A parte il Sudan, che sostiene più esplicitamente Hamas, l’appello alla de-escalation rimane la posiziona maggioritaria tra i Paesi firmatari degli Accordi di Abramo: il Bahrain, il Marocco, e gli Emirati Arabi Uniti si sono infatti pronunciati per la de-escalation

Dopo è arrivato il posizionamento, abbastanza tardivo, della Cina. Questa posizione è maggioritaria tra i BRICS+, con tre eccezioni: Argentina e India (condanna netta) e Iran (sostegno esplicito a Hamas)

  • «Per evitare un’escalation tra palestinesi e israeliani», secondo il ministero degli Esteri, il Brasile ha convocato una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza sulla situazione in Israele e Gaza. 
  • La Russia ha fatto un appello alla de-escalation e alla moderazione, e il Cremlino ha dichiarato di essere in contatto con le due parti. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, Dmitri Medvedev, he dichiarato che l’Occidente avrebbe dovuto occuparsi della «soluzione israelo-palestinese» piuttosto che impegnarsi nelle sue «ingerenze» negli affari di Russia e Ucraina 
  • La Cina ha atteso circa 24 ore prima di pronunciarsi. Attraverso il suo ministro degli Esteri, Pechino si è detta: «profondamente preoccupata»: «La Cina è profondamente preoccupata dall’attuale escalation della tensione e della violenza tra Israele e la Palestina». E «chiede a tutte le parti in causa di mantenere la calma, mostrare moderazione e cessare il fuoco, a proteggere i civili e impedire un ulterior deteriorarsi della situazione»

La Turchia è il solo Paese della Nato a non condannare nettamente:

  • Il Presidente turco Erdogan ha invitato sia Israele che la Palestina alla moderazione e ha chiesto di evitare la violenza.

Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali:

  • L’Unione africana ha espresso la sua inquietudine affermando che «La negligenza dei diritti del popolo palestinese ha costituito il primo fattore di instabilità» 
  • La Santa Sede ha chiesto domenica 8 ottobre la fine immediata delle ostilità.

Sostegno attivo a Hamas e all’operazione Tempesta al-Aqsa

La terza posizione è stata finora assunta solo dal regime iraniano, che ha anche affermato di aver contribuito all’organizzazione dell’Operazione Tempesta al-Aqsa.

  • Verso le 13:30 (CET, 17 in Iran), dei deputati del Madjless, il Parlamento iraniano si sono alzati in gruppo in piedi in un video trasmesso dalle emittenti pubbliche per cantare degli slogan come «Israele è finito, la Palestina vincerà» (اسرائیل نابود است، فلسطین پیروز است), seguito da un più classico «Morte all’America» (مرگ بر آمریکا). 
  • Finora, non c’è stata alcuna reazione da parte di personalità politiche di spicco. La prima reazione ufficiale è arrivata dal Generale Yahya Rahim Safavi, consigliere militare della Guida Ali Khamenei, che ha dichiarato: «I Difensori del Santuario [termine utilizzato per descrivere le forze militari iraniane in Medio Oriente] e i grandi martiri come Qassem Soleimani sono al fianco di questi combattenti e continueranno ad esserlo fino a quando la Palestina e Gerusalemme non saranno liberate».  1

Alcuni analisti ritengono che il sostegno aperto della Repubblica islamica dell’Iran a Hamas sia un mezzo per mettere sotto dura tensione l’Arabia Saudita nel suo graduale avvicinamento a Israele, evidenziando il graduale allontanamento saudita dalla causa palestinese – allontanamento incarnato da Mohammed Ben Salman rispetto a suo padre, il Re Salman.

Il 03 ottobre, Ali Khameni ha dichiarato: «Il regime sionista è in declino. La scommessa di normalizzare le relazioni con questo regime è perdente a tutti i livelli».

Nelle ultime ore, anche diversi Paesi arabi e musulmani hanno preso posizione a sostegno dell’attacco di Hamas.

  • Dopo l’Iran, l’Algeria è il primo Paese ad aver preso una posizione chiara a sostegno dell’attacco di Hamas, condannando unilateralmente lo Stato di Israele (considerato l’unico responsabile degli «attacchi brutali») e rivendicando il diritto dei palestinesi a combattere «l’occupazione sionista» (si veda la nostra analisi qui).
  • Una posizione simile è stata assunta dal Qatar, che ha invitato la comunità internazionale a «costringere Israele a porre fine alle sue flagranti violazioni del diritto internazionale, a obbligarlo a rispettare le legittime decisioni internazionali e i diritti storici del popolo palestinese, e a impedire che questi eventi siano usati come pretesto per scatenare una nuova guerra sproporzionata contro i civili palestinesi a Gaza». La dichiarazione ha riaffermato la «posizione coerente del Qatar a sostegno della causa palestinese e dei diritti legittimi del popolo palestinese, compresa la creazione di uno Stato indipendente sulla base dei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale».
  • L’Iraq ha rilasciato una dichiarazione che «afferma la sua ferma posizione, come popolo e governo, sulla questione palestinese, e che sostiene il popolo palestinese nella realizzazione delle sue aspirazioni e nell’ottenimento dei suoi pieni diritti legittimi, e che l’ingiustizia e l’usurpazione di questi diritti non possono produrre una pace duratura».
  • La Siria, attraverso il Ministero degli Affari Esteri, ha descritto l’operazione di Hamas come «un successo onorevole che dimostra che l’unico modo per i palestinesi di ottenere i loro diritti legittimi è la resistenza in tutte le sue forme». La Siria ha anche espresso il suo «sostegno» al popolo palestinese e alle forze che «combattono il terrorismo sionista».
  • In Yemen i ribelli Houthi, alleati dell’Iran, che controllano la capitale Sanaa, hanno dichiarato di sostenere «l’eroica operazione dei jihadisti palestinesi [che] ha rivelato la debolezza, la fragilità e l’impotenza di Israele».
  • Il Soudan, che era stato criticato da Hamas per la partecipazione agli accordi di Abramo, ha sostenuto esplicitamente l’organizzazione terrorista: «Il Sudan rinnova il suo sostegno ai legittimi diritti del popolo palestinese in un suo Stato indipendente e chiede un impegno a favore dell’applicazione delle decisioni internazionali e della protezione dei civili innocenti», ha dichiarato il ministero sudanese degli Esteri in un comunicato
  • Anche il ministero afghano degli Esteri, governato dai Talebani, ha espresso il suo sostegno alla Palestina e ha qualificato l’attacco di Hamas come «calpestamento israeliano» dei diritti dei palestinesi. In un comunicato stampa ufficiale del ministero, possiamo leggere «L’Emirato islamico di Afghanistan ha seguito con attenzione i recenti sviluppi nella Striscia di Gaza e considera l’evento come una violazione dei diritti dei Palestinesi

Nessuna posizione: un non allineamento passivo e attendista 

Lo stupore e la sorpresa possono spiegare la mancanza di posizionament di un gran numero di Paesi in tutto il mondo fino a ieri sera, in particolare in Africa e in Asia.

L’Africa resta per il momento il continente con meno posizionamenti noti:

  • Si noti : Il Burkina Faso ha condannato in un primo momento gli attacchi, prima di ritrattare, adducendo la ragione di un attacco informatico

Anche se abbiamo deciso di non mappare questo posizionamento per il momento, bisogna notare il mancato pronunciarsi di Cina, Sudan e Sudafrica 

Questa neutralità passiva dovrà essere analizzata in modo più proattivo quando la guerra entrerà nella sua seconda fase. Ancora una volta, però, indica che la convergenza occidentale non è in grado di mobilitare il mondo, tutt’altro.

Note
  1. Khabar Online, «Prima reazione iraniana», 07 ottobre 2023.