L’inaugurazione della mostra “Napoli a Parigi” al Musée du Louvre da parte dei Presidenti Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron ha rilanciato il simbolismo positivo della diplomazia culturale. Nel maggio 2019, il presidente italiano era andato in visita di Stato ad Amboise in occasione del 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci – un segno tangibile di distensione in un momento in cui, a partire dalla primavera del 2018, il clima tra i due esecutivi era particolarmente teso. Leonardo da Vinci e la Gioconda hanno sempre rappresentato un patrimonio rivendicato da entrambi i Paesi, un fatto che ha talvolta suscitato risentimento in Italia. Oggi, è intorno ai tesori di Capodimonte, il grande museo napoletano della pittura erede della sontuosa collezione Farnese, che si ripete questo esercizio, alla presenza del suo direttore francese Sylvain Bellenger e del ministro italiano della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Da un lato, Sylvain Bellenger rappresenta la tanto criticata categoria degli amministratori “stranieri” delle istituzioni culturali italiane; dall’altro, poche settimane fa il ministro italiano ha presentato alla direzione del Musée du Louvre un elenco di opere custodite da musei francesi di cui l’Italia chiede la restituzione – una richiesta ricorrente da parte degli italiani, che hanno spesso stigmatizzato la «furia francese», ovvero le spoliazioni di opere d’arte compiute dalle armate napoleoniche durante le campagne d’Italia tra il 1797 e il 1815. Questo evento, che celebra l’amicizia culturale tra Napoli e Parigi, assume una serie di significati contraddittori nel contesto franco-italiano ed è quindi un esempio della natura estremamente delicata di questo rapporto.
Le relazioni tra Francia e Italia continuano ad avere alti e bassi. La questione migratoria rimane in cima all’agenda dei due Paesi, con un susseguirsi di scontri che spesso si inaspriscono. A fronte di crisi ripetute, assistiamo a un fenomeno inedito: la configurazione di un perenne stato di crisi tra Parigi e Roma. Questa lettura potrebbe sembrare controintuitiva: per molto tempo, le relazioni bilaterali tra Francia e Italia sono state per definizione amichevoli, senza una vera e propria messa in discussione della qualità di questa prossimità. Invertire la prospettiva, cioè evidenziare lo stato di crisi come la nuova normalità delle relazioni bilaterali, può essere oggi un modo efficace per compiere una diagnosi informata, un prerequisito per migliorare le relazioni bilaterali.
L’accelerazione dei cicli di crisi
L’inizio del XXI secolo è stato segnato da un numero crescente di crisi tra Parigi e Roma.
Nel 2001, l’Opa su Edison da parte di EDF provocò una reazione piuttosto forte del governo italiano, che adottò un decreto per bloccare i diritti di voto del produttore francese di elettricità nella nuova società. Questo passaggio non fu affatto un epifenomeno, al contrario, ha avuto un effetto strutturante in un momento in cui la creazione di un mercato interno europeo sulla scia dell’Atto Unico Europeo del 1986 stava trasformando e aprendo mercati degli Stati membri. Nel caso dell’Italia, il quasi fallimento dello Stato a seguito della crisi del 1992 ha rappresentato un fattore ulteriore nella volontà di accelerare le riforme interne, riducendo il peso del pubblico in alcuni settori e aprendo il mercato a vantaggio dei consumatori.
Di conseguenza, settori strategici come quello bancario, assicurativo, delle telecomunicazioni e dell’energia sono apparsi presto come opportunità per gli investitori, il che spiega la crescente presenza di grandi gruppi francesi nell’economia italiana. Dall’inizio degli anni duemila gli investimenti diretti sono entrati in una nuova fase, coinvolgendo talvolta gruppi la cui partecipazione pubblica implica il controllo degli Stati, un ulteriore fattore di complicazione. Il rifiuto del governo italiano all’OPA di EDF nel 2001 è stato quindi il primo ostacolo bilaterale nel contesto dell’integrazione del mercato. Altri dossier, come l’offerta di acquisto di Suez da parte di Enel e Veolia, fallita nel 2006, o il fiasco dell’acquisizione di STX France (Chantiers de l’Atlantique) da parte di Fincantieri nel 2017, mostrano bene le difficoltà ricorrenti tra Parigi e Roma. Vale anche la pena di ricordare come investimenti in teoria molto meno problematici, come le acquisizioni di marchi italiani del lusso da parte di LVMH o Kering, o l’acquisizione di Parmalat da parte del gruppo francese Lactalis nel 2011, abbiano sollevato parecchie polemiche in Italia, spesso generando una forte mobilitazione di forze politiche pronte a segnalare i pericoli di una forma di invasione in nome di un certo patriottismo economico.
Queste operazioni di investimento presentano tutte importanti aspetti politici e simbolici, in quanto coinvolgono la questione dell’identità nazionale associata ai marchi. È quindi importante tenere presente il carattere strategico e delicato della gestione di queste questioni economiche e industriali tra Francia e Italia. Accanto alla politica economica, le questioni relative alla sponda meridionale del Mediterraneo sono un altro punto di tensione ricorrente.
Il flusso di migranti dal Canale di Sicilia è attualmente al centro delle tensioni bilaterali. Ma la profondità storica di questa questione era già evidente nel 2011 quando, nel contesto della Primavera araba, l’Italia iniziò a vedere sbarcare sulle coste siciliane migranti provenienti dalla Tunisia. Per Roma questo problema ha sempre avuto due aspetti: la gestione dei flussi migratori in sé, ma anche la necessità di promuovere forme di stabilità nelle aree di origine e di transito, in particolare nel Sahara. Va inoltre ricordato che nel 2011 emerge un profondo dissenso tra Parigi e Roma sulla necessità di un intervento in Libia, un tema sul quale le due capitali sono state a lungo disallineate, se non addirittura rivali. Per lungo tempo, l’Italia ha accusato la Francia di aver accelerato la fine del regime di Muammar Gheddafi senza preoccuparsi delle conseguenze per la regione, facendo pagare all’Italia il prezzo di questo “cambio di regime”. L’Italia stessa ha a lungo considerato la Libia come una riserva economica, un riflesso che è utile tenere in mente per comprendere la posizione di Roma su questo tema.
Anche queste questioni relative alla politica estera si ripresentano ciclicamente dal 2011 e sembrano costituire fattori negativi caratteristici della relazione bilaterale. Durante l’estate 2017, la messa in discussione dell’accordo STX/Fincantieri da un lato e le incomprensioni sulla gestione del dossier libico nel contesto dell’organizzazione della conferenza di Celle Saint-Cloud dall’altro, hanno rappresentato due fattori di blocco difficili da gestire nonostante l’apparente buona intesa tra il governo Gentiloni e la presidenza Macron.
È proprio in questo contesto che al vertice bilaterale di Lione del settembre 2017 è lanciata l’idea di un trattato bilaterale per far progredire le relazioni tra i due Paesi. L’idea sottostante è che le due diplomazie necessitino di un quadro più strutturato per progredire nel rapporto bilaterale e di uno strumento per porre rimedio alle crisi cicliche.
Per molti aspetti, l’arrivo al potere dell’esecutivo Conte dopo le elezioni legislative del 2018 in Italia segna il punto culminante di questo stato di crisi. Certo, il contesto è peculiare, perché la relazione è segnata dalla contrapposizione politica tra la presidenza Macron e il governo M5S/Lega, con uno scenario di forte competizione tra il presidente francese e Matteo Salvini, il leader della Lega che allora ricopriva la carica di ministro dell’Interno. Nel contesto delle elezioni europee, i due leader politici si ostracizzano a vicenda, aumentando la tensione tra le due capitali. Certo, si tratta di un dissenso politico eclatante, che alimenta una crisi bilaterale che si concluderà solo quando il Parlamento italiano cambierà coalizione di governo nel settembre 2019. Ma attribuire troppo peso alla dimensione politica sarebbe un errore di analisi: gli alterchi sulla questione migratoria erano iniziati nel marzo 2018, quando il governo Gentiloni aveva convocato l’ambasciatore Christian Masset per il controllo effettuato da dei doganieri francesi a Bardonecchia. La crisi del 2018-2019 ha soltanto esacerbato attriti già presenti.
Nel 2021, l’intesa tra Emmanuel Macron e il tandem formato da Mario Draghi e Sergio Mattarella ha portato a una tregua nelle relazioni bilaterali. Questo periodo grande intesa tra i due vertici governativi ha fornito il quadro per la stesura e l’adozione del Trattato del Quirinale, un meccanismo che si ispira ai trattati franco-tedeschi, sviluppa l’istituzionalizzazione delle relazioni bilaterali e determina un miglioramento degli strumenti di governance nel contesto franco-italiano. Tuttavia, questa fase di miglioramento dei rapporti ha rappresentato solo una tregua: a partire dall’insediamento del governo Meloni, la percezione di essere di fronte a una nuova crisi è tornata con prepotenza.
Una crisi perpetua?
L’arrivo al potere di Giorgia Meloni ha riacceso la crisi bilaterale. Più o meno come nel 2018-2019, la questione della gestione dei flussi migratori è tornata prepotentemente a essere il punto principale del dissenso tra Parigi e Roma. Nel settembre 2022, è stata la questione dell’accoglienza della nave Ocean Viking a causare tensioni, mentre nel maggio 2023 le critiche del ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin alla gestione del fenomeno migratorio da parte del governo italiano sono state percepite come un nuovo attacco all’Italia. Detto ciò, non basta constatare uno stato di crisi permanente. Occorre illustrare come e perché queste crisi persistono. Da questo punto di vista, la questione migratoria appare centrale e particolarmente spinosa.
È importante ricordare fin da subito che esistono dei parallelismi tra Francia e Italia. Il rifiuto dell’immigrazione è un tema emerso nel dibattito politico francese negli anni Ottanta, in particolare con laffermazione del Front National alle elezioni comunali del 1983. In Italia è un fenomeno più recente, che ha avuto grande risonanza durante la campagna per le elezioni politiche del 2018, quando la Lega ha fatto della lotta all’immigrazione una delle sue principali priorità. In entrambi i paesi, assistiamo a posizioni politiche che legano l’immigrazione e l’insicurezza. Anche se la cronologia è diversa, l’ascesa di queste agende politiche definisce oggi una situazione comparabile tra Francia e Italia, in cui alcune forze politiche strutturano la loro presenza pubblica proponendo forme di limitazione o di rifiuto della presenza degli stranieri sul suolo nazionale. La comparsa più recente di questo tipo di posizioni in Italia non deve indurre a sottovalutare il fenomeno: queste rivendicazioni di rifiuto si rafforzano non appena le prime ondate di immigrati si integrano. Questi programmi politici si pongono quindi come risposta tanto a un problema storico – quello dell’integrazione delle passate ondate migratorie – quanto a un problema contemporaneo – quello della gestione dei nuovi arrivi.
Siamo di fronte a due richieste parallele e forti, il cui significato va ben oltre la semplice richiesta di fermare l’immigrazione clandestina. Questo aspetto dell’eufemizzazione politica della questione migratoria non è trascurabile, perché ci permette di evidenziare la delicatezza del tema e di spiegare perché questo elemento sembra essere centrale nella spirale di crisi che stiamo osservando. Entrambi i Paesi stanno vivendo tensioni interne sulle questioni migratorie e demografiche, divisi tra il bisogno di manodopera e il rifiuto dell’immigrazione dall’altro. A ciò si aggiungono le difficoltà causate dalle divergenze di opinione sulla riforma dell’accoglienza dei migranti a livello europeo, con l’Italia che chiede una revisione dell’attuale sistema per non dover affrontare da sola gli sbarchi sulle sue coste; senza contare le ricorrenti forme di strumentalizzazione della questione migratoria in politica interna, che contribuiscono a riaccendere le tensioni ogni volta che l’argomento torna in primo piano.
Per evitare gli scossoni provocati dalle dichiarazioni di condanna reciproca, occorre raggiungere un livello di fiducia e una forma di amicizia e cortesia che sembrano essere piuttosto rari nel contesto franco-italiano e che potrebbero non corrispondere più all’attuale ciclo di iper-reattività politica e mediatica che tende a fare dell’urgenza, e quindi della crisi, una nuova normalità.
La politicizzazione nel contesto europeo: un fattore ormai ricorrente
Tradizionalmente, l’Italia è sempre stata estremamente sensibile alle posizioni espresse dalla Francia, mentre Parigi ha tradizionalmente mostrato una certa indifferenza nei confronti di Roma. A questo quadro già problematico si è ora aggiunta un’ulteriore forma di pressione derivante dalla politicizzazione delle questioni in gioco in ambito europeo.
Già durante la precedente crisi, ovvero nel 2018-2019, la relazione bilaterale è stata inglobata nelle questioni in gioco nella campagna elettorale per le elezioni europee del 2019. All’epoca, il partito del presidente Emmanuel Macron cercava di tradurre nell’arena europea lo slancio che lo aveva portato al potere in Francia, affermandosi come principale alternativa ai partiti sovranisti, in contrasto con leader come Viktor Orban e Matteo Salvini. Le numerose diatribe e la stigmatizzazione reciproca tra Emmanuel Macron e Matteo Salvini erano un riflesso diretto di questa competizione europea. È logico che questo alto grado di personalizzazione e politicizzazione si ripercuota negativamente sulle relazioni bilaterali.
Nel 2023, la competizione legata alla campagna per le elezioni europee del 2024 è tornata, seppure con alcune importanti sfumature. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato l’intenzione di portare il gruppo dei Conservatori europei in un’alleanza con il PPE, che potenzialmente potrebbe spostare il baricentro dell’emiciclo di Strasburgo molto a destra. È un’operazione che crea concorrenza al gruppo Renew Europe, di cui fanno parte gli europarlamentari francesi del partito Renaissance, che rappresentano una visione centrista sfavorevole a uno spostamento a destra della maggioranza che governa l’Unione. Ci troviamo in uno scenario di contrapposizione politica, che può dunque spiegare alcune prese di distanza, ma le sue premesse sono diverso da quello del 2018 e dalla contrapposizione tra Macron e la Lega di Matteo Salvini, alleata del Rassemblement National.
A questa rivalità si aggiungono altre complessità. l’attuale coalizione di destra italiana comprende tre partiti – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – con radici europee non comuni, che vanno dal PPE per Forza Italia a Identità e Democrazia, in cui siede la Lega. Dall’esterno, le forze che compongono la maggioranza italiana possono essere viste come espressione di visioni talvolta contraddittorie rispetto alle aspirazioni e alle fedeltà europee, il che rende difficile esprimere giudizi complessivi. Nel contesto francese, il ciclo elettorale europeo è invece influenzato dal successivo ciclo elettorale presidenziale, in cui l’impossibilità di Emmanuel Macron di ricandidarsi sta creando una forte competizione contro Marine Le Pen, che al momento viene presentata come favorita al secondo turno.
Le ripetute critiche di Gérald Darmanin al governo di Giorgia Meloni si spiegano in gran parte con la volontà di ridimensionare il Rassemblement National, ma questo atteggiamento alimenta in Italia un sentimento antifrancese che non aspetta altro per manifestarsi.
Da parte francese sembra emergere una duplice linea: quella espressa dal ministero degli Affari Esteri, ma anche dalla Presidenza della Repubblica, che mira a mantenere un rapporto stabile con l’Italia; e quella del ministro dell’Interno, che preme sull’acceleratore della politicizzazione e quindi della critica in vista delle scadenze elettorali.
Anche nel contesto italiano abbiamo questi approcci differenziati: mentre Matteo Salvini rimane in prima linea nella critica alla Francia, Giorgia Meloni assume posizioni certo nazionaliste ma dimostra una disponibilità al dialogo nel contesto europeo, che corrisponde anche alla sua strategia di legittimazione in vista delle elezioni del Parlamento europeo. Anche in questo caso, un certo grado di competizione tra i diversi partiti che compongono la coalizione italiana contribuisce a creare forme di protagonismo nell’affermare la posizione italiana, in particolare nei confronti della Francia.
La crisi perpetua: una forma di optimum relativo?
Abbiamo esaminato i fattori strutturali che determinano lo stato di crisi tra Francia e Italia. Questa constatazione implica che la relazione sia destinata a fallire? Probabilmente no, per una serie di ragioni.
Lo stato di crisi tra Francia e Italia può essere visto come fisiologico, perché riflette la crescente integrazione tra i due Stati membri e l’importanza delle percezioni storiche che determinano, soprattutto da parte italiana, una coscienza critica del rapporto bilaterale. Il moltiplicarsi delle frizioni è un segno dell’intensità dei problemi comuni che determinano la crescita di questioni trasversali difficili da gestire a livello bilaterale. A questo proposito, la relazione franco-tedesca ci fornisce la prova della grande necessità di istituzionalizzare il rapporto per far fronte alla potenza delle dinamiche integrate. Da parte franco-tedesca, il desiderio di riconciliazione tra ex nemici ha costituito la ragion d’essere del progetto di Trattato dell’Eliseo. Questo aspetto non esiste nel contesto franco-italiano, ma la firma del Trattato del Quirinale indica comunque l’importanza di una gestione crescente e concertata delle relazioni bilaterali.
Inoltre, anche se le relazioni tra la presidenza Macron e il governo Meloni sono segnate da freddezza, con momenti di stallo, il Trattato del Quirinale ha iniziato a funzionare. I Ministeri degli Esteri, della Difesa e dell’Industria hanno istituito nuovi organismi per approfondire la conoscenza reciproca e gli scenari di cooperazione, e questo lavoro, che si svolge un po’ sottotraccia, ha già dimostrato la sua validità. La parte più simbolica del Trattato del Quirinale, come quella che prevede la partecipazione incrociata ai rispettivi Consigli dei ministri, è invece attualmente bloccata, ed è dal 2021 non viene organizzato alcun vertice bilaterale franco-italiano tra i capi di governo e i loro ministri, il che rafforza la diagnosi di una crisi istituzionale. Tuttavia, la continua implementazione di meccanismi di scambio e collaborazione indica la necessità di questi strumenti per migliorare la governance bilaterale.
Infine, vale la pena ricordare come le percezioni associate alle relazioni bilaterali in passato si siano rivelate piuttosto problematiche. La retorica delle “nazioni sorelle” o dei “popoli cugini” veicola immagini che spesso fanno sprofondare la relazione bilaterale in un cliché culturale controproducente, un prisma che impedisce di mettere in luce le vere questioni in gioco. La consapevolezza della crisi perpetua impone di voltare pagina: quella di una visione francese troppo accondiscendente nella sua apparente stima dell’Italia, ma anche quella di una visione italiana paranoica nei confronti della Francia, un riflesso che alimenta un sentimento negativo nei confronti di Parigi.
La diagnosi della crisi perpetua può aiutare a tenere conto di tutti questi elementi strutturanti e spesso contraddittori, e ad affrontare nel modo giusto un rapporto bilaterale complesso. Si tratta di un passo fondamentale nel contesto di un’Europa nuovamente in movimento, all’interno della quale gli interessi geopolitici di Francia e Italia sono sostanzialmente convergenti. Questa constatazione corrisponde a una visione conservatrice, perché parte dal principio che l’attuale sistema rimanga stabile.
Tuttavia, se adottiamo un approccio più riformatore, possiamo considerare che i sistemi politici nazionali tradizionali sono oggi in difficoltà quando si tratta di gestire le dinamiche dell’integrazione a diversi livelli. Nel caso della relazione bilaterale franco-italiana, abbiamo a che fare con un’integrazione profonda, che sta portando a cambiamenti nella società e nello spazio franco-italiano, in fase di ibridazione, e che mal si concilia con i giochi politici degli Stati, che sembrano ormai operare con uno schema obsoleto di rappresentanza nazionale degli interessi. Si pone quindi il problema di trovare forme istituzionali più adeguate. È certamente paradossale porre questa diagnosi in cui i livelli nazionali appaiono inadeguati, mentre si assiste a una crescita dei temi sovranisti che esprimono anche un ritorno al nazionalismo. Ma dobbiamo anche riconoscere le aporie dell’attuale rapporto bilaterale, in cui la politicizzazione delle questioni porta a degli impasse.
Il rapporto dell’Italia con la Francia e quello della Francia con l’Italia sono temi sempre più difficili da classificare nella categoria di politica estera. Di conseguenza, si assiste a fenomeni di politicizzazione trasversale che alimentano le posizioni partigiane quando un parlamentare francese critica il governo italiano – e viceversa. Si tratta di un fenomeno in aumento, ma che illustra anche la ristrettezza del quadro attuale: è legittimo che le espressioni politiche francesi o italiane si oppongano a progetti o personalità politiche su base transfrontaliera e partitica, ma il gioco politico europeo rimane embrionale, con un Parlamento europeo relativamente debole rispetto alle arene nazionali. La politicizzazione trasversale dei riferimenti bilaterali è in questo senso, probabilmente, una forma di specificità franco-italiana, che si appoggia all’europeizzazione della politica nazionale comunque in corso in diversi Paesi dell’UE.
Si pone quindi la questione della necessaria evoluzione delle democrazie europee. Le risposte non possono che essere plurali. Il Trattato del Quirinale rappresenta un passo significativo verso l’istituzionalizzazione delle relazioni bilaterali. Anche se questo meccanismo non funziona in tutte le sue sfaccettature, resta uno strumento necessario che dovrebbe permettere al sistema di crescere.
In questo contesto, è utile anche formulare un punto più europeo. È stata spesso sollevata la necessità di una risposta europea alla crisi di sovranità per aumentare l’influenza dell’Unione europea nel contesto della globalizzazione. La crisi di sovranità è anche uno dei fattori invocati dai sostenitori della riaffermazione del livello nazionale, e qui vediamo emergere un altro tipo di esigenza, quella dell’ibridazione tra le società francesi e italiane, di cui i cittadini con doppia cittadinanza rappresentano la punta dell’iceberg in un contesto di fortissima dinamica di integrazione nel settore economico. Le crescenti difficoltà che i sistemi politici degli Stati membri stanno incontrando non devono indurre a conclusioni semplicistiche: non è auspicabile la loro scomparsa a favore di un balzo in avanti del federalismo, così come appare irrealistico immaginare che la formula nazionale sia da sola in grado di risolvere l’enigma al quale siamo confrontati. È ragionevole pensare che la forza dell’integrazione sia tale da imporre forme di innovazione istituzionale capaci di gestire le differenze tra le istanze. Per farlo, bisogna rispondere all’imperativo di strutturare lo spazio politico interno. Si tratta di uno sviluppo di portata generale, ma che riguarda soprattutto le relazioni bilaterali franco-italiane. È un caso da manuale di necessità di riforma nel cuore dell’Unione.