Abbonatevi alla nostra newsletter per rimanere aggiornati sul lancio de “Il Grand Continent” in italiano

Si è verificato un errore
Iscrizione avvenuta con successo.
Key Points
  • Il tema della Munich Security Conference di quest’anno è significativo: “Beyond Westlessness”. Dopo Trump, gli snodi di potere occidentali e il rapporto transatlantico sono tornati a essere considerati cruciali per superare le crisi.
  • Gli interventi in diretta di Joe Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno mostrato un Occidente che si muove con tre diverse velocità rispetto all’atlantismo: per Biden, accelerazione senza deviazioni; per Merkel, decelerazione senza deviazioni; e per Macron, accelerazione con deviazioni.
  • Questa geometria a tre velocità è decisiva per interpretare l’evoluzione geopolitica dell’Occidente, ed è in base a essa che gli altri player europei/occidentali dovranno orientarsi nel futuro più prossimo.

Alle 17:17 di venerdì 19 febbraio, sugli schermi della prima edizione completamente digitale della Munich Security Conference sono comparsi contemporaneamente Joe Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron. I tre leader hanno poi fatto ciascuno un intervento in diretta, presentati da un entusiasta Wolfgang Ischinger (ex ambasciatore tedesco negli USA e chairman della Conferenza dal 2008). 

Lo scorso anno il tema-titolo della Conferenza di Monaco di Baviera era stato “Westlessness”, “Senza occidente”. Una formula che criticava la rinuncia trumpiana al multilateralismo liberale, ma che conteneva inevitabilmente anche l’ammissione di un mondo in cui l’egemonia occidentale sembra in perpetua erosione. Quest’anno, tuttavia, il titolo della Conferenza si è trasformato in un significativo “Beyond Westlessness”. Dopo la tempesta del 2020, gli snodi di potere occidentali e il rapporto transatlantico sono tornati a essere considerati cruciali per superare una “polipandemia” di crisi (come l’ha definita il paper introduttivo della stessa Conferenza). 

Gli interventi dei tre leader di USA, Germania e Francia, però, hanno mostrato un Occidente che si muove oggi con tre diverse velocità. Laddove la diversa velocità, nell’impatto con gli eventi di un mondo in veloce trasformazione, diventa anche possibilità di deviazione rispetto all’atlantismo così com’è inteso dall’attore principale, gli Stati Uniti. 

Biden: accelerazione senza deviazioni

Joe Biden è intervenuto a Monaco con un discorso che ha soddisfatto certamente le aspettative e le speranze dei decision-maker europei più atlantisti. Biden ha dichiarato: “America is back. The transatlantic alliance is back. And we are not looking backward, we are looking forward together.” Il riferimento a un’alleanza che “non guarda indietro, ma avanti” ha puntato chiaramente a non promettere una mera restaurazione delle relazioni transatlantiche dopo quattro anni di imprevedibilità trumpiana. 

Una fase di restaurazione e riparazione, però, è ugualmente da dove Biden dovrà ripartire. Lo hanno mostrato le dichiarazioni del Presidente USA sulla certezza dell’articolo 5 del patto NATO ed espressioni suggestive come: “The United States will work closely with our European Union partners in the capitals across the continent, from Rome to Riga, to meet the range of shared challenges we face.” Biden ha così sostanzialmente confermato di voler riprendere da dove si era fermata l’amministrazione Obama. Ma, proprio per questo, ha automaticamente ribadito che riprenderà in mano anche dossier comunque molto complessi per il futuro dell’alleanza atlantica. Se la direzione strategica di Washington non verrà modificata rispetto ai piani geopolitici pre-trumpiani, ci sarà però prima o poi un’accelerazione. “Guardare avanti insieme” nel quadro di una “alleanza delle democrazie” con l’Europa significherà infatti avanzare nel confronto diretto con Russia e, soprattutto, Cina. 

Il riferimento a un’alleanza che “non guarda indietro, ma avanti” ha puntato chiaramente a non promettere una mera restaurazione delle relazioni transatlantiche dopo quattro anni di imprevedibilità trumpiana. 

lorenzo monfregola

Sulla Russia Biden non ha risparmiato dure parole di condanna, citando l’Ucraina e la volontà di Mosca di volersi “immischiare nell’Occidente” (anche con operazioni di hacking digitale). Il riferimento a un’UE da “Roma a Riga”, del resto, può essere anche letto come una risposta diretta a quel “da Lisbona a Vladivostok” che per alcuni anni ha contraddistinto i sogni euroasiatici del Cremlino. Sulla Cina, Biden è stato ancora più chiaro: “We must prepare together for long-term strategic competition with China”, dove la parola più importante è probabilmente, e di nuovo, proprio quel “together”. La competizione con la Cina sarà “stiff”, severa, e l’UE è chiamata a seguire Washington nello svolgersi di questo scontro epocale.

Da una parte, nel suo intervento Biden non ha quindi direttamente citato i dossier più scomodi (CAI, Nord Stream) e ha voluto comunque celebrare il ritorno di un dialogo transatlantico non più sabotato dal trumpismo. Ma, dall’altra parte, la direzione inevitabile delle richieste di Washington a Berlino, Parigi, Bruxelles e altre capitali è stata presentata molto chiaramente. La domanda rimane ora quanto queste richieste possano arrivare in profondità in Europa e quanto, sul lungo periodo, possano essere sostenibili. Se Joe Biden è infatti un rappresentante di una solida tradizione transatlantica novecentesca, chi lo seguirà, al di là dello specifico orientamento politico, potrà già avere una Weltanschauung neo-americana meno pronta e meno capace di riformulare il legame con l’Europa.

Merkel: decelerazione senza deviazioni

Dopo Biden è intervenuta virtualmente Angela Merkel. Merkel ha ringraziato apertamente Biden per aver rafforzato di nuovo quel multilateralismo che è “la base di ogni attività politica” e la cui necessità è stata di nuovo dimostrata dalla pandemia. Se sulla forma tradizionale dell’atlantismo Berlino non sembra ancora pronta o desiderosa di voler fare alcuna particolare deviazione, la Kanzlerin ha però confermato la propria propensione a decelerare le conflittualità tra lo stesso asse atlantico e i grandi player extra-occidentali, Russia e Cina. 

Se sulla forma tradizionale dell’atlantismo Berlino non sembra ancora pronta o desiderosa di voler fare alcuna particolare deviazione, la Kanzlerin ha però confermato la propria propensione a decelerare le conflittualità tra lo stesso asse atlantico e i grandi player extra-occidentali, Russia e Cina. 

lorenzo monfregola

Sulla Russia la Kanzlerin ha detto di condividere le preoccupazioni di Biden sull’Ucraina e sulla volontà russa di destabilizzare l’UE, ma anche ripetuto la necessità di “offrire cooperazione” nel confronto con Mosca. Soprattutto sulla Cina (che è da più di 4 anni il maggiore trading partner della Germania), Merkel ha poi letteralmente tirato il freno a mano: “La Cina, da un lato, è un concorrente, ma dall’altro abbiamo bisogno della Cina per risolvere problemi globali come il cambiamento climatico, la biodiversità e altri”. Merkel ha così rimesso sul tavolo il grande interrogativo su quale potrà essere il futuro geopolitico della Germania, analizzando tutte le questioni più importanti (Africa, Siria, Afghanistan, Libia, Iran, Ucraina), senza peró dare particolari indicazioni su quale potrà essere complessivamente la tabella di marcia tedesca (considerando anche l’uscita di scena della stessa Cancelliera). Sembra che il futuro prossimo della politica estera tedesca sarà fatto ancora ulteriormente di piccoli passi, nel pieno rispetto del modello della cautela strategica merkeliana. 

Su temi come il Nord Stream 2, ad esempio, potrebbe essere trovato un accordo di de-escalation con Washington con una clausola che salvaguardi l’Ucraina. Ma sul lungo periodo, dossier come quello cinese saranno sempre più scottanti. Non è del resto un caso che Merkel abbia inserito la necessità di confrontarsi con la Cina nel quadro della lotta al cambiamento climatico. Se è vero che proprio il new green deal potrà strutturare e ricompattare l’asse transatlantico, allora nessuno, nemmeno Washington, potrà nemmeno rifiutare totalmente un approccio globale e formalmente ecumenico al dossier climate change. In questo senso, però, Pechino sembra già più che pronta a usare precisamente l’enorme sfida produttiva della conversione ambientale per disturbare in maniera strutturale i rapporti tra Berlino/UE e Washington.

Macron: accelerazione con deviazioni

Se Biden ha aperto l’accelerazione di un percorso già esistente e Angela Merkel ha tatticamente cercato di decelerarla, Emmanuel Macron ha invece colto l’occasione del suo intervento alla Conferenza di Monaco per ribadire uno specifico posizionamento francese. Posizionamento che può essere riassunto in un’accettazione/assorbimento dell’accelerazione, ma con una conseguente deviazione. Parigi non frena infatti le urgenze espresse dagli USA come fa Merkel, ma le rimodula in base alla propria spinta strategica. Sul tema della difesa, ad esempio, Macron ha dichiarato con soddisfazione che la Francia supererà a breve l’investimento in difesa del 2% del proprio PIL, rispettando così le richieste NATO. 

Parigi non frena le urgenze espresse dagli USA come fa Merkel, ma le rimodula in base alla propria spinta strategica. Al tempo stesso questo sforzo è però anche orientato verso una specifica autonomia, all’interno di “un’agenda che non è totalmente differente ma forse non ha lo stesso livello di priorità” con gli USA.

LORENZO MONFREGOLA

Al tempo stesso questo sforzo è però anche orientato verso una specifica autonomia, all’interno di “un’agenda che non è totalmente differente ma forse non ha lo stesso livello di priorità” con gli USA. Se Biden ha parlato duramente di Russia, Macron ha subito risposto di ritenere necessario un dialogo con Mosca per una nuova architettura di sicurezza della NATO. E in merito alle “common challenges” citate dal Presidente USA, Macron ha ignorato il dossier Ucraina e le ha reindirizzate nelle aree di maggiore interesse franco-europeo: “in Africa, nel Medio Oriente”, aggiungendo poi il Sahel (dove è in corso la missione francese), la Siria, il Nagorno Karabakh, la Libia (scenari in cui Parigi vede anche l’ostile presenza di un alleato-nemico NATO come la Turchia). La stessa insistenza di Macron sulla necessità di aiutare l’Africa con una campagna vaccinale per il personale sanitario del continente è rientrata chiaramente in un’urgenza geopolitica immediatamente euro-mediterranea. 

Citando apertamente il re-focus americano sul Pacifico, Macron ha poi ribadito la necessità che l’Europa si “faccia carico della sua stessa protezione”, aggiungendo poi: “se siamo troppo dipendenti dagli USA nella NATO, possiamo metterci nella situazione di non essere più protetti ai nostri confini. E abbiamo già vissuto questa situazione nel 2013, de facto, in Siria”. 

Se quindi il Presidente francese Macron ha ripetuto “I do believe in NATO” e ha affermato la compatibilità dell’alleanza con una nuova autonomia strategica europea, è chiaro che Parigi (molto più di Berlino) continuerà a prevedere anche una deviazione da quella che è la traiettoria idealmente immaginata da Washington. Non si tratterebbe in effetti di una deviazione se si considera la storica autonomia francese, ma sarà una deviazione se la specifica indipendenza francese potrà ora influire molto di più sui rapporti transatlantici dell’intera UE. La cosiddetta autonomia strategica immaginata a Parigi può infatti essere intesa come l’europeizzazione della già storica autonomia francese, con tutto quello che ne consegue.

Oggi sono e restano principalmente quelle espresse da Joe Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron le tre velocità decisive per interpretare l’evoluzione geopolitica dell’Occidente. Ed è in riferimento a questa geometria a tre velocità che gli altri player europei/occidentali potranno e dovranno orientarsi nel futuro più prossimo.

LORENZO MONFREGOLA

Che velocità e/o direzioni di Berlino e Parigi siano comunque diverse da quelle di Washington è stato infine reso evidente dal successivo intervento (in solitaria) di Boris Johnson alla Conferenza. Il premier britannico ha mostrato esattamente cosa significhi invece un allineamento strategico quasi completo all’attuale declinazione atlantica USA, sia nel recupero della tradizione sia nell’attualizzazione tattica di fronte ai rivali extra-occidentali. 

Oggi sono e restano quindi principalmente quelle espresse da Joe Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron le tre velocità decisive per interpretare l’evoluzione geopolitica dell’Occidente. Ed è in riferimento a questa geometria a tre velocità che gli altri player europei/occidentali potranno e dovranno orientarsi nel futuro più prossimo.