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Per più di tre decenni, le politiche fiscali dei paesi membri dell’Unione Europea (UE) sono state vincolate da regole sempre più complesse costruite intorno a obiettivi comuni di debito e deficit, note come Patto di Stabilità e Crescita. Per far fronte allo choc storico derivato dalla pandemia COVID-19, l’UE ha sospeso queste regole almeno fino alla fine del 2021 1. C’è un ampio consenso sul fatto che le regole dovranno essere riformate prima di essere ripristinate — a causa degli elevati livelli di debito contratti durante la pandemia, ma anche per affrontare i loro difetti di lunga data.
In un working paper del PIIE proponiamo un approccio diverso. Se il quadro delle regole dell’Unione può essere migliorato, il suo principale problema risiede nel fatto di concepire delle regole fiscali che non variano in funzione del tempo o della diversità dei paesi. Nessuna regola può veramente adattarsi alla diversità delle situazioni possibili, incluso il fatto che molti scenari futuri sono impossibili da prevedere. Il nostro testo propone quindi di scartare le regole fiscali in favore di standard fiscali – prescrizioni qualitative che lasciano spazio alla valutazione – in aggiunta a un processo per far rispettare gli standard.
I limiti di una riforma graduale
Il ruolo delle regole fiscali a livello europeo è fondamentalmente diverso da quello delle regole fiscali nazionali. Le regole fiscali nazionali esistono per aiutare i paesi a raggiungere gli obiettivi di politica fiscale che essi stessi si sono prefissati. In contrasto, l’unico scopo delle regole o degli standard fiscali dell’Unione dovrebbe essere quello di assicurarsi che il debito di ogni paese rimanga stabile al fine di ridurre il rischio di ripercussioni tra stati membri. Finché che ciò è assicurato, i paesi membri dovrebbero essere liberi di perseguire la loro politica fiscale preferita.
Il problema di qualsiasi sistema di regole fiscali che si basa su dei tetti di debito e deficit invariabili è che questi ultimi sono degli indicatori estremamente deboli della sostenibilità del debito, per almeno quattro motivi. Innanzitutto, la sostenibilità non dipende solo dai livelli di debito – e nemmeno dai livelli di debito e deficit – ma anche dai futuri disavanzi primari, dai tassi di interesse e dalla crescita. In secondo luogo, la relazione tra i tassi d’interesse futuri e la crescita è incerta. Anche se usualmente si prevede che la differenza tra i due sia negativa nel lungo periodo – il che implica che anche un alto livello di debito è compatibile con un disavanzo primario -, questo potrebbe cambiare. In terzo luogo, l’equilibrio primario che un paese può raggiungere dipende da molti altri fattori, tra i quali : il livello di partenza del disavanzo primario, il livello delle tasse, il tipo di governo e la disponibilità della popolazione a sostenere l’aggiustamento fiscale. In quarto luogo, la fiducia degli investitori gioca un ruolo importante. La Banca Centrale Europea (BCE) può essere in grado di evitare delle situazioni estreme di “cattivi equilibri” in cui l’assenza di fiducia degli investitori finisce per autoavverarsi, dato che tassi di interesse più alti alimentano un debito più alto. Non può invece eliminare differenze di credibilità della politica fiscale tra i vari stati membri. A causa di queste differenze, anche volendo, alcuni paesi sono in difficoltà ad allinearsi e quindi devono fare fronte a un livello di debito più basso di quello che potrebbe essere considerato sostenibile.
È certamente possibile giungere a una corretta valutazione della sostenibilità o meno del debito, ma bisogna prendere in considerazione molti fattori: le stime di crescita, i tassi d’interesse previsti, il passato fiscale del paese, la sua politica e le sue istituzioni. È assolutamente impossibile ottenere questo risultato con regole fiscali che trattino tutti i paesi allo stesso modo. Peraltro queste regole possono seriamente ostacolare la politica fiscale come strumento di stabilizzazione. Si tratta di un punto importante. La politica “one size fits all” della BCE permette di ottenere dei risultati utili in media, ma non per ogni membro dell’area dell’euro. Inoltre, siccome la BCE è vincolata da un limite inferiore effettivo dei tassi di interesse (lower bound), può avere difficoltà a svolgere il suo ruolo di stabilizzatore anche per l’area dell’euro nel suo complesso.
Per avvicinare il sistema delle regole al compromesso ottimale tra la politica di stabilizzazione e la limitazione del rischio di un debito insostenibile, bisognerebbe quindi disporre di regole molto più complesse – all’opposto di quello che la maggior parte delle proposte recenti cercano di ottenere. E perfino delle regole molto più complesse difficilmente saranno particolarmente pertinenti. Infatti è impossibile identificare ex ante molte delle situazioni ipotetiche rilevanti, le loro rispettive probabilità e il modo giusto di integrarle in una regola.
Dalle regole agli standard fiscali
Per superare questo dilemma, l’Unione deve abbandonare le regole fiscali. Piuttosto che tentare di codificare il trade off tra il rischio del debito e la capacità degli stati di stabilizzare le loro economie, dovremmo essere in misura di valutare caso per caso.
La letteratura giuridica si riferisce a questo approccio designandolo come l’applicazione di standard 2 invece che di regole. Gli standard stabiliscono un obiettivo, ma senza articolare completamente il modo in cui raggiungerlo. “Non guidare più veloce di 55 miglia all’ora” è una regola; “non guidare a velocità eccessiva” è uno standard. Quale velocità sia considerata “eccessiva” dipenderà dal contesto e sarà il frutto di una valutazione basata sulle norme sociali e sui precedenti legali.
La maggior parte delle norme giuridiche si situa tra questi due casi estremi: da un lato le regole possono includere eccezioni o adattarsi alle contingenze e dall’altro gli standard possono elencare criteri da prendere in conto quando si valuta se lo standard è stato rispettato.
Gli standard sono frequenti nel diritto nazionale e dell’UE. L’articolo 126(1) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), “Gli Stati membri evitano disavanzi pubblici eccessivi”, è un esempio perfetto di uno standard. E sebbene i quadri giuridici che cercano di limitare la politica fiscale tendono ad essere basati su regole, ci sono eccezioni, come i “principi di gestione fiscale responsabile” della Nuova Zelanda. 3
Monitoraggio e applicazione degli standard fiscali
Il cambiamento che proponiamo provoca una perplessità abbastanza ovvia: i governi degli Stati membri dell’Unione potrebbero tutti sostenere impunemente che la loro condotta soddisfa pienamente gli standard, sapendo che sarebbe difficile smentirli. In questo senso, è necessario che gli standard fiscali stabiliscano dei criteri che riducano la discrezionalità e guidino la valutazione. In aggiunta, è necessario disporre di una sorveglianza di bilancio efficace e di un processo di attuazione:
- Criteri e metodi che guidano la valutazione. Lo standard fiscale esistente, “Gli Stati membri devono evitare deficit pubblici eccessivi”, rimarrebbe il punto di partenza. La legislazione secondaria dell’UE stabilirebbe poi uno standard generale nel caso in cui i deficit fossero considerati eccessivi: cioè, nel caso in cui il debito con molta probabilità non fosse sostenibile date le politiche attuali e stimate. Potrebbe adottare anche una definizione di “sostenibilità del debito con alta probabilità” (includendo una definizione del livello in cui una probabilità è considerata “alta”) e identificherebbe i metodi che possono contribuire a proporre una buona valutazione. La Commissione Europea (CE), la BCE e il Fondo Monetario Internazionale hanno già sviluppato dei metodi di questo tipo. La legislazione secondaria dell’UE potrebbe anche dichiarare i criteri che informerebbero la velocità minima di aggiustamento fiscale nel caso in cui il debito fosse considerato con alta probabilità non sostenibile, includendo lo stato del ciclo economico, le condizioni di mercato e il livello dei tassi di interesse.
- Sorveglianza “incisiva”. Le istituzioni fiscali nazionali indipendenti (IFI) e/o la Commissione europea (CE) avrebbero il compito di monitorare regolarmente i rischi di sostenibilità del debito, proprio come fa già la Commissione europea. Nel caso in cui il debito con alta probabilità non fosse sostenibile, la CE e/o l’IFI proporrebbero azioni correttive, guidate dai criteri stabiliti nella legislazione secondaria dell’UE, che il paese membro dovrebbe applicare sia nel suo prossimo progetto di piano di bilancio (DBP) che nel suo piano fiscale a medio termine. Nel caso in cui la CE e/o l’IFI ritenessero che tali azioni con un’alta probabilità non fossero coerenti con il mantenimento della sostenibilità del debito, potrebbero essere sospese, in attesa di un giudizio finale. Questo è più di quanto la Commissione europea è attualmente autorizzata a fare: mentre può richiedere revisioni ai DBP, non può ritardare l’attuazione di un bilancio che considera inadeguato.
In caso di disaccordo tra un membro e un istituto di sorveglianza, un’istituzione dell’UE dovrebbe pronunciarsi (entro pochi mesi). Il nostro approccio preferito sarebbe quello di assegnare questo ruolo a un organo giudiziario, come una nuova camera specializzata della Corte di giustizia europea. Questo permetterebbe la creazione di una giurisprudenza sugli standard fiscali che non sia ostacolata da considerazioni politiche. Questa modifica richiederebbe anche un cambiamento del Trattato che attualmente assegna il ruolo di esecutore della buona condotta fiscale al Consiglio dell’UE. Nel caso in cui quest’ultimo fosse mantenuto, potrebbe essere possibile evitare la modifica del Trattato. L’articolo 126 permette infatti agli Stati membri di superare i valori di riferimento del 3% di deficit/PIL e del 60% di debito/PIL in alcune circostanze. La legislazione secondaria dell’UE potrebbe affermare che queste condizioni sono considerate soddisfatte finché con alta probabilità il debito rimane sostenibile.
Anche con il necessario sostegno politico, questi cambiamenti non potrebbero essere attuati dall’oggi al domani. Una riforma provvisoria delle regole fiscali potrebbe essere necessaria come misura di transizione. Ma le riforme non dovrebbero fermarsi qui. In un contesto in cui la crisi del COVID-19 ha già portato alla sospensione delle regole e a un’azione fiscale comune e nazionale che sembrava impensabile prima, l’opportunità di ripensare radicalmente il quadro fiscale dell’UE non dovrebbe essere sprecata. È questo il buon momento per mettere in discussione i principi del sistema.
Note
- Olivier Blanchard è C. Fred Bergsten Senior Fellow al Peterson Institute for International Economics e Robert M. Solow Professor di Economia emerito al MIT. Álvaro Leandro è un economista della CaixaBank Research. Jeromin Zettelmeyer è vice direttore del dipartimento di strategia, politica e revisione del FMI. Il lavoro su questo progetto è iniziato mentre Leandro e Zettelmeyer erano al Peterson Institute for International Economics. Le opinioni espresse in questo blog sono quelle degli autori e non rappresentano necessariamente le opinioni del FMI o della CaixaBank.
- Louis Kaplow, “Rules versus standards: an economic analysis”, Duke Law Journal, Vol 42 557-629 (1992), Url : https://scholarship.law.duke.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=3207&context=dlj
- “An Introduction to New Zealand’s Fiscal Policy Framework”, The Treasury New Zealand Government, Marzo 2015, Url : http://www.treasury.govt.nz/publications/guidance/publicfinance/fiscalpolicyframework