Serghej Karaganov, direttore del Consiglio per la politica estera e di difesa, è spesso presentato come il principale architetto della politica estera russa. Vladimir Putin afferma che è uno dei rari autori contemporanei che legge regolarmente. Nei circoli del potere russo, è una delle autorità intellettuali più ascoltate e seguite del bellicismo dispiegato dal regime di Vladimir Putin in Ucraina e contro l’Europa.

Conoscere le dottrine concorrenti — comprendere ciò che gli avversari mirano a colpire in noi, dedicandosi alla manipolazione e alla propaganda, armando immaginari potenti — resta una chiave decisiva per la trasformazione geopolitica del nostro continente. È per questa ragione che abbiamo deciso di interrogarlo.

Come interpreta la convergenza tra Trump e Putin? Vladislav Surkov 1 sembra pensare, ad esempio, che «la Russia [di Putin] sia ormai circondata da sosia e imitatori» e che la Casa Bianca stia mettendo in atto una strategia nei confronti del Canada, della Groenlandia o del Canale di Panama che non è altro che un’«imitazione della nostra nazione [la Russia] audace, consolidata, guerriera e “senza frontiere”»?

Non ho l’abitudine di commentare le dichiarazioni dei miei colleghi, ma mi pare perfettamente idiota porre la questione in questi termini.

Contrariamente a quanto alcuni immaginano, Trump ha una filosofia politica ed economica del tutto personale, sulla base della quale prende decisioni in modo certamente radicale, ma, in fondo, prudente.

La sua filosofia, essenzialmente, non ha nulla a che vedere con la Russia, e i parallelismi di questo tipo mi sembrano più ridicoli che altro.

Come definisce la “filosofia” di Donald Trump?

Trump è un nazionalista americano che presenta alcune caratteristiche del messianismo tradizionale statunitense. Se a volte può sorprendere, è perché è stato vaccinato contro la feccia mondialista-liberale degli ultimi tre o quattro decenni.

Proprio nelle sue invettive contro il liberalismo, egli sembra spesso far emergere valori comuni con la Russia di Putin. Anche sulla guerra in Ucraina, l’amministrazione Trump sembra cercare un riavvicinamento degli Stati Uniti alla Russia. Perché? Come comprende questo tentativo?

Si parla molto di un eventuale compromesso e delle sue diverse forme. Anche in Russia, nei media e altrove, si discute con entusiasmo delle opzioni che potrebbe aprire.

Mi sembra tuttavia che, in questa fase, l’amministrazione Trump non abbia alcuna ragione di negoziare con noi secondo le condizioni che abbiamo fissato — e che, di conseguenza, questo riavvicinamento sarà difficile.

Sebbene la guerra in Ucraina sia inutile e persino alquanto nociva per il presidente americano — che non è che un figurante — dal punto di vista principale per gli Stati Uniti, ovvero quello interno, l’equilibrio degli interessi è piuttosto favorevole alla sua prosecuzione.

Si spieghi.

La guerra è economicamente vantaggiosa per gli Stati Uniti, perché consente loro di modernizzare il loro complesso militare-industriale, di depredare i loro alleati europei con vigore rinnovato e di imporre i propri interessi economici mediante sanzioni sistematiche contro i Paesi di tutto il mondo.

E, naturalmente, consente agli Stati Uniti di infliggere ulteriori danni alla Russia, nella speranza di esaurirla e, idealmente, di schiacciarla o eliminarla come nucleo militare-strategico della maggioranza mondiale emergente ed emancipata. Senza contare che rappresenta anche un potente sostegno strategico al principale concorrente dell’America: la Cina.

Alcuni osservatori e numerosi sostenitori del presidente americano parlano oggi dell’esistenza di un’operazione complessa, una sorta di Kissinger al contrario: cinquant’anni dopo la visita di Nixon a Pechino, la Casa Bianca cercherebbe di allontanare la Russia dalla Cina, avvicinandosi stavolta al Cremlino. Ritiene che si tratti di un’interpretazione conforme alle tendenze attuali? E quale rischio rappresenta rispetto alla sua dottrina della “maggioranza mondiale”?

Una rottura della Russia con la Cina sarebbe per noi assurda e controproducente.

Contrariamente a quanto alcuni possono riportare, mentre i membri dell’amministrazione Trump del primo mandato avevano cercato di convincerci a farlo, oggi comprendono che la Russia non accetterà mai questa condizione.

Non vi è dunque, secondo lei, alcuna condizione sufficiente a condurre a un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia?

Tre elementi potrebbero spingere Trump a negoziare un accordo soddisfacente per la Russia sull’Ucraina.

Il primo sarebbe l’uscita de facto della Russia dalla sua alleanza con la Cina — ipotesi che possiamo escludere.

Il secondo, la minaccia di una ripetizione della grottesca ritirata da Kabul, ovvero la sconfitta totale e la capitolazione vergognosa del regime di Kiev e il fallimento evidente dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti.

E il terzo è il rischio che le ostilità si estendano agli Stati Uniti e ai loro asset vitali in tutto il mondo, con perdite umane americane massicce, inclusa la distruzione di basi militari.

Solo questi ultimi due elementi restano validi al momento.

La sconfitta totale dell’Ucraina — con la sua capitolazione pura e semplice, che potrebbe avere un effetto domino sull’Europa — resta il nostro obiettivo, ma sarà estremamente costosa, se non proibitiva, perché comporterebbe la morte di migliaia dei nostri migliori figli, a meno che non sia rafforzata da un ricorso più attivo alla deterrenza nucleare, che io propugno per uscire da questo stallo.

La Russia avrebbe interesse che la Casa Bianca prosegua la sua strategia di annessione della Groenlandia, mettendo in discussione l’integrità territoriale di uno dei suoi alleati nella NATO?

Per dirla francamente, la NATO non è solo un relitto della Guerra fredda: è soprattutto un cancro che corrode la sicurezza europea.

Ignoro cosa accadrà con l’annessione della Groenlandia ma, qualora avvenisse, spero che contribuisca a far finire la NATO nella pattumiera della storia — e prima sarà, meglio sarà. Non merita altro.

Da anni critico i decisori russi che hanno tentato di ristabilire legami con questa organizzazione che è, per definizione, ostile, produttrice di conflitti e, per di più, criminale, essendosi resa colpevole di aggressioni in serie. Ricorderò soltanto lo stupro della Jugoslavia, la guerra mostruosa che l’immensa maggioranza dei paesi della NATO ha condotto in Iraq, dove un milione di persone ha perso la vita e dove le perdite umane continuano tuttora, o ancora l’aggressione della NATO contro la Libia, che ha portato alla distruzione di un paese relativamente prospero, uno dei più prosperi del Nord Africa 2.

Spero che la NATO crepi. Questa organizzazione non ha altro futuro. In passato ha potuto svolgere un ruolo piuttosto positivo, contenendo la Germania, limitando l’influenza del comunismo — che era il suo obiettivo principale —, bilanciando l’URSS all’interno di un sistema relativamente stabile di confronto tra grandi potenze.

Ma ormai da tempo la NATO non è più altro che un’organizzazione nociva, puramente e esclusivamente nociva per la sicurezza mondiale. Più presto sparirà, meglio sarà.

Secondo lei, l’Unione europea è il nemico comune della Casa Bianca e del Cremlino ? Il termine «Europa collettiva» ha senso per lei ? È legato al concetto di «eurofascismo» utilizzato ormai dai servizi russi che invocano una nuova alleanza tra Russia e Stati Uniti?

Sono afflitto dalla traiettoria intrapresa dai paesi europei e dall’Unione europea.

A causa della decadenza morale delle sue élite, il progetto europeo è oggi in un vicolo cieco, dopo aver raggiunto un certo apice. L’attuale generazione politica fallisce su tutti i fronti e cerca la salvezza nell’alimentare un’ostilità crescente, se non addirittura nella preparazione alla guerra contro la Russia, il che è semplicemente sconvolgente — percé è una sorta di preparazione a un suicidio rapido. Penso che l’Europa collettiva sia inevitabilmente destinata a dissolversi. Non mi sembra possa reggere a lungo come entità senza disgregarsi.

Questo avrà ovviamente delle conseguenze positive. Un’Europa collettiva com’è oggi, sotto la doppia direzione di un’élite consumista e di un’élite fallita che soffia sulle braci dell’isteria bellica, certamente non serve gli interessi della Russia. L’ipostasi precedente, quella di un’Europa pacifica, era molto più conforme ai nostri interessi. Senza contare che l’attuale politica europea non risponde neanche agli interessi della sua stessa popolazione — ma non voglio pronunciarmi al loro posto.

Quanto all’“eurofascismo”, è chiaro che ne vediamo i sintomi 3. Lo dico da tempo, da quasi quindici anni. I fallimenti accumulati e il declino dell’Europa nella competizione internazionale fanno sì che, prima o poi, vedremo questi sintomi manifestarsi in un numero crescente di paesi europei — spero solo che non sarà così ovunque, anche se i segni sono già visibili. L’ultraliberalismo si è sempre realizzato sotto forma del proprio specchio rovesciato.

Per questo ipotizzo una crescita dell’eurofascismo, non nelle forme assunte sotto Franco, Mussolini o Hitler, ma nei tratti del neo-totalitarismo liberale. L’Europa si prepara ad attraversare un periodo difficile: le tendenze fasciste e nazionaliste si rafforzeranno certamente in numerosi paesi. Ho l’impressione che in Russia siamo ben consapevoli di tutto ciò e che, stavolta, sapremo farvi fronte, sapremo impedire che l’Europa diventi una minaccia per la nostra sicurezza e per quella del mondo. In ultima istanza, sapremo affrontarla da soli. Ricordo che sono un europeo russo, benché eurasiatico. Ma ciò non toglie che l’Europa sia stata la fonte delle principali calamità dell’umanità negli ultimi cinque secoli.

È favorevole all’idea, formulata da Curtis Yarvin e altri intellettuali trumpisti, secondo cui le nazioni europee dovrebbero essere aiutate — anche attraverso cambiamenti di regime — a ripristinare la loro cultura tradizionale e forme di governo più autoritarie, in linea con la Russia ?

Non condivido l’idea che le nazioni europee debbano essere aiutate in tal senso, ma spero che ci riescano da sole, in un modo o nell’altro. Qualsiasi ingerenza esterna rischierebbe piuttosto di rallentare questo movimento 4.

L’Europa è stata la culla delle peggiori correnti ideologiche, di guerre mostruose, di genocidi di massa. Governi o norme più autoritarie potrebbero nuovamente avere effetti catastrofici sul resto del mondo. È per questo che l’opzione che privilegio consiste piuttosto nel prendere atto della fine dell’avventura europea, affinché la Russia prenda le distanze dall’Europa e riconosca, finalmente, che il suo viaggio europeo è giunto al termine. Non abbiamo più nulla da ottenere dall’Europa, se non minacce militari e l’infezione delle sue pseudo-valori.

Ritiene che l’orizzonte eurasiatico si sia definitivamente chiuso?

L’Europa perde terreno. La sua influenza culturale, un tempo benefica, è ormai nociva. Ne sono tanto più rattristato quanto la Russia resta in larga misura, al 50 o 60%, un paese europeo dal punto di vista culturale.

Il crollo dell’Europa, come fenomeno culturale e morale, rappresenta una vera perdita, anche per la Russia. Ma non dobbiamo preoccuparcene: ciò di cui dobbiamo occuparci è costruire relazioni costruttive con i diversi paesi europei, individualmente.

Ho il forte presentimento che, tra una decina o una quindicina d’anni — forse anche prima —, i paesi dell’Europa del Sud e una buona parte dell’Europa orientale si uniranno alla Grande Eurasia.

Quanto ai paesi del Nord-Ovest, continueranno a marcire sul posto e a scomparire dall’arena mondiale, a meno che non riescano a superare i loro impulsi di rigetto verso i propri valori fondamentali.

Il Regno Unito e altri tre o quattro Stati del continente diventeranno la periferia, l’escrescenza europea degli Stati Uniti.

La loro posizione è insostenibile e ci si sta cominciando a render conto: fanno sempre più fatica a ostinarsi nell’attuale vicolo cieco del loro sistema di valori — un fallimento che si sono autoimposti e che continuano a perpetuare. Ma voglio insistere su questo punto: la degenerazione o la rinascita morale dell’Europa non ci riguarda.

Per ora, meglio allontanarsene, approfittando dell’opportunità storica rappresentata dalla guerra scatenata dall’Occidente in Ucraina 5.

Abbiamo ovviamente una divergenza fondamentale sulla responsabilità dell’avvio e del proseguimento dell’aggressione russa contro l’Ucraina. In che modo ritiene che questa guerra — che il regime russo continua a chiamare “operazione militare speciale” per occultare il massacro quotidiano che provoca — rappresenti un’opportunità storica?

Questa guerra è stata estremamente benefica per noi. È tragico che tale risultato abbia dovuto costare la vita alla parte migliore del nostro paese, ma questa guerra ci ha permesso di rompere rapidamente con gli ultimi resti di eurocentrismo e occidentalocentrismo.

Attirando su di noi il fuoco, stiamo infine eliminando quell’élite consumista che ha definitivamente lasciato la Russia, stiamo restaurando la nostra identità, nei suoi aspetti sia tradizionali che rinnovati, mentre ci volgiamo risolutamente verso il Sud e l’Est, là dove si trovano le fonti esterne della nostra civiltà e della nostra prosperità futura.

Se l’Europa tornerà alla propria cultura, ai propri valori tradizionali, a forme di governo più autoritarie, se riuscirà a instaurare un regime decisionale più efficace senza cadere nel fascismo, ne sarò felice. Sarà allora più semplice per noi dialogare con i nostri vicini europei, ristabilire quei rapporti di amicizia con la Russia che oggi sono puramente e semplicemente proibiti agli europei.

La Russia ritiene auspicabile consolidare un asse transatlantico illiberale, sapendo che oggi sembra presentare polarità favorevoli alla Russia, con Viktor Orbán in Ungheria, e altre che le sono sfavorevoli, come il PiS in Polonia?

Sarebbe in effetti auspicabile o vantaggioso per la Russia che emergesse un asse transatlantico “illiberale”, perché il liberalismo ha fatto il suo tempo — così come, prima di esso, avevano fatto il loro il comunismo e il nazismo.

Quanto al fatto che quest’asse sarà pro-russo o anti-russo, si vedrà.

Osservo inoltre che il contesto in Europa sta cambiando. Non penso, ad esempio, che l’Italia proseguirà sulla sua linea anti-russa, almeno nel medio termine.

Spero inoltre che la Francia finirà per abbandonare la sua posizione attuale, propriamente delirante e suicida. La conseguenza di questa linea è che una parte considerevole dell’Europa si unirà alla Grande Eurasia, intesa come spazio che non ha tanto la vocazione a controbilanciare la potenza degli Stati Uniti quanto a far trionfare una politica e dei valori politici normali. Mi auguro sinceramente che la Francia esca da questo momento patetico della sua storia.

Quanto alla Germania, temo fortemente che non sarà in grado di uscire dalla crisi in cui si è cacciata. Se ci riuscirà, tanto meglio, ma, personalmente, preferisco escludere la Germania da ogni mio pronostico, pur sperando di sbagliarmi.

È evidente che all’interno della stessa popolazione russa ci sono persone che non condividono la sua «idea-sogno russa». Come concepisce la gestione – o la possibilità stessa – del dissenso politico nella Russia di oggi e di domani?

Vi sono effettivamente tra i nostri concittadini persone che non condividono la mia concezione personale dell’“idea-sogno russa”, la quale, peraltro, non mi appartiene in proprio. È una visione che elaboriamo assiduamente, con decine, centinaia di intellettuali di prim’ordine e di figure politiche del Paese.

Questa concezione è piuttosto semplice: afferma che deve esistere nel nostro Paese un’ideologia capace di portarci avanti, un’ideologia condivisa dalla maggioranza della popolazione e obbligatoria per l’élite dirigente. Ma né io, né — spero — i miei colleghi e amici, pretendiamo di imporre questa ideologia all’insieme dei cittadini, ideologia che chiamiamo “idea-sogno” o “Codice dell’uomo russo”.

Non vogliamo in alcun modo tornare al totalitarismo comunista che ci ha mutilati intellettualmente e che ha contribuito al crollo dell’Unione Sovietica.

Ritengo, invece, che dobbiamo trasmettere, fin dalla più tenera età, un insieme comune di valori determinati: i valori iscritti in questa concezione e che oggi cominciano a diffondersi. Non c’è quindi nulla di diverso da quanto si faceva un tempo con i comandamenti divini, poi con il Codice del costruttore del comunismo, che venivano trasmessi ai bambini russi 6.

Detto ciò, mi opporrò categoricamente a qualsiasi forma di oppressione delle persone che non condividano questa “idea-sogno” 7. Se non vi aderite, ma pagate le tasse, non agite contro gli interessi dello Stato e non vi mettete al servizio di governi stranieri, allora va benissimo: siete liberi di vivere come volete.

Se però aspirate a far parte della classe dirigente russa, allora dovete condividere questi valori e questa politica, promuovere questa identità. Coloro che rifiutano questo dovere devono essere relegati in una sorta di semi-isolamento 8. Che facciano affari o lavorino in fabbrica, purché siano utili alla società e si prendano cura della loro famiglia, che vivano pure la loro vita. Ma non devono far parte della classe dirigente. E bisogna allontanare quelli che oggi ne fanno parte senza condividere questa visione.

Con quali mezzi vuole allontanarli?

Fortunatamente per noi, i nostri attuali avversari occidentali — quelli che fino a poco tempo fa chiamavamo ancora “partner” — ci stanno rendendo un grande servizio su questo piano. Grazie all’operazione militare, ci siamo liberati in tempo record di una quantità considerevole di persone che io definisco “feccia”.

Queste persone hanno lasciato la Russia per l’Occidente: li ringrazio.

La parola “feccia” [šval’], ricordo, è un termine russo che significa “persona indegna” e deriva dal francese “chevalier”. Fu ascoltando i francesi pronunciarla al tempo napoleonico che i russi finirono per utilizzarla per designare individui indegni di rispetto 9.

Leggendola e ascoltandola, sembra che la guerra sia ormai diventata la matrice della Russia contemporanea. Ritiene che sarà anche la chiave del suo futuro? La Russia è entrata in una guerra senza fine?

Attualmente è in atto in Russia un processo accelerato di rinascita spirituale, morale e intellettuale, dovuto in grandissima parte alla guerra.

Si può rammaricare che questo processo non sia potuto emergere in altri modi.

Tuttavia, la Russia è un paese di guerrieri, non ha mai saputo vivere fuori dallo stato di guerra.

La guerra è nel codice genetco dei russi.

Ecco perché, non appena la minaccia è divenuta palpabile, ci siamo uniti, abbiamo superato le nostre divisioni e raccolto le nostre forze.

È tragico che, per farlo, si debba pagare il tributo di sangue — la vita dei nostri figli. Ma la storia è tragica.

Note
  1. Vladislav Surkov, che i lettori europei conoscono nella forma romanesca del “mago del Cremlino”, è stato a lungo “l’eminenza grigia del Cremlino”, responsabile in particolare della questione ucraina durante il periodo cruciale che, a partire dal 2013, ha visto contemporaneamente il Maidan, l’annessione illegale della Crimea, la guerra nel Donbass e gli accordi di Minsk. Dal 2020, per ragioni che rimangono oscure, è stato allontanato dalle alte sfere del potere e, a quanto pare, nel 2022 è stato persino assegnato agli arresti domiciliari. Si è quindi reinventato come pubblicista-ideologo, pubblicando regolarmente articoli a suo nome.
  2. L’argomentazione di Sergei Karaganov è piuttosto classica nella narrativa propagandistica russa, che confonde in un’unica entità, la NATO, una serie di paesi e forze armate indipendenti. Se l’autore ricorda che la NATO ha effettuato bombardamenti in Jugoslavia, causando diverse migliaia di morti, senza che tale operazione fosse stata autorizzata dall’ONU, nel caso della guerra in Iraq scatenata dagli Stati Uniti (che non sono la NATO da soli), l’organizzazione di difesa collettiva non è stata all’origine della campagna né della conduzione delle operazioni, sebbene abbia effettivamente adottato misure militari, essenzialmente nel campo della sorveglianza, della difesa antimissile e della logistica, su richiesta della Turchia e della Polonia. La mancata partecipazione della Francia (che, va detto, a quella data non era ancora rientrata nel comando integrato della NATO) è di per sé sufficiente a dimostrare che i membri dell’organizzazione erano divisi sull’opportunità di un intervento in Iraq. Infine, nell’ambito dell’intervento militare in Libia, la NATO, la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno agito sotto il mandato dell’ONU per attuare la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, alla quale la Russia si era inizialmente opposta prima di astenersi al momento del voto e alla quale, quindi, non aveva posto il veto.
  3. Questo concetto è stato riportato ufficialmente dal regime russo in un testo pubblicato dai servizi segreti russi il 16 aprile. In esso si scopre un discorso pseudo-analitico che cerca di presentare l’Europa come la fonte storica del male, accusata di una predisposizione al totalitarismo e ai conflitti distruttivi. Sostenendo l’Ucraina, i paesi europei sarebbero oggi complici di un’eredità nazista, secondo una logica revisionista che inverte i ruoli e accusa l’Occidente di autoritarismo. L’obiettivo ideologico è chiaro: delegittimare l’Europa per promuovere un’alleanza russo-americana contro di essa. A tal fine, il testo distorceva episodi storici (come la guerra di Crimea o la crisi di Suez) per immaginare un’antica convergenza tra Washington e Mosca, finendo persino per dipingere Churchill come una sorta di euro-fascista responsabile della guerra fredda, con un capovolgimento finale che presentava la Gran Bretagna come il nemico storico degli Stati Uniti.
  4. Dalle elezioni europee alle Olimpiadi, passando per la campagna TikTok di Călin Georgescu in Romania, l’ingerenza russa nel nostro spazio democratico e informativo è diventata una costante ben consolidata.
  5. «L’operazione militare speciale», espressione utilizzata dal regime per riferirsi ufficialmente all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, è stata avviata il 24 febbraio 2022 da Vladimir Putin. Si tratta solo dell’ultima manifestazione di una serie di atti ostili e violenti perpetrati sul territorio ucraino da oltre un decennio. Questa lunga guerra in Ucraina, che lo scrittore ucraino Andrej Kurkov definisce «guerra dei dieci anni», è oggetto quasi quotidiano di articoli sulle nostre pagine da tre anni.
  6. La serie di massime morali che compongono questo Codice morale del costruttore del comunismo, approvato nel 1961 durante il XXII° Congresso del PCUS, è spesso citata nei discorsi di Vladimir Putin, che ne fa una delle principali fonti della sua politica in materia di valori.
  7. Alexei Anatolyevich Navalny, il più noto oppositore di Vladimir Putin, è stato ucciso in una prigione russa il 16 febbraio 2024. Le Grand Continent aveva pubblicato la sua ultima grande intervista.
  8. Questo “isolamento” equivale in qualche modo a instaurare un’oligarchia ideologica: come alla fine del XVIII secolo all’inizio del XIX si distingueva tra «cittadini attivi» e «cittadini passivi», o ancora tra cittadini elettori ed eleggibili in base a un criterio censitario, Karaganov propone che il pieno esercizio della cittadinanza sia riservato solo agli individui in grado di dimostrare la loro conformità ideologica.
  9. Questa interpretazione etimologica, per quanto diffusa, non è meno discutibile. Al di là del fatto che šval’ ricorda più chiaramente la parola «cavallo» che «cavaliere», è difficile capire quale capovolgimento linguistico abbia potuto conferire a quest’ultimo termine una connotazione così fortemente peggiorativa in russo. In definitiva, ci troviamo probabilmente di fronte a una leggenda etimologica analoga a quella che attribuisce la parola francese «bistrot» al russo bystro.