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Piccolo, di aspetto ordinato, sensibile, sarà certamente un eccellente banchiere ma fin qui mi è parso interessato alle antichità, greche in particolare, tanto quanto di ciò che avviene nel presente. Ha indubbiamente un ampio spettro di interessi e una conoscenza reale delle antichità”. Ad annotare queste riflessioni elaborate nel corso di un viaggio in Italia del 1955 e riportate dallo storico dell’economia Giovanni Farese in un pregevole volume di recente pubblicazione 1 è David Lilienthal, già Presidente della US Atomic Energy Commission, da quello stesso anno animatore della Development and Resources Corporation, conglomerata americana incaricata di promuovere progetti di sviluppo in quasi ogni angolo del mondo a fianco della Banca Mondiale.
L’”eccellente banchiere” con la passione per le cose antiche è Enrico Cuccia, fondatore (1946) di Mediobanca assieme all’allora Presidente della Banca Commerciale Italiana Raffaele Mattioli. Lilienthal volle incontrarlo su indicazione di André Meyer, carismatico leader, assieme a Pierre David Weill, della ramo di New York della banca Lazard.
Perché le vicende e le biografie di queste persone si intersecano? Cosa spinge personalità 2 del calibro di Meyer, Lilienthal, David Weill o di Eugene Black, allora Presidente della Banca Mondiale, a rivolgere le loro attenzioni alla penisola italica e a intrecciare rapporti finanziari e personali strettissimi con i promotori del neonato istituto partecipato dalle tre Banche d’Interesse Nazionale (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banco di Roma) e deputato ad erogare finanza a medio termine a sostegno della ricostruzione?
La risposta è da ricercare, partendo dal meticoloso lavoro di Farese e tentando di svilupparne ulteriormente i preziosi spunti, nel contesto strategico globale maturato a seguito della Seconda Guerra Mondiale.
La variabile indipendente di questa e delle fasi a venire è rappresentata dagli Stati Uniti, chiamati ad affrontare la sfida decisiva che permetterà loro di ergersi a potenza dominante del pianeta e di portare a compimento il processo di maturazione della loro dimensione imperiale. Lo sforzo richiesto è bidirezionale perché Washington, da un lato, deve sostituirsi definitivamente (seppur in modo ordinato, perché legata ad esso da un’alleanza formale) al Regno Unito come controllore delle rotte marittime globali 3. Dall’altro, è costretta a pensare al proprio modo di rapportarsi con l’altra grande potenza uscita vincitrice dal conflitto, ossia l’Unione Sovietica.
Uno dei primi, risolutivi teatri in cui si certifica il passaggio di consegne tra Stati Uniti e Gran Bretagna è il Mediterraneo. Lo smantellamento dei presidi britannici insediati ai bordi del bacino comincia proprio dall’Italia post-bellica – dove Londra aveva accarezzato l’ipotesi di una partizione della penisola in diverse sfere di influenza, a cominciare dalla propria 4 –, per poi proseguire in senso orario con Israele, che vede Stati Uniti e Unione Sovietica precedere il Regno Unito nel riconoscere (1948) lo Stato ebraico nato dalle ceneri della Palestina mandataria, con Suez (1956) e, infine, con la Libia (1969).
Sottratto ai britannici il predominio della ‘scorciatoia’ mediterranea che consentiva loro di raggiungere i possedimenti più lontani, ampliandone così a dismisura la distanza dalla madrepatria, Washington deve volgere nel contempo lo sguardo all’Unione Sovietica, all’epoca giudicata – forse sopravvalutandone le reali capacità – come potenza in grado effettivamente di contendere il primato agli Stati Uniti.
La mobilitazione di tutte le forze – politiche, economiche, militari, culturali – a disposizione della superpotenza, attuata secondo le rigide direttive impartite in sincrono dalla politica e dagli apparati di sicurezza e di intelligence, è totale.
Al Generale George C. Marshall, già Capo di Stato Maggiore dell’Esercito durante la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) e successivamente Segretario di Stato (1947-1949) durante la Presidenza Truman, viene affidato il compito di coordinare un massiccio sforzo – lo European Recovery Program, meglio noto come Marshall Plan – di ricostruzione economica post-bellica tramite l’impiego di risorse federali, al fine di legare le sorti economiche degli Stati europei, inclusi anche quelli appartenuti alle forze dell’Asse, a quelle statunitensi, impedendo che il protrarsi delle condizioni di povertà conseguenti alla devastazione bellica spinga l’Europa tra le braccia dell’orso russo.
Negli stessi anni (1948) Allen W. Dulles, futuro Director of Central Intelligence, e William “Wild Bill” Donovan, già a capo dell’Office of Strategic Services, fondano e dirigono l’American Committee on United Europe (ACUE), un’organizzazione incaricata di sostenere finanziariamente, soprattutto tramite generosi contributi provenienti dal settore privato 5, gli sforzi di unificazione economica del Vecchio Continente e le campagne dei movimenti federalisti europei. Sono i primi passi concreti del processo di integrazione comunitaria, non immaginabile come motu proprio degli Stati europei dell’epoca, ancora prostrati dagli eventi bellici e segnati da rivalità secolari. Agli occhi degli apparati statunitensi risultava evidente, infatti, l’esigenza di scongiurare che venissero trasferiti fondi federali alle capitali europee senza un’adeguata strutturazione, orchestrata anch’essa dalle rive del Potomac, del loro processo di ricezione e senza una zona di libero scambio che ne evitasse la dispersione.
Del resto, fu proprio Paul G. Hoffman, direttore (1948-1950) dell’Economic Cooperation Administration, a segnalare a Lilienthal che “gli Stati Uniti hanno un enorme interesse nella realizzazione, ampia e rapida, dei trattati relativi al Mercato comune. […] La nostra migliore protezione contro la diffusione del comunismo in Europa sta, secondo me, nel preservare ampi differenziali negli standard di vita tra i paesi dell’Europa occidentale e quelli dei paesi satelliti della Russia. […] Molto presto, secondo me, la Russia avvierà la produzione di beni di consumo e, quando la farà, occorrerà fare attenzione, perché ha tutti i vantaggi di uno dei più grandi mercati uniti del mondo. Tuttavia, se i paesi dell’Europa occidentale integreranno davvero le loro economie, allora la Russia non potrà mai raggiungerli e superarli” 6.
Infine, diventa imperativo vincere la sfida tecnologica con l’avversario strategico, pena soccombere nel confronto globale. Nasce così (1958) l’Advanced Research Project Agency (ARPA, ora DARPA a seguito dell’aggiunta del termine “Defense”, a sgombrare il campo dagli equivoci sulla vera missione dell’ente), da cui germinano la quasi totalità delle breakthrough technologies tutt’ora in uso anche in campo civile (personal computer, Internet, GPS, semiconduttori, droni etc.) e la cui ricerca è alla base, contrariamente a quanto comunemente si sostiene, dello sviluppo di vaccini anti-Covid19 a base mRNA messaggero 7.
Qualche anno prima (1946) vede invece la luce, su iniziativa dell’accademico di origine francese Georges Doriot – successivamente promosso, col ruolo di Brigadiere Generale, a capo della Pianificazione Militare dell’Esercito – la moderna industria del venture capital, attraverso l’American Research and Development Corporation fondata dallo stesso Doriot.
L’impero americano avanza fingendo di ritrarsi, ossia privilegiando il soft power rispetto al fragore delle armi e accompagnando la propria marcia inarrestabile verso l’egemonia con sofisticate narrazioni che ne occultano i reali propositi strategici 8. Così, comincia ad affermarsi l’idea, tutt’ora molto diffusa, che il primato tecnologico degli Stati Uniti sia frutto di una politica di laissez-faire ispirata ai principi del liberismo più spinto e che il settore privato eserciti un potere di condizionamento determinante, grazie alle immense ricchezze accumulate, nei confronti del regolatore, costringendolo a rinunciare alle proprie prerogative e attribuendogli una funzione di sovrastruttura di sapore tardo-marxiano. Analogamente, è ancora radicata la convinzione che lo sforzo unitario europeo – come si accennava – sia il risultato unicamente di un irenico embrassons-nous post-bellico tra gli Stati europei desiderosi, al termine dell’ultima, sanguinosa guerra fratricida, di assicurare la pace perpetua al continente. L’analisi strategica, per quanto impietosa, conduce invece ad esiti del tutto diversi.
Allo stesso modo, il volume di Farese fa giustizia, attraverso una scrupolosa ricostruzione dei primi anni di vita di Mediobanca, di certe letture superficiali e romantiche che nel corso dei decenni hanno interpretato la vicenda dell’istituto di Via Filodrammatici come l’avventura di un indomito difensore dell’iniziativa privata contro lo strapotere della mano pubblica, del libero mercato contro le forze del pubblico oscure e inclini alla corruzione, specie quando si occupano di economia e finanza.
Mediobanca, al contrario, nasce e prospera proprio grazie alla corretta lettura, da parte della sua leadership, dell’assetto geopolitico che fa da sfondo alla vicende post-belliche. Se la necessità economica in senso stretto, infatti, fu quella di dotare l’Italia di un’istituzione che erogasse finanza a medio e lungo termine – attività che la legge bancaria di allora precludeva alle banche commerciali –, la sua vera funzione, insieme economico-finanziaria e geopolitica, emerse principalmente con l’allargamento del capitale (nel 1955) a Lazard e Lehman Brothers, ossia due delle principali banche d’investimento di Wall Street.
A orchestrare l’operazione fu André Meyer, banchiere francese di origine ebraica riparato nell’altra sponda dell’Atlantico (1940), curiosamente fino a quel momento “riluttante a investire al di fuori degli Stati Uniti, che considera come l’unico paese davvero affidabile, solido. Si tratta di una convinzione che […] in fondo non lo abbandonerà mai completamente. Meyer non ha la “vocazione africana” di Cuccia: le sue operazioni in Africa sono legate a considerazioni non solo e non tanto economiche, quanto geopolitiche” 9.
Per Meyer la grande finanza non deve andare alla ricerca unicamente del profitto, bensì è chiamata a operare come forza ‘di sistema’, assumendosi una comune responsabilità con la potenza di cui è emanazione nel formulare e nell’attuare gli indirizzi strategici della stessa. Una banca Lazard introvertita si sarebbe rivolta principalmente al mercato interno, massimizzando il valore del proprio portafoglio investendo in strumenti, quelli emessi da entità domestiche, che per Meyer presentavano il miglior profilo rischio/rendimento. Il suo destino, così come quello di altre grandi istituzioni finanziarie americane, le impone invece non soltanto di soddisfare i propri azionisti, bensì anche, in quella fase storica, di garantire agli Stati Uniti un presidio finanziario in uno dei Paesi che allora come oggi rivestono un ruolo strategico di primo piano agli occhi di Washington soprattutto in virtù della sua collocazione al centro del Mediterraneo.
Così, anche a seguito dell’ulteriore apertura del capitale di Mediobanca (1957-8) al ramo londinese di Lazard, alla belga Sofina e alla tedesca Berliner Handels-Gesellschaft, “per quanto minoritaria, la partecipazione americana e di Lazard in particolare è cruciale e serve a orientare la bussola. Non vi è affare internazionale di qualche importanza sul quale Cuccia non ricerchi il consiglio e il parere di André Meyer”. Il motivo è da ricercarsi, manco a dirlo, nel fatto che si tratta di “una compagine geopolitica, oltre che azionaria. Il che significa che risponde a gerarchie anche extra-economiche” 10 e che al vertice di tali gerarchie ci sono gli Stati Uniti.
La storia di Mediobanca incrocia anche quella di altri grandi banchieri francesi, primo fra tutti Jean Monnet 11. Considerato uno dei padri dell’integrazione europea, negli anni Trenta Monnet approda a Wall Street e fonda, assieme a George Murnane, la Monnet & Murnane, boutique finanziaria particolarmente attiva nell’erogare finanziamenti alla Cina.
La rete di relazioni intessute da Monnet nella Costa Est degli Stati Uniti è vastissima e comprende tra gli altri John Foster Dulles, futuro Segretario di Stato sotto Dwight Eisenhower e fratello di Allen W. Dulles – che abbiamo visto protagonista nel promuovere l’ACUE – nonché John McCloy, figura poliedrica che ricoprì ruoli di primo piano come Alto Commissario per la Germania e, successivamente, come Presidente di Chase Manhattan Bank.
In un contesto in cui le porte girevoli tra amministrazione pubblica e settore privato rappresentavano – in contrasto con la diffidenza con cui si guarda allo stesso fenomeno oggigiorno – semmai un prerequisito per far parte di quelle élites che guidano e accompagnano i grandi processi storici, Jean Monnet e il suo réseau 12 sulle due sponde dell’Atlantico forniscono un volto riconoscibile alla postura atlantista ed europeista della Francia di allora, consapevole che la sfida europea poteva essere vinta unicamente facendosi parte attiva nel rafforzare il vincolo atlantico.
È una Francia che, nel preservare la propria autonomia strategico-militare in ambito europeo rifiutandosi di ospitare basi americane nel proprio territorio, sul piano geoeconomico decide di schierare le migliori risorse intellettuali di cui dispone al servizio della neonata costruzione europea – progetto strategico prima che economico – per tentare di condividerne la leadership con gli Stati Uniti. Così, il prestito Eximbank alla neonata CECA, snodo cruciale per la messa in pratica dell’idea di integrazione comunitaria, viene negoziato (1953-4) da Guyot con il coinvolgimento di Meyer e dai grandi investitori globali quali David Rockefeller e Siegmund Warburg 13.
Nel contempo, il vincolo atlantico impone alla Francia di accantonare le tradizionali rivalità continentali e a Monnet, inizialmente propenso a utilizzare il progetto di integrazione europea in funzione anti-britannica, di scrivere a Cuccia (1967) per dichiararsi favorevole all’inclusione di Londra nel consesso comunitario 14. La strada, peraltro, era già stata segnata sia da Cuccia stesso che, come si è visto, aveva accolto nel capitale di Mediobanca il ramo londinese di Lazard qualche anno prima, sia da Siegmund Warburg, che curò l’emissione (1963) del primo Eurobond della storia a beneficio dell’italiana Autostrade.
Proprio il cambio di rotta di Monnet sul piano dei rapporti col rivale d’Oltremanica segna forse il definitivo abbandono dell’ambizioso progetto di Impero latino proposto qualche anno prima da Alexandre Kojève al Generale De Gaulle e destinato, nelle intenzioni del suo ideatore, a porre le basi per un antagonismo tout court con gli Imperi allora esistenti.
A non rispondere all’appello di Kojève è proprio la penisola italica: l’uggiosa Milano dove ha sede la Mediobanca di Cuccia aderisce, invece, con dignità di vertice, al triangolo con Parigi e New York immaginato dalla Lazard di Monnet e Meyer: troppo astratte le geometrie del nipote di Kandinskij, troppo vaghi i richiami alla douceur de vivre come fondamento sentimentale dell’Impero latino, troppo cogente l’imperativo americano di tenere legata a sé l’Europa unita e ricostruita, troppo concrete le operazioni di finanziamento alle infrastrutture, alle reti, alle grandi imprese globali.
La vicenda di Mediobanca e di Lazard si sovrappone anche a quella, tragica, dell’ebraismo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale fino a rappresentare, a nostro avviso, una parte non secondaria della stessa questione ebraica in quella fase storica. La ragione è da rintracciarsi non soltanto nel profilo e nel ruolo cruciale svolto dalle personalità che abbiamo avuto modo di conoscere soprattutto al di là dell’Atlantico, ma anche nella piena adesione da parte di queste, negli stessi anni in cui nasceva lo Stato d’Israele proprio su spinta americana, agli imperativi geopolitici della superpotenza dell’Occidente. Meyer, Lilienthal, David Weill, anche come forma di gratitudine nei confronti dello Stato che li avevi accolti, partecipano consapevolmente allo sforzo corale volto ad assicurare agli Stati Uniti il primato strategico nel mondo e a contenere il rivale russo nel teatro decisivo del Vecchio Continente. Ciò che li accomuna, pertanto, è l’obbedienza ai dettami della ‘religione civile’ dell’Impero non meno che l’origine ebraica stessa, e chissà se l’Impero americano che si compie ritraendosi non abbia riecheggiato, alle loro orecchie, lo tzimtzum, ossia il ritrarsi con cui il Dio della tradizione cabalistica crea il mondo.
Quale lezione trarre per il futuro dal lavoro di Farese e dall’inquadramento del percorso storico di Mediobanca nel contesto geopolitico in cui quell’esperienza è maturata?
Proprio come dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa è ora destinataria di un imponente programma di aiuti volti a ricostruirne le fondamenta economiche, la cui tenuta è stata messa duramente alla prova da un evento catastrofico. Rispetto agli anni post-bellici, è diversa la provenienza – endogena ora, esogena allora – delle risorse a disposizione degli Stati europei colpiti dalle avversità. Tuttavia, in primo luogo, la certificazione del merito di credito degli strumenti che le istituzioni comunitarie emettono per finanziare il programma di ricostruzione è fornita da agenzie di rating di origine americana; in secondo luogo, l’Europa è ancora una volta chiamata a tornare nella storia e a schierarsi in un confronto strategico globale che vede gli Stati Uniti contrapporsi non più solamente al rivale di un tempo, ora profondamente ridimensionato, ma anche, e soprattutto, alla potenza cinese in ascesa.
In altre parole, così come un’accurata analisi della cornice geopolitica di riferimento ha consentito a Mediobanca di assumere un ruolo da protagonista globale sullo sfondo dello European Recovery Program messo in atto dagli apparati statunitensi nel Secondo Dopoguerra, così oggi il rafforzamento del proprio posizionamento strategico in ambito economico-finanziario europeo, in qualunque forma esso sia attuato, richiede il medesimo sforzo di riflessione da parte di chiunque coltivi l’aspirazione alla leadership.
“C’è a Roma una chiesa, dietro Piazza Navona,” è il pensiero di Raffaele Mattioli 15 “che si chiama Santa Maria della Pace. Raffaello vi ha affrescato le Sibille e un angioletto, o il Bambin Gesù, non ricordo bene, che ti guarda con l’aria di chi ha capito tutto. Quando i pensieri mi si imbrogliano faccio una capatina in questa chiesa (nonostante io sia miscredente), e per uno stranissimo miracolo, forse perché sono uno stregone, la mente mi si illumina e riesco a vederci chiaro”.
Forse, il banchiere di Piazza della Scala per il quale “solo la gente che non sa vivere discrimina tra lavoro e hobby 16” e quello di Via Filodrammatici che aveva colpito Lilienthal perché, durante la visita a Pompei, parlava solo di cose antiche e non di finanza, vinsero la loro pluridecennale sfida della leadership proprio grazie all’insaziabile sete di cultura, soprattutto umanistica, che consentiva loro di comprendere con lucidità che direzione stava prendendo il mondo.
Note
- Giovanni Farese, Mediobanca e le relazioni economiche dell’Italia – Atlantismo, integrazione europea e sviluppo dell’Africa 1944-1971, Archivio Storico Mediobanca “Vincenzo Maranghi”, 2020, pag. 229. La letteratura attorno a Mediobanca comprende anche altri contributi di notevole interesse, tra i quali occorre ricordare, in ordine di pubblicazione, Sandro Gerbi, Mattioli e Cuccia – Due banchieri del Novecento, Einaudi, 2011; Giorgio La Malfa, Cuccia e il segreto di Mediobanca, Feltrinelli, 2014 e Fulvio Coltorti, La Mediobanca di Cuccia, Giappichelli, 2017.
Sandro Gerbi, scrittore e giornalista, ha curato l’opera del padre Antonello Gerbi, già responsabile dell’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana.
Giorgio La Malfa, già Deputato della Repubblica e Ministro per gli Affari Europei, è attualmente direttore scientifico dell’Archivio Maranghi.
Fulvio Coltorti è stato Direttore Centrale di Mediobanca con responsabilità per l’Area Studi.
- Di origine ebraica sono, per parte italiana, anche Giorgio Di Veroli, rappresentante della Banca Commerciale Italiana a New York, e Ottocaro Weiss, rappresentante delle Assicurazioni Generali nella stessa città, entrambi primo punto di contatto tra Milano e New York a cavallo della Guerra e artefici, assieme a Cuccia e Mattioli, della nascita di Mediobanca.
- Attorno al ruolo decisivo della dimensione marittima nella lotta per l’egemonia globale ruota costantemente la riflessione della rivista italiana di geopolitica Limes. Sono da segnalare, sul tema, il numero 7/19 intitolato La gerarchia delle onde nonché un convegno intitolato “Italia Paese marittimo: sfide e opportunità” e organizzato nel marzo 2021, oltre che dalla rivista diretta da Lucio Caracciolo, dall’Accademia Militare di Livorno e dalla Marina Militare. L’impostazione di Limes ricalca, peraltro, quella fatta propria da illustri teorici del passato tra i quali il Contrammiraglio Alfred T. Mahan (si veda in special modo The Influence of Sea Power Upon History, 1660–1783 (1890)).
- È la tesi che emerge, tra gli altri, dall’imponente lavoro di archivio condotto nel corso degli ultimi due decenni dallo scrittore e giornalista Giovanni Fasanella assieme al collega Mario José Cereghino e agli altri co-autori dei testi che ne sono scaturiti.
- Del ruolo dell’ACUE nel favorire l’integrazione europea dà conto, oltre a Farese (op. cit., pag. 257), un paper del 1997 di Richard J. Aldrich dell’Università di Nottingham (“OSS, CIA and European unity: The American committee on United Europe, 1948-60”). Particolarmente attivi in questo contesto risultano la Rockefeller Foundation e la Ford Foundation: quest’ultima sostenne, tra gli altri, l’Istituto Atlantico, un think tank con sede nelle vicinanze di Parigi alle cui attività partecipò – evidenzia Farese (ivi, op. cit., pag. 259) – lo stesso Cuccia.
- Giovanni Farese, Mediobanca e le relazioni economiche dell’Italia, cit., pag. 257. L’Economic Cooperation Administration (ECA) era l’agenzia federale incaricata di amministrare l’erogazione dei fondi legati al Marshall Plan. Si noti l’uso propagandistico del termine ‘comunismo’, in un contesto in cui peraltro si parla sempre di Russia e mai di Unione Sovietica.
- Si vedano, in proposito, “How a secretive Pentagon agency seeded the ground for a rapid coronavirus cure” in The Washington Post, 31 luglio 2020) e “Inventing the future – A growing number of governments hope to clone America’s DARPA” (in The Economist, 5 giugno 2021).
- Cord Meyer, a capo dell’International Organizations Division della CIA dal 1954, “recalls that the European political and cultural leaders who solicited our aid … made it a condition that there be no publicity, since the Communist propaganda machine could exploit any overt evidence of official American support as proof that they were puppets of the American imperialists” (ivi Richard J. Aldrich, op. cit., pag. 194).
- Giovanni Farese, Mediobanca e le relazioni economiche dell’Italia, cit., pag. 222.
- Ivi, pagg. 218-9.
- Ivi, pagg. 250-6.
- Non va dimenticato che fu proprio George Murnane ad accogliere André Meyer in fuga dalle persecuzioni in Europa e a diventare successivamente partner della Lazard di New York poi guidata proprio da Meyer. A fungere da raccordo tra le attività di Lazard e di Mediobanca – e talvolta personalmente tra Cuccia e Meyer – interviene invece Jean Guyot, partner di Lazard a Parigi e già vicedirettore del Tesoro francese nonché direttore finanziario della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) sotto l’egida di Monnet.
- “Monnet ne sarà sempre grato a Guyot e Meyer” (Giovanni Farese, Mediobanca e le relazioni economiche dell’Italia, cit., pag. 253).
- Ibidem.
- Sandro Gerbi, Mattioli e Cuccia, cit., pag. 80.
- Ibidem. Il suo “hobby” era, evidentemente, la cultura.