“Non ci fermeremo finché non diventeremo il Paese più libero del mondo”: la dottrina Milei un anno dopo
Lo stile Milei ha preso una nuova direzione? In un discorso trasmesso alla nazione, a un anno dal suo insediamento e circondato dai suoi ministri, il presidente argentino si è discostato dal suo tono abituale. Oltre a fornire un bilancio punto per punto, ha tracciato un percorso dettagliato e obiettivi per l'Argentina dei prossimi anni, da studiare con attenzione. Lo traduciamo e lo commentiamo riga per riga.
- Autore
- David Copello •
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- © AP Photo/Natacha Pisarenko
Il giorno del primo anniversario del suo insediamento, il Presidente argentino Javier Milei ha tracciato un primo bilancio dei suoi risultati in un discorso trasmesso dalle emittenti radiofoniche e televisive del Paese.
La messa in scena di questo tipo di discorso presidenziale è un po’ diversa dalla prassi abituale. Il Presidente non appare da solo davanti alle telecamere: è circondato dalla maggior parte dei suoi ministri e da alcuni alti funzionari del governo. Questa messa in scena ha lo scopo di trasmettere un’immagine di unità e disciplina.
Unità: mentre il Presidente continua a essere percepito come una figura impulsiva e collerica, la presenza dei suoi ministri evidenzia la natura collegiale e condivisa delle drastiche politiche attuate dal governo nell’ultimo anno.Trasmettere questa immagine di unità appare tanto più necessario se si considera il massiccio turnover nei dipartimenti governativi avvenuto nel corso dell’anno – con la sostituzione di un centinaio di figure governative (inserendo nel calcolo anche gerarchie equivalenti alla carica di sottosegretario di Stato).
Disciplina: con solo una minoranza di membri del partito presidenziale La Libertad Avanza al governo, sembra ancora più essenziale mostrare l’incontestabilità della leadership del presidente. In effetti, il presidente argentino è riuscito a reclutare, all’interno delle amministrazioni chiave, dirigenti di tutti gli schieramenti politici, dal peronismo alla destra, provocando così una divisione nell’opposizione.
Cari argentini, vorrei iniziare ringraziando tutti voi. Grazie per avermi fatto l’onore di essere il Presidente di questa grande nazione e grazie per aver sopportato, come l’avete fatto, i mesi difficili che abbiamo vissuto all’inizio della nostra amministrazione.
Vorrei ringraziare in particolare gli argentini che sono stati colpiti dall’ingiusta Casta, coloro che non vivono grazie allo Stato, i salariati o coloro che coniugano due lavori per mantenere una famiglia, tutti coloro che lottano, infaticabili, ogni giorno. In una parola, voglio ringraziare gli argentini normali, che per decenni sono stati trattati come cittadini di seconda classe e ai quali ora vogliamo restituire il posto che meritano. Il sacrificio che avete fatto è ammirevole. Vi assicuro che non sarà vano.
A un anno dalla sua investitura, Javier Milei continua a rivolgersi al pubblico come un leader di parte, mobilitando un registro di discorso antagonistico. Il suo discorso distingue tra la “brava gente” e la “casta”, un termine volto a vilipendere i politici tradizionali e coloro che ricevono benefici sociali.
Fin dall’inizio, il discorso del Presidente assume un tono offensivo.
Il Presidente Menem ha detto che il coraggio di un popolo si misura dalla quantità di verità che è disposto a sopportare.
Il presidente Milei segue immediatamente le orme del suo predecessore Carlos Menem. Menem era un peronista che ha guidato l’Argentina tra il 1989 e il 2009. Il suo mandato è stato caratterizzato da una massiccia riforma dello Stato, con numerose privatizzazioni di aziende pubbliche, e dall’introduzione della “convertibilità”, una politica monetaria che stabilisce la parità tra il peso e il dollaro. Queste politiche furono accompagnate da clamorosi scandali di corruzione e da un’accelerazione del debito, il cui corollario fu la crisi sociale, economica e politica del 2001.
Quando ho assunto la presidenza, esattamente un anno fa, avevo lanciato un avvertimento: se avessimo voluto risollevare il Paese dalla miseria in cui la Casta ci aveva fatto precipitare, avremmo dovuto attraversare una transizione dolorosa, persino peggiore di quella che l’Argentina stava già vivendo. Era una vera e propria cartina di tornasole. Avete raccolto questa sfida, sopportando questa verità e ingoiando l’amaro boccone a testa alta, nonostante tutto quello che avevate già perso.
Un proverbio dice che “i tempi buoni creano uomini deboli, gli uomini deboli creano tempi difficili, i tempi difficili creano uomini forti e gli uomini forti creano tempi buoni”. Quest’anno gli argentini hanno dimostrato di essere uomini e donne forti, forgiati dal calore dei tempi difficili.Abbiamo dimostrato che quando un popolo raggiunge il fondo dell’abisso, l’urgenza di intraprendere cambiamenti profondi e irreversibili ci trasforma in una vera forza della natura.
Qui Javier Milei fa riferimento – in modo molto allusivo – a una serie di indicatori economici e sociali che (insieme al calo dell’inflazione, su cui, senza sorpresa, dirà di più) sono al centro del suo attuale operato. Nel giro di un anno, il tasso di povertà è balzato dal 40% a quasi il 53%, il tasso di indigenza dal 12% al 18% e la recessione si è aggravata, passando dal -1,3% del 2023 alle previsioni del -3,8% del 2024.
Nonostante ciò, questo bilancio viene assunto e rivendicato come una medicina amara che forgia il carattere. Tutto ciò è accompagnato da una valorizzazione maschilista della “forza”, in cui ritroviamo l’opposizione dottrinaria di Milei alle politiche statali di lotta agli stereotipi e alle disuguaglianze di genere.
Oggi, con orgoglio e speranza, posso dirvi che abbiamo superato la prova del fuoco. Stiamo completando la traversata del deserto: la recessione è finita e il Paese ha finalmente iniziato a crescere.
Secondo i dati dell’INDEC (Instituto Nacional de Estadísticas y Censos de la República Argentina), l’attività economica ha iniziato a riprendersi a giugno. Tuttavia, la ripresa della crescita è stata discontinua (è calata nuovamente a settembre) e il PIL argentino rimane oggi inferiore a quello del novembre 2023. Quindi, la recessione non è ancora finita, come lo afferma Javier Milei.
Questa parte del discorso preannuncia il resto: un elenco di dati macroeconomici, in parte reali, in parte distorti o inverosimili. Prendiamo ad esempio il tasso di inflazione del 17.000%, che un anno fa si aggirava in realtà intorno al 250% (una cifra estremamente elevata, tra l’altro). La cifra del 17.000% è stata in realtà utilizzata da Milei un anno fa come previsione apocalittica di ciò che sarebbe accaduto al Paese se il suo programma radicale non fosse stato attuato. La cifra viene ora utilizzata per descrivere una situazione che in realtà non è mai esistita.
Grazie per aver riposto la vostra fiducia in questo governo.
Questo non significa che siamo al sicuro, ma che possiamo chiudere l’anno con il sollievo di esserci lasciati il peggio alle spalle e iniziare il prossimo anno con la certezza che l’avvenire sarà sempre migliore. L’Argentina ha un futuro luminoso davanti a sé. Ma, per lo stesso motivo, tutti noi dobbiamo tenere conto di ciò che abbiamo ottenuto quest’anno, in modo da salvaguardare e non dare per scontato ciò per cui abbiamo lavorato così duramente.
Esattamente un anno fa, il tasso di inflazione aveva raggiunto il 17.000% per l’indice dei prezzi all’ingrosso. Ci siamo ritrovati con un’iperinflazione che, date le condizioni sociali in cui si trovava già l’Argentina, era sul punto di causare una miseria senza precedenti. Non con il Rodrigazo, non con l’iper dell’89, non con il 2001, non con tutte e tre le crisi messe insieme.
Il “piano di aggiustamento” noto come Rodrigazo deve il suo nome al ministro dell’Economia argentino, Celestino Rodrigo (1915-1987), che lo annunciò il 4 giugno 1975 – durante la presidenza di María Estela Martínez de Perón.Il piano cercava di eliminare la “distorsione” dei prezzi relativi introducendo una serie di misure d’urto che fecero salire l’inflazione dal 24% del 1974 al 182% del 1975, segnando l’inizio di un decennio e mezzo di tassi di inflazione superiori al 100% annuo.
L’“iper dell’89” si riferisce all’iperinflazione argentina del 1989 e del 1990. Questa crisi economica spinse il presidente radicale Raúl Alfonsín ad anticipare le elezioni presidenziali al 14 maggio 1989, permettendo al candidato peronista Carlos Menem di vincerle.
2001 si riferisce alla crisi politica, economica e sociale del dicembre 2001. Lo slogan delle massicce manifestazioni di piazza era “¡Que se vayan todos!” (“Che se ne vadano tutti”). Il presidente di allora, Fernando de la Rúa, alla fine si dimise.
Oggi, quello stesso indice dei prezzi all’ingrosso è dell’1,2% per il mese di ottobre, e continua a scendere. Ogni giorno che passa, l’inflazione diventa un lontano ricordo. Esattamente un anno fa, avevamo un deficit fiscale consolidato di 15 punti, di cui cinque per il Tesoro e dieci per la Banca Centrale. Il deficit era all’origine di tutti i nostri mali: senza deficit non ci sarebbe stato debito, emissione e inflazione. Oggi, per la prima volta negli ultimi 123 anni, abbiamo raggiunto un avanzo di bilancio sostenibile, non in deficit. Questo risultato è stato ottenuto grazie al più grande aggiustamento della storia dell’umanità e al blocco dell’emissione di moneta, che è stata ridotta a zero.
Esattamente un anno fa, un degenerato fiscale di cui non farò il nome stampava 13 punti di PIL in un anno per vincere le elezioni, senza preoccuparsi dell’inflazione che avrebbe generato. Oggi l’emissione di moneta non è altro che un brutto ricordo.
Esattamente un anno fa, il debito nei confronti degli importatori ammontava a ben 42,6 miliardi di dollari, mettendo a repentaglio la capacità di effettuare i pagamenti. Oggi, non solo il debito è stato azzerato, ma anche il flusso delle importazioni, che vengono pagate per intero, avviene regolarmente.
Esattamente un anno fa, avevamo un deficit commerciale di oltre un punto di PIL e riserve nette negative per 11 miliardi di dollari. Oggi abbiamo un surplus commerciale che cresce a vista d’occhio e grazie al quale abbiamo già potuto acquistare più di 20 miliardi di dollari, un record assoluto per il nostro Paese, sia per accumulare riserve che per far fronte ai vari pagamenti che avevamo e abbiamo ancora davanti a noi. In altre parole, stiamo pagando il debito che ci hanno lasciato gli indebitati di serie.
Esattamente un anno fa, il differenziale del tasso di cambio era del 180%. Oggi il differenziale del tasso di cambio è praticamente nullo e il dollaro libero ha lo stesso valore di un anno fa. È la prima volta in 16 anni che una cosa del genere accade nel nostro Paese. Il salario medio di base è passato da 300 a 1.100 dollari.
Esattamente un anno fa, avevamo un rischio paese di 1.900 punti, che era ancora più alto, con le obbligazioni nazionali scambiate a 35 dollari. Oggi il rischio paese è inferiore a 700 punti e le nostre obbligazioni sono già sopra i 70 dollari. Non si tratta di un valore astratto di cui dovrebbero preoccuparsi solo gli economisti. Abbassare il rischio paese ci permette di ridurre i tassi d’interesse, in altre parole di migliorare la capacità di tutti gli attori dell’economia di accedere a un credito più conveniente, che facilita gli investimenti e crea posti di lavoro.
Esattamente un anno fa, il tasso del mercato monetario era del 133%. Oggi è del 32%, il che riduce il costo complessivo del credito. Per capire il ruolo della politica monetaria, dobbiamo considerare quanto lo Stato paga per il denaro che prende in prestito. Se lo Stato paga molto, le banche preferiscono prestare allo Stato; se lo Stato paga poco, le banche preferiscono prestare al settore privato. In altre parole, oggi, per la prima volta dopo tanto tempo, le banche preferiscono lavorare come delle vere banche.
Al di là di questo lungo elenco di dati, Milei torna ad indossare il ruolo che lo ha reso noto al grande pubblico argentino: quello dell’economista, che promuove la sua “competenza” nei media, cercando di distinguersi dai politici di professione. Le sue solite battute si mescolano spesso nel suo discorso con una presentazione un po’ asciutta (e molto veloce) di dati e teorie economiche, presentate con un tono professorale.
Allo stesso modo, un anno fa erano scomparsi gli acquisti a rate. Oggi, oltre all’acquisto rateale, offriamo anche mutui trentennali e abbiamo ricevuto oltre 250.000 domande per potervi accedere.
Esattamente un anno fa, l’economia era completamente paralizzata da normative che rendevano la vita difficile a tutti e spaventavano qualsiasi tipo di investimento. Oggi abbiamo già eliminato più di 800 norme – al ritmo di più di 2 al giorno – come l’apertura dei cieli, la deregolamentazione dei trasporti terrestri, l’eliminazione dei tetti di prezzo e dei divieti di esportazione. Abbiamo abrogato la “ley de góndolas” (legge sugli scaffali), eliminato gli eccessi della SADAIC (Società argentina degli autori e compositori di musica) e delle società di gestione collettiva, permesso l’accesso a Internet via satellite e aumentato la concorrenza nel settore medico.
Se consideriamo le Ley Bases e la DNU nel suo complesso, abbiamo realizzato la più grande riforma strutturale della storia, otto volte superiore a quella di Menem.
All’inizio del suo mandato, Milei ha emanato un “Decreto di Necessità e Urgenza” (DNU) volto a modificare o abrogare più di 300 norme, tra cui l’abolizione del controllo degli affitti, la fine dell’intervento statale per proteggere i prezzi dei prodotti essenziali, l’indebolimento della protezione dei lavoratori e l’autorizzazione delle privatizzazioni. Questo decreto è stato integrato a giugno dall’approvazione parlamentare della legge “Bases y Puntos de Partida para la Libertad de los Argentinos”, contenente quasi 250 articoli che introducono importanti riforme economiche (volte in particolare a facilitare le privatizzazioni) e delegano poteri all’esecutivo in materia amministrativa, economica e fiscale.
Esattamente un anno fa, avevamo ancora la disastrosa legge sugli affitti, che ha portato a un calo dell’offerta immobiliare e a un aumento dei prezzi degli affitti ben superiore all’inflazione. Oggi i contratti di locazione sono accordi liberi tra le parti, l’offerta di immobili continua ad aumentare e l’affitto medio è diminuito del 30% in termini reali.
Esattamente un anno fa, avevamo il famigerato sistema SIRA, gestito da un gruppo di cleptocrati per riscuotere tangenti sulle importazioni. Oggi chiunque voglia importare qualcosa può farlo e ogni giorno riduciamo i dazi doganali su un numero sempre maggiore di prodotti come erbicidi, urea, materie prime plastiche, pneumatici, elettrodomestici, motociclette, prodotti a LED e molti altri ancora, facendo calare i prezzi e avvantaggiando l’intera società grazie alla concorrenza.
Un anno fa eravamo uno dei 35 Paesi peggio classificati al mondo in termini di libertà economica. Oggi siamo già nella metà superiore della classifica e non ci fermeremo finché non saremo il Paese più libero del mondo. Ecco perché il nostro obiettivo è quello di realizzare altre 3.200 riforme strutturali prima della fine del nostro mandato.
Esattamente un anno fa, sembrava normale che le strade delle nostre città fossero occupate dai picchetti. Pensate: nel 2023 c’erano più di 8.000 picchetti, una media di 32 picchetti per giorno lavorativo in tutto il Paese. Oggi gli scioperanti hanno paura di scendere in strada e la gente può circolare tranquillamente – e giustamente, perché per noi l’ordine pubblico è sacro.
Appena insediato, Milei ha attuato un protocollo di polizia estremamente restrittivo. Le manifestazioni sulle strade pubbliche che ostacolano il traffico sono, in linea di principio, vietate; anche i costi associati al mantenimento dell’ordine durante una manifestazione dovrebbero essere a carico degli organizzatori. Queste misure, di difficile attuazione, sono state in realtà applicate dalla polizia solo in misura limitata. Lo stesso vale per la proposta di legge che prevedeva l’obbligo di dichiarare preventivamente al Ministero della Sicurezza ogni assembramento di tre o più persone sulla strada pubblica, che è stato finalmente abbandonata.
Tali misure parziali, volte a limitare l’espressione politica in pubblico, hanno comunque contribuito a un fenomeno di “spettacolarizzazione” della repressione, che ha indubbiamente ostacolato i movimenti sociali nell’ultimo anno. Inoltre, in Argentina si è assistito a un aumento della violenza della polizia contro i manifestanti nel 2024. Nel novembre 2024, il Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS) ha pubblicato un rapporto secondo cui, da quando Javier Milei è al potere, la polizia ha ferito 723 persone (tra cui 50 giornalisti) in occasione di manifestazioni di protesta. La “paura” a cui Milei fa riferimento nel suo discorso è una realtà concreta: ostacola la capacità di azione dei piqueteros (gruppi di manifestanti che organizzano “picchetti” per bloccare le strade) ma anche, più in generale, dell’intera società civile argentina.
Questo è accaduto anche perché, un anno fa, il sistema di rappresentanza era basato sulla rappresentanza forzata: lo Stato costringeva i soggetti più vulnerabili a dipendere da diversi gestori della povertà che li obbligavano a partecipare a scioperi per ricevere il loro piano. Oggi, tutti gli aiuti sociali vengono assegnati direttamente ai beneficiari, senza intermediari.
Un anno fa, la tessera alimentare universale per i bambini non copriva il 60% del paniere alimentare di base. Nel corso di quest’anno, sono raddoppiati in termini reali e ora coprono già il 100%. In altre parole, abbiamo mantenuto la nostra promessa di occuparci dei più vulnerabili durante il periodo di adeguamento.
Un anno fa, le nostre forze di polizia erano disprezzate dalla classe politica, le strade erano terra di nessuno e prevaleva l’atteggiamento “si salvi chi può”. Abbiamo chiuso l’anno con più di 250 omicidi a Rosario, che era stata completamente cooptata dal narcotraffico. Oggi i colpevoli pagano. Abbiamo lanciato il Piano Bandera e siamo riusciti a ridurre il numero di omicidi a Rosario del 63%. Stiamo anche mettendo i detenuti a lavorare in tutto il Paese, affinché possano, in un modo o nell’altro, ripagare la società per tutti i danni che hanno causato.
Abbiamo intrapreso l’unica strada possibile per porre fine all’insicurezza, una delle battaglie più lunghe e difficili che l’Argentina abbia mai affrontato.
Un anno fa, i governi argentini si erano abituati a essere lo zimbello del mondo, associati alle peggiori dittature e ai regimi criminali. Era una prassi pluridecennale, secondo la quale eravamo, nella migliore delle ipotesi, un Paese poco importante e, nella peggiore, un esempio per il mondo di cosa non fare o dire.
Oggi il mondo guarda di nuovo all’Argentina per le ragioni giuste. Persone e investitori di tutto il mondo stanno prendendo in considerazione l’idea di vivere qui e, per quanto riguarda l’economia, una potenza come gli Stati Uniti sta istituendo il Dipartimento di Deregolamentazione (DOGE) ispirandosi al nostro.
Milei evidenzia un elemento fondamentale nel modo in cui il suo governo è percepito all’estero. La sua ascesa politica è stata spesso accompagnata da un’aria di condiscendenza ed esotismo, un’aria che può essere riassunta dal soprannome “Trump della pampa”, con cui è stato spesso associato in Europa. A distanza di un anno, sta comunque emergendo come modello per una serie di imprese politiche e mediatiche in tutto il mondo. Elon Musk e Donald Trump hanno elogiato le politiche perseguite dal presidente argentino. Lo stesso vale per i leader politici di destra, come Eric Ciotti in Francia. Questo elogio, diffuso in una parte dello spettro politico, riguarda sia le politiche antiliberali del presidente argentino sia la “battaglia culturale” che egli sostiene di condurre contro il “wokismo” o “marxismo culturale”.
Un anno fa ci dicevano che non saremmo arrivati a gennaio. Oggi siamo già a dicembre. Quelli che lo dicevano volevano che non fossimo troppo veloci e che non scoprissimo i loro errori, ma indovinate un po’: li stiamo scoprendo uno dopo l’altro, senza dar loro un attimo di tregua. E non andiamo da nessuna parte. Vi chiederete se quello che stiamo facendo sta funzionando: se la politica fiscale ortodossa sta funzionando, se l’intransigenza nei confronti dell’estorsione e della criminalità sta funzionando, se il ridimensionamento dello Stato per rendere più grande la società sta funzionando. Perché nessuno l’ha fatto prima?
In realtà quello che succede è che, il più delle volte, ciò che è buono per la società è cattivo per la politica e viceversa. È la natura stessa della Casta. Hanno bisogno che la società vada male perché tutto vada bene per loro.
Dobbiamo capire perché la Casta si comporta così: non le interessa il lungo termine. Non ha in mente un progetto nazionale, ma sperpera il futuro a vantaggio dell’immediato presente. È nel loro DNA. Pensano solo a sfruttare la società nel presente il più possibile per il proprio tornaconto politico. Quando il re francese Luigi XV sperperava le ricchezze del regno per i propri piaceri, aveva un detto: “Après nous, le déluge” (“Dopo di noi, il diluvio”). In altre parole, la Casta non si preoccupa mai del futuro; lascia che le generazioni future si arrangino come meglio possono.
Mentre i politici hanno imparato a bruciare il futuro dell’Argentina per il proprio tornaconto, gran parte della società si è abituata alla stessa dinamica.
Costretta dal breve termine imposto dall’alto, non vedeva altra via d’uscita che scambiare il proprio voto con benefici sempre più immediati. L’emissione sconsiderata di denaro e l’espansione dello Stato sono due espressioni di questo fenomeno. Entrambe si basano sulla produzione di una sensazione di beneficio immediato, mentre i loro effetti negativi si fanno sentire solo nel tempo. Intere carriere politiche sono state costruite in questo modo, lasciando le società sempre più distrutte – con uno Stato sempre più grande e sempre più costoso. Sempre più persone privilegiate dall’onnipresente Stato sono diventate attori e difensori dello status quo. Questo spiega perché giornalisti, sindacati, organizzazioni sociali e politici di ogni genere, che fino a poco tempo fa si strappavano gli occhi a vicenda, si sono uniti per difendere lo status quo come se appartenessero allo stesso partito: il partito dello Stato.
Vogliono vivere nella loro torre d’avorio, nel loro paradiso fittizio, costruito su una società sempre più impoverita. Chiamano i loro privilegi “diritti acquisiti”, quasi fossero una sorta di nobiltà con il diritto divino di vivere a spese della società. Ma noi siamo venuti per smantellare questo sistema alla radice. Siamo arrivati al punto di porre fine a questo sistema di privilegi che ha trasformato i bravi argentini in cittadini di seconda classe. Il tempo del cittadino comune è arrivato.
Ecco perché abbiamo tagliato con la motosega la spesa pubblica.
Abbiamo posto fine alla pubblicità sui media, che solo nel 2023 varrà più di 100 miliardi di pesos in termini di valore attuale. Abbiamo ridotto il numero dei ministeri da 18 a 8, abolito quasi 100 segreterie e sottosegretariati e chiuso più di 200 settori le cui funzioni erano dei doppioni o obsolete. Abbiamo congelato gli stipendi degli alti funzionari pubblici da gennaio a oggi. Abbiamo chiuso TELAM, che operava come agenzia di propaganda per il kirchnerismo e che, solo quest’anno, prevedeva una perdita di 20 miliardi di pesos. Abbiamo licenziato 34.000 dipendenti pubblici e stiamo sottoponendo gli altri ad un test attitudinale.
Per questo abbiamo anche abolito le cariche ereditarie all’interno dello Stato, che erano un ritorno all’epoca coloniale dei privilegi nobiliari. Abbiamo chiuso l’INADI e il Ministero per la Donna, che erano covi di militanti e venivano usati per perseguitare gli oppositori politici.
Nell’elenco delle istituzioni pubbliche prese di mira dall’amministrazione Milei nell’ambito dei tagli generali al bilancio, l’INADI (Istituto Nazionale contro la Discriminazione, la Xenofobia e il Razzismo), il Ministero per le Donne, il Genere e la Diversità – e non il “Ministero per la Donna” come lo chiama – e l’INCAA (Istituto Nazionale per il Cinema e le Arti Audiovisive) sono tra i primi obiettivi. Esse incarnano particolarmente bene la doppia razionalità del governo di Milei nel suo tentativo di ridurre la sfera dell’intervento statale: una razionalità economica, volta semplicemente a ridurre i costi e gli ambiti dell’intervento statale per facilitare l’iniziativa del settore privato (ad esempio nel caso del cinema), in una logica di efficienza economica; una razionalità ideologica, in quanto le istituzioni che sono state oggetto degli attacchi più immediati e/o radicali sono spesso associate alla lotta contro la disuguaglianza e/o alla promozione di un’agenda culturale “marxista” (per usare la terminologia del presidente argentino).
Abbiamo posto fine ai privilegi della casta sindacale in aziende pubbliche come Aerolíneas e Intercargo, e anche se vorranno ancora estorcerci denaro, non cederemo. Stiamo facendo capire a molti dipendenti pubblici che si ritenevano superiori che sono dipendenti pubblici e che sono lì per fornire un servizio di qualità a chi paga le tasse. Abbiamo anche abolito più di 15 fondi fiduciari che erano monete politiche. Abbiamo eliminato le sovvenzioni all’Istituto Nazionale di Cinema e Arti Audiovisive (INCAA), che è passato da un deficit di 2 milioni di dollari a un surplus di oltre 4 milioni. Abbiamo anche posto fine all’inganno del Registro unico dei trasporti a motore, che ha fatto risparmiare agli argentini oltre 36 miliardi di pesos all’anno. Grazie alla SIGEN (Sindicatura General de la Nación), abbiamo realizzato un audit dell’intero Stato e stiamo per avviare un audit delle università pubbliche, che devono anch’esse rendere conto alla società, anche se sono riluttanti a farlo.
Questo non è un canto di vittoria prima del tempo, ma il riconoscimento che abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo prefissati e la conferma che anche i nostri prossimi obiettivi saranno una realtà.
Esattamente un anno fa, nel dibattito pubblico e nei media c’era molto scetticismo sulla capacità di successo del nostro governo. Nella migliore delle ipotesi, dicevano che non avevamo l’esperienza, la capacità o il potere politico per raggiungere i nostri obiettivi. Nel peggiore dei casi, dicevano che il nostro governo non sarebbe durato tre mesi, e molti scagnozzi della Casta hanno cercato di far avverare questa previsione con la forza bruta. Ma siamo riusciti a stabilizzare l’economia e a scongiurare la catastrofe che ci attendeva. Con appena il 15% dei deputati e il 10% dei senatori, abbiamo realizzato la più grande riforma strutturale della storia argentina.
Quello che intendo è che se siamo riusciti a ottenere tutto questo nonostante tutti fossero contro di noi, immaginate cosa potremmo fare se avessimo il vento in poppa.
Potrei andare due volte più lontano, due volte più veloce. Potrei passare un anno intero a descrivere le cose che sono cambiate nell’ultimo anno, ma non voglio farvi perdere tutto questo tempo, perché un’altra cosa che è cambiata in questi dodici mesi è che abbiamo smesso di guardare indietro e abbiamo iniziato a guardare avanti.
Voglio dedicare qualche minuto di questo anno di bilancio per spiegarvi come sarà questo futuro prospero, in modo che possiate pianificare il vostro destino e quello della vostra famiglia – e ciò sempre in piena libertà.
Come avevamo annunciato nel secondo trimestre, l’attività ha già iniziato a crescere. In altre parole, il lavoro di preparazione sta dando i suoi frutti. Questa tendenza continuerà anche l’anno prossimo. Stiamo entrando in un anno di bassa inflazione, di forte crescita economica e, di conseguenza, di crescita sostenuta del potere d’acquisto degli argentini, come non accadeva da decenni. Perché dico che il prossimo anno avremo una crescita sostenuta? Essenzialmente per due motivi. In primo luogo, stiamo già osservando una cosa: l’economia è entrata in una ripresa ciclica che ci sta tirando fuori dalla situazione di stallo in cui ci trovavamo. Questa ripresa ciclica si basa su due fattori: da un lato, la ricomposizione dei salari reali e delle pensioni, dovuta alla riduzione dell’inflazione; dall’altro, la ricomposizione delle scorte delle imprese, che farà ripartire l’economia dopo la liquidazione delle scorte nella prima metà di quest’anno. Tuttavia, si tratta di un fenomeno ciclico e fa parte di ciò che stiamo osservando oggi, spiegando l’improvvisa crescita dell’economia nell’ultimo trimestre.
Ma c’è anche una ragione strutturale. I risparmi di 15 punti di PIL ottenuti quest’anno – che erano stati sperperati dai politici – sono stati restituiti al settore privato, il che genererà un aumento sia degli investimenti che dei consumi.
D’altra parte, il calo del rischio paese e, di conseguenza, del tasso di interesse, riduce il costo del capitale e porterà quindi a un aumento diretto degli investimenti. A questi due fattori se ne aggiunge un terzo, ovvero la riduzione della pressione fiscale totale, attraverso l’eliminazione dell’imposta sull’inflazione e/o la riduzione delle imposte esplicite che dovremo affrontare il prossimo anno.
Infatti, il mio team sta ultimando una riforma fiscale strutturale che ridurrà le imposte nazionali del 90% e restituirà alle province l’autonomia fiscale che non avrebbero mai dovuto perdere. Di conseguenza, l’anno prossimo assisteremo a una vera e propria competizione fiscale tra le province argentine per vedere chi riuscirà ad attrarre più investimenti.
Il progetto di riforma fiscale è uno dei principali annunci del discorso del Presidente.
In primo luogo, perché una riduzione delle tasse del 90% sarebbe necessariamente associata a una profonda trasformazione del funzionamento del sistema politico e sociale argentino. È difficile immaginare come l’esistenza di un sistema sanitario ed educativo pubblico – anche di bassa qualità – possa essere mantenuto in queste condizioni. Tuttavia, la portata di questa riduzione fiscale non è specificata: include anche le imposte sul valore aggiunto (IVA) o sulle esportazioni? I dettagli non sono trascurabili: l’IVA, ad esempio, rappresenterà il 24% delle risorse raccolte dallo Stato nel 2022, contro il 19% dell’imposta sul reddito.
In secondo luogo, l’annuncio del Presidente è radicale in quanto comporta l’abbandono di uno dei principi del federalismo argentino: lo Stato nazionale raccoglie la maggior parte delle imposte, che poi redistribuisce tra le province. Questa redistribuzione delle risorse, che è in parte discrezionale, è una fonte ricorrente di tensione nella politica argentina. Le divergenze tra il livello nazionale e quello provinciale sono spesso accentuate dalle tensioni partitiche, soprattutto quando il presidente e i governatori non appartengono allo stesso schieramento politico. Questa struttura del processo fiscale è quindi uno dei principali strumenti di pressione del Presidente sulle amministrazioni locali. In questo caso, verrebbe abbandonata a favore della concorrenza tra le singole province, che potrebbero implementare aliquote fiscali differenziate.
Il quarto punto centrale del processo di crescita che vedremo dal prossimo anno riguarda la questione monetaria: la convergenza del tasso di cambio parallelo verso quello ufficiale, un fenomeno che stiamo osservando in questi giorni e che non si è mai verificato nella storia dell’umanità, poiché, di solito, il tasso di cambio ufficiale converge sempre verso il livello del tasso parallelo – e non viceversa. Questo ci avvicina ogni giorno di più alla fine definitiva della trappola dei tassi di cambio: un’aberrazione che non sarebbe mai dovuta accadere e che, con noi, finirà l’anno prossimo e per sempre. A tal fine, stiamo lavorando a una soluzione definitiva al problema delle riserve della Banca Centrale, che potrebbe assumere la forma di un nuovo programma con il Fondo Monetario o di un accordo con investitori privati. Inoltre, per portare avanti il processo di chiusura della Banca Centrale che, come avevamo promesso, avrebbe posto definitivamente fine all’inflazione in Argentina, abbiamo annunciato un programma di concorrenza monetaria affinché tutti gli argentini possano utilizzare la valuta che desiderano nelle loro transazioni quotidiane. Che ci crediate o no – presto potrete effettuare transazioni nella valuta che desiderate – e stiamo per farlo.
Ciò significa che d’ora in poi ogni argentino potrà acquistare, vendere e fatturare in dollari o nella valuta di sua scelta – ad eccezione del pagamento delle imposte, che per il momento continuerà ad essere effettuato in pesos.
Qui il Presidente ripete e riafferma due delle sue principali promesse della campagna presidenziale del 2023: la chiusura della banca centrale e la dollarizzazione dell’economia. Queste due misure non sono state adottate durante il primo anno di mandato di Milei, poiché gli ostacoli parlamentari e costituzionali si sono contrapposti ai suoi desideri iniziali.
La chiusura della banca centrale ha senso in base a una visione dell’economia tipica del monetarismo, associata a figure come Milton Friedman: l’unica fonte dell’inflazione è da ricercare nell’accelerazione della circolazione del denaro causata dalla stampa di troppa moneta da parte delle banche centrali. Abolire la banca centrale, secondo questa visione, equivarrebbe quindi ad abolire l’inflazione e a favorire la crescita attraverso l’autoregolazione del mercato, una soluzione molto dibattuta nella teoria economica.
Inoltre, il progetto di dollarizzazione delineato prevede l’introduzione della libera concorrenza tra le valute. Gli argentini, storicamente diffidenti nei confronti del peso, tenderebbero naturalmente a utilizzare il dollaro per le loro transazioni.
Tutto ciò significa che questo processo di crescita sarà sostenibile nel tempo. Stiamo lasciando alle spalle gli alti e bassi della nostra economia, che un anno cresceva e l’anno successivo calava, senza una crescita stabile per decenni e con una popolazione in diminuzione. Questa volta è diverso: la crescita è qui per restare, così come l’avanzo di bilancio.
Per accelerare la ripresa, è fondamentale spezzare le catene del commercio estero che ci soffocano, così da poter esportare e importare beni e servizi di migliore qualità e a prezzi più competitivi. Per questo, come ho annunciato al vertice del Mercosur, stiamo proponendo l’eliminazione delle barriere tariffarie che ostacolano il commercio all’interno del blocco e cercheremo anche di ridurre la tariffa esterna comune, che rende la vita più costosa per tutti noi senza apportare alcun beneficio. Il nostro obiettivo finale all’interno del Mercosur è quello di aumentare l’autonomia dei nostri membri nei confronti del resto del mondo, in modo che ogni Paese possa commerciare liberamente con chi vuole e come vuole.
In questo passaggio, Milei annuncia una politica più proattiva per l’Argentina all’interno del Mercosur.
In effetti, i primi dodici mesi della presidenza Milei sono stati segnati da un allontanamento dalle principali arene di discussione regionali. Milei ha persino saltato l’incontro principale dei capi di Stato del Mercosur nel luglio 2024 per partecipare alla CPAC (Conservative Political Action Conference) che si teneva nello stesso periodo in Brasile.
Tuttavia, poiché l’Argentina ha recentemente assunto la presidenza di turno del Mercosur, la politica della ‘sedia vuota’ non sembra più appropriata. Le dichiarazioni del Presidente, però, riflettono la sua sfiducia nei confronti di questa organizzazione internazionale, che, pur promuovendo il libero commercio, lo limita e lo regola all’interno di un quadro multilaterale. Proponendo di “aumentare l’autonomia” dei suoi membri, Milei propone in effetti di disfare il Mercosur dall’interno. È una posizione che ricorda, a livello internazionale, il piano d’azione che egli rivendica come proprio a livello nazionale: “Sono la talpa che è venuta a distruggere lo Stato dall’interno” – affermava in un’intervista del giugno 2024.
In quest’ottica, il nostro primo obiettivo sarà quello di spingere per la conclusione di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti il prossimo anno – l’accordo che avrebbe dovuto essere concluso 19 anni fa.
Immaginate la crescita che avremmo avuto negli ultimi due decenni se avessimo commerciato con la prima potenza mondiale. Tutta quella crescita ci è stata portata via dalla semplice firma di un gruppo di burocrati contrari ai benefici del libero scambio. È così che l’Argentina smetterà di voltare le spalle al mondo e tornerà a essere protagonista del commercio mondiale. Perché non c’è prosperità senza commercio e non c’è commercio senza libertà.
In questo passaggio, Javier Milei si riferisce alla proposta di Accordo di Libero Commercio delle Americhe (ALCA in spagnolo), concluso tra gli Stati Uniti e alcuni Paesi dell’America Latina negli anni Novanta. La firma del trattato nel 1994 è spesso presentata come un fattore scatenante dell’insurrezione zapatista guidata dal Subcomandante Marcos nello stesso anno in Chiapas, Messico. Il trattato, che sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2005 ma che è stato abbandonato strada facendo, è stato denunciato da tutti i partiti di sinistra latinoamericani. Un momento emblematico di questa denuncia è stato il contro-vertice delle Americhe, organizzato nella città argentina di Mar del Plata nel novembre 2005, durante il quale il presidente venezuelano Hugo Chavez ha pronunciato un famoso discorso che terminava con lo slogan “ALCA ALCA Al Carajo” – un gioco di parole che potrebbe essere tradotto letteralmente come “ALCA ALCA giù per il cesso”. Per Milei, proporre un ritorno alla firma di un accordo di libero scambio tra Argentina e Stati Uniti è un altro modo per rimettere in discussione l’eredità politica ed economica del kirchnerismo e, più in generale, dell’“onda rosa” dei governi progressisti latinoamericani degli anni 2000.
Allo stesso tempo, grazie alla RIGI, avremo un campo di crescita pieno di nuovi attori che non sono mai esistiti nel nostro Paese. Sulla base di un quadro fiscale logico per gli investimenti superiori a 200 milioni di dollari, abbiamo già richieste di approvazione di investimenti per oltre 11,8 miliardi di dollari, e altri miliardi sono già stati annunciati in settori come le infrastrutture, le miniere, l’acciaio, l’energia, le automobili, la tecnologia, il petrolio e il gas. Questo dà un assaggio di come sarà il nostro futuro regime fiscale agevolato. I grandi investimenti del programma porteranno a un boom delle imprese perché, oltre a creare nuovi posti di lavoro diretti, richiederanno beni e servizi alle imprese esistenti, creando migliaia di posti di lavoro indiretti e migliorando la produttività. Questi investimenti agiranno come un’iniezione di steroidi nella nostra economia, portandoci laddove avremmo dovuto essere molti anni fa.
Allo stesso tempo, il Ministro per la Deregolamentazione continua la sua maratona, abbassando ogni giorno i costi dell’Argentina e rendendoci più competitivi, il che si tradurrà anche in un aumento della produttività in tutti i settori dell’economia, oltre a tutto ciò che ho menzionato prima. Per quanto riguarda la riforma dello Stato, quest’anno vi abbiamo presentato solo la superficie della motosega, che consisteva principalmente nell’invertire gli eccessi degli ultimi anni di kirchnerismo. Ora è il momento della motosega profonda. Perché ciò che dobbiamo disfare sono strati geologici di organi e funzioni statali ingiustificati. Ci siamo abituati a vedere lo Stato nazionale come una tata che deve occuparsi di tutto, dall’alimentazione all’intrattenimento di ogni cittadino.
Ma quando uno Stato si assume compiti che non gli competono, oltre a distruggere il settore privato, finisce per venir meno ai suoi obblighi più fondamentali, come il mantenimento dell’ordine pubblico o la stabilità della moneta.
Lo abbiamo imparato a nostre spese negli ultimi vent’anni. Permettetemi di dirlo senza mezzi termini: è sempre controproducente che il governo nazionale si faccia carico di questioni che possono essere risolte da organismi subnazionali o che sono meglio gestite dal settore privato attraverso meccanismi di mercato. Per questo motivo, ci accingiamo a condurre una revisione contabile senza compromessi, al fine di realizzare la più grande riduzione della spesa pubblica nella storia dell’Argentina. Il risultato sarà uno Stato più piccolo, più efficiente e meno costoso per tutti i contribuenti. Continueremo a eliminare agenzie, segreterie, sottosegretariati, aziende pubbliche e tutti gli altri enti pubblici che non dovrebbero esistere. Ogni incarico o compito che non corrisponde a ciò che lo Stato nazionale dovrebbe fare sarà eliminato. Perché più piccolo è lo Stato, più grande è la libertà.
In questo passaggio, Milei riafferma con forza il suo credo libertario. Mentre le politiche economiche che ha perseguito finora si basano essenzialmente su una drastica riduzione della spesa pubblica all’insegna dell’austerità fiscale – che i neoliberisti più tradizionali non disconoscerebbero – Milei annuncia qui di voler andare oltre. L’ideale dell’abolizione pura e semplice dello Stato, caratteristico dei libertari – detti anche anarco-capitalisti – viene qui esplicitato. Questo ideale, in gran parte utopico – o distopico, a seconda dei punti di vista – non figura tra gli obiettivi immediati del piano d’azione militante, che a medio termine adotta un approccio “minarchico” – ricordano una delle correnti del libertarismo e certi teorici come Robert Nozick.
Per quanto riguarda la sicurezza, non rallenteremo finché la nostra dottrina del “chi è colpevole paga” non sarà incisa nella memoria di ogni criminale. E proporremo una legge sui recidivi per farli pagare ancora di più. Inoltre, spingeremo per una legislazione antimafia, sulla falsariga del RICO Act, che ha sradicato il crimine organizzato negli Stati Uniti 50 anni fa. Al contempo, spingeremo per abbassare l’età della responsabilità penale, in modo che chi è abbastanza maturo per commettere un reato sia anche abbastanza maturo per subirne le conseguenze.
Inoltre, riformeremo la polizia federale per renderla un’agenzia federale di investigazione criminale, aumentandone l’efficienza operativa, la professionalità, la tecnologia e la capacità di combattere il crimine nazionale e transnazionale.
Infine, promuoveremo un’unità di lotta al narcoterrorismo alla triplice frontiera, in coordinamento con i nostri vicini del Mercosur.
Per quanto riguarda il capitale umano, lo sfacelo economico, sociale e culturale degli ultimi decenni ha lasciato un sistema in cui milioni di bambini iniziano la loro vita senza protezione e affamati, attraversano l’infanzia e l’adolescenza senza imparare a leggere e scrivere e non riescono mai a integrarsi correttamente nella società. Con il Ministero del Capitale Umano, affrontiamo la sfida titanica di ricostruire i legami sociali e fornire alle future generazioni gli strumenti necessari, attraverso programmi di alfabetizzazione, formazione e iniziative per rafforzare il ruolo delle famiglie.”
Come l’ho già detto, la crociata deregolamentatrice di questo governo ci ha riportato sotto i riflettori del mondo.
In termini di tecnologia, ciò lascia presagire un futuro ricco di opportunità, poiché il cammino dell’Argentina verso la libertà tecnologica e l’ottimismo contrasta con quello di molti Paesi sviluppati, che si dirigono sempre più verso l’inferno normativo.
Questo è uno dei paradossi del rapporto di Milei con la comunità internazionale: mentre afferma di voler reintegrare il suo Paese nel concerto delle nazioni occidentali sviluppate, le politiche perseguite tendono in realtà a discostarsi da una serie di parametri abbastanza condivisi nelle società post-industriali. In termini di protezione sociale e di regolamentazione economica, nell’ultimo anno l’Argentina ha evidenziato una tendenza all’allontanamento dai cosiddetti Paesi sviluppati. Allo stesso tempo, però, Milei mette costantemente in scena il suo avvicinamento all’“Occidente” e la sua distanza dal Sud. L’immaginario dell’Occidente di Javier Milei ricorda più da vicino il Far West americano del XIX secolo: una terra di pionieri dove regna la legge del più forte e trionfano i più audaci. Anche il suo riferimento alle ferrovie argentine di fine Ottocento sembra puntare verso questa immaginaria “frontiera” – nonostante il fatto che la rete ferroviaria abbia continuato a svilupparsi, raggiungendo la sua massima estensione alla fine degli anni Cinquanta, in un momento di maggiore coinvolgimento dello Stato negli investimenti infrastrutturali.
Abbiamo energia da vendere, terre fredde e inospitali da vendere e risorse umane di qualità da vendere. Non per niente siamo il Paese con il maggior numero di unicorni tecnologici pro capite della regione. Questi tre fattori, combinati insieme, formano una tempesta perfetta per attrarre investimenti di alto livello nell’intelligenza artificiale. Non dovrebbe sorprendere nessuno che l’Argentina sia destinata a diventare il prossimo centro globale per l’intelligenza artificiale. Non è una coincidenza che le più grandi aziende del mondo stiano valutando progetti in Argentina.
L’aspetto interessante è che l’aumento della domanda di energia legata all’intelligenza artificiale porterà a una rinascita globale dell’energia nucleare dopo decenni di declino – e noi non resteremo indietro. Progetteremo un piano nucleare argentino che comprenderà la costruzione di nuovi reattori e la ricerca sulle tecnologie emergenti dei reattori piccoli o modulari, mantenendo i più alti standard di sicurezza ed efficienza. Questo piano sarà presentato nei prossimi giorni dal dottor Reidel e ci porrà ancora una volta all’avanguardia in questo campo. Quando in Argentina prevalevano le idee di libertà, eravamo all’avanguardia della tecnologia nella regione. Nel 1900, l’Argentina aveva la più grande rete ferroviaria dell’America Latina e l’undicesima del mondo.Oggi, paradossalmente, è solo riscoprendo le verità del nostro profondo passato che possiamo realizzare il nostro potenziale – e proiettarci nel futuro.
Per concludere, spero che poter misurare quanto l’Argentina sia cambiata in un solo anno ci aiuti a coltivare la speranza per il prossimo anno. La strada da percorrere è ancora lunga, ma per la prima volta dopo decenni c’è un cammino che porterà il Paese verso la prosperità e il benessere sognati dai nostri padri fondatori.
Laddove c’era ansia, ora c’è stabilità e prevedibilità.
Laddove eravamo abbandonati al caos e alla violenza, ora regna l’ordine.
Laddove abbiamo sofferto l’oppressione per mano dello Stato, ora è tornata la libertà.
Laddove un tempo regnavano i privilegi di pochi, oggi regna l’uguaglianza davanti alla legge per tutti.
Senza questi pilastri fondamentali, che sono mancati per molti anni, non ci sarebbe via d’uscita per il nostro Paese. Dopo essere stati uno degli studenti peggiori dell’economia negli ultimi quarant’anni, oggi siamo uno dei più performanti per i prossimi quarant’anni.
Quarant’anni è la durata della democrazia argentina dalla fine dell’ultima dittatura militare nel dicembre 1983. Come spesso accade, Milei utilizza un discorso declinista che collega i mali della società argentina all’esercizio del suffragio universale. Eppure le prime grandi crisi inflazionistiche del Paese risalgono al 1975-1976, al culmine della svolta autoritaria.
L’Argentina è sulla bocca di tutti e alcuni considerano questo processo un vero e proprio miracolo economico: il miracolo argentino. Vorrei ringraziare tutti i membri del mio gabinetto per l’immenso lavoro svolto durante l’anno. Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza di voi. Vorrei ringraziare in particolare mia sorella, la Segretaria generale della Presidenza, per l’enorme lavoro svolto, non solo durante la campagna elettorale, ma durante tutto l’anno. Senza di lei, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. L’Argentina le sarà per sempre grata.
Il Presidente si riferisce a sua sorella Karina Milei, seduta immediatamente alla sua destra mentre pronuncia il discorso. Soprannominata “il Capo” dallo stesso Milei, ha avuto un’ascesa fulminea negli ambienti del potere.Senza alcuna esperienza politica o di attivismo, è ora una delle figure più influenti del governo, al punto da eclissare la maggior parte dei ministri e controllarne alcuni. Attualmente è incaricata di strutturare il partito presidenziale La Libertad Avanza in vista delle elezioni legislative di metà mandato, che si terranno alla fine del 2025. La posizione predominante acquisita negli ultimi mesi testimonia il dispiegamento di logiche anti-istituzionali nell’amministrazione Milei, dove due personalità concentrano gran parte del potere esecutivo: Karina Milei, il cui mandato va ben oltre le sue funzioni di segretario generale della presidenza, e Santiago Caputo – soprannominato “il mago del Cremlino” -, un amico del presidente che, pur lavorando come fornitore di servizi esterni per Milei, controlla anche gran parte delle nomine a posizioni chiave al di fuori di qualsiasi controllo politico o normativo. Javier Milei ha teorizzato questa divisione del potere come “triangolo di ferro”: ogni attacco a uno dei suoi due accoliti – che sono in feroce competizione tra loro – viene interpretato come un attacco personale al presidente.
Ma non possiamo riposare sugli allori.
Il prossimo anno sarà un anno di elezioni. A differenza della prassi abituale dei politici che, negli anni delle elezioni, sperperano il denaro di tutti gli argentini come se fosse il loro, in cerca di voti, noi faremo qualcosa di diverso. È unico nella storia delle democrazie moderne che un governo entri in un anno elettorale senza perseguire una politica fiscale e monetaria espansiva – perché è proprio la logica del passato che ci ha portato alla rovina. Non cederemo a questa tentazione che ha sedotto la Casta, perché noi siamo il futuro e siamo la prosperità.
Continueremo con il nostro programma di aggiustamento per poter abbassare le tasse e restituire denaro al settore privato, e metteremo sul tavolo un’agenda di riforme di ampio respiro sviluppata sui pilastri di cui vi ho parlato oggi, in modo che la società possa scegliere legalmente il Paese che vuole. Riforma fiscale, riforma delle pensioni, vera riforma del lavoro, riforma delle leggi sulla sicurezza nazionale, riforma penale di ampio respiro, riforma politica e molte altre riforme che il Paese attende da decenni.
Per la prima volta da molti anni, le elezioni del prossimo anno non riguarderanno le persone, ma le idee.
Si tratterà di scegliere tra i politici marci del passato e il nostro programma per il futuro. Voteremo per i pilastri su cui vogliamo costruire questa nuova Argentina, molti dei quali sono stati difesi concettualmente nel corso di quest’anno e per i quali molti leader si sono impegnati firmando il patto di maggio.
È difficile non notare che alcuni dei “politici del passato”, così ferocemente attaccati dal Presidente, sono seduti proprio accanto a lui mentre parla e rivestono ruoli di primo piano nel suo governo. A cominciare da Patricia Bullrich – ministro della Sicurezza – ex ministro sotto i presidenti Mauricio Macri e Fernando de la Rúa e deputata fin dai primi anni ’90. C’è anche Guillermo Francos, che ha lavorato per quasi tutti i governi argentini dai primi anni ’70 – comprese le dittature – e che fino a poco tempo fa era attivo nelle reti peroniste. Una caratteristica centrale del mandato di Milei è stato il successo nel cooptare nel suo governo figure “tradizionali” di tutto lo spettro politico argentino.
Una delle questioni che si porranno nei prossimi mesi sarà quella delle coalizioni che il partito del Presidente costruirà in vista delle elezioni di medio termine: quale parte della destra “classica”, in particolare, sarà assorbita dal suo movimento? In che misura la coalizione di governo sarà in grado di conquistare seggi in Parlamento e quindi di uscire dalla sua posizione di minoranza? O, al contrario, in che misura queste elezioni non agiranno, più modestamente, come un riequilibrio interno delle forze attualmente dominanti nella coalizione di governo: La Libertad Avanza (il partito del presidente Milei) e Propuesta Republicana (il partito dell’ex presidente Mauricio Macri, che sostiene l’attuale governo ma rischia di vedere il suo elettorato assorbito da quello di Milei).
Spero che riflettere insieme su tutto ciò che abbiamo cambiato e su tutto ciò che dobbiamo ancora fare ci aiuti ad apprezzare la portata della posta in gioco del prossimo anno. Perché oggi, per la prima volta dopo tanto tempo, noi argentini abbiamo qualcosa da perdere. Come disse Thomas Jefferson: “Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”.
Allo stesso modo, vorrei lanciare un monito al resto della classe politica.
Hanno erroneamente creduto che l’elezione di questo governo fosse un capriccio della società in un momento di profondo malessere. Quest’anno, la società ha dimostrato loro che il loro impegno per il cambiamento non era un capriccio passeggero, ma una convinzione incrollabile, sostenuta dalla speranza di ricostruire la nostra nazione.
Gli argentini non tollerano e non tollereranno un ostruzionismo insensato e malintenzionato alle nostre riforme. E sarebbe estremamente ingenuo non imparare la lezione dell’ultimo anno. Che ci piaccia o no, l’Argentina è uscita dall’abisso in cui i politici ci hanno fatto precipitare e oggi, per la prima volta dopo decenni, sta sorgendo il sole della speranza.
Il Paese si sta dirigendo verso un futuro di prosperità che, per molti di voi, è inimmaginabile.
Ma niente e nessuno può togliere questa speranza agli argentini, perché, a differenza di altre volte nella nostra storia in cui la speranza si basava su promesse vuote, oggi abbiamo ottenuto risultati concreti.
Li potete vedere, li potete sentire.
Questo futuro di prosperità è alla nostra portata. Non c’è nulla che possiate fare per fermarlo: potete salire a bordo del treno del progresso o farvi travolgere da esso.
Ancora una volta, vorrei ringraziare tutti gli argentini per l’enorme sacrificio che hanno fatto quest’anno. Voglio che sappiate che non è stato vano e che l’anno passato sarà ricordato come il primo anno della nuova Argentina. Vi auguro di godervi il mese di dicembre con le vostre famiglie e di fare progetti per l’anno prossimo. Siate certi che questo governo vi difenderà fino alla fine e non perderà mai la fiducia nella futura grandezza della nostra Repubblica.
Come di consueto nel discorso di Milei, l’appello ai valori tradizionali – in questo caso la famiglia – va di pari passo con l’aggressività più sfrenata. Gli oppositori e i detrattori non si limiteranno a “perdere” il treno della nuova Argentina: saranno, più direttamente, schiacciati sul suo cammino… Riprendendo i toni millenaristici (la nuova Argentina) e mistici (le forze del cielo) a cui il personaggio ha abituato il suo pubblico, Milei avrà comunque sacrificato, per una volta, alcuni codici istituzionali, non concludendo il suo messaggio con il suo tradizionale slogan elettorale – che non ha bisogno di essere ricordato.
Che Dio benedica ognuno di voi e che le forze del cielo siano con noi. Grazie mille!