Dopo essere stata al centro del progetto europeo con il carbone, l’acciaio e l’energia nucleare, l’energia è stata gradualmente dimenticata all’interno dell’integrazione europea.
Per molto tempo, il settore energetico europeo è rimasto intrappolato in una dipendenza energetica del continente dalla Russia. Questo lungo risveglio energetico – dalle origini dell’Europa alla storica decisione di affrancarsi dal gas russo – è culminato in una decisione segnata dall’unità, dalla rapidità e dalla determinazione degli Stati europei, ridefinendo il futuro di una politica energetica più che mai essenziale per il futuro dell’Unione europea e dei suoi cittadini.
1 – L’energia: la base dell’integrazione europea
L’energia è stata il terreno nel quale l’Europa ha messo le proprie radici dopo la Seconda guerra mondiale.
La Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) è stata la prima base su cui è stata costruita l’integrazione europea. Attraverso questo strumento unico, il progetto di cooperazione tra i sei Paesi fondatori ha preso forma. Inoltre, è attraverso la CECA che sono stati sviluppati i princìpi, le istituzioni e l’attuale filosofia dell’Unione. Si tratta di un progetto di ricostruzione di un’Europa devastata, una ricostruzione basata sulla solidarietà. La forza e la potenza industriale di Francia e Germania si basavano sul carbone e sull’acciaio. Attraverso la cooperazione economica in questi settori strategici, l’obiettivo politico di fondo è quello di porre fine per sempre allo spettro della guerra e di aprire la strada alla pace attraverso l’integrazione europea.
Il Trattato di Roma firmato nel 1957, che ha fondato la cooperazione europea, includeva anche una componente nucleare. L’energia nucleare fu riconosciuta come strategica e la Comunità Euratom creata proprio per promuovere la cooperazione in questo settore a scopi pacifici. Tuttavia, il Trattato non conferisce nessuna competenza esplicita a livello europeo per l’integrazione energetica in senso lato: l’Europa non ha una politica energetica unificata, lasciando che ogni Stato membro la gestisca secondo i propri interessi nazionali.
Per esistere, il settore energetico europeo aveva bisogno di un mercato comune, ed è nel 17 febbraio 1986, con l’Atto Unico Europeo, che si apre un’opportunità. Sebbene l’Atto non contenesse disposizioni specifiche su una politica energetica comune, prevedeva la creazione di un mercato interno senza frontiere per tutti i prodotti e servizi entro il 1992. Questa apertura del mercato può essere considerata come il primo passo verso una politica energetica europea. L’obiettivo era quello di modificare il Trattato di Roma e di stabilire i princìpi di una maggiore integrazione: il principio della maggioranza qualificata, che sostituisce il requisito dell’unanimità, elimina molti degli ostacoli istituzionali. È proprio da questo momento in poi che la Commissione europea ha iniziato a identificare gli ostacoli ad un mercato interno dell’energia. L’idea di un mercato comune dell’energia non era nuova: era già stata inserita nella Dichiarazione di Messina del 1955, in cui si affermava la necessità di adottare misure “per sviluppare gli scambi di gas e di elettricità al fine di aumentare la redditività degli investimenti e ridurre il costo delle forniture” 1.
Il settore energetico, ad eccezione del carbone e del petrolio, è organizzato intorno a monopoli pubblici nazionali, con scambi transfrontalieri molto limitati. Questi monopoli hanno goduto di una forte legittimità politica, economica e morale, poiché hanno contribuito alla ricostruzione dell’Europa nel dopoguerra. Esiste un forte legame, quasi esistenziale, tra il settore energetico – considerato un bene strategico – e la sovranità nazionale. L’energia è sicura e abbondante perché i monopoli se ne prendono cura. Nella sentenza di Almelo del 1994, la Corte di Giustizia europea riconosce per la prima volta che l’energia non è un servizio pubblico, ma un bene a cui si applicano le regole della concorrenza. Fu Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, a proporre la creazione di un mercato europeo dell’energia. L’obiettivo era quello di aprire i mercati nazionali alla concorrenza e di uscire dal monopolio di un’unica società nazionale che gestisce l’intera catena energetica: approvvigionamento, trasporto e distribuzione. Gradualmente, l’energia sta diventando un affare comune, un elemento di solidarietà e di preoccupazione per gli Stati membri.
Ma la costruzione del mercato europeo dell’energia è uno dei progetti più ambiziosi dell’Unione, perché il controllo dell’energia è strettamente legato alla sovranità nazionale. Gli investimenti in infrastrutture sono, per loro stessa natura, strategici. Nonostante i progressi sostanziali, a trent’anni dal suo avvio, Enrico Letta, l’ex primo ministro italiano incaricato nel 2024 di formulare raccomandazioni sul futuro del mercato europeo, è molto chiaro: allo stato attuale, la mancanza di integrazione energetica è uno dei fattori del declino della competitività dell’Unione 2.
2 – Il fattore russo: un catalizzatore delle divisioni europee
Il “fattore russo” è una fonte di divisione duratura tra gli Stati europei, radicata in percezioni storiche della Russia profondamente divergenti.
Nel settore energetico, questa dipendenza si è affermata gradualmente negli anni Sessanta. L’Unione Sovietica iniziò a esportare gas e petrolio su vasta scala, inizialmente verso i Paesi del Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon), oggi parte dell’Unione Europea. In un contesto di distensione tra Est e Ovest, l’energia divenne una leva per la normalizzazione delle relazioni con l’URSS, facilitando l’apertura dei flussi di idrocarburi da Est a Ovest. Italia, Austria, Germania Ovest, Finlandia e Francia divennero i principali clienti delle esportazioni di combustibili fossili sovietici.
Questa strategia, incarnata dalla Ostpolitik di Willy Brandt, mirava a stabilire un’interdipendenza simmetrica: l’Europa sarebbe diventata dipendente dal gas russo, mentre la Russia sarebbe diventata dipendente dalla tecnologia e dalle valute europee. Questa visione si basava sull’idea che Mosca, percepita come un fornitore affidabile, avesse rispettato i suoi impegni anche durante i momenti più difficili della Guerra Fredda.
Ma il “fattore russo” ha di fatto impedito che l’Unione energetica diventasse una realtà. Mentre i Paesi dell’Europa orientale – con l’eccezione dell’Ungheria – e gli Stati baltici ne avvertivano i pericoli, gli altri Stati europei, in particolare Germania, Francia e Italia, perseguivano attivamente l’Ostpolitik energetica. Questa strategia era giustificata dalla percezione di un’interdipendenza simmetrica tra Europa e Russia, consolidando forti legami energetici nonostante numerosi avvertimenti.
3 – L’Europa a corto di energia russa: il lento risveglio energetico dell’Europa
Nel 2006, un gigantesco blackout paralizzò il continente per un certo periodo. La sicurezza elettrica in Europa si era deteriorata per diversi anni. Mentre il consumo cresceva, gli investimenti non tenevano il passo. Dagli anni ’90, l’approvvigionamento elettrico comincia ad essere un problema in alcuni Paesi europei: in caso di temperature molto basse o molto alte, la rete mostra segni di debolezza, costringendo i fornitori ad adottare misure di emergenza.
In quell’anno, la dipendenza dell’Europa dalla Russia divenne evidente. Così si aprì il periodo delle guerre del gas russo-ucraine e dell’uso dell’energia come arma politica da parte della Russia.
La seconda guerra del gas nel 2009 ha aggravato le preoccupazioni dell’Europa.
Ancor più della crisi del 2006, essa evidenzia la dipendenza dall’energia russa, accuratamente alimentata da Vladimir Putin e dalla dirigenza di Gazprom, che per anni hanno reso il prezzo della loro risorsa altamente competitivo.
Il 1° gennaio 2009, di fronte al rifiuto di Kiev di accettare l’aumento unilaterale dei prezzi, Gazprom ha improvvisamente interrotto le forniture di gas al mercato interno ucraino. La Russia denuncia nuovamente il prelievo di gas russo dalla parte degli ucraini. Il 7 gennaio decide il blocco totale delle forniture di gas attraverso l’Ucraina, con un impatto diretto per un totale di 18 Stati membri. Di questi, sette dipendono esclusivamente dalle importazioni di gas russo: Svezia, Finlandia, Lituania, Lettonia, Estonia, Bulgaria e Slovacchia. In particolare, la Bulgaria e la Slovacchia sono vulnerabili a causa della loro duplice dipendenza: da un lato, il gas russo passa attraverso un’unica via di transito – l’Ucraina – e dall’altro, la mancanza di accesso al mercato globale del gas naturale liquefatto e la mancanza di infrastrutture impediscono le importazioni da altri Paesi europei – intensificando la loro esposizione agli effetti di questa crisi.
Anche altri Stati membri, come Germania, Italia, Polonia e Repubblica Ceca, subiscono subito riduzioni significative dei flussi di gas. D’altro canto, la Penisola Iberica, i Paesi del Benelux e il Regno Unito, che non ricevono gas russo o ne ricevono in misura minima, sono colpiti in modo molto limitato, se non addirittura nullo. Allo stesso modo, i Paesi baltici, che ricevono il gas russo attraverso un percorso separato da quello che attraversa l’Ucraina, ne escono indenni. Questo episodio evidenzia i diversi livelli di dipendenza energetica degli Stati membri dalla Russia e l’estrema vulnerabilità dell’Unione.
Mentre in Europa c’era gas a sufficienza, grazie soprattutto alle importazioni di GNL e di gas norvegese, era impossibile trasportarlo verso est a causa dell’inadeguatezza delle infrastrutture. Costruite nel contesto della Ostpolitik, queste consentivano solo il flusso di gas dalla Russia verso l’Occidente.
Nonostante l’inclusione della solidarietà nei trattati europei, questa non si è concretizzata per i cittadini di Bulgaria e Slovacchia, che sono privati del gas a causa della mancanza di infrastrutture. La crisi del 2009 ha messo in luce i limiti di questa solidarietà senza un’Europa dell’energia interconnessa e senza sufficienti finanziamenti europei.
4 – Divisa… ma unita: la complessità dell’Unione dell’energia
Nel 2014, la Russia di Putin annette illegalmente la Crimea. L’idea di un’Unione dell’energia fa ormai parte della dinamica politica del momento: la priorità per l’Unione ed i suoi Stati membri è quella di garantire l’approvvigionamento energetico. Sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker, la Commissione europea sta spingendo per la creazione di tale Unione, con l’obiettivo di affrontare diverse sfide.
La prima è quella finanziaria. Sono necessari investimenti importanti e urgenti, dell’ordine di 200 miliardi di euro all’anno 3. L’energia diventa così un pilastro essenziale del programma di investimenti da 315 miliardi di euro annunciato da Jean-Claude Juncker.
L’altra sfida, di natura politica, è quella di creare le condizioni che consentano all’UE, il più grande importatore di energia al mondo, di parlare e agire con una sola voce nelle relazioni con i Paesi terzi, in particolare con la Russia.
Per la prima volta nella sua storia, l’UE dispone di un budget consistente per finanziare la sicurezza della sua rete energetica. In un momento in cui la Russia di Putin raddoppiava gli sforzi per dividere gli Stati membri, dal 2014 questi sono riusciti a investire congiuntamente 4,7 miliardi di euro in 114 progetti di gasdotti strategici e terminali GNL. Queste infrastrutture hanno permesso ai Paesi europei di prepararsi e mostrare solidarietà di fronte a possibili tagli delle forniture.
5 – I gasdotti della discordia: la divisione europea al suo apice
Mentre l’Unione Europea cercava di diventare un’Unione dell’Energia, prendevano forma traiettorie nazionali indipendenti – incoraggiati dalla Russia di Putin nel suo obiettivo di dividere gli europei.
In sintonia con la sua Ostpolitik, la Germania sceglie di rafforzare le relazioni bilaterali dirette con la Russia. Attraverso Nord Stream 1, Berlino spera di assicurarsi una fornitura di gas diretta, sicura e molto conveniente, essenziale per la competitività della sua industria. Da parte sua, la Russia di Vladimir Putin vuole eliminare il transito ucraino aprendo una rotta diretta verso il principale importatore di gas russo in Europa.
Nord Stream 1 riflette la visione di interdipendenza simmetrica tra Germania e Russia. Il gasdotto è voluto dall’ex cancelliere Gerhard Schröder e inaugurato nel 2012 alla presenza del cancelliere Angela Merkel, del primo ministro francese François Fillon e dell’allora commissario europeo per l’energia, il tedesco Günther Oettinger.
Il raddoppio di Nord Stream, noto come Nord Stream 2, è il simbolo della disunione europea.
Mentre gli oppositori puntano il dito contro le sue contraddizioni ambientali, sono le sue implicazioni geopolitiche a rimanere le più controverse. Diversi Stati membri hanno avvertito che il gasdotto è una pedina della strategia di influenza russa, poiché aumenta notevolmente la dipendenza energetica della Germania dalla Russia.
L’invasione russa dell’Ucraina ha rivelato le ambizioni destabilizzanti di Vladimir Putin. Il 22 febbraio 2022, in risposta al riconoscimento da parte della Russia delle regioni separatiste del Donbass in Ucraina, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha “rivalutato” la situazione del gasdotto Nord Stream 2, sospendendo il progetto proprio quando era pronto ad entrare in funzione. Con l’adozione del primo pacchetto di sanzioni da parte dell’Europa quello stesso giorno, l’interruzione del progetto di Nord Stream 2 segna la fine definitiva della Ostpolitik.
Il sistema Nord Stream è diventato il simbolo dell’uso da parte di Vladimir Putin delle forniture energetiche come arma. Riducendo e poi interrompendo completamente le forniture di gas all’Europa attraverso questa rotta, il Presidente russo ha tentato un ultimo atto di ricatto tra luglio e settembre 2022. A quel punto, diverse esplosioni nel Mar Baltico hanno reso il sistema definitivamente inoperante 4.
Il sistema Nord Stream incarna i vicoli ciechi dell’Unione dell’energia con la Russia e rappresenta una nuova dinamica in un contesto geopolitico in cambiamento, accompagnato da profonde trasformazioni tecnologiche globali — incarnate in Europa dal Green Deal.
6 – L’imperialismo russo svelato: l’energia come arma
La politica di Vladimir Putin consiste nell’utilizzare le risorse naturali per modernizzare il Paese e ripristinare la sua posizione internazionale. In quest’ottica, l’energia viene utilizzata come strumento politico oltre che economico. L’aumento del prezzo degli idrocarburi, quando Vladimir Putin è venuto al potere, ha giocato un ruolo fondamentale nella ripresa economica del Paese, rendendolo un attore chiave nel mercato dell’energia.
Il settore energetico è diventato un mezzo di pressione e persino un’arma strategica a tutti gli effetti. Un Paese come la Lettonia lo ha sperimentato in prima persona nel 2002, quando Mosca ha bloccato le pompe che rifornivano i porti baltici per costringere i lettoni ad accettare l’acquisto del porto petrolifero di Ventspils da parte della società russa Rosneft. La Russia ha anche innescato una crisi del gas e del petrolio con la Bielorussia. Per non parlare della guerra del gas con l’Ucraina. Al tempo stesso, la Russia sta conducendo una diplomazia energetica in Asia centrale per poter attuare una politica di “cooperazione” con i suoi vicini eurasiatici. Il Paese sta cercando di ostacolare i tentativi degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e persino della Cina di ottenere un accesso diretto alle risorse energetiche della regione del Caspio, il cui controllo rafforzerebbe la posizione di Mosca come attore chiave nel mercato del gas e, in misura minore, del petrolio.
Vladimir Putin non ha rinunciato a usare il gas come leva di influenza geopolitica. Dopo l’invasione della Crimea nel 2014, ha inondato il mercato europeo di gas a basso costo per aumentare ulteriormente la dipendenza degli europei e frenare il loro desiderio di diversificazione, con un unico obiettivo: stringere il cappio al collo del mercato europeo al momento opportuno. In effetti, le importazioni di gas russo sono aumentate dopo l’annessione illegale della Crimea nel 2014. È facile capire perché gli europei non abbiano imposto sanzioni all’epoca: la loro dipendenza energetica era troppo elevata e il principio delle sanzioni è quello di causare più danni all’economia russa che a quella europea. Ciò ha rafforzato la strategia di Vladimir Putin nei confronti dell’Europa.
7 – L’Europa unita contro Putin: una risposta determinata
Il 24 febbraio 2022, Vladimir Putin lancia la sua “operazione speciale” in Ucraina.
Una nuova strategia energetica europea è costretta a prendere forma rapidamente. Il 10 e 11 marzo 2022, a Versailles, gli Stati europei, precedentemente divisi sul “fattore russo”, prendono una decisione storica: liberarsi dalla dipendenza dal gas russo. Questa decisione, che ha sorpreso persino Vladimir Putin, ha segnato una svolta. L’Europa, spesso percepita come lenta, sta dimostrando di saper agire con velocità e determinazione quando è in gioco il suo futuro.
Se questa decisione è stata presa così rapidamente, è perché l’Europa si era preparata ad un’interruzione delle forniture russe. Quando nell’aprile del 2022 Vladimir Putin scelse di usare l’energia come leva geopolitica tagliando le forniture di gas alla Bulgaria, il Paese non subì alcuna interruzione, godendo del sostegno dell’intera Unione.
Ma una fine rapida è fuori portata, perché cambiamenti così significativi non possono essere fatti in pochi mesi. Mentre i capi di Stato e di governo si sono prefissati di abbandonare due terzi del gas russo entro la fine del 2022, l’ultimo terzo, che è il più difficile da sostituire, deve essere eliminato entro il 2027. Questa storica decisione è stata rapidamente attuata dalla Commissione europea con il piano RePowerEU. Diversificazione dei partner energetici, acquisto congiunto di gas, sviluppo accelerato delle energie rinnovabili, ristrutturazione massiccia degli edifici: queste azioni, sostenute dagli investimenti del piano di rilancio post-pandemia e da massicci aiuti di Stato, hanno permesso all’Europa di far fronte a una crisi energetica senza precedenti, provocata dal ricatto di Putin. Ad accelerarla è stato lo stesso Vladimir Putin, che ha deciso di tagliare il rubinetto prima ai Paesi più deboli – a partire dalla Bulgaria – in un estremo tentativo di disunire gli europei. Ma questo ricatto ha solo accelerato il movimento iniziato a Versailles.
L’adagio secondo cui l’Europa si costruisce sulle crisi è stato ancora una volta confermato.
L’Europa dell’energia è stata finalmente completata a Versailles. I leader hanno compreso l’importanza geopolitica dell’energia e hanno risposto con fermezza all’uso strumentale dell’energia da parte di Vladimir Putin. Un tempo ostacolo all’Unione dell’energia, il “fattore russo” è finalmente diventato la sua forza trainante.
8 — Il prezzo del distacco energetico
Staccarsi dal gas russo ha un costo.
Si tratta di uno sforzo senza precedenti (un investimento di 210 miliardi di euro da qui al 2027 5) che illustra le preoccupazioni dell’Europa per la sicurezza energetica. È il prezzo da pagare per abbandonare la dipendenza e intraprendere la strada dell’autonomia strategica. L’UE mobiliterà complessivamente 300 miliardi di euro, di cui 72 miliardi sotto forma di sussidi.
Dobbiamo anche tenere conto degli sforzi finanziari di ciascuno Stato membro. L’attuazione di un gran numero di misure resta di competenza degli Stati membri e richiede riforme e investimenti mirati.
Vale davvero la pena di rompere con la Russia? Una cifra spesso citata dagli oppositori della fine della dipendenza energetica della Russia nell’estate del 2022 è di 160 miliardi di euro: paradossalmente, mai come nel 2022 i ricavi da gas e petrolio sono stati così alti per Mosca. Ma la risposta è comunque sì. Il ricatto di Putin si è presto ritorto contro: nel 2023, Gazprom ha registrato una perdita record di 6,4 miliardi di euro e le importazioni europee attraverso i gasdotti sono crollate ad appena l’8% nel 2024. Inoltre, gli europei hanno accettato di vietare l’ingresso nei loro porti del GNL russo destinato all’Asia a partire dal marzo 2025. Vladimir Putin ha così perso il mercato europeo. L’Europa ora sta addirittura bloccando l’accesso ai suoi porti per non sostenere le sue ambizioni verso il mercato asiatico.
9 – Il rischio cinese: l’energia verde come leva di potere
Il distacco dal gas russo segna un’accelerazione del Patto Verde e ne rivela pienamente la dimensione geopolitica.
Le energie rinnovabili svolgono un ruolo chiave nella riduzione della dipendenza dal gas russo e nella transizione verso un’energia più verde in Europa, coniugando interessi geopolitici e obiettivi climatici. Ma il loro sviluppo incontra molti ostacoli, dalle resistenze più locali alle sfide industriali globali poste dalla dipendenza dalla Cina. Nel liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, è essenziale non creare una nuova dipendenza “verde” dalla Cina.
Allo stato attuale, la Cina domina il mercato delle rinnovabili. L’Unione Europea ha adottato una legge europea per rafforzare la produzione locale di tecnologie strategiche – il piano industriale che accompagna il Patto Verde. Entro il 2030, il 40% delle tecnologie verdi dovrà essere prodotto in Europa. Sono state create alleanze industriali, sono stati messi in atto strumenti di difesa commerciale per contrastare la concorrenza sleale e sono state introdotte nuove norme sugli appalti che incorporano criteri di sostenibilità. Ma questa strategia è sufficiente? L’innovazione giocherà un ruolo decisivo e la competizione non potrà basarsi sulle tecnologie del passato.
10 – Energia: al centro del futuro e dell’unità dell’Europa
Il ricatto di Putin può essere stato un campanello d’allarme per gli europei, ma la prossima fase richiederà una politica industriale ambiziosa. La sovranità energetica deve inoltre essere sostenuta da un mercato europeo dell’energia pienamente operativo.
I prezzi dell’energia in Europa, significativamente più alti rispetto ad altre regioni del mondo, rappresentano una sfida importante per la sua competitività. In quanto price taker, l’Europa ha poco margine di manovra per influenzare questi costi, che sono aggravati da tasse aggiuntive. Una riflessione politica ambiziosa appare quindi essenziale per rispondere a questa crescente pressione.
Tuttavia, questa dinamica potrebbe cambiare se l’Europa riuscirà nella sua attuale trasformazione: integrare pienamente l’energia pulita, ridurre la domanda di energia e adottare una politica industriale coraggiosa. Per raggiungere questo obiettivo, l’Unione dei mercati dei capitali e la creazione di un mercato europeo dei capitali di rischio saranno leve cruciali. Queste iniziative permetteranno di mobilitare gli investimenti necessari per accelerare la transizione energetica ed affrontare le sfide poste dai cambiamenti globali, compresi quelli geopolitici.
Il mandato della Commissione europea, che si insedierà il mese prossimo, sarà decisivo in questo contesto di sconvolgimenti tecnologici e geopolitici, in un momento in cui ogni potenza sta investendo massicciamente nella transizione verde. Nel 2026, la negoziazione di un nuovo bilancio europeo dovrà riflettere queste priorità strategiche. Più che mai, l’energia e la capacità di finanziare l’innovazione saranno al centro del futuro e del potere dell’Europa.
Note
- Risoluzione adottata dai ministri degli Affari esteri degli Stati membri della CECA, Messina, 1-3 giugno 1955.
- Enrico Letta, Much more than a market: speed, security, solidarity, Paris, aprile 2024.
- Commissione europea, Impact Assessment accompanying the Communication: A policy framework for climate and energy in the period from 2020 up to 2030, Bruxelles, 22 giugno 2014.
- Il 25 settembre 2022, il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream ha causato gravi perdite di gas nel Mar Baltico. La prima esplosione si è verificata su Nord Stream 2, seguita poche ore dopo da perdite su Nord Stream 1.
- Commissione europea, Communication : Plan REPowerEU, Bruxelles, 18 maggio 2022.