1 – Che cos’è un genocidio?
Il 29 dicembre il Sudafrica ha ufficialmente avviato un procedimento contro lo Stato di Israele presso la Corte internazionale di giustizia per atti di genocidio contro i palestinesi della Striscia di Gaza.
La Convenzione sul genocidio, adottata nel 1948, definisce questo crimine come la commissione di uno dei cinque atti elencati nell’articolo 2 – omicidio di membri del gruppo; grave danno all’integrità fisica e mentale dei membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portarlo alla distruzione fisica in tutto o in parte; imporre misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo; trasferire con la forza bambini del gruppo a un altro gruppo – con l’intento di commettere l’atto in questione.
La petizione sudafricana, presentata a dicembre, denuncia il «carattere genocida» degli «atti e delle omissioni» di Israele, rilevando la presenza del «necessario intento specifico […] di distruggere i palestinesi di Gaza». La richiesta denuncia anche il mancato rispetto da parte di Israele «dell’obbligo di prevenire il genocidio, nonché dell’obbligo di punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio», anch’esso sancito dalla Convenzione del 1948.
Sebbene l’esito di tale procedimento possa richiedere diversi anni, gli effetti potrebbero essere raggiunti in tempi più brevi attraverso l’indicazione di «misure provvisorie» da parte della Corte internazionale di giustizia, con cui quest’ultima potrebbe richiedere ufficialmente la sospensione dei combattimenti nella Striscia di Gaza – come è avvenuto in relazione all’invasione russa dell’Ucraina nel marzo 2022. Israele, che ha denunciato «senza fondamento» la causa tramite il ministero degli Affari Esteri, ha accettato di comparire davanti alla Corte; le prime udienze sono previste per l’11 e il 12 gennaio 2024.
2 – Chi accusa Israele di aver commesso un genocidio?
Il 2 novembre, un gruppo di relatori indipendenti presso le Nazioni Unite ha avvertito di un «serio rischio di genocidio» contro il popolo palestinese. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa aveva già accusato Israele di «genocidio» durante un vertice straordinario dei BRICS sulla situazione a Gaza il 21 novembre, ma gli Stati membri dei BRICS non hanno accettato di includere il termine in una dichiarazione congiunta. A prima vista, quindi, i BRICS non sembrano sostenere in modo unanime il termine. Tra i leader della regione, il presidente turco Erdoğan, che inizialmente aveva adottato una posizione che invitava alla de-escalation, ha gradualmente indurito la sua posizione contro Israele. A metà novembre ha anche dichiarato che nella Striscia di Gaza è in atto un «genocidio».
In seguito alla petizione del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia, il rappresentante permanente della Francia presso le Nazioni Unite ha dichiarato il 2 gennaio che Parigi è una «fervente sostenitrice della Corte internazionale di giustizia» e che appoggerà la decisione della Corte. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha invece reagito dichiarando che gli Stati Uniti «non osservano atti che costituiscono genocidio» da parte di Israele. Mercoledì, il Brasile di Lula, la Colombia di Petro e la Lega Araba hanno dichiarato ufficialmente il loro sostegno all’iniziativa del Sudafrica.
3 – Il bilancio umano
Il bilancio delle vittime nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre è di oltre 23.357, secondo il Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas, con altri 59.410 feriti – una cifra definita credibile da Michel Goya a novembre, data l’intensità e la natura dei bombardamenti.
Le Nazioni Unite stimano inoltre che alla fine di dicembre nella Striscia di Gaza ci fossero 1,9 milioni di sfollati interni. Si ritiene che più di un milione di persone si trovino nel governatorato di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, «il principale luogo di rifugio oggi».
4 – Chi sono i morti?
Secondo la stessa fonte, il 70% delle persone uccise dal 7 ottobre sono donne e bambini. La popolazione della Striscia di Gaza è tra le più giovani al mondo: nel 2023, l’età media dei 2,1 milioni di abitanti dell’enclave era di 19,2 anni.
In totale, il 40% della popolazione era composto da bambini di età inferiore ai 14 anni, nati dopo l’inizio del blocco israeliano della Striscia di Gaza nel 2007.
5 – «Assedio completo»: una situazione di blocco prolungato
Oltre ai bombardamenti, la popolazione è ancora sotto un «assedio completo» imposto dal governo israeliano dopo gli attacchi del 7 ottobre. Il 9 ottobre, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha chiesto che «non entrino nella Striscia di Gaza elettricità, cibo, acqua o carburante».
I primi camion che trasportano aiuti umanitari hanno iniziato a entrare nella Striscia di Gaza solo il 21 ottobre. Inoltre, il numero di consegne giornaliere è ancora ben al di sotto delle 500 consegne necessarie alla popolazione, la quota che entrava nell’enclave ogni giorno prima dell’inizio dell’assedio.
Per quanto riguarda la legalità del blocco, diverse organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, hanno sottolineato che i metodi utilizzati per privare i civili del cibo costituiscono un crimine di guerra secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, ha sottolineato in ottobre che «le misure adottate da Israele per negare ai civili l’accesso a beni e servizi essenziali, come forma di punizione collettiva, sono anche contrarie al diritto internazionale».
6 – Oltre i bombardamenti: morti nel medio e lungo termine
Oltre alle morti causate dai bombardamenti, le conseguenze a medio e lungo termine del blocco potrebbero portare a un aumento significativo del bilancio umano nella Striscia di Gaza. Il blocco del carburante ha molteplici conseguenze umanitarie, in particolare limita il corretto funzionamento degli ospedali, dei sistemi di trasporto per la consegna degli aiuti umanitari, della desalinizzazione e della produzione di elettricità. Secondo l’UNRWA, a metà novembre il 70% delle famiglie beveva acqua salata o contaminata, aumentando il rischio di disidratazione e lo sviluppo di malattie.
A proposito di alimentazione, secondo le ultime stime sulla sicurezza alimentare dell’IPC (Integrated Food Security Phase Classification), l’intera popolazione della Striscia di Gaza sta affrontando una situazione di elevata insicurezza alimentare (raggiungendo i livelli IPC di Fase 3, «Crisi», Fase 4, «Emergenza» o Fase 5, «Catastrofe») – ad eccezione del 5% dei residenti nei governatorati meridionali, che si trovano al livello di Fase 2, «Stress»). Più della metà della popolazione (53%) si trova in una situazione di emergenza (Fase 4) e più di un quarto (26%) in una situazione catastrofica (Fase 5). Secondo il capo economista del Programma alimentare mondiale, che ha descritto la situazione come «senza precedenti», 4 su 5 delle persone che vivono in una situazione di insicurezza alimentare catastrofica sono abitanti di Gaza.
Infine, il sovraffollamento nei luoghi di rifugio delle popolazioni sfollate e la mancanza di accesso alle strutture igieniche aumentano il rischio di epidemie. L’OMS ha rilevato un aumento del numero di casi di malattie infettive, che aumentano il rischio di morte tra i bambini sotto i 5 anni. In particolare, dalla metà di ottobre sono stati segnalati 50.000 casi di diarrea tra i bambini di questa fascia d’età, 25 volte di più rispetto a prima dell’inizio dell’assedio su larga scala.
7 – L’entità delle distruzioni materiali
Nel gennaio 2023, la percentuale di residenti della Striscia di Gaza che non erano riusciti a trovare un alloggio nei dodici mesi precedenti era già del 29%, secondo Gallup. Al 30 dicembre, il numero di unità abitative distrutte o rese inabitabili era stimato in 65.000, oltre alle 290.000 danneggiate, secondo le autorità della Striscia di Gaza.
Anche le infrastrutture hanno subito danni ingenti. A novembre, il 60% delle infrastrutture di telecomunicazione aveva subito danni e distruzioni, così come il 70% delle infrastrutture commerciali e quasi la metà delle strade.
8 – La distruzione dell’economia di Gaza
La guerra e l’assedio totale stanno peggiorando una situazione economica già critica nella Striscia di Gaza. Nel terzo trimestre del 2023, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 45,1%. All’inizio di novembre, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato che almeno il 66% dei posti di lavoro nell’enclave sono stati persi dal 7 ottobre, per un totale di 192.000 unità.
Secondo la Banca Mondiale, nel 2023 il PIL dei territori palestinesi (Striscia di Gaza e Cisgiordania) – la cui crescita era inizialmente stimata al 3,2% – dovrebbe diminuire del 3,7%, annullando i guadagni economici ottenuti dalla fine della pandemia. Le carenze stanno anche facendo aumentare i prezzi: a ottobre, l’inflazione su base mensile ha raggiunto il 12%, il prezzo dell’acqua in bottiglia è aumentato del 75% e quello della benzina di quasi il 120%.
9 – Il ruolo della retorica del governo di estrema destra di Netanyahu nell’appello del Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia
La sintesi di questi dati e la valutazione della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza permettono di stabilire il contesto in cui la Corte di giustizia potrebbe indicare misure temporanee che chiedono la sospensione delle operazioni militari israeliane a Gaza.
Per quanto riguarda l’accusa di genocidio, che richiede la prova di una dimensione intenzionale, l’azione del Sudafrica si basa in parte – oltre che sull’affermazione che «questa intenzione deve essere dedotta anche dalla natura e dalla condotta dell’operazione militare israeliana a Gaza» – su «ripetute dichiarazioni di rappresentanti dello Stato israeliano, anche ai più alti livelli» che «esprime[rebbe] un’intenzione genocida».
Alcuni membri del governo Netanyahu appartenenti ai partiti di estrema destra israeliani – come l’assai visibile ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir – usavano pubblicamente una retorica che poteva negare l’esistenza di un «popolo palestinese» già prima del 7 ottobre. Nel marzo 2023, ad esempio, il ministro delle Finanze e presidente del Partito sionista religioso, Bezalel Smotrich, ha dichiarato che «non esiste un popolo palestinese» – un’affermazione che ha provocato le reprimende del Dipartimento di Stato americano e dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea.
In un discorso straordinario del 9 ottobre, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha accompagnato l’annuncio dell’assedio totale della Striscia di Gaza con la dichiarazione: «Stiamo combattendo contro degli animali e agiamo di conseguenza».
A dicembre, un gruppo di personalità pubbliche israeliane ha inviato una lettera alle autorità giudiziarie del Paese invitandole ad agire contro la normalizzazione di un discorso di «annientamento, espulsione e vendetta» e la diffusione di «inviti espliciti a commettere crimini atroci» in Israele, riporta il Guardian.
10 – Normalizzazione dei piani di sfollamento forzato della popolazione della Striscia di Gaza
Dal 7 ottobre, diversi funzionari israeliani hanno difeso pubblicamente ed esplicitamente l’idea di «incoraggiare» la migrazione dei palestinesi dalla Striscia di Gaza. Anche recentemente, due ministri del governo Netanyahu, Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, hanno difeso questa idea. Diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti, hanno condannato le osservazioni dei ministri, che il 2 gennaio sono state definite «incendiarie e irresponsabili» dal portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller. Ben Gvir sostiene anche l’eventuale «rimpatrio» dei coloni israeliani nella Striscia di Gaza, tornando indietro rispetto al piano di disimpegno dei coloni portato avanti dal Primo Ministro Ariel Sharon nel 2005.
Già a ottobre, l’opzione di «trasferire» i palestinesi nella regione egiziana del Sinai era stata menzionata in un documento di lavoro del ministero dell’Intelligence israeliano, autenticato dall’ufficio del Primo Ministro, che successivamente ne ha minimizzato l’importanza definendolo «non vincolante». Fin dall’inizio del conflitto, l’Egitto ha adottato una posizione di rifiuto di fronte a una potenziale «seconda Nakba» e a un massiccio afflusso di rifugiati palestinesi.
In un articolo pubblicato sul Jerusalem Post il 19 novembre, la ministra dell’Intelligence israeliana Gila Gamliel aveva anche chiesto di incoraggiare il trasferimento internazionale della popolazione gazana, definendolo una soluzione «win-win». Il testo del ministro, presentato come proposta aperta al dibattito, chiedeva in particolare di riorientare gli aiuti internazionali in questa direzione: «invece di iniettare denaro nella ricostruzione di Gaza o nell’UNRWA, che ha fallito, la comunità internazionale può contribuire ai costi del reinsediamento, aiutando gli abitanti di Gaza a costruirsi una nuova vita nel loro nuovo Paese ospitante». Il sito web di notizie Zmar Israel ha rivelato all’inizio di gennaio che il governo israeliano aveva discusso sul trasferimento «volontario» dei palestinesi con Paesi terzi, tra cui la Repubblica del Congo, che si era detta «pronta a ricevere i migranti». Secondo la stessa fonte, sono in corso discussioni guidate da funzionari del Mossad e del Ministero degli Esteri anche con il Ruanda e il Ciad.
Il concetto di «pulizia etnica», diffusosi dopo le guerre in Jugoslavia negli anni ’90, non è giuridicamente definito e non costituisce un crimine autonomo ai sensi del diritto internazionale. Tuttavia, viene ancora utilizzato per designare atti volti a sradicare una popolazione da un’area geografica ed è stato utilizzato in questo contesto da diversi attori che hanno messo in guardia dai rischi che gravano sulla popolazione della Striscia di Gaza – da ultimo la relatrice speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati.
Riferendosi alla dichiarazione rilasciata dai suoi ministri a seguito di un incontro con il Segretario di Stato americano Antony Blinken alla vigilia dell’udienza di mercoledì 10 gennaio, il Primo Ministro Netanyahu ha affermato che Israele non ha «alcuna intenzione di occupare la Striscia di Gaza in modo permanente o di sfollare la sua popolazione civile».