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Il 22 ottobre, il Presidente israeliano Isaac Herzog ha mostrato al canale britannico Sky-News una chiavetta USB appartenente a un terrorista di Hamas. Al suo interno c’era il «manuale del jihad» di Al-Qaeda, che circola da decenni tra gli estremisti di ogni genere. Tra le altre cose, conteneva istruzioni su come realizzare armi chimiche primitive, utilizzando ad esempio l’acido cianidrico. L’intenzione di Herzog era quella di dimostrare l’esistenza di un legame diretto tra Hamas e Al-Qaeda.

Quando il lunedì successivo l’esercito israeliano ha convocato decine di giornalisti e ha mostrato loro un montaggio video di 47 minuti che mostrava le peggiori atrocità commesse dai terroristi di Hamas, sempre più voci si sono levate nel paragonarlo ad Al-Qaeda o a Daesh. Se consideriamo il 7 ottobre, questo paragone non è privo di significato. Ma è molto meno convincente se mettiamo in prospettiva le ideologie, gli obiettivi e la struttura di queste due organizzazioni. Anche se una frangia di Hamas potrebbe diventare ancora più estremista dopo una sconfitta da parte di Israele, l’idea che ci sia una «daeshizzazione» in corso oscura una realtà più profonda: Hamas è diventato un pericolo globale, non a causa di legami diretti con Al-Qaeda o Daesh, ma per ragioni completamente diverse.  

Per molto tempo, Hamas è stato collocato ai margini dello spettro jihadista, come un gruppo estremista ma fondamentalmente nazionalista che rappresentava una limitata minaccia a livello internazionale, come i Talebani in Afghanistan. A differenza di Al-Qaeda o Daesh, queste due organizzazioni perseguono un’agenda abbastanza locale piuttosto che un’agenda jihadista globale. Al-Qaeda giustifica la sua politica di terrore in termini di lotta per la liberazione dell’intero mondo arabo-islamico, dall’Andalusia all’Hindu Kush: i suoi principali avversari sono i crociati, i sionisti e i loro alleati. Per quanto riguarda Daesh, che è nato da Al-Qaeda in Iraq, ha sostenuto l’istituzione immediata di un califfato globale. Detto questo, una delle pietre miliari della propaganda di entrambe le organizzazioni è sempre stata la liberazione di Gerusalemme e la distruzione di Israele – qualcosa che hanno in comune con Hamas. Ma, in realtà, né Al-Qaeda né Daesh hanno mai combattuto realmente lo Stato di Israele; entrambi i gruppi si accontentano di organizzare vili attacchi contro cittadini ebrei in Europa, come l’omicidio di quattro persone nel maggio 2014 presso il Museo Ebraico di Bruxelles da parte di Mehdi Nemmouche, il torturatore di Daesh. 

Hamas è stato a lungo collocato ai margini dello spettro jihadista, come gruppo estremista ma nazionalista, e quindi non come minaccia internazionale.

Asiem El Difraoui

A differenza di queste due organizzazioni, Hamas non ha commesso – per il momento – alcun attacco in Europa o negli Stati Uniti. Ciò non le impedisce di ricorrere da tempo ai metodi e al modus operandi associati al jihadismo globale. Il primo e più importante è il ricorso agli attentati suicidi, unito al culto dei martiri che giustifica tutto: agli assassini viene promessa una rapida ammissione al paradiso, dove beneficeranno delle grazie speciali di Dio, a differenza di tutti gli altri musulmani che devono aspettare il Giorno del Giudizio. 

Per inciso, il primo attacco suicida commesso da un gruppo sunnita è stato realizzato da Hamas nel 1993. Anche se fallì – morì solo l’esecutore – a questo seguì un’ondata di attacchi mortali. Solo nel 1994, 38 persone persero la vita. Al-Qaeda, allora guidata da Bin Laden, prese a modello Hamas e l’Hezbollah sciita e realizzò i suoi primi attacchi suicidi quattro anni dopo, nel 1998, quando attaccò le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Seguirono l’11 settembre e gli attentati di Londra e Madrid… Realizzando migliaia di attacchi suicidi, Daesh ne ha fatto la sua arma principale. In particolare, il gruppo è stato in grado di organizzare numerosi attacchi condotti da europei, portando il terrore nel cuore dell’Europa, da Parigi a Bruxelles passando per Berlino. 

Hamas ha deliberatamente mantenuto le distanze dal jihad globale per molto tempo. L’organizzazione voleva rimanere il simbolo della resistenza palestinese sul terreno e non danneggiare ulteriormente la sua causa associandosi a movimenti terroristici globali come Al-Qaeda e Daesh. A dire il vero, questa strategia non era rivolta ai Paesi occidentali, dove Hamas è stato a lungo considerato un’organizzazione terroristica, ma al mondo arabo-musulmano, dove voleva preservare la sua immagine. Anche oggi, l’organizzazione mantiene deliberatamente le distanze da Al-Qaeda e Daesh.

Hamas ha deliberatamente mantenuto le distanze dal jihad globale per molto tempo

Asiem El Difraoui

Ma con la «tempesta Al-Aqsa», Hamas è diventato un attore potente nel jihad globale – uno sviluppo che probabilmente non aveva previsto. Avanzando nel territorio israeliano e assasinando oltre 1.200 persone, soprattutto civili, tra cui cittadini di 41 Paesi, dall’Argentina all’Uzbekistan, passando per l’Europa, l’organizzazione terroristica si è internazionalizzata. Diventando l’unico gruppo terroristico ad essere riuscito a danneggiare Israele, Hamas è diventato un modello jihadista agli occhi degli estremisti islamici di varie tendenze. Questo successo sta spingendo Al-Qaeda e Daesh, e le loro numerose filiali dal Sahel all’Afghanistan, a dimostrare che intendono davvero raggiungere un punto chiave del loro programma – la liberazione della Palestina – commettendo attacchi che superino il terrore causato da Hamas. 

Le due organizzazioni nemiche sono ora in competizione diretta con Hamas, presentato come nuovo campione del jihad. La posta in gioco in questa competizione interna tra organizzazioni islamiste si basa su due parametri in particolare: il numero di sostenitori in tutto il mondo e i finanziamenti. Questo cambiamento di paradigma è stato ora confermato dalla stessa organizzazione palestinese. In un appello mondiale lanciato l’11 ottobre, Ismail Haniyya, ex leader del movimento che ora vive in Qatar, ha proclamato: «A tutti gli eruditi [religiosi] che insegnano la jihad: […] è arrivato il momento di applicarla».  

In Europa, il nuovo mito globale di Hamas potrebbe causare gravi danni. Il politologo francese Gilles Kepel ha coniato il termine «jihadismo atmosferico», che può anche essere descritto come jihad diffuso o clima di jihad. Questo concetto si riferisce alla diffusione dell’ideologia jihadista in Europa tra una minoranza estremamente ridotta di musulmani che, senza un leader carismatico o un’affiliazione strutturata a organizzazioni jihadiste, si radicalizzano e simpatizzano per il jihad globale. In questo clima, Hamas potrebbe diventare il nuovo modello per questi free riders del jihad.  

Berlino, Dublino, Londra, Parigi o New York – in quasi tutte le metropoli occidentali, centinaia, migliaia, a volte persino decine di migliaia di persone manifestano per i diritti dei palestinesi. Queste manifestazioni sono legittime, ma in troppe c’è una minoranza che scandisce slogan antisemiti e celebra gli atti di Hamas.

Con ogni probabilità, Hamas sarà sconfitto militarmente nella Striscia di Gaza e cesserà di esistere nella sua forma attuale, anche se questo potrebbe richiedere mesi, poiché Tsahal è impantanato in una battaglia di strade, case e, soprattutto, tunnel… Ma come organizzazione estremista, Hamas è tutt’altro che sconfitta. Da tempo ha una presenza più o meno discreta al di fuori di Gaza – nei campi profughi libanesi, con rappresentanti di Hamas di alto livello in Qatar o con numerosi simpatizzanti nella Cisgiordania occupata. Il mito di Hamas appena emerso nella «jihadosfera» è tuttavia il pericolo maggiore.