Vent’anni fa, Avishai Margalit e Ian Buruma coniarono l’espressione «occidentalismo», in uno straordinario libretto dal titolo omonimo, per descrivere la visione stereotipata dell’Occidente — borghese, moderno, decadente — sostenuta dai suoi oppositori. Oggi, potremmo senza dubbio parlare di una nuova forma di Meridionalismo: esperti, commentatori e leader politici parlano dell’esistenza di un «Sud globale» esigente, persino vendicativo, che sconvolgerebbe l’equilibrio globale e segnerebbe il passaggio definitivo a un mondo post-occidentale.

Le origini di questa espressione sono ben note. All’apice della Guerra del Vietnam, lo scrittore e attivista Carl Oglesby propose di sostituire l’espressione «Terzo Mondo», coniata da Alfred Sauvy sul calco di «Terzo Stato»1, a volte ritenuta sprezzante e troppo strettamente associata alle sole condizioni economiche, con quella di un «Sud globale» che soffre di un «ordine sociale» ingiustamente imposto dal «Nord». Dopo la Guerra Fredda, è emersa l’idea di un «West versus the rest», espressa in vari modi, ad esempio da Jean—Christophe Rufin in L’Empire et les nouveaux barbares.2 Il termine si è imposto attraverso l’attivismo post-coloniale, rilanciato dalle istituzioni internazionali, ed è oggi in voga. In gran parte per le stesse ragioni di sempre. 

Siamo però davanti a una trappola intellettuale e politica. Non solo questa espressione non è rilevante né efficace nel caratterizzare l’evoluzione delle principali relazioni di potere internazionali, ma blocca il discorso in una semplificazione pericolosa e controproducente. La posta in gioco oggi è più complessa e più interessante. Ne propongo un quadro di lettura nel libro La Guerre des mondes. Le retour de la géopolitique et le choc des empires. 3  

Bruno Tertrais, La guerre des mondes. Le retour de la géopolitique et le choc des empires, Éditions de l’Observatoire, 2023. Esce il 4 ottobre.

Né rilevante né efficace

Cominciamo col sottolineare l’ovvio: i termini «Nord» e «Sud» non hanno senso quando si descrivono i principali raggruppamenti politici coinvolti. Cina e India si trovano nell’emisfero settentrionale, Australia e Nuova Zelanda in quello meridionale. Un altro fatto ovvio è che il mondo non è più lo stesso degli anni ’70. La decolonizzazione è un processo completato da tempo e alcuni Paesi emergenti hanno acquisito un notevole potere economico e diplomatico. 

La nozione di «Sud globale» non riveste alcuna coerenza o unità, politica o economica. La Repubblica Popolare Cinese supera tutti gli altri, non solo perché è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dal 1971 (anno in cui Pechino ha sostituito Taipei), ma anche, ovviamente, perché si erge altissima tra gli altri Paesi emergenti. 

In termini diplomatici, come possiamo trattare con gli Stati che reclamano un atteggiamento apertamente conflittuale nei confronti dell’Occidente e quelli che vogliono tenersi fuori dalle principali lotte di potere, o cercare una posizione di equilibrio? Il Sud globale è il connubio tra la carpa anti-occidentale e il coniglio non allineato, tra gli alleati della Russia e gli Stati che propendono per l’Occidente. Si suppone che includa la Siria e l’Iran, notoriamente vicini a Mosca, così come l’Arabia Saudita, che attualmente sta facendo tutto il possibile per ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti, e l’India, che afferma di essere «non occidentale, ma non anti-occidentale».4 La Malesia è nel mezzo di un decollo economico, lo Zambia ha un reddito pro capite dieci volte inferiore, l’Uruguay è democratico, mentre il Sud Sudan è in fondo alla scala dello sviluppo politico.5 

Il Sud Globale è il connubio tra la carpa anti-occidentale e il coniglio non allineato, tra gli alleati della Russia e gli Stati che propendono per l’Occidente

Bruno Tertrais

Gli atteggiamenti dei singoli Stati nei confronti della guerra in Ucraina sono un buon indicatore della grande diversità politica dei Paesi generalmente considerati parte del «Sud Globale». Se osserviamo da vicino la distribuzione della popolazione mondiale rappresentata dalle opinioni dei loro governi, vediamo che, in linea di massima, coloro che sostengono la Russia costituiscono un terzo della popolazione, coloro che sono neutrali un altro terzo e coloro che propendono per l’Occidente costituiscono l’ultimo terzo.6 Il Gruppo di contatto che riunisce i Paesi che assistono l’Ucraina include Kenya, Liberia e Tunisia, mentre altri ancora hanno fornito aiuti militari a Kiev, come Giordania, Marocco, Pakistan e persino Sudan. 

Infine, le grandi dispute tra vicini sono un ostacolo all’unità del Sud. Ci riferiamo soprattutto alla  lampante rivalità sino—indiana, ma anche alle relazioni tra Brasile e Argentina, Marocco e Algeria, Etiopia ed Eritrea, Iran e Arabia Saudita, e così via. Questi sono i principali ostacoli alla riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Questa diversità e queste controversie spiegano perché il «Sud globale» non può pretendere di essere rappresentato da alcuna istituzione o gruppo di Paesi. 

L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) non incarna il «Sud»: questa associazione di leader autoritari, il cui lavoro principale si concentra sulla repressione attraverso la sua struttura dal bizzarro nome di RATS (Regional Antiterrorist Structure), non è qualificata a rappresentare il «Sud globale», perché include la Russia, ma non può nemmeno essere descritta come un «blocco anti-occidentale», visto che include l’India. 

Le grandi dispute tra vicini sono un ostacolo all’unità del Sud

Bruno Tertrais

Lo stesso vale, per identici motivi, per il raggruppamento BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Formatosi come risposta al G8 (di cui, tra l’altro, la Russia era all’epoca membro), i BRICS si sono espansi in modo spettacolare nel 2023 per includere sei nuovi membri — è anche vero che il costo di ingresso è basso — e nuovi candidati si precipitano alla porta. Le sue dimensioni ridotte, tuttavia, non le consentono di rappresentare il cosiddetto «Sud globale». È interessante notare che l’Indonesia, padrone di casa nella famosa conferenza di Bandung, che inaugurò il non allineamento (1955), ha rifiutato di diventare membro, sottolineando che il suo obiettivo era piuttosto quello di aderire all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).

L’unico Sud che ha una qualche coerenza è quello rappresentato dal gruppo dei 134 Paesi del Gruppo dei 77 (1964) — il «sindacato dei poveri» come lo chiamava Julius Nyerere — e in misura minore dai 120 membri del Movimento dei Non Allineati (NAM) creato tre anni prima. «Proprio come Mao, che arrivò al potere a Pechino aggirando le città che gli erano ostili e affidandosi alle campagne, Xi intende affidarsi al ‘Sud globale’ per aggirare un Nord ostile e affermarsi come potenza imprescindibile entro metà del secolo», scrive giustamente Frédéric Lemaître.7 La Repubblica Popolare è elencata dal G77 come membro del gruppo… ma il G77 stesso non la considera un membro! Da qui l’ambiguo «G77 più Cina», con Pechino che vota quasi sistematicamente con il gruppo. Per quanto riguarda il NAM, diversi Paesi importanti spesso citati come parte del «Sud globale» sono solo osservatori, in particolare l’Argentina, il Brasile, il Messico e la stessa Cina. 

Inoltre, queste organizzazioni non hanno dimostrato la loro efficacia. I BRICS hanno certamente creato la Nuova  banca di sviluppo, ma il suo ruolo rimane modesto rispetto a quello delle istituzioni finanziarie internazionali. Hanno abbandonato i loro piani per una moneta comune. Non stanno coordinando le loro politiche energetiche. E il G77 e il NAM? Organizzati per armonizzare le loro posizioni nelle istituzioni internazionali, i Paesi interessati hanno avuto un discreto successo nella questioni non vincolanti (per il G77, 75% di votazioni congiunte all’ONU negli anni 2000), ma votano spesso in ordine sparso sulle questioni più sensibili.8 Inoltre, non si tratta di organizzazioni strutturate. Lo si è visto nelle mozioni di condanna della Russia, dove la maggioranza dei Paesi ha votato con l’Occidente, altri hanno adottato una posizione neutrale e solo un numero molto ridotto si è schierato a favore di Mosca. 9  

Decostruire l’opposizione all’Occidente 

È vero che tre quarti dei Paesi del mondo si rifiutano di attuare le sanzioni contro la Russia, nonostante le pressioni dell’Occidente. Ma è importante decostruire la narrativa di un’opposizione senza sfumature all’Occidente, per un’ampia varietà di ragioni che confermano l’eterogeneità del «Sud globale» e, in definitiva, l’inadeguatezza della nozione stessa. 

Queste ragioni sono politiche, economiche, strategiche e ideologiche, a volte sentimentali o addirittura passionali, e variano da Paese a Paese: alcune sono primordiali per uno Stato, accessorie o inesistenti per altri. 

Rifiutare di seguire l’Occidente è innanzitutto una semplice dichiarazione di indipendenza — niente sanzioni se non vengono decise dall’ONU — e di non appartenenza a un campo determinato — si vuole poter «avere un McDonald’s e un Burger King nella stessa strada». Molti Stati sono ancora più gelosi di preservare la loro autonomia strategica, o quello che Delhi chiama multiallineamento, perché la loro sovranità è relativamente recente. Inoltre, le loro opinioni nazionali sono spesso divise: nei sondaggi, brasiliani, sudafricani e indiani sono divisi tra la preferenza per le regole e gli standard americani, europei e del mondo in via di sviluppo.10 Israele ha lo stesso numero di cittadini di origine ucraina che di origine russa. 

Le ragioni economiche sono ben note e spesso abbastanza comprensibili. Il Brasile e l’India acquistano i loro fertilizzanti dalla Russia. L’India, l’Algeria e altri vogliono poter continuare ad acquistare i loro sistemi di difesa da Mosca. Gli Stati del Golfo non vogliono che i capitali russi fuggano. L’Egitto, come la Turchia, conta su Rosatom per le sue future centrali nucleari. In altre parole, non vogliono imporre sanzioni per paura di essere sanzionati a loro volta. 

Rifiutare di seguire l’Occidente è prima di tutto una semplice dichiarazione di indipendenza — niente sanzioni se non vengono decise dall’ONU — e di non appartenenza a un campo determinato 

Bruno Tertrais

Il desiderio di non scontentare la Russia può essere giustificato da calcoli geopolitici: l’India ha bisogno di Mosca per il confronto con la Cina, il Brasile ritiene che la Russia sia un elemento essenziale in un mondo multipolare. I BRICS e i Paesi non allineati non vogliono un Occidente troppo forte. Non siamo lontani dal cinismo: molti Stati emergenti o meno sviluppati stanno aspettando di vedere chi avrà la meglio. Sono hedgers, come si dice nel mondo della finanza, e potrebbero diventare, se la competizione sino—americana dovesse acuirsi, l’equivalente degli Swing States delle elezioni americane. Per usare le categorie della teoria realista delle relazioni internazionali, si tratta di hedging (copertura) piuttosto che di balancing (bilanciamento) o bandwagoning (salire sul carro dei vincitori). Infine, molti di loro non detestano il concetto di sfere di influenza: dopotutto considerano normale che Mosca o Pechino facciano ciò che più vogliono nel loro contesto regionale, come fa l’Arabia Saudita in Yemen, per esempio. 

Si sente anche in queste reazioni un’eco lontana della Guerra Fredda: dal Sudafrica all’India, Mosca rimane l’alleato fedele, l’«anticolonialista», che sostiene i movimenti di liberazione. La propaganda russa sa come utilizzare questo ricordo romantico. Sa anche come presentare il discorso del Cremlino come quello di un uomo forte che si appella a valori conservatori, che non mancano di attrarre determinate popolazioni. «Il risentimento è un elemento importante per comprendere il rapporto tra Africa e Occidente: la realtà del passato coloniale è ancora molto recente e continua a produrre conseguenze ed effetti. Questo offre un punto di ingresso per i Paesi che non sono interessati da questo passato coloniale, come la Russia e la Turchia», si dice in Africa.11 «Mosca ci mostra rispetto», si dice invece in Brasile, Paese la cui élite, come spesso accade in America Latina, rimane segnata dall’antiamericanismo. 

Infine, non dobbiamo trascurare l’importanza del sentimento tossico noto come Schadenfreude, il godimento della sofferenza altrui. Il motivo? Un presunto doppio standard, in riferimento all’invasione dell’Iraq o all’annessione delle Alture del Golan, come se le turpitudini di alcuni fossero una scusa per quelle di altri, o una presunta mancanza di attenzione da parte dell’Occidente ai propri problemi, che permetterebbe ai Paesi interessati di trascurare la sofferenza ucraina e le norme internazionali. L’Occidente deve espiare e pagare per le sue colpe, reali o presunte. Come ha scritto Pierre Hassner nel 2005, ogni volta che l’Occidente viene colpito, le reazioni in gran parte del mondo vanno dalla «Schadenfreude a un senso di equilibrio ristabilito, dal risentimento e dallo spirito di vendetta all’idea di hybris punita».12 Il sostegno implicito alla Russia è quindi un’espressione per procura del disappunto nei confronti di Washington, così come del rispetto per la Cina.

La guerra in Ucraina è quindi il prisma attraverso il quale si rivelano gli interessi e i calcoli degli Stati, ma anche tutte le frustrazioni e le passioni delle nazioni. 

Diagnosi sbagliata, strategia sbagliata

«Non sappiamo come definire il Sud Globale, ma nessuno può negare che esista», ha detto a chi scrive una diplomatica di un Paese latinoamericano durante un forum internazionale nel dicembre 2022. Questo è più che discutibile da un punto di vista epistemologico. Deve essere possibile definire ciò che esiste, altrimenti l’espressione rappresenta più uno slogan polemico che una realtà politica. 

Si potrebbe sostenere che lo stesso vale per l’Occidente. Questo non è del tutto falso. Ci è stata ricordata l’esistenza di questo «occidentalismo», che consiste nell’immaginare un Occidente uniforme e coerente — quello che oggi Mosca chiama ‘Occidente collettivo’. Ma la simmetria è solo apparente. In primo luogo, perché l’invocazione dell’Occidente in Europa e negli Stati Uniti e la pretesa di appartenervi sono, senza essere caduti in disuso, meno diffusi oggi di quanto lo fossero durante la Guerra Fredda. In secondo luogo, perché l’Occidente è ancora meglio rappresentato dalla NATO e dall’OCSE di quanto il Sud globale sia rappresentato dalla SCO, dai BRICS, dal G77 o dal NAM. 

Che molti Paesi si oppongano all’Occidente, e che la guerra in Ucraina ne sia la causa e l’indicatore, è indiscutibile. Riunirli tutti sotto un’unica etichetta è controproducente, perché porta a errori di diagnosi e di strategia. 

L’Occidente è ancora meglio rappresentato dalla NATO e dall’OCSE di quanto il Sud globale sia rappresentato dalla SCO, dai BRICS, dal G77 o dal NAM 

Bruno Tertrais

Si tratta di una diagnosi errata, perché non c’è una grande rivolta nel Sud contro questo Occidente. 

Con l’emergere politico ed economico di nuovi attori e potenze intermedie e il ritorno in primo piano delle rivalità internazionali, il mondo sta in qualche modo tornando un po’ «normale», come ha scritto Robert Kagan qualche anno fa.13 Tuttavia, parlare di un mondo post-occidentale è un’esagerazione. È stato alla fine degli anni ’50 che i Paesi in via di sviluppo sono diventati una forza politica, con la Conferenza di Bandung (1955) e la creazione del Movimento dei Non Allineati. Durante la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica — non esattamente un Paese occidentale — è stata un attore politico formidabile (e una forza di blocco nel Consiglio di Sicurezza). Anche negli anni ’90, spesso descritti come il trionfo dell’unipolarismo americano, le relazioni con la Russia, la Cina, l’Iran e altri Paesi sono rimaste difficili. L’Occidente non aveva il mondo in pugno. Da molto tempo ormai non domina più il mondo senza condividerlo. «L’Occidente capisce che i suoi club esclusivi non possono più risolvere tutti i problemi del mondo», afferma un esperto indiano.14 Ma è mai stato il caso dal 1945 in poi? L’eterno «declino dell’Occidente», che «non è più solo nel mondo», dice molto di più sulle nostre ansie e sulla nostra capacità di autoflagellazione, oltre che sulle legittime rivendicazioni delle potenze emergenti, che su una reale trasformazione del mondo. 

All’ONU, non meno di 141 Paesi, tra cui Perù, Mauritania, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Yemen e Bangladesh, hanno condannato l’aggressione russa, per due volte. Nel 2023, secondo i calcoli dell’Economist Intelligence Unit, i Paesi che si oppongono apertamente alla politica russa rappresenteranno il 60% del Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale, rispetto al 3,3% di quelli che la sostengono. I Paesi inclini a sostenere l’Occidente rappresentano il 35% della popolazione mondiale, rispetto al 33% di quelli che tendono a sostenere Mosca.15

L’eterno «declino dell’Occidente», che non è «più solo nel mondo», dice molto di più sulle nostre ansie e sulla nostra capacità di autoflagellazione, oltre che sulle legittime rivendicazioni delle potenze emergenti, che su una reale trasformazione del mondo 

Bruno Tertrais

Questo Occidente ha comunque belle rovine. Per PIL nominale pro capite — un criterio essenziale — il G7 continua ad essere in testa. I 38 Paesi dell’OCSE — tutte democrazie, anche se alcune molto imperfette — rappresentano unite ancora più del 40% del PIL mondiale in termini di parità di potere d’acquisto. Registrano quasi tutti i brevetti triadici e i dieci Paesi più innovativi al mondo, ad eccezione di Singapore, appartengono tutti all’organizzazione. Sul fronte sanitario, la pandemia ha dimostrato ancora una volta la capacità di reazione della scienza e dell’industria occidentale: i vaccini più efficaci sono stati sviluppati in Europa e negli Stati Uniti. Dal punto di vista militare, i Paesi occidentali dispongono di una rete di basi e alleanze che non ha eguali nel mondo. E l’America ha un’esperienza di combattimento di cui la Cina è priva.

Possiamo ridere dei fallimenti diplomatici dell’Occidente, ma i Paesi del Sud sono in grado di rappresentare un’alternativa? Le ambizioni brasiliane e sudafricane di porre fine alla guerra in Ucraina si sono infrante contro i muri del Cremlino. L’incontro del G20 organizzato da Delhi ha mostrato i limiti del «potere di riunire» indiano: né Putin né Xi Jinping si sono presentati. 

Dobbiamo anche ricordare che non si tratta di un gioco a somma zero: non è tanto l’Occidente che sta declinando, quanto il resto del mondo che sta crescendo in potenza. cosa che va accolta con favore dato che il loro sviluppo ha contribuito a migliorare la vita di centinaia di milioni di persone. 

Ciò che è vero per l’Occidente è ancora più vero per gli Stati Uniti, la cui quota del PIL mondiale a prezzi correnti è la stessa oggi — un quarto — di quella del 1980 o del 1995. Ci sono stati innumerevoli autori e libri che hanno previsto il declino dell’America. Ricordiamo il fenomenale successo di Paul Kennedy, che in Ascesa e declino delle grandi potenze (1987) profetizzò il suo crollo e predisse che la prossima potenza mondiale sarebbe stata… il Giappone? Trentasei anni dopo, l’America continua ad occupare un posto unico nella geopolitica mondiale, grazie alle sue risorse strutturali, naturali e culturali. La de—dollarizzazione è ancora lontana: la valuta statunitense è utilizzata in quasi il 90% delle transazioni in valuta estera, nel 60% delle riserve di valuta estera, nel 50% delle fatture commerciali, in quasi la metà dei titoli di debito internazionali, in oltre il 40% dei pagamenti SWIFT e nel 40% dei prestiti internazionali.16 Anche quando gli acquisti vengono effettuati in euro, yuan o rubli, il prezzo viene spesso fissato in dollari (come nel caso del petrolio). L’Arabia Saudita sta impostando la sua produzione di petrolio senza preoccuparsi dei consumatori americani? Questo accade regolarmente dalla fine della Guerra Fredda. Gli eccessi di coloro che dall’altra parte dell’Atlantico vedono l’Arabia Saudita come l’unico Paese «in grado di contenere le forze naturali della storia» non dovrebbero oscurare gli elementi fondamentali del loro potere e della loro attrattiva, che rimangono ineguagliati.17 Per non parlare del fatto che, demograficamente, rimangono in una posizione molto migliore rispetto al suo principale concorrente, la Cina. 

Ricordiamo anche che non si tratta di un gioco a somma zero: non è tanto l’Occidente che sta declinando, quanto il resto del mondo che sta crescendo in potenza 

Bruno Tertrais

Parlare di «Sud globale» è anche un errore strategico, perché l’espressione suggerisce che è possibile avere un’unica politica nei confronti dei Paesi interessati, mentre i loro reclami e i loro bisogni sono eterogenei. Peggio ancora, il suo uso è controproducente: più la si usa, più si crea una realtà. La nostra interlocutrice non aveva del tutto torto. Come sottolinea Sarang Shidore, che ci piaccia o no, il Sud globale è già un «fatto geopolitico».18 Questo ricorda, mutatis mutandis, il concetto di «razza» nel dibattito pubblico: può non rappresentare alcuna realtà genetica, ma il suo utilizzo crea un fatto sociale che costruisce distinzioni artificiali. Parlare di «Sud globale» promuove l’idea di un confronto politico con l’Occidente. A vantaggio della Cina, che interpreta il ruolo di leader naturale…

Che fare?

Insieme ad altri, suggeriamo di evitare o addirittura rifiutare il termine «Sud globale» nel discorso politico, senza cercare di sostituirlo. In effetti, la Banca Mondiale ha abbandonato la categoria di «Paese in via di sviluppo», anche se potrebbe essere definita sulla base di criteri oggettivi come il PIL o il reddito pro capite. Non dobbiamo nemmeno parlare di «resto del mondo», un’espressione che non è molto attraente e che suggerisce un confronto («The West versus the Rest»)19, anche se i Paesi interessati formano un’area di competizione tra l’Occidente e i suoi avversari — che noi analizziamo in La Guerre des mondes come la competizione di due famiglie, una eurasiatica, piuttosto autoritaria, e l’altra euro—atlantica e indo—pacifica, piuttosto liberale. Ma evitiamo anche di evocare uno scontro tra regimi democratici e Stati autoritari: a parte il fatto che sappiamo quanto le lezioni di democrazia possano essere controproducenti, conosciamo alcuni Stati che si dichiarano del Sud che sono democratici almeno quanto alcuni appartenenti al blocco occidentale. 

I leader e i popoli che dicono di «volere rispetto» devono naturalmente essere ascoltati. Ma comprendere non significa accettare, e non dobbiamo prendere per buona la retorica di un’umiliazione di cui gli occidentali sarebbero sistematicamente responsabili. Raymond Aron ha scritto: «Dobbiamo convincere i popoli europei che non si può vivere del proprio passato, che non tutto ci è dovuto solo perché si sono vissute delle tragedie».20 Questo consiglio rimane valido anche per gli altri. 

A questo proposito, è importante non permettere all’accusa di «due pesi e due misure» di prevalere. Ricordando che può essere invertita: quello che gli anglofoni chiamano «doppio standard» esiste almeno altrettanto dalla parte di coloro che denunciano l’imperialismo americano e si astengono dal fare lo stesso verso quello russo. Sono gli occidentali a difendere una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mentre la Cina non vuole sentire parlare di adesione permanente dell’India. E spesso sono loro a essere in prima linea nella promozione della sicurezza umana e nella protezione dei beni comuni, che si tratti di aiuti allo sviluppo, della lotta al riscaldamento globale o della difesa delle popolazioni minacciate. 

Il doppio standard non si trova forse tra chi si lamenta dell’Occidente quando interviene e dell’Occidente quando non interviene? Non è contraddittorio accogliere con favore l’intervento del 1991 sotto la guida americana per liberare il Kuwait, che era stato annesso dall’Iraq, ma contestare il sostegno militare dell’Occidente all’Ucraina, il cui territorio era stato anch’esso annesso dalla Russia? Quanto al sottolineare che anche le alture del Golan erano state annesse, significa dimenticare che l’aggressore era in quel caso la Siria. Il rimprovero di egoismo non potrebbe essere rivolto anche alla Cina, che è riluttante a ridurre le sue emissioni di gas serra, o all’India, che ha vietato tutte le esportazioni di vaccini nel bel mezzo della crisi del Covid-19? 

La presunta ipocrisia dell’Occidente può quindi essere rivolta contro i suoi critici, che a volte sono i primi a richiedere un visto per l’Europa o gli Stati Uniti, o a investire lì i loro patrimoni. Possiamo anche mettere tutti d’accordo suggerendo, come ha fatto Richard Haas, allora Direttore del Foresight presso il Dipartimento di Stato americano, nei primi anni 2000, che «la coerenza è un lusso che non possiamo permetterci in politica estera». 

Non è contraddittorio accogliere con favore l’intervento del 1991 sotto la guida americana per liberare il Kuwait, che era stato annesso dall’Iraq, ma contestare il sostegno militare dell’Occidente all’Ucraina, parte del cui territorio era stato annesso dalla Russia? 

Bruno Tertrais

Le critiche dei Paesi emergenti al cosiddetto ordine liberale — la rete di istituzioni e standard internazionali sviluppati dal 1945 — sono spesso eccessive. Dobbiamo sottolineare, ad esempio, che quest’ordine ha incoraggiato la decolonizzazione attraverso l’esercizio del «diritto dei popoli all’autodeterminazione»? E che, sebbene le origini di questo ordine siano essenzialmente occidentali, ha beneficiato di altri contributi, come la «Responsabilità di proteggere» ispirata dal diplomatico sudanese Francis Deng?

Si tratta quindi di accettare il dibattito senza necessariamente accettare i continui rimproveri rivolti a un Occidente che è responsabile di tutte le disgrazie del mondo, ma senza nemmeno pensare che basti spiegarsi meglio perché i popoli che, a torto o a ragione, si sentono disprezzati comprendano le nostre posizioni. In breve: né negligenza, né pentimento, né condiscendenza.

D’altra parte, abbiamo tutte le ragioni per lamentarci della sclerosi delle principali istituzioni internazionali, il cui modus operandi riflette un mondo superato. Viene subito in mente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ma, come è stato detto, una sua approfondita riforma presupporrebbe un accordo… tra i Paesi del Sud. Quindi la necessità più urgente diventa quella di riformare il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, dove gli Stati Uniti hanno il 30% dei voti contro il 15% dei BRICS. Ridare legittimità all’ordine liberale significherebbe, per gli occidentali, impegnarsi alla guida di questo processo. Prestare la nostra massima attenzione a questo tema non è solo una questione di giustizia: è anche nel nostro interesse, perché è proprio ponendosi come concorrente di queste istituzioni finanziarie che la Cina sta muovendo le sue pedine.

Note
  1. «Ce Tiers-Monde ignoré, exploité, méprisé comme le Tiers-État veut, lui aussi, être quelque chose». Alfred Sauvy, «Trois mondes, une planète», Le Nouvel Observateur, 14 agosto 1952.
  2. Matthew Connelly & Paul Kennedy, «Must It Be the Rest Against the West ?», The Atlantic, dicembre 1994. Jean-Christophe Rufin, L’Empire et les nouveaux barbares, Jean-Claude Lattès, 1991.
  3. Éditions de l’Observatoire, 2023
  4. S. Jaishankar, Intervento allo Hudson Institute, 29 settembre 2023.
  5.  Stewart Patrick & Alexandra Huggins, «The Term ‘Global South’ Is Surging. It Should Be Retired», Carnegie Endowment for International Peace, 15 agosto 2023.
  6. «Russia’s pockets of support are growing in the developing world», Economist Intelligence Unit, 7 marzo 2023.
  7. Frédéric Lemaître, «Xi Jinping veut s’appuyer sur le ‘Sud global’ pour contourner un Nord hostile et s’imposer comme une puissance incontournable», Le Monde, 28 marzo 2023.
  8. Diana Panke, «Regional Power Revisited: How to Explain Differences in Coherency and Success of Regional Organizations in the United Nations General Assembly», International Negotiation, vol. 18, n° 2, 2013, pp. 265-291.
  9. Cuba, Venezuela, Nicaragua, Eritrea, Bielorussia, Siria, Iran, Corea del Nord, Birmania
  10. Munich Security Conference, Munich Security Index, febbraio 2023.
  11. Gilles Yabin, «Le changement climatique est plus important pour l’Afrique que la guerre en Ukraine», in Michel Duclos (dir.), Guerre en Ukraine et nouvel ordre du monde, Editions de l’Observatoire, 2023, p. 93.
  12. Pierre Hassner, «La Revanche des passions», Commentaire, n° 110, 2005, p. 307.
  13. Robert Kagan, The Return of History and the End of Dreams, New York, Knopf, 2008.
  14. Sylvie Kauffmann, «Entre l’Occident en recul et le Sud qui s’affirme, l‘heure du rééquilibrage est venue. Ca va vite et c’est brutal», Le Monde, 27 settembre 2023.
  15. «Russia’s pockets of support are growing in the developing world», Economist Intelligence Unit, 7 marzo 2023.
  16. Mathias Drehmann et Vladyslav Sushko, «The global foreign exchange market in a higher-volatility environment», BIS Quarterly Review, dicembre 2022.
  17. Robert Kagan, «A Free World, If You Can Keep It», Foreign Affairs, gennaio-febbraio 2023.
  18. Sarang Shidore, «The Return of the Global South», Foreign Affairs, 31 agosto 2023.
  19. Editorial, «The West Versus the Rest», Foreign Affairs, 9 maggio 2023.
  20. Raymond Aron, «Le plan Schuman», conferenza al Centre d’études industrielles, Ginevra, 8 maggio 1952.