L’ascesa di una formula politica
Non si può comprendere l’attuale governo di centrodestra senza l’eredità politica e culturale di Silvio Berlusconi, ma non si può capire Berlusconi senza padroneggiare l’eredità della prima repubblica. Berlusconi nasce come leader politico sulle ceneri di una Repubblica distrutta dalle inchieste per corruzione della magistratura inquirente e dissestata sul fronte della relazione tra partiti e cittadini, dopo aver portato gli italiani dalla macerie della seconda guerra mondiale ad una potenza del G7.
Tuttavia, la cosiddetta prima repubblica, al contrario di quanto spesso si creda, aveva già in nuce in sé un bipolarismo che poi si ingenererà con il referendum sulla legge elettorale del 1993 e con l’intuizione dello stesso Berlusconi della democrazia dell’alternanza: da un lato c’era il Partito comunista italiano, interdetto dal governo del paese per ragioni internazionali, e dall’altra tutti gli altri, con la Democrazia cristiana come perno di ogni maggioranza. Di fatto, ciò che univa davvero il pentapartito era l’anticomunismo, una fortissima base ideologica comune, per quasi cinquant’anni, della maggioranza dei cittadini italiani. Inoltre, a inizio anni Novanta, l’Italia era in grande ritardo nell’entrata nel nuovo ciclo politico-economico internazionale caratterizzato da un processo di liberalizzazione e privatizzazione dell’economia che veniva dalle esperienze di Ronald Reagan e Margaret Thatcher.
I partiti della prima Repubblica erano arrivati troppo tardi a capire la necessità di riformare l’economia in senso liberista, si erano mossi tra mille contraddizioni e con un percorso a singhiozzo nei primissimi anni Novanta. Infine, le inchieste della magistratura sulla corruzione generalizzata della classe politica ne avevano minato le fondamenta della legittimazione, i vecchi partiti venivano percepiti da gran parte degli italiani come un covo di corruttela, burocrazia e arretratezza. Berlusconi, forte di un controllo della cultura popolare attraverso le sue televisioni, ricavò da questa situazione tre grandi intuizioni politiche: la leggera coloritura ideologica del liberalismo anglo-americano che aveva dominato gli anni Ottanta e primi anni Novanta; il forte richiamo dell’anticomunismo, a cui la maggioranza degli italiani aveva risposto per decenni positivamente, e la debolezza di una sinistra che dopo la caduta del comunismo non era riuscita rapidamente a reinventarsi; un populismo antipolitico che sintonizzava l’offerta politica berlusconiana con cittadini stanchi del sistema dei partiti e della politica di professione dopo le inchieste di Tangentopoli.
Il berlusconismo politico è stato l’intreccio di questi tre fattori e le sue promesse intrecciate di libertà, conservazione e modernizzazione, sincere o meno che fossero, sono state supportate da decine di milioni di italiani. Il berlusconismo è stato un fattore enorme non soltanto per la polarizzazione che il controverso personaggio di Berlusconi ha generato per oltre un ventennio, ma perché ha mostrato una frattura politica e culturale che oggi, in termini diversi, è ancora molto evidente nel paese. Si pensi, ad esempio, al blocco sociale del centrodestra che è rimasto grossomodo lo stesso del 1994, che a guidarlo fosse Berlusconi, Salvini o Meloni: partite iva, piccoli medi-imprenditori, forze dell’ordine e lavoratori del settore privato.
Questo raggruppamento di segmenti sociali, che Berlusconi aveva creato, si è consolidato ed è rimasto intatto per quasi trent’anni, attraversando l’epoca dell’ottimismo liberale e del globalismo, poi dell’euroscetticismo, del rallentamento della globalizzazione, del ritorno del nazionalismo. Ancora negli ultimi mesi, pur con Forza Italia ridotta a terzo partito della maggioranza, l’influenza di Berlusconi sul governo Meloni è stata considerevole. Il programma di governo del centrodestra è ancora incentrato su alcuni capisaldi del berlusconismo: meno tasse per chi produce e lavora, difesa della proprietà immobiliare, estensione della cosiddetta flat tax per le partite iva, pensioni minime più robuste, una forte attenzione alla sicurezza del cittadino, la riforma della giustizia in senso garantista per l’imputato. I nomi di peso del governo Meloni sono anch’essi legati a quella storia: tutti, inclusa la stessa premier, sono stati coinvolti nei precedenti governi Berlusconi, da Fitto a Urso, da Giorgetti a Tajani, da Crosetto a Mantovano.
Per molti versi gran parte della classe politica di massimo livello su cui poggia l’attuale esecutivo si è formata durante l’epoca berlusconiana degli anni novanta e duemila. Non solo Forza Italia è essenziale per i numeri parlamentari della maggioranza, ma il programma del berlusconismo – solo parzialmente realizzato in questo trentennio e pur depurato dalle inclinazioni più “liberiste” che non sono più adeguate ai tempi – è ancora largamente prevalente nell’offerta politica del centrodestra e vincente sul piano elettorale.
Un primo bilancio post-mortem del «pacchetto culturale» berlusconiano
Ciò ci conduce alla questione culturale, che nella storia politica ed editoriale di Berlusconi ha pesato più di quanto si possa credere. Berlusconi non ebbe soltanto una grande intuizione politica e mezzi enormi per realizzarla, ma anche un controllo della cultura popolare che è ancora oggi risulta fondamentale per la destra politica. I programmi edonistici, vanesi e consumistici della sua televisione commerciale gli hanno garantito uno straordinario patrimonio di informazioni e conoscenza sulla mentalità e le preferenze degli italiani che le aziende di Berlusconi stesso hanno contribuito a realizzare. Ciò ha permesso al centrodestra di entrare in profonda connessione con la cultura popolare, qualcuno direbbe la “bassa cultura”, del Paese e con le inclinazioni e i sentimenti della maggioranza dei cittadini.
Un fatto che il Berlusconi politico ha sempre rivendicato: gli italiani sono un popolo liberale, che soffre gli indottrinamenti teorici, leggero e con voglia di divertirsi, concentrato sul lavoro, la casa e la famiglia, attento alla concretezza e alla quotidianità, alla cura del proprio “particulare”, molto più che alle grandi idealità o all’elaborazione di una moralità pubblica. Un popolo, in definitiva, che non deve essere corretto né rieducato, come chiedono invece intellettuali e politici di sinistra, ma che va bene così come è. Nessuno come Berlusconi ha compreso, nel suo tempo, quella parte di Italia che rifiuta ogni attivismo politico, ogni indottrinamento nel linguaggio e nel costume, ogni organizzazione sovrimposta della cultura e vuole semplicemente lavorare, guadagnare, pagare meno tasse ed essere protetta dall’insicurezza, senza fronzoli morali, senza pretese di riformare sé stessa e senza eccessive ambizioni ideologiche, magari sotto la guida di un grande leader capace ed efficiente che si occupa di risolvere i problemi. Questo era il pacchetto culturale di Berlusconi, questo è il pacchetto culturale che oggi rende ancora così forte e radicata politicamente la destra pur senza che questa abbia il controllo delle “casematte del potere”, come scuole, università, burocrazie e realtà editoriali.
Infine, sul piano dell’organizzazione politica, Berlusconi è stato il precursore della creazione del partito personale, privo di una organizzazione degli apparati e simile ad un comitato elettorale con caratteristiche di marketing aziendale. I suoi alleati di un tempo, la vecchia Lega nord e Alleanza nazionale, erano partiti veri sul piano organizzativo e di partecipazione alla vita politica degli iscritti. Oggi, invece, tanto la Lega di Salvini quanto Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni sono dei partiti personali, molto più simili a Forza Italia di quanto non lo siano dei loro partiti antenati. La leaderizzazione, imposta dal primo Berlusconi come novità assoluta, è diventata una caratteristica strutturale dei partiti del centrodestra italiano.
Di conseguenza la morte di Berlusconi, che lascia una eredità politica e culturale pesante e decisiva per la maggioranza ancora oggi, apre nuovi scenari per il futuro della politica italiana.
Procediamo ora per punti nell’analizzare l’impatto sul presente e sul futuro generato dalla scomparsa del fondatore del centrodestra.
I cinque futuri del berlusconismo
1 — Il futuro di Forza Italia
Questa è la prima questione che la morte di Berlusconi pone, cioè la sopravvivenza del proprio partito. Si può ipotizzare che nessuno, a livello parlamentare, si sposterà da Forza Italia verso altri partiti proprio perché all’inizio la dipartita del Cavaliere avrà un effetto di collante.
Tuttavia, tra qualche mese, Tajani e gli altri forzisti dovranno affrontare le elezioni europee e non è garantito che una Forza Italia priva di Berlusconi riesca a superare lo sbarramento al 4%. Se così fosse sarebbe molto difficile, tra un anno, evitare smottamenti. Gran parte degli eventuali movimenti parlamentari saranno verso Fratelli d’Italia e la Lega. Oggi lo scenario più probabile è che la maggioranza non perda pezzi nell’immediato e che ci possa essere, dopo le elezioni europee, un rimescolamento a favore degli altri due partiti di maggioranza. Forza Italia continuerà probabilmente ad esistere fino alla fine della legislatura, ma la sua decadenza nel consenso e nella consistenza parlamentare appare irreversibile. Naturalmente uno sfarinamento di Forza Italia, con divisioni in correnti o con separazione di piccoli gruppi di parlamentari, può creare dei problemi al governo Meloni poiché crescerebbe il potere di ricatto di questi gruppuscoli, in sede legislativa, nei confronti dell’esecutivo. Pertanto il Presidente del Consiglio non ambisce a determinare la scomparsa immediata e lo smembramento parlamentare di Forza Italia poiché questo potrebbe generare instabilità governativa, ma preferirebbe invece che questo affievolimento avvenisse, in modo naturale, tornata dopo tornata elettorale.
2 — Il futuro di Lega e Fratelli d’Italia
I vuoti in politica si riempiono e dunque il buco va subito tappato. Meloni e Salvini, due politici esperti, lo sanno bene e perciò faranno partire una competizione silenziosa per raccogliere le spoglie elettorali di Silvio Berlusconi e, se ci saranno fratture interne, quelle parlamentari di Forza Italia. Meloni è avvantaggiata per due motivi: il primo è che governa e dunque può offrire posti ed opportunità a chi considera finita la propria esperienza in Forza Italia, il secondo è che controlla il partito più grande e quindi può farsi garante della rielezione dei forzisti che le interessano sul piano del consenso. Salvini, molto vicino ad una fazione di Forza Italia che fa capo a Licia Renzulli, può da un lato attrarre parlamentari verso la Lega e dall’altro offrire un programma politico capace di sedurre gli elettori di Berlusconi nel nord, un elettorato che spesso ha oscillato proprio tra la Lega e Forza Italia. A livello di consensi, infatti, potremmo anche assistere ad una spartizione di voti che vede la Lega primeggiare al nord e Fratelli d’Italia dominare nel centro e nel sud. Per Meloni, inoltre, la caccia ai restanti voti di Berlusconi ha anche un valore strategico: offrire idee liberali e moderate per allargare il bacino elettorale, spostare il partito più al centro, mettere progressivamente a tacere le critiche relative all’estremismo e al post-fascismo. Una Meloni che riprenda i temi più cari a Berlusconi nei prossimi mesi, come quelli fiscali e pensionistici e magari metta da parte le proposte più identitarie della destra, non è affatto da escludere.
3 — Il futuro del centro
Se Renzi e Calenda avessero costituito un partito unico che detenesse una quota di consenso del 7-8% come dopo le ultime elezioni politiche oggi si fregherebbero le mani all’idea di un possibile assalto di successo all’elettorato di Forza Italia. Purtroppo per loro non è andata così: separazione dei due leader per attriti personali, nessun partito unico, Renzi fuori dalla politica (almeno formalmente), entrambi i movimenti centristi in declino nei sondaggi. Dunque, le possibilità per i centristi di ricavare qualcosa dalla scomparsa di Berlusconi sono oggi molto ridotte. Forse qualche adesione parlamentare potrà arrivare nei prossimi mesi insieme a qualche decimale di consenso, ma è difficile pensare ad una transizione prevalente degli elettori verso i partitini di centro.
4 — L’impatto sugli assetti europei
La scomparsa di Berlusconi abbrevia i tempi per un accordo tra Fratelli d’Italia e il Partito Popolare Europeo. È molto probabile, infatti, che il peso elettorale di Forza Italia si ridurrà in modo consistente. Dunque Manfred Weber sarà costretto a capire a breve, pena l’indebolimento dei popolari in Italia, se ci sono effettivi spazi per un accordo con Meloni. La Presidente del Consiglio aumenta di conseguenza il proprio peso specifico nelle trattative con il PPE. Se i sondaggi per Forza Italia crollassero nei prossimi mesi non è impensabile ipotizzare una lista unica, soltanto per le elezioni europee, tra Forza Italia e Fratelli d’Italia di concerto con i popolari europei. Al partito fondato da Berlusconi verrebbero garantiti degli eletti e Fratelli d’Italia sarebbe maggiormente legata al PPE.
5 — L’impatto sul piano internazionale
Non dobbiamo dimenticare che tutta la politica estera del Berlusconi governativo è stata imperniata sulla costruzione di buoni rapporti con Russia e Stati Uniti. La teoria e la pratica dei forti rapporti commerciali con Mosca è sempre stata propria di Berlusconi, uno dei pochi tratti che il tycoon aveva in comune con Angela Merkel. Questo schema negli ultimi due anni non era più perseguibile e con pragmatismo il leader di Forza Italia si era piegato alla ragion di Stato. Ma Berlusconi è rimasto amico di Putin fino alla fine e, pur rispettando gli impegni politici presi a sostegno dell’Ucraina, ha sempre mostrato una certa insofferenza verso Zelensky. Meloni perde dunque un alleato filo-russo che negli ultimi tempi si era sbilanciato a favore di Putin più di quanto non abbia fatto il leader della Lega Matteo Salvini. Di conseguenza la Presidente del Consiglio si libera di un fattore di preoccupazione internazionale e, considerata l’inclinazione atlantica ed europeista di Tajani, può rafforzare la propria linea di politica estera filo-americana.