Il progetto di riforma delle pensioni e le forti mobilitazioni contrarie in corso da diversi mesi sono apparsi a molti come un nuovo episodio dell’eterna «eccezione francese». È una visione sbagliata: le proteste confermano al contrario che la battaglia politica e sociale per una via d’uscita dalla crisi pandemica e per un ritorno alla « normalità dell’austerità » è ben avviata in Europa. Ritornando all’ossessione parametrica del rinvio dell’età pensionabile e del pareggio di bilancio del sistema, in realtà si oscurano completamente l’immensità dei bisogni collettivi insoddisfatti e l’urgenza di un nuovo patto sociale ed ecologico. Le crisi dell’ultimo decennio hanno dimostrato che le politiche stesse perseguite dai governi nazionali e dalla stessa Unione Europea hanno contribuito allo smantellamento dei sistemi sanitari, dei servizi pubblici, dello Stato sociale, dell’ambiente e della sovranità in tutta Europa.
Ma queste crisi europee stanno creando una situazione senza precedenti, un momento politico cruciale, di cui le elezioni europee del prossimo anno saranno uno sbocco essenziale. Siamo di fronte a un’alternativa. Le società civili e le forze politiche progressiste riusciranno a cogliere le brecce aperte nel “consenso di Maastricht” per riorientare fondamentalmente l’Unione Europea verso una transizione climatica giusta e democratica, oppure, al contrario, saranno le forze conservatrici a riprendere le politiche di deregolamentazione e austerità, aggravando le attuali disuguaglianze ecologiche e sociali e le tensioni democratiche. Nonostante la comunicazione, la tecnocrazia europea, ora alleata con le società di consulenza e che ha preso in prestito gli strumenti della gestione a breve termine, non è all’altezza di questo momento. Le promesse di una nuova pianificazione, sostenute da un’amministrazione pro-business, non avvieranno la svolta di 180 gradi che la crisi climatica richiede. È quindi giunto il momento di riprendere in mano democraticamente il “consenso di Maastricht”.
Con la richiesta di un bilancio europeo reale e sostenibile per la transizione climatica e sociale, una tassa sulla ricchezza europea, una tassa sui profitti delle multinazionali e una democratizzazione dell’Unione, questo appello mira a unire le forze progressiste attorno a una prospettiva politica transnazionale e a imporre un’agenda ecologica, sociale e democratica alla prossima legislatura europea (2024-2029).
L’accumularsi di crisi sanitarie, climatiche e geopolitiche ha costretto l’Unione Europea, negli ultimi tre anni, a sviluppare in emergenza misure anti-crisi senza precedenti, che aprono varchi nel “consenso di Maastricht”:
- Un prestito comune ha dimostrato per la prima volta nella storia cosa può permettere di raggiungere la solidarietà europea. Un piano di rilancio da 750 miliardi di euro (NextGenerationEU) ha restituito capacità d’azione a un’Europa troppo a lungo bloccata dall’austerità; dobbiamo lottare per rendere questo strumento permanente, per aumentarne l’importo, per riorientarlo in modo serio e sistematico verso la lotta al cambiamento climatico e per sottoporre tutte queste spese a un controllo democratico attraverso una trasparenza radicale.
- Il “Patto di stabilità”, la legge neoliberista europea che pesava sulle politiche di bilancio degli Stati membri, è stato sospeso e si è aperto un dibattito sulla sua revisione, con l’obiettivo di restituire un margine di manovra agli Stati e di integrarvi obiettivi ambientali e sociali; gli investimenti sociali e ambientali europei devono essere tolti dai saldi contabili di bilancio.
- Si è discusso anche del semestre europeo, il dispositivo centrale del Patto che da 10 anni impone la “condizionalità” agli Stati membri e ne limita il margine di manovra politico: i deputati hanno difeso una diversa quantificazione della spesa europea, per la salute, l’istruzione, le questioni sociali e culturali. Il semestre europeo potrebbe quindi diventare uno strumento sociale a tutti gli effetti, con indicatori relativi all’applicazione dei principi della base europea dei diritti sociali, alla qualità dell’occupazione, alla convergenza sociale verso l’alto, alle pari opportunità e alla protezione sociale, all’istruzione e all’investimento nei bambini e nei giovani.
- La santificata e distruttiva politica europea della concorrenza è stata scartata e messa in discussione per la prima volta in quarant’anni. La crisi ha dimostrato che gli aiuti di Stato e il denaro pubblico sono necessari per la sopravvivenza del tessuto economico. I nuovi «importanti progetti di interesse comune europeo», che ora consentono di sovvenzionare tutti i tipi di grandi progetti innovativi, rappresentano un punto di svolta. Quando i “fallimenti del mercato” e le sfide sociali richiedono finanziamenti pubblici, in campo sanitario, sociale, educativo, di ricerca o ambientale, una nuova capacità di intervento pubblico deve essere in grado di finanziarli. Questi interventi devono essere sistematizzati e devono essere imposte scelte coraggiose, che solo le autorità pubbliche possono assumere.
- È stato creato un meccanismo di sostegno alla disoccupazione (SURE), sotto forma di prestito sociale europeo garantito da tutti gli Stati membri, gettando le basi per un sistema europeo di assicurazione sociale e mostrando la strada verso politiche sociali ambiziose, laddove gli Stati sono determinati ad affossarle a livello nazionale. Anche in questo caso, dalla crisi sono emerse soluzioni inedite, precedentemente condannate dal TINA: queste misure aprono la strada a un’Europa sociale protettiva e ambiziosa e all’istituzione di una vera e propria “garanzia europea dell’occupazione”.
- La guerra in Ucraina ha mostrato l’assurdità delle nostre reti di approvvigionamento energetico e il piano europeo Repower EU sta cercando urgentemente di riorientarle. C’è un accordo unanime sul fatto che ora c’è spazio per un finanziamento massiccio delle energie pulite e rinnovabili, per ragioni ambientali ovviamente, ma anche per riconquistare la nostra sovranità e uscire dalla dipendenza strategica dalla Russia e da tutte le autocrazie produttrici di combustibili fossili.
- Il New Green Deal lanciato nel 2019 deve essere rimesso in agenda, anche se è stato minato dalla crisi del COVID e dalla guerra in Ucraina: ciò deve essere fatto nell’agricoltura, nell’industria europea, nei trasporti… Se l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050 verrà lasciato nelle mani dell’agrobusiness, delle multinazionali e della finanza verde, difficilmente sarà raggiunto. L’Agenzia europea per l’ambiente sta già avvertendo che l’Unione europea avrà difficoltà a rispettare gli impegni di riduzione dei gas serra del 55% entro il 2030.
Queste misure anticrisi, per quanto interessanti, non sono né permanenti, né sistematiche, né associate a un controllo democratico approfondito. Sono state strappate ai governi degli Stati membri nel bel mezzo di tempeste e paure, ma a condizione che fossero «one shot», risposte uniche e temporanee alla crisi. Senza dubbio creano dei precedenti aprendo il campo delle possibilità, ma sono ben lungi dall’essere all’altezza della sfida. Il loro volume rimane limitato. Il piano di rilancio americano prevedeva 1900 miliardi di dollari: il 10% del PIL statunitense. Per la Francia, i sussidi europei rappresentano in totale solo l’1,6% del PIL in 4 o 5 anni, per la Germania lo 0,8%, mentre per Spagna e Italia, i maggiori beneficiari, raggiungono il 5,6% e il 3,8% del PIL in 5 anni.
Per uscire da questo eccezionalismo e dal permanente bricolage dei vertici dell’ultimo minuto e delle porte chiuse delle burocrazie europee, l’Unione Europea deve finalmente dotarsi di un vero bilancio. Per farlo, deve rinnovare le sue istituzioni democratiche. No taxation without representation!
Accanto al Parlamento europeo deve essere istituita un’Assemblea europea dei parlamenti nazionali. Perché solo l’alleanza tra parlamentari europei e nazionali può strappare la solidarietà europea ai capricci delle potenti burocrazie nazionali. Solo questa alleanza parlamentare può ancorare la democrazia europea a tutte le forze sociali e politiche, ai partiti politici, ai sindacati, alle autorità locali e regionali, alle ONG e alle associazioni, nazionali ed europee, che compongono la società europea. Il Parlamento europeo ha dimostrato in molte occasioni di non essere in grado di farlo di fronte alla legittimità degli esecutivi; non lo sono nemmeno i parlamenti nazionali, confinati nei loro spazi politici nazionali!
Soltanto questa alleanza tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sarà in grado di creare nuove risorse proprie, stabilendo una seria tassa sui profitti delle multinazionali, sulla base del lavoro dell’OCSE. Quest’alleanza deve anche istituire un’imposta europea progressiva sulle grandi fortune, cioè sui patrimoni superiori a 2 milioni di euro, che varrebbe dall’1% all’1,5% del PIL europeo (con aliquote marginali relativamente modeste, che vanno dallo 0,5% al 3% della ricchezza netta degli individui). Ciò consentirà di finanziare un piano di transizione ecologica e sociale permanente.
Per percorrere questa strada è necessario un nuovo metodo.
Da un lato, tale riforma deve essere sostenuta da una fondamentale pressione democratica proveniente dai cittadini stessi. Pertanto, oltre all’alleanza transparlamentare, è necessario rafforzare notevolmente l’accesso diretto dei cittadini alle decisioni europee. Ciò comprenderà l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare l’elenco dei beneficiari dei fondi europei, una breccia aperta dal Parlamento europeo nel febbraio 2023 e che permetterà a tutti di appropriarsi del controllo democratico. Sarà inoltre necessario rafforzare la fattibilità delle iniziative dei cittadini europei, istituire una Carta della cittadinanza europea e conferire uno status europeo alle organizzazioni della società civile. Sarà necessario creare un ecosistema deliberativo a livello europeo a seguito della conferenza sul futuro dell’Europa e del panel istituito dalla Commissione europea, creando un’assemblea permanente dei cittadini a livello europeo, interconnessa con le assemblee nazionali e locali che chiediamo.
D’altra parte, per procedere, le consuete regole dell’unanimità non dovrebbero costituire un ostacolo. La cooperazione rafforzata potrebbe iniziare immediatamente tra gli Stati interessati, ai quali potrebbero poi aggiungersi gli altri Stati membri. Questi Stati pionieri potrebbero firmare a breve termine un trattato per la creazione di un vero e proprio bilancio per la transizione climatica e sociale, finanziato da un’imposta patrimoniale europea e da un’imposta sui profitti delle multinazionali, e di un’assemblea europea dei parlamenti nazionali per discuterli, elaborarli e votarli. Avanzare con i Paesi che lo desiderano: questo è il principio che permetterà all’Unione europea di fare i suoi maggiori progressi e che darà agli Stati membri la possibilità di essere all’altezza del periodo storico che stiamo attraversando.