Ilaria Capua è una delle principali virologhe italiane, con una lunga carriera universitaria nazionale e internazionale alle spalle. Deputata della Repubblica italiana dal 2013 al 2016, ha poi lavorato all’Università della Florida prima di tornare in italia, dal 2023, alla Johns Hopkins University di Bologna. La sua attività scientifica si contraddistingue per l’impegno a superare le barriere tra medicina umana e veterinaria, secondo una concezione in cui non può esistere una salute umana distinta da una salute animale e da quella dell’ambiente.
Nella sua lezione Salute Circolare: la salute del futuro, tenuta alla Johns Hopkins University di Bologna il 28 febbraio 2023, Capua torna proprio su questo punto, mettendo in relazione il benessere dell’uomo con la salvaguardia dell’ambiente e degli animali.
Per introdurre ciò che per me è la «salute circolare» partirei dallo sport. Fino a un certo periodo storico, il salto in alto si faceva così [la professoressa Capua mostra l’immagine di atleta che arriva all’altezza della sbarra in orizzontale, con il viso pericolosamente rivolto verso terra], e con questa metodologia si riuscivano a raggiungere determinati livelli che sembravano insuperabili.
Almeno finché non è arrivato Dick Fosbury. L’atleta americano cominciò a saltare al contrario, cioè con il viso rivolto verso l’alto, arrivando più su e rivoluzionando la sua disciplina che si pensava, almeno fino a quel momento, avesse raggiunto il suo massimo.
Ecco io stasera vorrei farvi compiere la stessa rivoluzione, però da fermi. Vi farò muovere dentro.
Comincerò da un’opera d’arte. Questa è un’opera del Giotto che si trova ad Assisi ed è una Natività, della quale a noi interessa una parte, il bue. Voi sapete che in ogni presepe c’è sempre un bue e un asinello. Il bue è lì con una funzione precisa: scaldare il bambinello, perché fa freddo. Ma come scaldava il bambino? Alitando di fronte a lui. A quel tempo esisteva un virus, terribile, che causava la peste bovina, e più o meno in quel periodo il virus ha deciso di infettare un bambinello e ha creato una epidemia, quella del morbillo. Ciò che voglio dire è che gli spillover dagli animali provocano malattie che possono durare millenni, e poi che non è la prima volta, il Covid non è la prima pandemia a cui assistiamo e non sarà l’ultima. Le pandemie si manifestano in macro cicli, il virus della peste bovina ha compiuto il salto di specie circa 2500 anni fa, e noi ancora oggi siamo alle prese con questo stesso virus.
Il morbillo è solo una delle tante malattie che deriva dai virus animali, perché quasi tutte le malattie che hanno devastato l’umanità hanno avuto un serbatoio o un progenitore tra gli animali. Possiamo citare la peste, la peste bubbonica, che sappiamo essere stata trasmessa dai roditori, ma il virus dell’influenza spagnola che tutti conoscete aveva dei pezzi di genoma di virus degli uccelli, o ancora l’HIV, che ha stravolto la mia generazione, arriva dalle scimmie e si è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo. Stesso discorso per il nostro amico Covid.
Per capire di cosa stiamo parlando bisogna partire da un presupposto: le pandemie sono fenomeni trasformazionali, perché quando prendono un certo giro e una certa velocità di diffusione fanno crollare i sistemi che conosciamo. Ci sarà sempre un prima e un dopo, il mondo dopo una pandemia non può più essere uguale a se stesso, per questo noi Homo Sapiens, che siamo esseri intelligenti, abbiamo il dovere di capire certe cose e il dovere di evitare che queste cose si verifichino di nuovo.
La pandemia ha determinato una destrutturazione dei sistemi sanitari, che non ce l’hanno fatta a reggere l’onda pandemica, come dimostrano gli ospedali costruiti a tempo di record in Cina. Va aggiunto un altro elemento: l’anno scorso è stato il più caldo da quando Homo Sapiens ha iniziato a misurare la temperatura. Questo rappresenta un problema serio che ha delle ramificazioni anche sulla salute, perché il cambiamento climatico e il riscaldamento delle temperature portano alla siccità. Chi avrebbe mai immaginato i fiumi a secco e i razionamenti d’acqua? Ahimè, il cambio di clima porta anche eventi meteorologici estremi che fanno crollare costoni interi , come accaduto a Ischia per esempio. Ecco, tutto questo sta succedendo insieme, e noi non possiamo far finta che questi problemi non ci riguardano, anche perché abbiamo un serio problema di crisi alimentare, siamo diventati 8 miliardi, ci sono tante persone da sfamare.
Ora, prendiamo in considerazione una metafora, aria, acqua, terra e fuoco. Ragionare partendo da questi elementi ci aiuta a guardare le cose in modo diverso, un esercizio che dovremmo fare più spesso perché ci consentirebbe di agire affinché le cose cambino.
Partiamo dalla terra. Cosa ci dà la terra? La terra ci dà da mangiare: tutto quello che mangiamo arriva dalla terra o arriva dal mare, se ci nutriamo di alimenti poco salubri per la nostra salute noi stiamo male, e quindi dobbiamo assicurarci che ciò che mangiamo sia di un certo livello e abbia determinate caratteristiche. Terra vuol dire anche piante, che noi guardiamo troppo poco per quanto adesso stiamo iniziando a piantumare per creare più ossigeno. Le piante sono parte integrante del nostro ecosistema e si ammalano tanto quanto gli esseri umani. Qualcuno conoscerà il Salento, che è stato colpito dalla Xylella, una malattia infettiva trasmessa da vettori che ha devastato un’intera zona perché noi non siamo stati capaci di fermarla. Eppure gli alberi non si muovono, non c’è bisogno di imporre un lockdown. Bisognava forse avere più attenzione, e bisognerà averne in futuro: questo tipo di malattie non si verificano solo negli ulivi, come nel Salento, si verificano nel grano, nel riso, e in altri tipi di coltivazioni. Queste culture ci danno da mangiare, e noi dobbiamo imparare a farle crescere in maniera salubre.
La terra è anche la biodiversità. Voi non lo sapete ma due o tre giorni fa era il pangolino day, e per una ragione. Il pangolino già prima della pandemia era uno degli animali più bracconati al mondo, tant’è che esisteva il pangolino day proprio per proteggerlo. Nel 2019, prima della pandemia, sono state sequestrate 10 tonnellate di squame di pangolino, un numero enorme, perché per raggiungere questo volume di squame è necessario ammazzare una montagna di pangolini. I pangolini, come altri animali selvatici che bisognerebbe lasciare in pace e bisognerebbe rispettare, portano delle malattie, e proprio il pangolino potrebbe essere la causa di quello che ci è capitato.
La terra è fatta al 70% di acqua, e la salute degli oceani riguarda anche noi. È abbastanza ovvio che questa che vedete è una tartaruga di mare che però se notate ha delle escrescenze [la professoressa mostra una tartaruga marina con delle vistose lesioni da herpes]. Cosa sono? Delle lesioni herpes, dei virus molto diffusi che fanno venire la febbre. Quand’è che la temperatura sale e si vedono gli herpes? Quando siete stressati. Questa tartaruga è ridotta in questo modo perché è obbligata a vivere in un ambiente sporco perché pieno di rifiuti, e caldo a causa dell’aumento delle temperature. Le tartarughe non possono regolare la propria temperatura, e quindi soffrono a causa del caldo eccessivo e anche a causa di queste lesioni si disorientano e non riescono più a migrare come dovrebbero. Vi chiederete perché vi sto mostrando una tartaruga, perché ci interessa la sua singola storia. Il punto è che questi fenomeni accadono dappertutto, dalle Filippine al golfo del Messico al Mediterraneo. Questi animali sono un esempio di come stanno i nostri mari.
Questo sta succedendo anche con l’acqua. A lungo si è detto che la plastica fosse indistruttibile, ma non è proprio così: il materiale si degrada e a furia di prendere colpi diventa microplastica, che si infila dappertutto, fin nel cordone ombelicale di una donna incinta, dove è stata trovata. Ormai fa parte della catena alimentare, ed è dentro di noi.
Adesso parliamo di aria. Fino a poco tempo fa vivevo in Florida, dove ci sono gli uragani, che vengono classificati con un nome proprio che parte da una lettera dell’alfabeto. Ogni anno cominciano con la prima lettera A, che dà il nome all’uragano Anna, poi B, magari per Barbara eccetera. Ecco, nel 2020 le tempeste e gli uragani sono stati talmente tanti che gli scienziati hanno finito le lettere dell’alfabeto latino e hanno dovuto inserire le lettere greche, alfa, beta, gamma. Questi eventi meteorologici, che vi garantisco fanno veramente paura e portano con sé una potenza incredibile, sono sempre più frequenti e presenti adesso anche nel nostro tranquillo Mediterraneo.
Parliamo di fuoco. Il fuoco, come l’aria, l’acqua e la terra, è essenziale per la vita, lo è il sole per la fotosintesi, per fare un esempio. Ogni tanto però sfugge al nostro controllo e devasta ecosistemi che ci hanno messo centinaia di migliaia di anni a diventare tali, facendo scappare anche gli uomini e gli animali, che devono stare dentro le foreste, non fuori. Quando gli animali scappano si creano delle condizioni affinché i virus che loro portano entrino a contatto con gli esseri umani, è così che accade il salto di specie. Insomma, come funziona lo sapete. Il riscaldamento globale però sta influenzando l’aspettativa di vita di molte specie tra cui Homo sapiens. A questo proposito è forse utile che io vi faccia un breve riassunto sull’aspettativa di vita. La mia è di circa 80, 85 anni, simile a quella di mia figlia, ma l’aspettativa di vita dei miei nipoti è inferiore e questo non è giusto: non è giusto che gli effetti del cambiamento climatico regalino ai nostri nipoti un’aspettativa di vita inferiore a quella che abbiamo avuto noi.
Ora voi direte che in quanto singoli individui non potete risolvere problemi così grandi, e certamente grandissimi sono. Ma ciò non vuol dire che passano necessariamente sopra la nostra testa. Questi problemi si possono affrontare per esempio con i big data. Pensiamo al Covid. Il Covid è stato l’evento più misurato della storia, abbiamo i dati su tutto, se noi riuscissimo a lavorare su questi dati oltre ai dati che ognuno di voi produce con il proprio telefonino, troveremmo degli ambiti completamente nuovi, a scopriremmo nuovi spazi.
Cosa può fare ognuno di noi? Ognuno di noi può prendere in mano l’agenda di comportamenti da tenere e utilizzarla come mappa per portare avanti la salute [la professoressa mostra i 17 punti della sustainable development goals da raggiungere entro il 2030].
Dobbiamo cambiare punto di vista e capire di far parte di un sistema. Non possiamo più porci soltanto come invasori e distruttori, e non fa nulla che questo sia il nostro punto di partenza. Pensiamo al problema dell’antibiotico-resistenza dei super batteri che si manifestano nelle cosiddette infezioni ospedaliere e che si prevede che nel 2050 uccideranno più persone del cancro. Il vero grande problema è come si generano questi batteri. Come è possibile che non riusciamo a trattarli? Perché facciamo un sacco di cose sbagliate! Usiamo troppi antibiotici, buttiamo le medicine nell’immondizia e non le smaltiamo come dovremmo, le persone o anche gli animali (perché gli antibiotici non li usano mica solo le persone) non finiscono la terapia e quindi i farmaci vengono buttati, c’è scarsa igiene e scarsa attenzione alla materia.
Cosa può fare il singolo? In primo luogo non buttate più gli antibiotici nell’immondizia, e nemmeno le medicine. Questo è già tanto. Dopodiché su questo tema si lavora anche dal punto di vista scientifico. C’è un report che si chiama O’Neill Report, che ha fornito delle linee guida per combattere l’antibiotico-resistenza, e uno degli studi che sta facendo il mio gruppo in Florida cerca di combinare queste raccomandazioni con i nostri obiettivi di sostenibilità. Si consiglia, per esempio, di utilizzare meno antibiotici in agricoltura, se si agisce in questo senso ci sarà meno antibiotico-resistenza. Inoltre dovremmo spiegare ai ragazzi fin dalla scuola che l’antibiotico non va preso sempre, e questo sarebbe un altro passo in più. Insomma, quello che voglio dirvi è che attraverso il rispetto ognuno dei 17 obiettivi si può creare un movimento di convergenza dove ogni soluzione ne produce un’altra.
La pandemia in questo senso è un’utile esperienza, perché ci ha fatto rendere conto di che cosa può tirare fuori un fenomeno così pervasivo. La pandemia è stata come uno tsunami, ha colpito tutti, donne e uomini, un po’ come quando si dice che l’acqua arriva dappertutto. Ma le donne e gli uomini non sono uguali, sono diversi, e non soltanto perché le donne si ammalano di meno, o perché gli uomini hanno delle patologie specifiche, ma anche perché l’impatto del mondo circostante è diverso per ciascun genere. Sono le donne, più degli uomini, ad aver perso il lavoro a causa della pandemia, che le ha messo un tale carico sulle spalle da renderle le vere vittime di questa situazione.
E qui lancio un appello: cari social scientists, dateci i dati disaggregati per sesso e genere alla nascita, questi dati ci sono e non è giusto che noi ricercatori dobbiamo pagare in più per sapere se quel dato su cui stiamo lavorando è riferito a donne o uomini. Serve a tutti, non solo alle donne, perché ricordatevi che le azioni per migliorare la nostra salute e il nostro rapporto con il pianeta sono tutte collegate: vorrei dirvi che combattere per l’antibiotico-resistenza l’empowerment femminile conviene a tutti, perché le donne sono quelle che gestiscono la farmacia di famiglia, sono quelle che decidono se i figli devono vaccinarsi, sono quelle che curano gli animali nei paesi più poveri. Ecco, se si facesse un’azione congiunta su questi temi allora si riuscirebbe a combinare la salute anche attraverso il gender empowerment.
Dobbiamo dare ai vaccini la possibilità di essere utilizzati in tutto il mondo, come non è accaduto durante la pandemia. Lo abbiamo visto chiaramente: quando sono arrivati i vaccini le ospedalizzazioni sono crollate, come i morti e i casi. Il problema era che non c’era abbastanza vaccino per tutti, ne hanno beneficiato soltanto i ricchi e quelli che avevano corrente elettrica continua, perché i vaccini che produciamo oggi devono essere conservati a temperature polari, tra i -70 e i -40 gradi. E come fai a portare un vaccino in Togo se deve stare a queste temperature? È giusto che noi mandiamo gli scatoloni di vaccino a -40 gradi dentro gli aerei e poi tutto questo sforzo si perde perché li carichiamo nei camion e dai camion nei villaggi? Bisognerebbe immaginare la possibilità di produrre vaccini termostabili, che possono essere conservati a temperatura ambiente senza necessità di grosse catene di refrigerazione. Elon Musk manda un razzo in orbita quasi ogni giorno e noi non possiamo fare i vaccini termostabili?
Con questa tecnologia si migliorerebbe la salute delle persone e degli animali, che beneficerebbero della stessa tecnologia, e allo stesso tempo si ridurrebbe l’antibiotico-resistenza perché più vaccini uso e di meno antibiotici c’è bisogno, senza contare poi l’inquinamento risparmiato. Questo piccolo passo verso l’equità è necessario: non è possibile che da una parte del mondo le cose ci sono e dall’altra parte no. Anche perché poi, in un mondo globalizzato, è difficile riuscire a isolarsi.
Anche l’organizzazione Gavi ha prodotto una guida identificando una serie di benefici che la vaccinazione può dare all’implementazione degli obiettivi di sostenibilità che ci siamo prefissati.
Adesso vorrei spiegarvi come mai sono uscita dalla mia comfort zone e sono venuta qui. Io stavo molto bene in mezzo ai miei virus, con cui si sta benissimo: non urlano, non rompono le scatole, li metti in congelatore e li vedi solo attraverso il microscopio. E invece no, ho deciso di uscire dal laboratorio e venire qua, in territorio sconosciuto per una serie di motivi. Cominciamo da una riflessione: noi ancora non sappiamo se il virus Sars Cov2 è di origine interamente naturale o se è stato manipolato in laboratorio. Ho scelto bene queste parole, non ho detto creato, ho detto manipolato in laboratorio. Ora, noi non lo sappiamo. Ma vi pare una cosa normale?
Tutti dicono che è essenziale sapere virus da dove è arrivato, e lo sapete perché non si riesce ad andare avanti? Perché i rapporti che ci sono con la Cina non lo permettono. E quindi l’OMS ha detto che non andrà a fare la seconda ispezione che era quella che doveva darci le informazioni in tal senso. Fin quando non ci saranno rapporti tra l’OMS e la Cina di un certo tipo non lo sapremo mai.
Il secondo motivo per cui sono venuta qui è l’influenza aviaria, che fino agli anni Duemila era una malattia rara, quando c’era un focolaio tutti i virologi erano lì a guardarlo. Oggi siamo messi così:
L’influenza aviaria è come il veleno, uccide tutti gli animali che la contraggono. E perché non stiamo vaccinando? Perché ci sono petti di pollo che si spostano da un continente all’altro, cosce di pollo che vanno dal Brasile all’Asia e viceversa, e se si vaccina ci sono delle implicazioni per il commercio.
Ho deciso di tornare in Italia proprio perché la scienza ha bisogno delle scienze sociali e di altre discipline per portare avanti sé stessa e portare avanti il progresso, io che predico come una radio l’importanza dell’interdisciplinarietà sono qui per farla, sono qui per cercare di creare ponti che servono per arrivare a una salute circolare e ad arrivare a una salute che sia migliore per tutto il sistema di cui siamo ospiti.