Economia Politica

Scoprire Mario Draghi

Oltre le politiche monetarie, la geopolitica di Mario Draghi: una certa idea di Europa.

Mario Draghi ieri è stato ieri convocato al Quirinale, dove ha ricevuto il compito di formare il prossimo governo italiano. Si tratterebbe del suo primo incarico dopo la fine del suo mandato a capo della Banca Centrale Europea, dopo otto anni fondamentali nella storia recente dell’Unione Europea. In questa occasione, proponiamo di analizzare il pensiero (geo)politico dell’ultimo inquilino della Skytower di Francoforte.

Conosciamo  gli aspetti della vita di Mario Draghi a grandi linee. Sono tre i grandi momenti della sua carriera: Goldman Sachs (2002-2005), Banca d’Italia (2006-2011), Banca Centrale Europea (2011-2019). Titolare di una tesi in economia sotto la supervisione di due dei più eminenti ricercatori del MIT, Robert Solow e Franco Modigliani, “Super Mario” era inizialmente un buon secondo nella corsa alla successione di Jean-Claude Trichet, dietro Axel Weber, ma le dimissioni di quest’ultimo durante il suo mandato hanno aperto la strada alla presidenza della BCE. Sono bastati pochi mesi perché il romano, arrivato a Francoforte nel 2011, diventasse famoso per memorabile frase del 26 luglio 2012, in cui si impegnava a fare “tutto il necessario” per salvare l’eurozona. E aggiungere con aria di sfida: “e credetemi, sarà sufficiente…”.

Tuttavia, il “lavoro, l’opera e l’azione” di Draghi, per usare il trittico della Arendt, va oltre questi pochi elementi conosciuti e riconosciuti. Invece di soffermarci sulla macroeconomia e la politica monetaria, si tratta di capire come un  modo di pensare geopolitico ed europeo sia emerso dai discorsi di Draghi dal momento della sua ascesa a posizioni di potere.

Vi proponiamo quindi di scoprire un Mario Draghi di volta in volta attento al possibile esercizio della sovranità nell’Unione europea, preoccupato delle relazioni tra l’Unione e gli Stati in materia di politica di bilancio e di crescita, fautore della cooperazione e della governance economica globale, e infine ampiamente favorevole alla formazione e alla trasmissione di uno spazio culturale e pubblico europeo.

I – Ripensare la sovranità all’interno e attraverso l’Unione

L’EUROPA ALLA RICERCA DI UNA “UNIONE PIÙ PERFETTA”

Conferenza alla Harvard Kennedy School il 9 ottobre 2013

Una “unione sempre più stretta”, come previsto nel preambolo del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, è uno degli obiettivi fissati per l’Unione europea. Alcune persone rabbrividiscono a questa idea, poiché suggerisce che è in corso un movimento inesorabile verso un futuro superstato. Molti europei con storie e culture nazionali diverse non si sentono pronti per questo.

È quindi importante capire che l’espressione “unione sempre più stretta” non rende adeguatamente la sostanza del programma con cui si confronta oggi l’Europa. A mio parere si prestano meglio come definizione le parole mutuate dalla Costituzione degli Stati Uniti: l’istituzione di un’unione più perfetta, “a more perfect union”.

La condivisione della sovranità all’interno di un mercato unico.

La questione più difficile in Europa è definire  […] quanta sovranità occorra condividere.

[…]

Una possibile angolatura da cui trattare il tema della sovranità è di tipo normativo; questa è stata l’impostazione storicamente privilegiata da assolutisti quali Jean Bodin nel XVI secolo. In questo contesto la sovranità è definita in relazione ai diritti: il diritto di dichiarare guerra e negoziare le condizioni della pace, di imporre tasse, di battere moneta e di fungere da giudice di ultima istanza.

Un’altra possibilità è guardare alla questione in termini positivi. Qui la sovranità è connessa alla capacità di fornire nella pratica i servizi essenziali che i cittadini si aspettano dai governi. Un’autorità sovrana che non fosse in grado di adempiere efficacemente alle sue funzioni sarebbe tale soltanto nel nome.

Questo secondo approccio è più coerente con gli scritti dei filosofi politici che hanno maggiormente influenzato le nostre democrazie moderne. John Locke, nel secondo Trattato sul governo, sostiene che il sovrano esiste solo in quanto potere fiduciario inteso a certi fini. È la capacità di raggiungere tali fini che definisce, e legittima, la sovranità.

[…]

Io ritengo che questa impostazione positiva sia essenzialmente la giusta maniera di pensare alla sovranità. E sono del parere che debba costituire il principio guida nella decisione dei poteri da attribuire rispettivamente al livello nazionale e a quello europeo. Dobbiamo guardare all’efficacia, non a principi astratti che si possono dimostrare vacui nella realtà di oggi.

[…]

Di fatto, questo modo di pensare è già insito nel Trattato dell’UE attraverso il principio di sussidiarietà, in base al quale le competenze possono essere trasferite all’Unione unicamente ove questa sia in grado di esercitarle in modo più efficace rispetto a un livello inferiore di governo. In altre parole si pone l’enfasi in modo chiaro e netto sull’efficacia dell’azione politica.

Preoccupato dai recenti sviluppi della geopolitica internazionale, Mario Draghi intende, nel testo precedente e nel seguente, studiare direttamente l’UE entrando nel campo della teoria politica. Poi contrappone due visioni della nozione di sovranità. Il primo proviene dai Sei Libri della Repubblica di Jean Bodin1, probabilmente uno dei primi filosofi rinascimentali a definire la nozione: “La sovranità è il potere assoluto e perpetuo di una Repubblica, che i latini chiamano majestatem […] gli ebrei lo chiamano tomadchavet, cioè il massimo potere di comandare”. La sovranità non è quindi “limitata né in potenza né in carica”. Questa definizione era, dopo tutto, piuttosto vaga, ma è stata importante nell’analisi degli stati durante il Rinascimento e, soprattutto, come Draghi stesso sottolinea, è fiorita quando si pensa agli stati cosiddetti “sovrani”: non ricevono ordini da nessuno, possono dichiarare guerra, coniare la propria moneta, approvare le proprie leggi, ecc. È quindi una definizione che esamina i principi, le regole che governano il governo dei popoli.

Draghi contrappone a questa definizione un’altra concezione della sovranità, questa volta basata non sulla norma ma sulla reale capacità di chi governa di agire secondo le funzioni che gli sono state attribuite. Si tratta di una visione strettamente lockiana2, erede del pensiero del contratto sociale, del liberalismo e del costituzionalismo britannico: chi governa deve attuare le disposizioni richieste dai cittadini (che lo hanno eletto) ed è sovrano nella misura in cui può esercitare effettivamente e realmente le sue funzioni e raggiungere i risultati desiderati.

Draghi sostiene questa seconda definizione. Per l’ormai ex governatore della BCE, l’Unione europea è stata costruita per rendere possibile ed efficace l’azione. Secondo lui, questo è il senso stesso del principio di sussidiarietà: è il livello più basso, più locale, più rilevante nella gerarchia che deve attuare una politica. Ma se non è in grado di farlo, la responsabilità è del livello superiore, l’ultimo dei quali è naturalmente l’Unione europea stessa. Le istituzioni europee hanno quindi un mandato chiave per migliorare l’azione degli Stati quando questi ultimi si dimostrano impotenti ad agire da soli.

“La sovranità in un mondo globalizzato”

Intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, 22 febbraio 2019

Questa discrasia tra integrazione economica e cooperazione politica è alimentata dalla tenace percezione che ci sia un trade-off tra l’essere membri dell’Unione europea e la sovranità dei singoli Stati. Secondo questo modo di pensare, per riappropriarsi della sovranità nazionale sarebbe necessario indebolire le strutture politiche dell’Unione europea.

Questa convinzione è sbagliata, perché confonde l’indipendenza con la sovranità.

[…]

La vera sovranità si riflette non nel potere di fare le leggi, come vuole una definizione giuridica di essa, ma nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini: “la pace, la sicurezza e il pubblico bene del popolo”, secondo la definizione che John Locke ne dette nel 1690. La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce questo controllo: in altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità.

[…]

In un mondo globalizzato tutti i paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all’Unione europea.La cooperazione, proteggendo gli Stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne.

[…]

Le strutture e le istituzioni comunitarie limitano gli spillover, assicurano un uguale livello di concorrenza, proteggono da comportamenti illegali. In altre parole, assicurano una protezione che risponde ai bisogni dei cittadini  e che permette ai paesi di esercitare la propria sovranità.

[…]

La tesi per cui la cooperazione accresce la sovranità vale anche per le relazioni tra l’Unione europea e il resto del mondo. Ben pochi paesi europei hanno una dimensione tale da poter resistere agli spillover provenienti dalle altre grandi aree economiche del mondo o una voce forte abbastanza da essere ascoltata nei negoziati commerciali mondiali. Ma, insieme nell’Unione europea la loro forza è ben più grande.

[…]

Per tutte queste ragioni, porsi al di fuori dell’UE può sì condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso vale per l’appartenenza alla moneta unica.

[…]

Analogamente, l’integrazione finanziaria globale riduce il potere che i singoli paesi hanno di regolare, tassare, fissare gli standard di protezione sociale.[…]Il fatto di disporre di poteri di regolamentazione a livello comunitario permette agli Stati membri di esercitare la propria sovranità nelle aree della tassazione, della protezione del consumatore e degli standard del lavoro.

Riprendendo la definizione di sovranità come capacità di agire efficacemente, Draghi sottolinea, in questo discorso, che il problema si pone realmente nel contesto della globalizzazione e, soprattutto, dell’affermazione dei grandi poteri che conosciamo. È sempre possibile che gli Stati si rifiutino di seguire regole o leggi decise a livello europeo e privilegino il livello nazionale. Ma saranno ancora sovrani?

Nella visione di Draghi, questi Stati saranno indipendenti – nessuna istituzione più in alto nella gerarchia delle norme impone la loro condotta – ma non saranno sovrani perché, in virtù della definizione di sovranità che ha adottato, possono di fatto essere ostacolati nella loro azione e possono essere condannati all’impotenza, mentre una decisione collettiva a livello dell’Unione – che certamente implica una certa perdita di indipendenza – potrebbe al contrario preservare un margine di manovra e l’effettivo successo dell’azione. Un’argomentazione a sostegno di una sovranità condivisa a livello dell’Unione, insomma.

II – Rigore o espansione?

“L’EURO, LA POLITICA MONETARIA E LA CONCEZIONE DI UN PATTO DI BILANCIO”

Discorso di Mario Draghi, presidente della BCE, alla Ludwig Erhard Lecture, Berlino, 15 dicembre 2011

L’eredità di Ludwig Erhard nella ricostruzione della Germania del dopoguerra si estende ben oltre il suo paese e ben oltre il suo tempo. La sua concezione dell’economia sociale di mercato era visionaria. E aveva anche opinioni molto care ai banchieri centrali, sottolineando l’importanza della stabilità dei prezzi: “Die soziale Marktwirtschaft ist ohne eine konsequente Politik der Preisstabilität nicht denkbar.” Credo che oggi non si possa formulare meglio questa idea.

[…]

Per più di 12 anni, l’Unione economica e monetaria europea è stata perseguitata dalle preoccupazioni sui bilanci nazionali. In un’area valutaria comune, in tempi normali, le politiche di bilancio dei singoli paesi sono generalmente meno soggette alla pressione dei mercati finanziari. È per questa ragione che agli esordi della moneta unica europea, fu istituito il Patto di stabilità e di crescita per fornire un meccanismo di controllo della politica fiscale.

[…]

Tuttavia, l’attuazione del patto di stabilità e di crescita non è stata soddisfacente. Come la Cancelliera federale tedesca ha recentemente sottolineato, il patto è stato rotto 60 volte negli ultimi 12 anni. Quindi è chiaro che abbiamo del lavoro da fare per evitare che questo accada di nuovo.

[…]

Abbiamo iniziato il processo di ridefinizione del quadro fiscale europeo su tre fronti.

[…]

Il primo è quello dei paesi interessati: devono rimettere le loro politiche su una base solida. Credo che ora siano sulla strada giusta e che facciano bene ad attuare con decisione il consolidamento fiscale.

[…]

Il secondo pilastro di una risposta alla crisi consiste in una revisione della governance fiscale nella zona euro, quello che ho chiamato il fiscal compact. Il fiscal compact è una riaffermazione fondamentale delle regole a cui le politiche fiscali nazionali devono sottostare per ottenere una credibilità indiscutibile. (…) Prevenire è meglio che curare.

A testimonianza della preoccupazione di Draghi di adattare il più possibile la politica monetaria della BCE alle vicissitudini del ciclo economico, la sua posizione sulla disciplina fiscale degli Stati membri è variata durante il suo mandato. Nel testo qui sopra, appena arrivato a capo dell’istituzione di Francoforte nel 2011, preoccupato di mantenere la credibilità della BCE e di rassicurare che sta rispettando il suo mandato, Draghi, in primo luogo, espone una visione abbastanza tradizionale della relazione tra politica monetaria e fiscale.

Rendendo omaggio all’ex Cancelliere democristiano della Repubblica federale di Germania, Ludwig Ehrard, ha ricordato le regole del Patto di stabilità e crescita (PSC), le cui prime disposizioni sono entrate in vigore nel 1998. Draghi tiene il suo discorso il 15 dicembre 2011. Vale a dire sei giorni dopo l’apertura ufficiale dei negoziati sul futuro Trattato di stabilità, coordinamento e governance (TSCG), che rafforza la disciplina di bilancio (dopo un periodo di maggiore flessibilità iniziato nel 2005) ed entrerà in vigore il 1° gennaio 2013.

Il suo messaggio è duplice. Da un lato, i paesi che non rispettano le regole del PSC (soprattutto dopo la crisi del 2008) devono ridurre rapidamente il loro debito pubblico e il loro deficit. D’altra parte, attraverso il concetto di fiscal compact, la stessa UE deve riaffermare queste regole e  vigilare sul loro rispetto da parte degli Stati, a monte, sancendolo a livello costituzionale o equivalente, prima di evitare un deterioramento della situazione economica europea, che richiede aggiustamenti ex-post talvolta complessi. In breve, un appello abbastanza tradizionale alla moderazione di bilancio. Lo stesso economista Kenneth Rogoff aveva insistito sulla necessità imperativa di nominare un “banchiere centrale conservatore “3.

Si sottovaluta fino a che punto la richiesta della BCE nel 2011 di questo famoso fiscal compact abbia giocato un ruolo importante in particolare nella preparazione e nella firma del TSCG e, soprattutto, fino a che punto abbia forzato un inasprimento della politica fiscale che ha ampiamente contribuito alla seconda recessione in Europa. Si ricorderà anche che Draghi gioca un ruolo importante durante l’estate del 2011 nella pressione che la BCE esercita per costringere Berlusconi a lasciare il potere. In effetti, la famosa lettera di Trichet a Berlusconi che sollecita il governo italiano e che alla fine lo rovescerà è co-firmata da Draghi, ancora governatore della Banca d’Italia, ma che si prepara a prendere il suo posto a Francoforte alla fine dell’anno.

LA DISOCCUPAZIONE NELL’AREA DELL’EURO

Intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, al Simposio annuale delle banche centrali di Jackson Hole, 22 agosto 2014

Un livello elevato di disoccupazione ha ripercussioni sull’intera società.  I disoccupati spesso vivono la loro situazione come una tragedia che ha un effetto duraturo sul loro reddito per tutta la vita. Per i lavoratori, questa situazione significa una maggiore insicurezza del lavoro e mina la coesione sociale. Per i governi, è un salasso per le finanze pubbliche e compromette le prospettive di elezioni.La disoccupazione è al centro delle dinamiche macroeconomiche che determinano l’inflazione a breve e medio termine, quindi interessa anche le banche centrali. Di fatto, anche quando non vi sono rischi per la stabilità dei prezzi ma la disoccupazione è elevata e la coesione sociale è in pericolo, accade sempre che le pressioni sulla banca centrale affinché intervenga aumentino.

[…]

Quindi, quali responsabili delle politiche, che conclusioni possiamo trarre da questo quadro? L’unica conclusione cui si possa giungere con sicurezza è che occorre intervenire da entrambi i lati dell’economia: le politiche per la domanda aggregata vanno affiancate da politiche strutturali nazionali.

[…]

Gioverebbe pertanto all’orientamento politico generale se la politica di bilancio potesse svolgere un ruolo più incisivo a fianco della politica monetaria e, pur tenendo conto delle nostre specifiche condizioni iniziali e dei vincoli giuridici, ritengo che vi sia lo spazio necessario. In queste condizioni iniziali rientrano i livelli di spesa pubblica e imposizione fiscale nell’area dell’euro che sono già, in rapporto al PIL, fra i più alti al mondo. E ci troviamo a operare entro i confini di un insieme di regole di bilancio – il Patto di stabilità e crescita – che assicura l’ancoraggio della fiducia e che sarebbe controproducente infrangere.

A questo proposito desidero porre l’accento su quattro aspetti.

Innanzitutto, si potrebbe utilizzare la flessibilità già presente nelle regole per fronteggiare meglio la debole ripresa e fare spazio al costo delle riforme strutturali necessarie.

In secondo luogo, vi è il margine per conseguire una composizione delle politiche di bilancio più favorevole alla crescita. Per cominciare, dovrebbe essere possibile ridurre l’onere fiscale senza incidere sul bilancio.[…]

In terzo luogo, può essere utile in parallelo un dibattito sull’orientamento complessivo delle politiche di bilancio nell’area dell’euro. […]

Infine, sembrerebbe necessaria anche un’azione complementare a livello dell’UE. 

Alla luce del discorso del 2011, è notevole notare la svolta del 2014 espressa nel testo di cui sopra al simposio di Jackson Hole, dove Draghi parla della persistenza dell’alta disoccupazione in Europa. Ha iniziato ricordando le politiche di sostegno alla domanda attuate dalla BCE e le politiche monetarie non convenzionali che conosciamo, ma ha suggerito che questo non sarà sufficiente senza un ruolo maggiore per le politiche di bilancio nazionali – in assenza di un bilancio a livello europeo. Per dirla tutta, affinché la politica monetaria sia efficace, i bilanci degli Stati membri devono aumentare la domanda delle banche e delle imprese, che investiranno e porteranno gli Stati nel circolo virtuoso della crescita. Le politiche strutturali e la politica monetaria da sole non saranno sufficienti.

Ricordando l’importanza del PSC, che garantisce la credibilità della zona euro, Draghi invita gli Stati a sfruttare la flessibilità delle sue regole e a utilizzare politiche fiscali espansive per ridurre la disoccupazione e sostenere la crescita. Non si tratta affatto di una messa in discussione del PSC e degli accordi europei, né di un ordine della BCE ai governi nazionali: è piuttosto una richiesta di azione politica, le cui conseguenze attese saranno favorevoli agli Stati e alla stessa zona euro. Questo, naturalmente, aumentò notevolmente le tensioni tra Berlino e Francoforte nei giorni successivi.

Infine, va notato che Draghi, nell’ultima conferenza stampa che ha tenuto come governatore della BCE giovedì scorso, ha chiesto ancora una volta uno stimolo fiscale negli stati della zona euro.

III – Alla ricerca di una governance globale, o perlomeno di una cooperazione

“NON C’È VERO SVILUPPO SENZA ETICA”

Commento all’enciclica Caritas in Veritate di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, 9 luglio 2009

La crisi attuale conferma la necessità di un rapporto fra etica ed economia, mostra la fragilità di un modello prono a eccessi che ne hanno determinato il fallimento. […] Ogni decisione economica ha conseguenze di carattere morale. Ciò è ancor più vero nell’epoca della globalizzazione, che indebolisce l’azione nazionale di governo dell’economia e insidia così l’utilità della distinzione scolastica fra produzione della ricchezza e sua redistribuzione operata dalla sfera pubblica per motivi di giustizia.

[…]

La proposta è di affidare il governo della globalizzazione a una autorità policentrica (poliarchica) costituita da più livelli e da piani diversi e coordinati fra loro, non fondata esclusivamente sui poteri pubblici ma anche su elementi della società civile (i corpi intermedi fra Stato e mercato, nell’originaria impostazione di Pio XI).

[…]

In questo contesto il Papa richiama la necessità di un’autorità politica mondiale, evocata già da Giovanni XXIII, come pure, in termini diversi, da Kant più di due secoli fa. È una indicazione coerente con la consapevolezza che con la globalizzazione le esternalità si moltiplicano a un ritmo impensabile solo pochi decenni fa – si pensi al caso paradigmatico del clima – e impongono in prospettiva un orizzonte planetario di governo.

[…]Uno sviluppo di lungo periodo non è  possibile  senza  l’etica. Questa  è una implicazione fondamentale, per l’economista, dell'”amore nella verità” (caritas in veritate) di cui scrive il Papa nella sua enciclica.

Da governatore della Banca d’Italia, prima di entrare nella BCE, Mario Draghi è stato un grande sostenitore della cooperazione tra Stati piuttosto che di una guerra ordinata. Commentando l’enciclica Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI, l’allora governatore della Banca d’Italia, educato tra i gesuiti, ha riconosciuto i disastri causati da una globalizzazione onnipresente e amorale, soprattutto finanziaria, che mette molti stati di fronte all’impotenza.

Come possiamo allora riprendere il controllo? Draghi rimane piuttosto vago su questo punto. Parla di una “autorità politica mondiale”, usando le parole del Papa nell’enciclica. Senza descrivere questa autorità, Draghi è in ogni caso molto favorevole all’attuazione di una governance globale tra gli stati come mezzo fondamentale per restituire una dimensione etica alle devastazioni che il comportamento economico può provocare – di nuovo, il ragionamento sembra piuttosto banale e poco argomentato. Quel che è certo è che possiamo vedere qui un abbozzo del futuro pensiero di Draghi sulla sovranità, di cui abbiamo già parlato: la globalizzazione può anche togliere sovranità, nel senso di efficacia dell’azione, agli Stati che si trovano solo a subirne le conseguenze.

“PROFONDA INTERDIPENDENZA: L’ECONOMIA TRANSATLANTICA E LE SUE PROSPETTIVE”

Discorso del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ASPEN INSTITUTE ITALIA, Roma, 1 luglio 2008

Oggi la costruzione di un’Europa economica si è consolidata, l’antagonista sovietico si è dissolto, l’Asia calca il palcoscenico del mondo da co-protagonista, altre aree geografiche vi si affacciano reclamando attenzione. La supremazia americana rimane, ma fa i conti con una molteplicità di centri di potere economico.

[…]

I fatti stilizzati (…) dipingono un quadro composito, da cui emerge che i legami economici transatlantici sono, sì, ancora importanti, ma meno che in passato, in un mondo globalizzato e policentrico. Le politiche economiche, tuttavia, restano il baricentro degli assetti internazionali e la loro essenzialità si ripropone con forza. Stati Uniti ed Europa ne sono stati i primi e principali interpreti [ delle regole di governance economica, N.d.E.]dopo il secondo conflitto mondiale. Tocca ancora a loro fornire esempi di buona e fruttuosa cooperazione.

[…]

È difficile immaginare che i partners transatlantici non siano in grado di trovare un compromesso che comporti una riduzione bilanciata delle barriere tariffarie alle importazioni in Europa e dei sussidi ai produttori nazionali negli Stati Uniti. 

[…]

Il legame transatlantico è prezioso e va coltivato sul terreno delle politiche. Nuove prospettive si apriranno presto. Le sfide attuali, per essere vinte, richiedono condivisione degli obiettivi, solidarietà nelle decisioni. Gli Stati Uniti e l’Europa, più uniti, sono garanzia per la stabilità del mondo. 

Un po’ più concretamente rispetto al  testo precedente, Draghi, nel suo discorso del luglio 2018, esamina la questione delle relazioni tra Stati Uniti ed Europa. Nel mondo post-bipolare, gli Stati Uniti e l’Europa rimangono potenze dominanti, che hanno tutto l’interesse a collaborare. Non sono tanto i legami storici e culturali che gli interessano – anche se li sviluppa nella conferenza in questione – quanto, da buon banchiere centrale, la richiesta di stabilità macroeconomica: una forte cooperazione transatlantica deve essere mantenuta per ridurre il rischio macroeconomico globale e permettere alle potenze economiche di prosperare senza troppi dubbi, in particolare promuovendo il commercio. Undici anni dopo, il discorso di Draghi stona molto con il contesto attuale della guerra commerciale sino-americana e delle tensioni commerciali tra l’Unione e gli Stati Uniti.

IV – La formazione e la trasmissione di uno spazio culturale europeo

“INAUGURAZIONE DELLE GIORNATE DELLA CULTURA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA”

Discorso di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, 19 ottobre 2011

Le Giornate culturali della Bce, quest’anno dedicate all’Italia, si aprono a pochi giorni dalla fine del mio mandato di Governatore della Banca d’Italia e dall’inizio del mio nuovo incarico alla guida della Bce. 

Contraddistingue questa manifestazione anche la sua coincidenza con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. In Italia si sono susseguite numerose iniziative volte a ripercorrere gli eventi che hanno segnato la storia della nostra nazione. La valorizzazione delle radici socio-culturali italiane è essenziale, perché un Paese che ignora il proprio passato, non può avere un futuro. Sono pienamente convinto che alla base della comune identità europea vi debba essere innanzitutto la conoscenza della storia e delle tradizioni dei Paesi componenti l’Unione. Le Giornate Culturali rispondono a tale obiettivo, offrendo lo spunto per una riflessione sulle nostre radici comuni; sono un’opportunità per conoscere i patrimoni culturali europei, per apprezzarne le feconde differenze, per comprenderne le assonanze, per cogliere il senso pieno dell’Europa comune. La cultura è fattore fondamentale per rendere viva l’Unione europea. […]Francoforte è la città di Goethe, l’uomo universale che con il suo “Viaggio in Italia” (Italienische Reise) ha gettato un ponte fondamentale fra la cultura tedesca e quella del “paese dove fioriscono i limoni”, das Land wo die Zitronen bluehen

In contrasto con una visione troppo tecnocratica della presidenza della BCE, per Draghi, sedere a Francoforte è soprattutto sedere nel cuore di uno spazio culturale europeo con una storia immensa e caratterizzato da una vera identità. Lasciando la Banca d’Italia per la BCE, Draghi è lieto di annunciare l’apertura delle giornate culturali della BCE dedicate all’Italia nel 2012. Attraverso l’esempio dell’Italia, Draghi sottolinea un movimento in tre fasi: ogni cittadino di uno stato europeo dovrebbe conoscere la storia del suo paese, interessarsi alla storia e alle culture degli altri stati europei, e infine diventare consapevole dell’esistenza di un patrimonio comune europeo, che costituisce la base di un’identità condivisa. Draghi è quindi molto favorevole all’idea talvolta controversa di una civiltà europea, nata in particolare dai trasferimenti tra Stati, che si presenta come il bergsoniano “supplemento d’anima” a un’Unione vista un po’ troppo come tecnocratica.

“PER UNO SPAZIO PUBBLICO EUROPEO”

Osservazioni di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione della presentazione del M100 Media Award 2012, Potsdam, 6 settembre 2012

L’eurozona  è un’unione di stati nazionali con forti tradizioni e preferenze nazionali. Anche se c’è stato un consenso sufficiente per condividere una moneta, le politiche economiche e finanziarie sono rimaste in gran parte definite a livello nazionale. La crisi globale ha rivelato le vulnerabilità di questo accordo.

[…]

La nostra visione dell’UEM si basa su quattro pilastri: unione fiscale, unione finanziaria, unione economica e unione politica. Ma oggi vorrei concentrarmi brevemente sul quarto pilastro, l’unione politica. Questo pilastro è essenziale per coinvolgere maggiormente i cittadini della zona euro e per legittimare gli altri tre pilastri.

[…]

Bisogna fare di più per far sentire la voce dei cittadini europei. Abbiamo bisogno di quello che in Germania si chiama demokratisch Teilhabe.

Ed è qui che abbiamo bisogno di voi. Vorrei chiedere a tutti voi – giornalisti ed editori, ma anche dirigenti politici e accademici – di contribuire allo sviluppo di un vero spazio pubblico europeo, eine europäische Öffentlichkeit.

[…]

La maggior parte di noi in Europa è esposta principalmente ai nostri media nazionali nelle nostre lingue nazionali. Ma questo non descrive più la realtà. Quello che succede negli altri Stati membri è importante per tutti noi.

[…]

Ma c’è anche un lato positivo, nella misura in cui [ uno spazio pubblico europeo, N.d.E] porti i cittadini dell’area dell’euro a sviluppare un senso comune di appartenenza e a preoccuparsi delle decisioni prese in altre regioni.

Un modo per rafforzare questa tendenza sarebbe quello di scambiare più media tra i paesi. 

Al di là dello spazio culturale, si tratta anche più in generale di uno spazio pubblico: come possono i cittadini europei conoscere gli altri stati europei se ricevono solo informazioni prodotte da media nazionali? Nell’ultimo testo, indirizzato soprattutto ai giornalisti e alle personalità dei media mentre riceve il premio M100 Media, Draghi chiede che la diffusione dell’informazione, ancora molto compartimentata, superi i confini nazionali.

Poiché le conseguenze delle azioni di alcuni stati si impongono generalmente ad altri – qui ritroviamo le riflessioni sulla distinzione tra indipendenza e sovranità – è assurdo che i cittadini degli stati europei sappiano solo quello che succede a casa loro. È quindi necessario, secondo l’auspicio di Draghi, formare un vero e proprio spazio pubblico europeo che sia multilingue, facilitando i trasferimenti tra gli Stati e permettendo di sviluppare, forse, una maggiore attenzione da parte dei cittadini a ciò che accade oltre i loro confini.

Note
  1. Bodin J., I sei libri dello Stato, 1576, p. 152.
  2. LOCKE J., Secondo trattato del governo, 1690
  3. Rogoff, Kenneth, “The Optimal Degree of Commitment to an Intermediate Monetary Target”, 1985, Quarterly Journal of Economics 100 : 1169-1189.
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