Il discorso di Sergio Mattarella a Cracovia sul futuro dell’Europa

Il Presidente della Repubblica italiana governa con il silenzio. Quando parla, raramente, bisogna decifrare i segni e leggere tra le righe.

A poco più di un anno dalle elezioni europee, che vedranno le forze neonazionaliste italiane e polacche all’assalto dell’Unione, Mattarella ha parlato all’Università di Cracovia. Ecco il suo discorso, commentato

Autore
Il Grand Continent
Cover
IMAGE © Presidenza della Repubblica italiana

Mercoledì 19 aprile, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto una conferenza all’Università Jagellonica di Cracovia – relativamente lunga per gli standard del Quirinale – nell’ambito di una visita commemorativa in Polonia durata diversi giorni. 

Nel discorso sono presenti i principali elementi della posizione del Quirinale – atlantismo, europeismo, solidarietà, apertura – e una lettura della questione dell’allargamento alla luce della tragica storia della Polonia: «Oggi, nuovamente, la prospettiva europea è preziosa per gli Stati a noi vicini, che trovano nell’ingresso nella UE motivo di speranza e forza per reclamare giustizia, diritti, pace, e per allargare il cerchio dei Paesi che testimoniano la loro adesione ai valori dei diritti delle persone e dei popoli».

«Si potrebbe dire che, in Europa, la storia è sempre contemporanea»: questo discorso non era cerimoniale. La scelta del luogo – in una delle più antiche università d’Europa, in una città governata per cinque mandati da una coalizione opposta al PiS e guidata da un avvocato ed ex professore dell’università – la relativa lunghezza e l’espressione ponderata sono segnali che vanno interpretati. 

Nella posizione di Sergio Mattarella, questo discorso è la cosa più vicina a un «discorso della Sorbona»: l’ex professore universitario potrebbe rimanere Presidente della Repubblica fino al 2029.

Magnifico Rettore, Autorità, Signore e signori,

Rivolgo un saluto particolarmente caloroso alle studentesse, agli studenti e a tutti i presenti.

Un saluto al Corpo accademico e a tutto il personale, al quale unisco il mio apprezzamento per il quotidiano impegno nella diffusione del sapere.

Nel ringraziare il Magnifico Rettore per questo invito, è con un profondo rispetto per la vostra storia che prendo la parola in questa prestigiosa Università.

Molti nomi illustri hanno varcato le soglie di questo Ateneo, il più antico della Polonia e fra i più antichi del mondo.

Accanto al Presidente Duda, voglio ricordare i nomi di alcune personalità, evocativi dei profondi legami tra i nostri due Paesi, come Niccolò Copernico. Papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, che da giovane studiò filosofia proprio in questa Università. 

Spesso evocato dalla destra e dall’estrema destra italiana in una paradossale funzione di anti-Papa contro Francesco, percepito come troppo vicino alle istanze progressiste (accoglienza dei migranti, questioni ecologiche, lotta alle disuguaglianze), Giovanni Paolo II è un riferimento ovvio per Mattarella (membro della Democrazia cristiana fino al suo scioglimento) e per gli italiani. Questo riferimento è al centro di una memoria politica particolarmente complessa: Wojtyla compare nel profilo Twitter del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, è stato il riferimento principale citato da Salvini durante l’incontro transnazionale di Milano ed è stato santificato dalla Chiesa.

L’evocazione di Copernico assume qui un significato ambiguo. Nella costruzione dell’immaginario nazionale italiano, il “genio italiano” è spesso messo in relazione con figure europee, e Copernico è visto come un anticipatore dell’opera compiuta da Galileo. Vale la pena notare che la discreta collocazione di Giovanni Paolo II come immagine speculare di Copernico è un segno della prudenza di Mattarella, erede della Democrazia Cristiana di Aldo Moro, nei confronti di qualsiasi tentazione «cesaro-papista».

Ancora, Wislawa Szymborska, amatissima in Italia, dove quest’anno sono in programma numerose iniziative per celebrare i cento anni dalla nascita della poetessa vincitrice del Premio Nobel per la letteratura.

Dopo Papa Giovanni Paolo II, ovviamente cruciale nell’immaginario politico italiano, la menzione del Premio Nobel Wislawa Szymborska è interessante: pubblicata da Adelphi, casa editrice diretta dal vincitore del premio Grand Continent Roberto Calasso, la scrittrice polacca è diventata un riferimento culturale in Italia, dal regista Ferzan Ozpetek (con il suo Cuore sacro) al popolare cantante Jovanotti, che ha cantato i suoi versi nel suo successo Buon sangue.

Questa Università, e la città dove essa ha sede, sono un luogo simbolico per la Polonia, ma non soltanto per la Polonia: lo sono dell’intera cultura europea.

Un luogo che restituisce l’immagine di un’Europa che, nelle sue esperienze nazionali e istituzionali, ha dato vita a un comune corpus di conoscenza e di valori.

Di questo spirito unitario che abbraccia l’intero continente si è iniziato a prendere coscienza proprio nelle Università che, come a Cracovia, sono sorte già dal Medio Evo, dando vita a quella rete connettiva che venne definita “Repubblica delle Lettere”.

L’allora Accademia Cracoviana è stata un faro della prima Res publica europea in questa parte d’Europa.

Nella rete di università sorte nei primi secoli dopo l’anno Mille, luoghi che hanno accolto e stimolato un vivace dibattito intellettuale, giuridico e di valori, è maturata l’immagine giunta oggi a istituzioni capaci di incarnare l’ideale europeo.

Al di là del topos della Res publica, il fatto che Mattarella abbia tenuto il suo discorso in un’università segna esplicitamente la sua ambizione. Dopo il discorso della Sorbona, diversi leader europei hanno voluto condividere la loro visione dell’integrazione europea in università storiche europee: Olaf Scholz a Praga, Mateusz Morawiecki a Heidelberg.

Alle nostre spalle stanno secoli di tragedie in cui i popoli europei si sono contrapposti.

La vostra terra ne è stata testimone e vittima, nella ricerca dell’indipendenza, nella conquista della libertà. Conserva ed esprime storia.

E proprio la lezione della storia ha dato, nel secondo dopoguerra e non senza contrasti, un impulso irresistibile al progetto di integrazione europea, così come oggi lo conosciamo.

Sino al suo completamento, dopo la fine dell’Unione Sovietica, con il ricongiungimento di Europa occidentale ed Europa centro-orientale.

Ma prima di giungere a questo storico approdo di integrazione d’Europa, le “prove generali” della Seconda guerra mondiale ebbero luogo qui, nell’Europa centro-orientale, in Cecoslovacchia, in Polonia, con l’aggressione da parte della Germania nazista e dell’Unione Sovietica stalinista, frutto di ideologie di esasperazione nazionalistica e di potenza.

Il massacro di Katyn, all’esordio del Secondo conflitto mondiale, ne è pagina eloquente.

Ho appena reso omaggio alla lapide che qui accanto ricorda i docenti di questa Università deportati il 6 novembre 1939.

Ieri ho visitato, insieme ad un gruppo di giovani di ogni parte del mondo e insieme alle sorelle Bucci, due italiane miracolosamente sopravvissute da bambine agli orrori di Birkenau.

Oggi ricorre l’80° anniversario della rivolta del Ghetto di Varsavia.

La Memoria di quelle barbarie rimane indefettibile nelle nostre menti e nei nostri cuori.

Sono grato alla Polonia per l’impegno incessante per preservare e diffondere la memoria di quel che avvenne, affinché non possa più ripetersi.

Anche l’Italia è votata a questa causa.

Dobbiamo intensificare la nostra azione, sapendo che in futuro potremo contare sempre meno sulle testimonianze dirette di quanto avvenuto e che dovremo trasmetterle e affidarle alle nuove generazioni.

Pronunciare queste parole in una Università, tempio che tramanda, sviluppa e diffonde conoscenza, implicitamente affida a voi giovani la responsabilità del ricordo.

Il tema centrale del viaggio di Mattarella è il ricordo della tragedia del genocidio durante la seconda guerra mondiale. Il giorno prima di questo discorso, il Presidente italiano è andato ad Auschwitz, dove ha tenuto un breve discorso sulle responsabilità anche del fascismo nelle deportazione degli ebrei. Il discorso si inserisce nelle celebrazioni del 25 aprile, giornata della liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

Care studentesse, cari studenti,

è la memoria che alimenta la coscienza che, a sua volta, ci rende pienamente esseri consapevoli: sarete certamente all’altezza di questo compito.

Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, oggi membro a vita del Senato della Repubblica italiana ed esempio incessante di impegno, ci ammonisce: “la memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza”.

Parole che si riempiono di nuovi significati se pensiamo a quanto sta avvenendo a poca distanza da qui, ai confini dell’attuale Unione Europea.

Nessuno può restare indifferente di fronte alla brutale aggressione della Federazione Russa all’Ucraina, un Paese sovrano, libero, indipendente, democratico, la cui popolazione è oggetto di attacchi mirati e criminali che uccidono con ferocia, prendendo di mira senza scrupoli le infrastrutture civili per lasciare la popolazione al gelo e al buio.

Oggi l’Europa è testimone di crimini frutto di una rinnovata esasperazione nazionalistica che pretende di violare confini, di conquistare spazi territoriali accampando la presenza di gruppi di popolazione appartenenti alla stessa cultura.

Come non pensare alla vicenda dei Sudeti e delle popolazioni di origine tedesca che li abitavano, e alla Conferenza di Monaco, che aprirono alla Seconda guerra mondiale?

A questo insensato tentativo di sovvertire le regole dell’ordine internazionale, l’Unione Europea ha saputo reagire con fermezza e – con unità di intenti – continuerà a sostenere l’Ucraina.

Un sostegno che si esprime in molti modi e voi e la vostra Università ne siete esempio di grande valore.

Mattarella ricorda l’impegno italiano a favore di Kiev, e compie un’apertura alle posizioni storiche della Polonia, che avverte da tanto tempo sul pericolo rappresentato dalla Russia.

Dall’inizio del conflitto – vorrei ricordare – avete accolto qui più di mille rifugiati, mettendo a loro disposizione non soltanto spazi, ma il vostro tempo, la vostra conoscenza, offrendo assistenza legale, psicologica, formazione, per garantire quella dignità che altri pretendeva di strappare loro.

Uno sforzo e una solidarietà replicate in tutto il territorio polacco, dove trova rifugio oltre un milione e mezzo di profughi ucraini, e in molti altri Stati dell’Unione Europea, che hanno così dato prova di capacità d’azione.

Oggi dobbiamo lavorare tutti per preservare il valore di questa unità.

E’ un bene primario che va assolutamente salvaguardato.

Fronteggiare con successo le gravi conseguenze del perdurare del conflitto, dall’esplosione dei fenomeni migratori alle crescenti diseguaglianze economiche e sociali, all’insicurezza energetica e alimentare, è la sfida alla quale gli europei sono chiamati.

Il Presidente italiano compie un passaggio importante sulla solidarietà europea, lodando la Polonia per la propria apertura nei confronti dei rifugiati ucraini. Il senso di questo elogio non è scevro da considerazioni politiche: dopo anni di relativa calma nel Mediterraneo, l’Italia sta nuovamente affrontando un aumento notevole degli sbarchi sulle sue coste. Al 18 aprile 2023, secondo i dati del ministero dell’Interno italiano, sono sbarcate 34.327 persone, contro le 8642 dello stesso periodo del 2022, e il governo italiano sembra intenzionato ad adottare delle politiche molto stringenti nei confronti dei migranti. In particolare, l’esecutivo di destra vuole limitare e l’applicazione della protezione speciale, una procedura che permette ai migranti di ottenere protezione dalle autorità italiane qualora la richiesta di asilo secondo le convenzioni internazionali non fosse concessa.

Nel 2018-2019, Sergio Mattarella aveva firmato un provvedimento simile voluto da Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’Interno, ma aveva espresso pesanti dubbi sulla sua opportunità, con una dura lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Con lucidità va compreso che proporsi di salvaguardare la pace fra le nazioni, affrontare i rischi globali che interpellano tutto il mondo – missione da cui, colpevolmente, ci allontana, in questo momento, la furia bellicista russa – significa anzitutto respingere la tentazione della frammentazione della solidarietà fra Paesi liberi, cementata nella esperienza dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea.

Sicurezza europea e sicurezza euroatlantica sono concetti indivisibili per potersi difendere insieme con determinazione e per garantire e sviluppare il modello democratico e sociale europeo.

Come essere uniti?

Jean Monnet, uno degli ispiratori del processo di unificazione europea, ci ricordava – come è noto – che l’Europa si sarebbe fatta nelle crisi e sarebbe stato il risultato delle soluzioni che avrebbe avuto la capacità di dare a quelle crisi.

Dunque, ogni giorno è un banco di prova.

Ma sarebbe del tutto inadeguato pensare a un’Europa frutto della affannosa rincorsa ad affrontare problemi dettati da altri, in un quadro internazionale deciso da altri.

In altri termini, l’esigenza di fare dell’Europa una protagonista non trova adeguata risposta nella visione di un’Unione come somma temporanea e mutevole di umori e interessi nazionali, quindi, per definizione, perennemente instabile.

Soccorre, a questo proposito, un’altra indicazione, questa volta di Robert Schuman, per la quale il percorso europeo “si farà attraverso realizzazioni concrete, creando prima di tutto una solidarietà di fatto”.

È il percorso, cioè, capace di dare vita a una identità di valori e una comunità di destino, che coinvolgano i popoli che la animano, con il pieno processo democratico che vede protagonisti i cittadini europei.

In questo caso si può riscontrare la posizione classica ed europeista dell’Italia, in particolare della prima repubblica, di cui Mattarella è espressione. Per Roma l’obiettivo dell’integrazione europea è, come dice il Presidente della Repubblica, guadagnare stabilità e credibilità internazionale grazie alla maggiore cooperazione con gli Stati membri. L’accento sulla solidarietà di fatto è coerente con questa impostazione, perché l’Italia si percepisce come soggetto più debole di Francia e Germania, e non ha mai voluto assumere un vero e proprio ruolo di guida dei processi europei (che invece presuppone, nella visione di Monnet, di accettare le crisi come momenti per fare passi in avanti).

È attraverso la cessione di sovranità e la capacità di costruire un’Unione europea più forte, che si diventa «protagonisti».

Del resto, l’Europa nasce come grande progetto di pace, come visione di sviluppo capace di superare storiche contrapposizioni, come quelle tra Germania e Francia.

Occorre una visione altrettanto saggia e robusta.

Ai primi anni ‘50 del secolo scorso deve essere apparso a molti visionario voler mettere in comune le risorse energetiche nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, e invece avvenne, dando il via alla costruzione europea dopo lo scacco dell’accantonamento della Comunità Europea di Difesa.

L’Unione Europea è innanzitutto una comunità di valori che trova nel rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie, nel rispetto dello Stato di diritto, nella democrazia e nel dialogo, nella coesione sociale, nelle prospettive di realizzazione dei giovani, i suoi principi cardine.

Per tutto questo l’Europa è dei suoi cittadini.

Un modello di successo perseguito come traguardo ideale in altri continenti.

Essere parte di questo progetto significa condividerne, con spirito di solidarietà e responsabilità, i valori fondanti e impegnarsi quotidianamente a difendere i diritti sanciti dalla Carta dei valori dell’Unione Europea.

In questo caso è possibile intravedere una velata critica alle posizioni polacche del presidente Morawiecki, che aveva invece affermato ad Heidelberg che in questo momento l’Unione intende «Colpire gli altri con la frusta dei ‘valori europei’ senza concordare sulla loro definizione o capire quali cambiamenti devono essere apportati dai singoli Paesi». Il riferimento è alla procedura di infrazione contro lo Stato di diritto, avviata dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE) contro la stessa Polonia e l’Ungheria per le loro riforme interne illiberali. 

Mattarella è sempre stato molto sensibile sul rispetto dei diritti, ed è chiaro che la sua posizione ha anche un risvolto nazionale: il governo di Giorgia Meloni si ispira largamente, almeno per quanto riguarda le politiche sui diritti civili, a ciò che hanno messo in campo polacchi e ungheresi.

Care studentesse, cari studenti,

è un compito, anche questo, che non vi è certo estraneo.

La cultura polacca è stata esempio di modernità e di coraggio.

Penso a Maria Salomea Sklodowska, nata a Varsavia oltre un secolo e mezzo addietro e più nota, a livello internazionale, come Marie Curie, prima donna della storia a ricevere il Premio Nobel.

La Sklodowska si trasferì a Parigi per studiare alla Sorbona. Una cittadina europea capace di riprendere l’esperienza dei clerici vagantes – esperienza ante litteram della generazione Erasmuse di applicarla alle donne.

La scienziata polacca, allora, ha scardinato stereotipi e pregiudizi e raggiunto risultati inimmaginabili prima di lei, aprendo la porta, anche a costo di sacrifici e di attacchi personali, a tutte le giovani donne che dopo di lei hanno intrapreso lo stesso percorso.

Marie Sklodowska Curie diceva che “la strada per il progresso non è né rapida né facile” ma è nostro compito assicurarci che resti aperta la porta per tutti coloro che vorranno percorrere quella strada.

L’Unione Europea si interroga in questa fase storica – a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Unione, alla quale va assicurato uno sbocco positivo – su quali siano i migliori strumenti per garantire la difesa delle nostre democrazie e dunque il futuro dei giovani europei.

Guardiamo all’Europa come a una grande comunità di donne e di uomini liberi che, insieme, sono in grado di forgiare il proprio destino.

Guardiamo a come rendere concreta la prospettiva dell’autonomia strategica dell’Unione Europea, in grado di assicurare una deterrenza dissuasiva, consapevoli che questo significa rafforzare ulteriormente – e non indebolire – le nostre alleanze, punto di forza del nostro sistema di difesa.

Penso al rapporto tra Unione Europea e Alleanza Atlantica, così come a quello con gli Stati Uniti, che nella crisi di sicurezza che il nostro continente sta attraversando, si sono posti al fianco dell’Ucraina, a fianco degli alleati.

Del resto, le stesse somme destinate al rafforzamento della difesa dai singoli Paesi della UE (che superano, insieme, di gran lunga quelle di eventuali competitori), se messe a fattor comune diverrebbero un volano ineguagliabile; a vantaggio anche dell’Alleanza Atlantica.

Ma è necessario superare con coraggio e lungimiranza le contraddizioni di voler puntare, da un lato, a una solida cornice di difesa europea senza saper superare, dall’altro, le timidezze di chi esita ad avanzare sulla strada dell’integrazione. L’una non può esistere senza l’altra.

Ad assicurare mutua sicurezza non potrebbe mai essere sufficiente una cornice di pur conveniente cooperazione economica, ma è richiesta la solidità di una vera comunità di valori condivisi.

È possibile in questo passaggio riscontrare una sostanziale condivisione dell’impostazione di Emmanuel Macron sull’autonomia strategica europea e sulla necessità di rendere l’Unione europea più forte in materia di difesa e diplomazia. Naturalmente, com’è nel suo stile, il presidente italiano utilizza toni molto più concilianti nei confronti dei polacchi, ma la frase «Superare con coraggio e lungimiranza le timidezze di chi esita ad avanzare sulla strada dell’integrazione» è inequivocabile.

Certo, rispetto alla posizione francese, Mattarella non dimentica l’importanza dell’Alleanza atlantica per gli europei («bisogna rafforzare e non indebolire le nostre alleanze»). Si tratta di un pilastro fondamentale del posizionamento internazionale italiano e fonte di molte meno tensioni rispetto a quelle che animano il rapporto tra Parigi e Washington. 

Mentre procediamo su questa strada, la fiducia in noi stessi e nei valori che ci ispirano deve indurci a progettare gesti di pace che rifiutino di arrendersi e di essere schiavi della logica della guerra e del conflitto.

A prevalere deve essere il diritto internazionale, il rispetto della sovranità e della integrità territoriale degli Stati, il dialogo sulle controversie.

In Europa, in questo momento, sono in corso, contemporaneamente, due guerre, su piani diversi ma strettamente connessi: quella che vede l’Ucraina aggredita dalla Federazione Russa nella sua integrità territoriale, e una guerra di valori, in cui sono in gioco tutti gli elementi che caratterizzano l’odierna esperienza occidentale, a partire dalla libertà.

I due terreni si incrociano spesso. È avvenuto con la Seconda guerra mondiale.

Si potrebbe dire che, in Europa, la storia è sempre contemporanea.

La memoria corre, necessariamente, a una città, Gdańsk (Danzica) che per ben due volte, nel ‘900, ha segnato la storia della Polonia. Il “piano bianco” del 1939 con l’aggressione alla città da parte del regime nazista e l’avvio, nel 1988, dai Cantieri, del processo di affrancamento dal regime comunista.

“Morire per Danzica?” ci si interrogava in Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Il seguito di queste incertezze è noto.

Come costruire la pace, come realizzare un sistema rispettoso dei diritti di ogni Stato, in grado di irradiare intorno a sé valori positivi di cooperazione, come avvenuto nei decenni con la UE e con la NATO, organismi che hanno proiettato sicurezza, assicurando stabilità e sviluppo?

La Polonia è testimone eccellente di questi processi, capofila di quello che portò alla liberazione dal giogo sovietico numerosi Paesi dell’Europa centro-orientale.

Vanno condivisi valori su cui la comunità possa costruire il proprio futuro.

Giovanni Paolo II coniò lo slogan “dall’Unione di Lublino all’Unione Europea”, rappresentazione plastica di quel “ritorno all’Europa” che la Polonia seppe realizzare nel percorso che accompagnò l’ingresso a pieno titolo nelle istituzioni comunitarie.

Sosteneva quel processo la convinzione che il “ritorno in Europa” esprimesse il carattere pieno dell’identità polacca dopo il lungo viaggio attraverso il dominio comunista sovietico e le sofferenze e la lotta del popolo polacco per riunirsi al destino degli altri popoli europei. I diritti della persona calpestati dal regime comunista trovavano così la loro casa.

Nell’ormai lontano 2004 l’adesione all’Unione Europea della Polonia e degli altri Paesi dell’Europa centro-orientale ha portato al completamento di una prima tappa della storica unificazione del nostro continente.

Un circolo virtuoso tra riforme, crescita e prospettive d’adesione che ha funzionato.

Oggi, nuovamente, la prospettiva europea è preziosa per gli Stati a noi vicini, che trovano nell’ingresso nella UE motivo di speranza e forza per reclamare giustizia, diritti, pace, e per allargare il cerchio dei Paesi che testimoniano la loro adesione ai valori dei diritti delle persone e dei popoli.

È con la consapevolezza del potere evocativo e trasformativo della prospettiva europea che è stata assunta la storica decisione di concedere lo status di candidati a Kyiv e Chişinău, i cui popoli devono sapere che l’Europa non li lascerà soli ad affrontare le sfide che hanno davanti.

La rapida conclusione del processo di adesione dei nostri vicini balcanici, che ormai da molti anni hanno iniziato il loro percorso verso l’Unione, è obiettivo che la Repubblica Italiana sostiene pienamente, per dare sbocco alle loro aspirazioni e per non concedere spazi pericolosi di agibilità a forze ostili ai valori della convivenza; spazi che sarebbero di corrosione dei sistemi democratici.

È passo da compiere senza indugio, un passo indispensabile per non creare instabilità pericolose per il continente.

L’Italia è, tra gli Stati fondatori, probabilmente il paese più interessato all’integrazione dei Balcani nell’Unione europea. Il veto francese allo status di candidato di Albania e Macedonia del nord nel 2019 fu molto criticato da Roma, che vedeva invece la necessità di completare il processo. In questo passato Mattarella ribadisce la posizione classica italiana, che si estende anche all’Ucraina, e in questo caso si sposa perfettamente con quella polacca.

L’Unione Europea ha svolto, poi, una preziosa funzione sull’altro fronte che caratterizza i confini del continente, quello mediterraneo ed africano.

L’attenzione, richiamata anni fa dinanzi all’emergere di fenomeni di terrorismo islamista, lascia oggi luogo a una negligente e pericolosa distrazione.

Quello del confine mediterraneo è tema che non riguarda solo i Paesi europei che vi si affacciano.

E l’obiettivo di un partenariato più fecondo e più solido tra Unione Europea e Unione Africana è una scelta lungimirante, in grado di anticipare tensioni e di contribuire alla causa della pace.

 Magnifico Rettore, Autorità, Professoresse e Professori, carissime studentesse e carissimi studenti,

numerose sono le collaborazioni che sviluppate ogni giorno con le Università italiane.

Su questi scambi si fortificano la conoscenza e la comprensione reciproca, una visione comune del futuro e la spinta propulsiva per realizzarlo.

Sono convinto che voi giovani dell’Università Jagellonica e i giovani di tutto il mondo sappiate trovare straordinarie risorse su cui fondare un’azione comune.

Auguro a voi tutti di mantenere intatto il coraggio e lo spirito indomito e generoso che avete dimostrato in questo anno difficile, e di varcare con fermezza tutte le porte che troverete sul vostro cammino verso un futuro di pace.

Auguri!

Il Grand Continent logo