Se pensate che l’autonomia strategica sia costosa, provate la dipendenza, per parafrasare Abraham Lincoln 1.
Il 16 luglio la Commissione europea ha presentato la sua proposta di bilancio, che fisserà per sette anni (2028-2034) le grandi priorità dell’Unione, compresi i mezzi per la sua azione esterna.
È stato legittimamente proposto agli Stati membri e al Parlamento europeo un aumento della dotazione di bilancio per la difesa, pari a 131 miliardi di euro per la difesa e lo spazio.
Numerosi capi di Stato e di governo hanno infatti già espresso la volontà di investire maggiormente nella difesa del continente alla ricerca di una maggiore autonomia strategica.
Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Donald Tusk, Pedro Sanchez, Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen hanno così sostenuto nel marzo 2025 il piano ReArm Europe, che propone di mobilitare fino a 800 miliardi di euro per investimenti comuni nella nostra difesa. Sebbene esistano sfumature tra gli approcci dei diversi governanti europei, tra una logica di sostituzione e una logica di integrazione nei confronti degli Stati Uniti, tutte le visioni convergono verso un aumento delle capacità europee di produzione di materiale militare.
Ma parallelamente si è aperto un dibattito sul fatto che l’autonomia strategica sia un concetto riservato esclusivamente al settore della difesa.
Tutte le nostre interdipendenze possono oggi trasformarsi in armi.
Rémy Rioux, Thomas Mélonio e Alban Schwerer
Già nel dicembre 2020, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha sottolineato che “abbiamo già adottato misure sostanziali per proteggere meglio le nostre imprese e riequilibrare le nostre relazioni commerciali con i nostri partner esterni. La nostra volontà di sviluppare l’autonomia strategica dell’Europa ha infatti una forte dimensione economica”. Durante la presidenza spagnola del Consiglio dell’Unione europea, dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, il primo ministro spagnolo ha “brevettato” l’idea di “autonomia strategica aperta”, estesa a diversi settori chiave: energia, sanità, alimentazione, semiconduttori. Allontanandosi dai concetti di autarchia o unilateralismo, il termine “aperta” indica una tolleranza verso “un certo grado di dipendenza dal mondo esterno, pur ponendo dei limiti su questioni essenziali” 2.
Anche il presidente francese ha evocato la necessità di uscire dalla dipendenza, in particolare quella digitale. Nel suo discorso programmatico sull’Europa alla Sorbona nell’aprile 2024, ha persino invocato una “preferenza europea nei settori strategici, della difesa e dello spazio e [una] deroga alla libera concorrenza per sostenere i settori chiave in transizione”, fino all’intelligenza artificiale e alle tecnologie verdi. Giorgia Meloni e Friedrich Merz hanno invece posto maggiormente l’accento sulla sovranità industriale.
Per Mark Leonard, tutte le nostre interdipendenze possono oggi trasformarsi in armi e la connettività generalizzata può paradossalmente portare alla frammentazione, al ripiegamento e alla guerra 3.
Il costo della nostra dipendenza
Prendere coscienza delle nostre dipendenze e controllare le nostre vulnerabilità esterne non sarà gratuito. È salutare che si svolga un ampio dibattito democratico per stabilire una gerarchia, determinare quali sono accettabili e per quali siamo disposti a pagare il prezzo di una maggiore autonomia.
È chiaro che la dipendenza dal gas russo è diventata troppo costosa, ovviamente per l’Ucraina, ma anche per gli europei, dato che sosteniamo militarmente Kiev e continuiamo a trasferire ingenti somme a Mosca: tra febbraio 2022 e maggio 2025, gli acquisti europei di gas russo avrebbero rappresentato quasi 200 miliardi di euro. L’elettrificazione e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento sono piste da esplorare. Partnership con paesi extraeuropei, come il Marocco, che copre il fabbisogno energetico della sua popolazione e produce energia solare a costi molto bassi, potrebbero essere una soluzione per rifornire i paesi europei, che oggi sono in una situazione di sottoproduzione e pagano l’elettricità a tariffe quasi tre volte superiori ai costi di produzione osservati nel sud del Mediterraneo.
Continuiamo inoltre ad acquistare ingenti quantità di fertilizzanti russi e bielorussi, mentre altre opzioni consentirebbero di stringere partnership più affidabili e durature, come nel caso del Marocco e del lavoro svolto dall’Office chérifien des phosphates.
Nel settore sanitario, circa l’80% dei principi attivi necessari per la produzione di farmaci è prodotto in Cina o in India 4. Per quanto riguarda le materie prime necessarie per le attrezzature e le tecnologie della transizione energetica, il 65% del capitale delle imprese estrattive di terre rare è detenuto da cinesi, il 19% da americani e l’1% da europei; queste cifre sono rispettivamente del 54%, 23% e 3% per il litio 5.
Il rapporto Draghi del settembre 2024 invitava quindi l’Unione, attraverso la sua strategia Global Gateway, a stabilire partenariati con regioni dotate di fonti di energia rinnovabile a basso costo e di materie prime essenziali, come l’Africa, l’America Latina e l’Asia. Queste alleanze rafforzerebbero la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, contribuendo al contempo agli obiettivi energetici e climatici dell’Unione e allo sviluppo dei paesi partner.

Il Critical Raw Materials Act (CRMA) mira a ridurre la dipendenza dell’Europa dai paesi terzi. La sua attuazione richiederà lo sviluppo di un “approccio transazionale europeo”, che metta in primo piano i principi di partenariato, fiducia, affidabilità, ricerca di interessi comuni, rispetto dei contratti e investimenti a lungo termine, in contrapposizione al pericoloso breve termine che sembra caratterizzare le attuali discussioni commerciali. Tale approccio deve coprire l’intera catena di approvvigionamento dei minerali critici (estrazione, trasformazione, riciclaggio). È questo il senso dei “Clean Trade and Investment Partnerships” che l’Unione propone ora ai suoi partner, a cominciare dal Sudafrica. Il contenuto e la forma di questo tipo di partenariati devono andare di pari passo e consentire di rafforzare l’immagine di partner affidabile e rispettoso nel tempo.
È necessario allentare le nostre dipendenze strategiche al di là del settore militare: una politica attiva di partenariati e di investimenti solidali e sostenibili dell’Unione al di fuori dei suoi confini deve contribuire in modo significativo a questo obiettivo.
Rémy Rioux, Thomas Mélonio e Alban Schwerer
E se la dipendenza dai combustibili fossili è a est, la dipendenza tecnologica è a ovest, o forse ancora più a est: in Asia. Già alla fine degli anni ’90, le tecnologie americane – IBM per i computer centrali, Microsoft per le suite per ufficio, Oracle per i database aziendali – si erano imposte nei sistemi digitali delle grandi imprese europee.
Oggi, Amazon Web Services, Microsoft Azure e Google Cloud dominano il mercato europeo del cloud; secondo la società di consulenza ASTERÈS, l’83% della spesa cloud delle imprese dell’Unione europea, pari a 264 miliardi nel 2024, è destinata ad aziende americane 6.
L’Unione dispone solo del 3% della capacità di calcolo mondiale. Produce solo il 10% dei semiconduttori mondiali e le sue importazioni sono 1,7 volte superiori alla sua produzione. Nel settore dei servizi digitali, registra un deficit complessivo con gli Stati Uniti di quasi 150 miliardi di euro all’anno, come analizzato dal Kiel Institute for the World Economy sulla base dei dati Eurostat 7.
La percezione europea delle conseguenze della dipendenza è profondamente cambiata dopo la crisi del Covid-19 e la guerra in Ucraina: il rischio di un’interruzione delle forniture provenienti da aziende cinesi (farmaci, minerali per la transizione energetica), americane (armi, cloud, petrolio) o russe (idrocarburi) è ormai radicato nella mente di tutti.
La politica di sviluppo: un tesoro europeo
È ormai chiaro a tutti che è necessario ridurre le nostre dipendenze strategiche al di là del settore militare e che una politica attiva di partenariati e investimenti solidali e sostenibili dell’Unione al di fuori dei suoi confini deve contribuire in modo significativo a questo obiettivo.
A tal fine, può contare sul suo punto di forza: il tesoro costituito dalla politica di sviluppo dell’Europa, pazientemente coltivata e ampliata sin dal trattato di Roma del 1958. Come ricorda il grafico sottostante e contrariamente alle idee ricevute, è l’Europa ad avere la leadership in questo campo: spetta a lei fissarne nuovamente oggi l’ambizione, il quadro di riferimento e le modalità operative.
In primo luogo, occorre investire nell’aumento delle capacità produttive dei fornitori di beni e materie prime critici situati in paesi terzi, integrando ab initio nella nostra offerta la questione dell’accesso e degli effetti ambientali e sociali locali dell’aumento della produzione. L’approccio europeo basato sul partenariato contribuirà così a garantire i nostri approvvigionamenti, con i nostri alleati che garantiscono la sicurezza delle esportazioni verso l’Unione europea: è questo il presupposto che giustifica il «friendshoring» 8 — e privilegerà le cooperazioni che adottano un contenuto locale elevato in termini di occupazione e la sostenibilità delle infrastrutture, in grado di distinguerci favorevolmente rispetto alle offerte industriali concorrenti meno competitive su questi criteri.
In secondo luogo, possiamo finanziare con prestiti l’efficienza energetica, l’elettrificazione delle economie e lo sviluppo delle energie rinnovabili nei paesi vicini all’Europa che desiderano entrare nell’Unione. Questi finanziamenti contribuiscono alla lotta per la riduzione delle emissioni di CO2, rispondendo al contempo al desiderio dei futuri membri dell’Unione di rendersi indipendenti dagli idrocarburi russi. In Moldavia, ad esempio, la Francia e la Germania, attraverso le loro banche di sviluppo (AFD e KfW), sostengono già il collegamento alle reti europee e la ristrutturazione termica degli edifici pubblici per ridurre il consumo e contribuire alla sicurezza energetica dei paesi.
Infine, tale obiettivo sarebbe favorito dalla creazione di incentivi per l’applicazione delle normative europee, come il meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere (MACF), che mira a prevenire la delocalizzazione dall’Unione europea verso paesi in cui le emissioni di CO2 non sono tassate, difendendo così la sovranità industriale europea.
È l’Europa che detiene la leadership nell’aiuto allo sviluppo: spetta a lei fissarne nuovamente oggi l’ambizione, il quadro di riferimento e le modalità operative.
Rémy Rioux, Thomas Mélonio e Alban Schwerer
La politica dei partenariati dispone in questo ambito di strumenti che dovrebbero essere attivati con maggiore ambizione per accompagnare gli Stati che lo desiderano nell’elaborazione di una legislazione adeguata in materia di carbonio (consulenza, condivisione di esperienze) e per concedere prestiti a tassi vantaggiosi alle imprese dei paesi terzi che desiderano rendere il loro processo produttivo meno emissivo di CO2.

Raddoppiare l’ambizione internazionale europea
Siamo convinti, insieme alla Commissione europea, che la strada verso una maggiore autonomia strategica europea passerà non solo attraverso un aumento delle capacità militari europee, ma anche attraverso una gestione basata sul partenariato delle nostre altre dipendenze strategiche, come brevemente delineato qui di seguito e alle quali occorrerà ovviamente aggiungere le nostre dipendenze migratorie.
Questa gestione concertata presuppone il mantenimento, e persino un aumento significativo, della capacità europea di investire e di instaurare relazioni costruttive e di fiducia con i nostri partner internazionali. Ciò va ad aggiungersi alle ragioni altruistiche e umanitarie che sono alla base della politica di sviluppo sin dalla sua nascita.
È questa la strada che la Commissione europea ha chiaramente proposto. È il caso dei nostri impegni in materia di clima, da ridefinire prima della COP30 a Belém il prossimo novembre, che dovrebbero includere per la prima volta una componente di investimento internazionale, sostenendo lo sviluppo e l’integrità dei mercati del carbonio. Per contribuire a ridurre del 90% le emissioni di CO2 dei suoi Stati membri entro il 2040, la Commissione europea propone infatti di mobilitare le disposizioni dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi sul clima, che consente di contabilizzare nel proprio percorso di transizione i crediti di carbonio originati altrove nel mondo. Finora avevamo assunto impegni solo all’interno dell’Unione. In futuro potremmo disporre di un nuovo strumento per ricollegare i percorsi di decarbonizzazione delle diverse regioni del mondo e finanziare molti più progetti utili per tutti.
Questo è anche il senso della proposta di nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) per il futuro bilancio dell’Unione.
La strada verso una maggiore autonomia strategica europea passerà sia attraverso un aumento delle capacità europee di produzione militare sia attraverso una gestione basata sul partenariato delle nostre altre dipendenze strategiche.
Rémy Rioux, Thomas Mélonio e Alban Schwerer
Nella sua proposta iniziale, la Commissione ha quantificato in 215 miliardi di euro la dotazione per la politica di sviluppo europea – il «pilastro 3 – Europa globale» registrerebbe così un aumento del 75% – a cui si aggiungerebbe una riserva dedicata all’Ucraina di 100 miliardi di euro, portando al 15% del bilancio la quota dell’azione esterna al di fuori della difesa.
Si tratterebbe quasi di un raddoppio dell’ambizione internazionale europea, per strutturare e approfondire le alleanze di cui ha bisogno nel mondo interconnesso ma instabile in cui viviamo.
Lontana dalla classica narrativa degli aiuti allo sviluppo, la Commissione invita quindi l’Unione e i suoi Stati membri a non chiudersi in se stessi e a stabilire un legame più chiaro ed esplicito tra l’azione interna e l’azione esterna dell’Unione, al fine di conciliare gli “interessi strategici” dell’Europa con quelli dei nostri partner.
Essa promuove inoltre un «strategic procurement», un’architettura aperta a tutti gli attori europei per l’impiego dei suoi strumenti finanziari, una preferenza europea in materia di gestione e un approccio «Team Europe» delle istituzioni finanziarie e di cooperazione internazionali, molto più integrato ed efficace.
Essa stabilisce una forma di equivalenza tra lo sforzo di difesa e la politica di partenariati internazionali a livello europeo.
Propone ai suoi Stati membri una nuova firma nel mondo che verrà, fedele alla sua lunga storia di cooperazione ma consapevole dell’aumento dei pericoli, e collega in modo nuovo la sua solidarietà con la sua sovranità.
Note
- A cui è comunemente attribuita la citazione: “Se pensate che l’istruzione sia costosa, provate l’ignoranza”.
- Yves Bertoncini, Relocaliser en France avec l’Europe, Fondapol, settembre 2020.
- Mark Leonard, “L’ère de l’a-paix”, Le Grand Continent, 18 febbraio 2022.
- Rapporto del Senato francese au nom de la commission d’enquête (1) sur la pénurie de médicaments et les choix de l’industrie pharmaceutique française, presentato il 4 luglio 2023.
- Banque de France, “Matières premières critiques : dépendances et vulnérabilités de l’UE”, billet n°325, octobre 2023.
- Sylvain Bersinger, «La Dépendance technologique Aux softwares & cloud services américains : une estimation des conséquences économiques en Europe», Étude économique, ASTERÈS, aprile 2025.
- Frank Bickenbach, Holger Görg e Wan-Hsin Liu, Transatlantic Ties beyond Goods Trade: Significance and Policy Implications of EU-U.S. Services Trade, The Kiel Institute for the World Economy, luglio 2025.
- Contrazione di “friends” (amici) e “offshoring” (delocalizzazione), che mira a qualificare la (ri)localizzazione degli anelli di una catena di produzione in paesi considerati alleati.