L’arena del Caos: gli Stati Uniti di Trump e Musk
L’accelerazione impressa dalla nuova amministrazione americana a delicati dossier, da quelli di ordine prettamente economico-finanziario ad altri legati alle relazioni internazionali, ha stupito molti osservatori.
Una girandola di ordini esecutivi, di licenziamenti, di nomine, sovente piuttosto borderline, come quella del podcaster Dan Bongino all’FBI, accompagnate da una bulimia esternativa da social, ha prodotto una sorta di ebbrezza collettiva, ormai focalizzata sulle esternalità grottesche e sulle modalità comunicative piuttosto che sulla sostanza profonda di questo processo.
D’altronde, difficile rimanere insensibili e del tutto lucidi quando in pochissimi giorni si assiste alla lectio magistralis interessata di J. D. Vance sul free speech, all’aver spezzato il fronte internazionale anti-russo con una giravolta culminata nel voto sulla risoluzione sul conflitto in Ucraina in sede ONU che ha avvicinato ancora di più l’America di Trump alla Russia di Putin, alla sequenza stordente di notizie, gossip e post su X da parte di Elon Musk e altri imprenditori del Tech, a partire dal magnate di crypto e storico amico di Peter Thiel David O. Sacks, nominato da Trump quale AI & Crypto czar, contro il Presidente ucraino, dipinto poco commendevolmente secondo tutti gli stilemi della propaganda russa.
Ma se distogliamo lo sguardo dal caos internazionale e dal paradossale avvicinamento degli USA all’area BRICS, almeno in sede di voto ONU, e lo volgiamo invece al cuore dell’organizzazione statale e costituzionale americana il quadro si complica ancora di più.
Tra Musk e Trump sembra essersi innescata una tensione competitiva, con una accelerazione, comunicativa certo ma anche e soprattutto politico-amministrativa, nella rimodellazione delle strutture governative.
Musk, la cui cronaca social degli atti e dei tagli adottati dal D.O.G.E. ricorda i video dell’europarlamentare cipriota e YouTuber Fidias, che il magnate non per caso spesso riposta e loda, ha prima liquidato agenzie come US Aid, utilizzate nel corso degli anni per il soft power statunitense internazionale, poi ha intrapreso una crociata contro le principali agenzie, tra cui spicca l’IRS, i cui dati fanno decisamente gola all’amministrazione Trump e allo stesso Musk.
Infine se l’è direttamente presa con i dipendenti pubblici ai quali ha inviato una e-mail, all’inizio del weekend e con deadline fissata per il lunedì successivo, chiedendo loro, come aveva già fatto con l’ex amministratore delegato di Twitter, Parag Agrawal, poi da lui licenziato, di indicare in cinque punti quali pratiche avessero disbrigato nella settimana precedente.
Cowboy Coding costituzionale: verso una nuova forma di governo
Il primo ad aver utilizzato l’espressione ‘cowboy coding’, applicata alla dinamica organizzativa della forma di governo, è stato Ryan Teague Beckwith, sul sito web della MSNBC, in un articolo del 7 febbraio 2025 1.
Il cowboy coding non avrebbe, condizionale ormai d’obbligo, nulla a che vedere con il diritto costituzionale e con la scienza dell’amministrazione; si tratta di una tecnica di coding, piuttosto popolare nella Silicon Valley, e dai lineamenti decisamente eterarchici.
Nei fatti, una modalità di programmazione e di lavoro che procede per obiettivi ma senza linee gerarchiche e senza quindi una reale strutturazione organica in termini di management, controlli, verifiche e soprattutto limiti.
Ogni individuo svolge un compito preciso, senza coordinamento gerarchico con gli altri.
Nei fatti, il D.O.G.E. lo sta applicando alla lettera alla fisionomia dell’amministrazione americana.
A ogni dipendente D.O.G.E. corrisponde il dossier su un dipartimento o su una agenzia, dal che emerge chiaramente come il taglio operativo non possa che essere draconiano, non essendoci una struttura in grado di andare molto per il sottile e di produrre raffinate analisi di insieme.
Soprattutto per quanto concerne gli effetti che il depauperamento o la chiusura di una struttura potrebbe a catena riverberare sulla tenuta della macchina amministrativa o sui servizi erogati ai cittadini. Si pensi, a mero titolo di esempio, alla sfera sanitaria o a quella scolastica.
Gli audit, la cancellazione drastica di agenzie o di parti di agenzie, i tagli di fondi, i licenziamenti estemporanei e che spesso creano dei vuoti non banali, i cortocircuiti decisionali con i vertici trumpiani delle stesse agenzie, caso di scuola la e-mail fatta inviare da Musk a cui alcuni direttori hanno opposto diniego o termini differiti, rappresentano i frutti privilegiati di una anarchia organizzata.
Innanzitutto chi opera nel D.O.G.E. proviene dalla cultura digitale e conosce, nei fatti, solo il lessico del coding; è a digiuno di dinamiche organizzative, di principi costituzionali, di bilanciamenti.
Un unico aspetto sembra interessare loro: i dati.
I dati non mentono, ripetono e ripete con loro Musk, facendo finta di non sapere che ovviamente se i dati non mentono, le interpretazioni degli stessi possono benissimo essere falsate e piegate secondo convenienza.
Nel nome della trasparenza assoluta, da cui le dirette e i post torrenziali su X, trasformato in una sorta di portale della trasparenza ad usum Delphini, e della semplificazione radicale e dell’efficienza performante, il D.O.G.E. va di accetta, senza curarsi della instabilità che potrebbe derivare da certe draconiane scelte.
In questa sorta di Cavalcata delle Valchirie algoritmica in cui i membri del D.O.G.E acquisiscono dati e soprattutto elementi del coding delle varie agenzie, dei loro software e dei vari database, ogni potenziale freno viene considerato e letto come un intralcio ad una missione dalle sfumature messianiche.
E mentre Trump inizia a definirsi ‘Re’ 2, in una oscillazione sagittale tra Kantorowicz e un meme, Musk continua a dar conto delle mirabolanti scoperte di frodi, truffe, sperperi, a cui i suoi uomini avrebbero posto fine.
Nessuno se ne sarebbe mai accorto prima, né le Presidenze repubblicane né quelle democratiche eppure, lasciano filtrare i muskiani, era tutto lì, a portata di mano, in piana evidenza.
A significare come il MAGA riletto da Musk sia una rottura completa della tradizione partitico-amministrativa consolidatasi fino ad oggi e una forma di piattaformizzazione iper-verticale della dinamica di governo.
Infatti più che alla politologia e alla scienza dell’amministrazione, Musk e i suoi sembrano ispirarsi al digitale e alle modalità di acquisizione societaria della Silicon Valley.
Tendenzialmente infatti si tratta di una replica strutturale di quanto già andato in onda dopo l’acquisizione di Twitter, con la differenza di non poco momento che il cuore amministrativo e costituzionale degli Stati Uniti non è una società di capitali o una piattaforma social.
Però il fatto che si tratti di una replica può portarci ad una analisi di massima di quali siano gli scopi sottesi al cowboy coding applicato alla forma di governo americana.
Innanzitutto, c’è l’impatto di polarizzazione mediatica: le drastiche semplificazioni, da sempre e a qualunque latitudine, sono pensate oltre che per rendere più agile ed efficiente una macchina amministrativa, anche per suonare come punizione della, odiata da tutti, burocrazia.
L’elettorato MAGA, disperso in quell’America profonda dove la presenza federale è considerata quasi una colonizzazione, non può che entusiasticamente approvare.
In secondo luogo, la creazione di vuoti è pensata non per lasciare quei vuoti in via strutturale e definitiva ma per riempirli con soggetti diversi dalle strutture pubbliche. Società, aziende, sviluppatori, i campioni della tecnodestra che hanno sostenuto Trump e che possono vantare contratti multimiliardari con il governo USA scalpitano alle spalle della demolizione portata avanti dal D.O.G.E.
Dove cesseranno i servizi pubblici, anche nel campo del fisco, della difesa, della sicurezza, dell’educazione, subentreranno i grandi soggetti privati.
In terzo luogo, la destrutturazione dei corpi pubblici portata avanti per via eterarchica rende evanescente qualunque assunzione di responsabilità da parte di chi, al vertice, dovesse adottare decisioni eccessive o esorbitanti, rendendo nel caso sacrificabile il singolo nodo decisionale senza coinvolgere nella catena di responsabilità il vertice stesso.
In quarto luogo, il cowboy coding è pensato, funzionalmente, per essere accelerante e ascendente; le sue decisioni divengono sempre più puntute, drastiche e mirano in alto, mirano cioè alla forma di governo.
Si tratta di un hacking costituzionale che muta la forma di governo senza un processo istituzionale a ciò preordinato, la plasma e la cambia per via di fatto.
Un segnale evidente in questo senso, alla luce della intolleranza che il cowboy coding fisiologicamente nutre per qualunque meccanismo di checks and balances, è la lotta che sta emergendo in questi giorni contro il potere giudiziario.
Musk è arrivato a chiedere l’impeachment per i giudici che a suo dire boicotterebbero le decisioni di Trump e, per fare questo, ha duettato su X con il Presidente di El Salvador, Nayib Bukele.
Una mossa che ha fatto storcere il naso a molti commentatori conservatori, i quali hanno rimarcato come, con tutto il rispetto per il Paese centro-americano, gli USA non siano El Salvador, né ad esso possano ispirarsi.
Ma si tratta, senza dubbio alcuno, di una linea di faglia evidente e che verrà perseguita; al dimagrimento delle strutture pubbliche e alla tendenziale privatizzazione di funzioni essenziali, si accompagnerà la disarticolazione del potere giudiziario, sia mediante discredito individuale di giudici, sia mediante il cowboy coding.
In questa ultima prospettiva, è verosimile pensare che si adotterà una policy di impeachment mirati, i quali se pur falliranno sul breve periodo sedimenteranno un precedente significativo.
Un primo esempio paradigmatico ce lo offre il parlamentare repubblicano del Wisconsin Derrick Van Orden 3 che ha iniziato le pratiche per l’impeachment contro un giudice federale, Paul Engelmayer, che si era opposto ad alcune richieste del D.O.G.E. muskiano.
Sulla sua scia, anche i parlamentari Andrew Clyde, della Georgia, e Eli Crane, dell’Arizona.
A chiederne per primo la rimozione, a mezzo di impeachment, era stato proprio Musk su X.
La narrazione che punteggia queste azioni è quella tipicamente populista del corpo esecutivo che dovrebbe essere libero di decidere, in quanto incoronato dal popolo sovrano, senza i fastidiosi contrappesi dello Stato liberale basato sulla separazione dei poteri 4.
Questi impeachment simbolici e selettivi saranno verosimilmente portati avanti da parlamentari repubblicani, sulla base di dati estrapolati dal D.O.G.E. e su richiesta dello stesso Musk, contro i singoli giudici presi di volta in volta di mira, al fine di determinare, anche mediaticamente, la loro collusione con il Partito Democratico e con il vecchio, immancabilmente corrotto, ordine.
La china è scivolosa e pericolosa. Ma potrebbe presentare un conto salato ai suoi stessi promotori, visto che a uno tra Musk e Trump potrebbe venire la tentazione di licenziare l’altro.
D’altronde il dimagrimento eccessivo delle strutture pubbliche espone il vertice politico-esecutivo alle intemperie rappresentate dai propri fedelissimi.
Nell’impero romano, tanto amato da Musk, erano i pretoriani il principale fattore, in quel caso violento, di cambiamento dell’ordine costituito e di detronizzazione degli imperatori. O degli autoproclamati Re.
Il Cowboy coding nelle relazioni internazionali
Se il cowboy coding può avere una sua valenza disruptive 5, sia pur altamente problematica, sul fronte interno, gli effetti dispiegati sulle relazioni internazionali rischiano di essere del tutto devastanti per chi dovesse patrocinarlo come strumento di semplificazione della complessità geologicamente stratificata nello spazio globale.
Naturalmente appare come una via privilegiata per capitalizzare consenso; rende possibile, in apparenza, far finire guerre che si trascinano mortifere da anni, permette di concentrarsi su aree di influenza segmentate al fine di sfuggire alla competizione diretta con giganti internazionali come la Cina, facilita e agevola relazioni con Stati fino a poco tempo prima descritti e percepiti quali Stati-canaglia, come la Russia.
Anche qui il metodo è draconiano, brutale, snello; si agisce, si taglia, si sacrifica.
Lo si è visto in Ucraina, lo si è sperimentato in Europa.
In ambito europeo, anzi, il sostegno a varie forme partitiche anti-unionali si inserisce in questa strategia di frammentazione e di estrema semplificazione delle relazioni e della regolazione; una Unione indebolita sarebbe un interlocutore molto più agevole da controllare, disboscando peraltro il peso della regolazione, secondo quanto richiedono molte delle grandi società del Tech che sostengono Trump.
Questo approccio, come pure quello cinico riservato all’Ucraina, non sottende però una visione isolazionistica.
Il ponte gettato con la Russia anzi appare funzionale a due scopi; uno reputazionale ad uso interno, con il proprio elettorato, per consolidare il ruolo di Trump come Presidente della pace, e uno esterno, connesso al tentativo di disarticolare l’avvicinamento della Russia alla Cina.
L’isolazionismo ha scarso appeal presso le società più rilevanti che hanno fatto del sostegno a Trump una loro mission quasi esistenziale.
Palantir Technologies, dopo la capitalizzazione record degli inizi di febbraio, è crollata in Borsa alla fine di febbraio stesso, quando si sono iniziate ad addensare fosche nubi isolazionistiche nel settore della Difesa: l’isolazionismo sottende minori finanziamenti, minori contratti, budget lillipuziani.
Anduril Industries ha commercializzato in serie i propri droni da combattimento dopo averli venduti all’Ucraina, primo vero banco di prova sul campo.
Un approccio isolazionistico, in questa prospettiva, sarebbe la fine di tutta quella vasta parte di Tech che combina le proprie sperimentazioni e innovazioni con gli armamenti, per i quali serve, fisiologicamente, un laboratorio bellico pratico e operativo.
In realtà, non solo queste realtà stanno iniziando a sperimentare le esternalità negative dei tagli drastici e del mutamento significativo di policy con i Paesi stranieri.
Le associazioni americane esponenziali del turismo hanno espresso preoccupazione, sottolineando come conflittualità con Paesi alleati e amici, dal Canada all’Europa, giri di vite contro l’immigrazione, da cui molti lavoratori del settore dell’ospitalità arrivano e soprattutto i dazi minaccino il loro settore in maniera significativa.
Dure critiche sono arrivate anche dal settore siderurgico, soprattutto per i dazi nei confronti del Canada.
Molte altre società stanno valutando con grande discrezione, soprattutto per non andare all’urto frontale con Trump, ma la preoccupazione è crescente e l’auspicio è che queste misure muscolari siano una trovata estemporanea e non un progetto destinato a durare.
Vale la pena ricordare come la campagna elettorale di J.D. Vance non sia stata sostenuta solo da quella parte della Silicon Valley che abbiamo imparato a conoscere come ‘tecnodestra’, ma anche da magnati del ferro e della manifattura.
Tutti settori che non passeranno indenni, su un ipotetico lungo periodo, alla politica dei dazi.
Le prospettive dell’Europa
All’accelerazione dell’amministrazione americana, è seguita una accelerazione di risposta dei Paesi europei.
Da un lato sul versante della difesa e della guerra in Ucraina, prima con il vertice organizzato da Parigi a Macron, cui farà seguito un nuovo incontro a Londra, e dall’altro lato con un attivismo della Commissione nello snellimento procedurale e degli incombenti amministrativi e normativi sul fronte della competitività e della innovazione.
Può apparire paradossale ma la Commissione ha iniziato a mettere pesantemente in discussione le policies regolatorie fino ad oggi adottate dalla medesima Commissione.
Non c’è dubbio che al caotico cowboy coding statunitense non possa opporsi una iper-regolazione, sovente ideologizzata, come nel caso di alcune politiche green.
In questi ultimi giorni, due sono stati gli eventi molto significativi.
La visita a Washington di Emmanuel Macron, il quale in un generale quadro di fredda cordialità ha mantenuto il punto nei confronti di Trump, precisando a proposito delle spese militari in Ucraina una realtà diversa da quella espressa a beneficio di videocamere dal tycoon.
E poi l’atteso discorso di Giorgia Meloni, alla convention conservatrice CPAC, divenuta campo minato dopo l’apparente saluto romano di Steve Bannon e il forfait seguitone di Jordan Bardella, esponente dell’estrema destra francese del Rassemblement National.
La Meloni, in una situazione oggettivamente non facile, ha tenuto un eccellente discorso, con barra rigorosamente dritta sul conflitto ucraino, nonostante la platea non fosse esattamente una delle più entusiaste per certe argomentazioni.
Ed è proprio in questi due Paesi, Francia e Italia, le cui due leadership non provano l’una per l’altra una grande corresponsione d’amorosi sensi, che alberga una per quanto paradossale ma politicamente realistica alleanza che può condurre l’Europa fuori dalle secche e dalla trappola americana.
L’attivismo francese nella organizzazione di summit, consessi e incontri si coniuga con un pragmatismo decisionista che è anche armato 6.
Unico linguaggio coagulante che in questo frangente appaia davvero utile per la dialettica con gli USA e che sappia essere attrattore per la definizione di una embrionale difesa europea e di una autonomia strategica del Vecchio Continente.
Dall’altro lato, il canale privilegiato di Giorgia Meloni con gli USA dovrebbe divenire un elemento cardine non tanto per costruire un Make Europe Great Again (MEGA), che sarebbe questo sì vassallo delle strutture trumpiane o peggio ancora di quelle putiniane, quanto una interfaccia di sensibilità diplomatica per bilanciare ed equilibrare tendenze e tentazioni di scontro tra le due sponde dell’Atlantico.
E che la Meloni possa esercitare questo ruolo devono averlo compreso, con una certa preoccupazione, anche a Washington, considerando che in prospettiva MEGA gli uomini di Musk stanno iniziando a caldeggiare ellittici endorsement nei confronti della Lega e a patrocinare il ritorno di Matteo Salvini al Ministero dell’interno, aspetto questo che rischierebbe di aprire scenari di turbolenza nel cuore del governo italiano e frizioni con il Quirinale.
Naturalmente l’Europa non può temporeggiare in attesa del crollo di Trump e di Musk sommersi dal caos che loro stessi stanno edificando con il cowboy coding o a causa dei rispettivi ego.
La coabitazione non sarà idilliaca, ma Trump non può liquidare Musk come fece con Bannon quando questi divenne troppo ingombrante. E l’arco temporale del redde rationem tra i due potrebbe divenire troppo lungo e i danni, all’ordine internazionale, eccessivi.
L’Europa dovrebbe, come primo aspetto, adottare una sorta di mossa Kansas City in chiave geopolitica e diplomatica.
Per chi abbia familiarità con il film “Slevin – patto criminale” è noto cosa sia questa mossa: alle origini, una truffa consistente nello sviare l’attenzione del truffato fino a persuaderlo di avere a che fare proprio con un truffatore e spingendolo quindi a rovinarsi con le proprie mani.
Una traduzione filmico-criminale del principio formulato da Sun Tzu ‘attraversare il mare senza che il cielo lo sappia’, una diversione dal reale centro di gravitazione del campo di conflitto.
Detto in altri termini: se tutti guardano da una parte, il vero evento sta avvenendo dalla parte opposta.
L’Europa dovrebbe sviare gli appetiti USA sul Continente rivolgendosi alla Cina e lasciando intendere che i veri eventi si stiano svolgendo a quelle, dagli Americani, temute latitudini.
D’altronde i tentativi trumpiani di spezzare la connessione tra Russia e Cina, una delle priorità dell’agenda Trump, non sembrano esattamente essere andati in porto.
Contestualmente a questi meditati e ponderati rapporti con la Cina, che certo non dovrebbero mostrarsi cedevoli al soft power cinese e non raggiungere la fisionomia di una alleanza strategica, onde non passare da una zona di influenza ad un’altra, andrebbero rafforzati i rapporti con il Canada, con l’India e con i singoli Stati americani le cui economie e il cui tessuto sociale finirebbero per subire impatti drastici e drammatici dalle misure tariffarie e doganali annunciate da Washington.
Con ciò generando una tensione interna agli USA, in chiave politico-economica, tra livello federale e livello statale, che finirebbe per acuire e accelerare le tensioni non banali tra corpi pubblici e attori del mosaico trumpiano, e auspicabilmente tra i non semplici caratteri di Musk e di Trump.
In questo quadro e proprio con la leva dei rapporti con la Cina, sarebbe auspicabile anche il coltivare relazioni con le realtà tecno-industriali che sostengono, per ora, Trump e che sono interessate ai mercati europei, i quali rischierebbero di essere preclusi proprio dalle misure del loro Presidente, come strumento di moral suasion per il ritorno a rapporti di collaborazione.
Nessuna di quelle realtà può avere prospettive di crescita e di ricchezza in caso di chiusura del mercato europeo e di contestuale snellimento delle spese di difesa americane, funzionali ad una politica di isolazionismo.
Ovviamente queste linee di azione andrebbero accompagnate in Europa da drastiche ed effettive misure di semplificazione normativa, dallo sviluppo di politiche funzionali alla vera innovazione e da un generale ripensamento europeo dei modelli nazionali e, eventualmente, integrati di difesa, anche perché nessuno può davvero avere idea a quale punto di caos conduca l’operazione di Musk e di Trump e soprattutto a cosa possa portare un eventuale, ma assai probabile, deterioramento dei rapporti tra i due.
Note
- R. Teague Beckwith, Elon Musk is ‘cowboy coding’ the Constitution, in MSNBC, 7 febbraio 2025.
- Lo ha fatto in occasione della eliminazione del congestion pricing a Manhattan, una sorta di ZTL pensata per snellire il traffico soprattutto in prospettiva emergenziale e di soccorsi. ‘Il congestion pricing è morto. Manhattan e tutta New York sono salve. Lunga vita al Re!’ ha dichiarato Trump in un post che è stato pubblicizzato dalla pagina istituzionale della Casa Bianca e ornato da un meme con tanto di Trump incoronato.
- N. Raymond, Republican lawmaker seeks US judge’s impeachment over ruling against Trump, in Reuters, 19 febbraio 2025.
L’impeachment dei giudici federali è uno strumento talmente limite da essere stato azionato dalla House of Representatives americana, dal 1803 ad oggi, solo in 15 casi: interessante rilevare come i casi si siano basati o sulla commissione di reati da parte dei giudici o sulla instabilità mentale degli stessi o su gravissimi abusi emersi durante il corso dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Parimenti interessante rilevare come molti dei procedimenti si siano conclusi con il proscioglimento del giudice.
Sui profili procedurali e sulle implicazioni di ordine costituzionale, J. E. Pfander, Removing Federal Judges, in University of Chicago Law Review, 74, 2007, pp. 1227 e ss, E. B. Bazan, A. C. Henning, Impeachment: An Overview of Constitutional Provisions, Procedure, and Practice, Washington, Congressional Research Service, 2010.
In realtà, non sono mancate nella scienza giuridica americana le voci che hanno chiesto una semplificazione delle procedure di rimozione dei giudici federali e un allargamento delle motivazioni sottostanti l’inizio della procedura facendo leva su una lettura da clausola generale del requisito del ‘buon comportamento’ nell’esercizio della funzione giurisdizionale, S. Prakash, S. D. Smith, How to Remove a Federal Judge, in The Yale Law Journal, 1, 116, 2006, pp. 72 e ss.
- ‘Questa non è democrazia, questa è tirannia del potere giudiziario’ ha postato Musk su X, per come riportato dagli organi di informazione, si veda L. Casiano, Musk blasts judges over Trump executive orders, in Fox News, 25 febbraio 2025. Piuttosto singolare che si sia passati, alle latitudini della Silicon Valley, dal concepire la democrazia come tendenziale disvalore a una declinazione quasi giacobina e da volontà generale non sottoposta ad alcun freno della stessa. Sulla pericolosità delle tendenze populiste che nel popolo leggono una forza in grado di trasmettere una legittimazione assoluta e su quanto Trump avesse già tentato nella sua prima amministrazione di prendere il controllo del giudiziario, Y. Mény, Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico, Bologna, Il Mulino, 2019, p. 145.
- Disruptive è la parola d’ordine dei nuovi soggetti egemoni nell’amministrazione trumpiana, una lezione che arriva direttamente dalla cultura digitale. Più volte il termine è stato evocato in una ottica rivoluzionaria: il CEO di Palantir, Alexander Karp, salutando agli inizi di febbraio l’operato del D.O.G.E. ha dichiarato che le azioni disruptive sono le benvenute e che una rivoluzione è in corso, ci saranno alti e bassi e teste cadranno, J. Hornstein, K. Vlamis, Palantir CEO Alex Karp says DOGE is a ‘revolution’ and ‘some people are going to get their heads cut off’, in Business Insider, 4 febbraio 2025.
- In questa chiave di lettura si inserisce la proposta francese di offrire all’Europa uno scudo nucleare, cui la Germania di Merz pure guarda con interesse, J. Rothwell, J. C. Memphis Barker, C. Freeman, French nuclear shield extend across Europe, in The Telegraph, 24 febbraio 2025.