In L’Empire de l’ombre, ultimo numero cartaceo della rivista pubblicata da Gallimard, Le Grand Continent propone la prima traduzione integrale in francese del «Manifesto del movimento tecno-ottimista» di Marc Andreessen, investitore emblematico dell’élite tecnologica americana e promotore di un capitalismo autoritario e tecnofilo.
Questo testo — che potete leggere acquistando la rivista cartacea o abbonandovi all’offerta integrale — allo stesso tempo fulminante e sconcertante, sintetizza i principi di un nuovo immaginario politico proveniente dalla Silicon Valley, dove si mescolano un individualismo radicale, una fede incondizionata nella tecnologia e un rifiuto virulento delle istituzioni democratiche liberali. Esso catalizza una componente sempre più strutturante della dottrina trumpiana, di cui la rivista si sforza, da diversi mesi, di mappare le basi ideologiche da Curtis Yarvin a Peter Thiel.
Oltre alla parodia di Marinetti e del futurismo, questo manifesto rivendica in modo eccessivo l’eredità nietzschiana: abbiamo voluto analizzarlo in profondità chiedendo l’intervento di uno dei migliori studiosi francofoni di Nietzsche, Patrick Wotling. Professore di filosofia all’Università di Reims, cofondatore del Groupe international de recherche sur Nietzsche e autore di numerose opere importanti sul pensiero nietzscheano, Wotling ha contribuito a liberare Nietzsche da alcune caricature per restituirgli la sua profonda coerenza filosofica, in particolare attraverso una rilettura minuziosa dei suoi concetti di volontà di potenza, critica dei valori e genealogia della morale.
Dandogli voce, continuiamo il nostro lavoro di analisi critica delle idee che plasmano il nostro presente politico — al di là degli slogan, nel cuore dei testi.
Il pensiero di Nietzsche sembra particolarmente soggetto a fraintendimenti, semplificazioni, persino a distorsioni ideologiche — più o meno abili. Perché Nietzsche si presta così tanto a queste interpretazioni abusive? Cosa rivela questo della struttura stessa della sua opera?
Come voi, constato che Nietzsche è stato utilizzato, ormai da centocinquanta anni, in tutti i modi ideologici possibili e immaginabili, compresi i più estremi, ma anche i più contrari, i più incompatibili e i più contraddittori con la sua opera. Molto spesso Nietzsche viene mobilitato per fungere da sorta di garante intellettuale.
In materia politica, questo bisogno di trovare appoggi intellettuali è molto evidente. Perché questo ricade su Nietzsche più che su altri filosofi? Alcuni hanno subito la stessa sorte, ma forse in misura minore.
Dato che questo fenomeno è piuttosto persistente con Nietzsche, si può pensare che derivi da un elemento proprio della sua filosofia.
Mi chiedo – ma è solo un’ipotesi – se ciò non sia dovuto al suo atteggiamento molto singolare, «inattuale» per usare il suo vocabolario, cioè al di fuori delle correnti maggioritarie, di tutto ciò che è istituzionale. La sua capacità di interrogarsi, che è al centro della sua opera, e la posizione critica che attribuisce ai filosofi sono fattori di forte attrazione.
Non appena una corrente di pensiero pretende di costruirsi in opposizione a un potere costituito, il riferimento a Nietzsche viene abbastanza facilmente.
Patrick Wotling
A mio avviso, non sono le dottrine o le tesi – che del resto non esistono realmente in Nietzsche – ad attrarre queste persone, ma probabilmente questo atteggiamento marginale, questo atteggiamento che interroga. Non appena una corrente di pensiero pretende di costruirsi in opposizione a un potere costituito, il riferimento a Nietzsche viene abbastanza facilmente. La corrente può quindi vantare un grande antenato, un padre fondatore: questo è sicuramente un elemento che gioca un ruolo importante. Non vedo invece alcun elemento dottrinale che spieghi il riferimento, poiché le correnti che lo recuperano sono davvero troppo varie. In poco più di un secolo hanno coperto quasi tutto lo spettro politico. È quindi difficile immaginare che ci sia qualcosa di comune nella costruzione delle idee tra tutte queste correnti.
«L’Empire de l’ombre. Guerre et terre au temps de l’IA»
A cura di Giuliano da Empoli. Postfazione di Benjamín Labatut.
Con i contributi di Daron Acemoğlu, Sam Altman, Marc Andreessen, Lorenzo Castellani, Adam Curtis, Mario Draghi, He Jiayan, Marietje Schaake, Vladislav Sourkov, Peter Thiel, Svetlana Tikhanovskaïa, Jianwei Xun e Curtis Yarvin.
Da scoprire in libreria e abbonandosi alla rivista.
Il “Manifesto del movimento tecno-ottimista” si apre denunciando una visione del mondo basata sulla paura, il malthusianesimo e l’odio di sé, una morale “anti-vita” secondo i termini di Marc Andreessen. Questa diagnosi può sembrare fedele all’intuizione nietzscheana di un nichilismo passivo moderno, come quello che ritroviamo nella figura dell’Ultimo Uomo citata nel testo? In che misura questa denuncia, in particolare della regolamentazione, del principio di precauzione e dello statalismo, è conforme – o meno – all’ambizione nietzscheana di rivalutare tutti i valori?
C’è una cosa divertente – tragicamente divertente – in questo manifesto, ed è questa straordinaria arte dell’autodistruzione, dell’autoinannientamento, poiché Marc Andreessen usa Nietzsche per criticare tutto ciò che corrisponde al tecno-ottimismo.
Ad esempio, ed è piuttosto buffo, la citazione sull’Ultimo Uomo, peraltro troncata, tratta dal prologo di Così parlò Zarathustra, ricorda le caratteristiche dei sostenitori del manifesto, che corrispondono perfettamente all’immagine di questo Ultimo Uomo che essi pretendono di denunciare.
Il disaccordo è assoluto, il controsenso totale.
Ma non sono sicuro che per queste persone, questi ideologi, abbia molta importanza. Il loro obiettivo non è certamente quello di essere fedeli al pensiero nietzschiano, ma piuttosto quello di avere un’autorità intellettuale che, a un esame non troppo approfondito, dia l’impressione che ci siano degli intellettuali dalla loro parte. L’elenco dei «santi patroni del tecno-ottimismo» presentato alla fine del manifesto è molto lungo e comprende altri riferimenti artificiali, come quello a Bertrand Russell, per esempio.
È vero, ma Nietzsche occupa un posto particolare. Al di là del testo sull’Ultimo Uomo, viene mobilitato tutto un vocabolario nietzscheano (superuomo, risentimento, ecc.) e Nietzsche sembra davvero essere il filo conduttore del discorso. Si può comunque dire che il rapporto del filosofo con la tecnica è ambivalente: critica della civiltà meccanicistica, ma ammirazione per le forze creative che la tecnologia libera. È su questo che può basarsi il manifesto?
La domanda che lei pone è se queste persone siano sincere o meno, in altre parole se si tratti di cinismo o ingenuità. Quasi tutto ciò che viene detto su Nietzsche è molto vago, molto generico, molto confuso e spesso estremamente falso.
Il «Manifesto del movimento tecno-ottimista» è un festival di controsensi e distorsioni.
Per quanto riguarda il rapporto di Nietzsche con la tecnica, non sono sicuro che si possa sostenere che vi sia ambivalenza. Nietzsche non nutre una particolare ammirazione per la tecnica, né tantomeno la critica: Nietzsche non è Heidegger. Non credo quindi che vi sia il tipo di tensione che lei sospetta.
D’altra parte, Nietzsche può criticare l’organizzazione del lavoro nelle società europee contemporanee e il posto che viene dato al lavoro nell’epoca contemporanea. Il lavoro, ad esempio, è diventato un obbligo vitale, cosa che non è stata sistematicamente il caso per gran parte della storia dell’umanità.
Il secondo elemento che Nietzsche critica è la prosternazione davanti agli strumenti di questa organizzazione del lavoro. È su questo punto che interviene la tecnica: spesso essa ne fa parte, e sempre di più.
Marc Andreessen utilizza Nietzsche per criticare in realtà tutto ciò che corrisponde al tecno-ottimismo.
Patrick Wotling
Del resto, i tecno-ottimisti ci propongono esattamente questo progetto di prosternazione davanti alla tecnica, davanti alla tecnologia. C’è quindi di nuovo una contraddizione. Di per sé, per Nietzsche, una tecnica o un’evoluzione tecnica non è né buona né cattiva, è semplicemente uno strumento, come l’aratro, il fucile o la penna a sfera. Tutto dipende in definitiva dall’uso che se ne fa, quindi dall’intelligenza umana che la sfrutta e dagli scopi per cui queste tecniche vengono utilizzate.
L’intelligenza artificiale non innova da questo punto di vista, se non per la sua fenomenale potenza di calcolo: nell’idea, nell’orientamento, è un’innovazione tecnica esattamente come le altre. Non cambia nulla nella sostanza e non giustifica in alcun caso fantasie messianiche o millenaristiche.
Direbbe quindi che il discorso tecno-ottimista è una nuova forma di illusione di cui Nietzsche fa una critica radicale?
Assolutamente sì, ma non direi che è una novità.
Ciò che mi colpisce davvero in questo manifesto è quanto non sia nuovo, quanto siano vecchie idee, al di là dell’essere un ambiguo intellettuale.
È la pura e semplice ripresa di pregiudizi e fantasie del tutto triti e ritriti, che abbiamo visto e rivisto mille volte. Come dicevo, quando si legge questo manifesto, non si può fare a meno di chiedersi se sia ingenuo o cinico.
Se volessimo dire che c’è una novità, forse sarebbe l’effettiva vicinanza a un transumanesimo reale. La credenza nell’infinita perfettibilità dell’uomo è certamente sempre esistita, ma l’accelerazione degli sviluppi tecnologici rende questo orizzonte meno lontano.
Sono molto scettico su questo discorso. Un uomo che porta gli occhiali, come me in alcune circostanze, è un uomo potenziato. Non occorre andare molto lontano per trovare il miglioramento delle prestazioni delle capacità dell’individuo umano. Un uomo che ha subito un trapianto è un uomo potenziato. Un uomo che ha un’aspettativa di vita di 85 anni è un uomo potenziato rispetto a ciò che è stata l’umanità per il 99,99% della sua storia.
Andare oltre, invece, è pura fantasia.
Da questo punto di vista, il transumanesimo è un termine, come l’intelligenza artificiale, che va preso per quello che è: un’immagine, un’immagine molto negativa.
Non c’è alcun motivo serio per immaginare che si possa uscire dal rigido quadro dell’esistenza umana biologica. Si possono aumentare alcune cose, come si è aumentata la durata della vita, l’igiene di vita, la capacità di risposta agli agenti patogeni, ecc. Ma parlare di una modifica della specie è pura fantasia. E, del resto, questo non ha nulla a che vedere con il pensiero di Nietzsche.
Non c’è alcun motivo serio per immaginare che si possa uscire dal rigido quadro dell’esistenza biologica umana.
Patrick Wotling
Si può tuttavia leggere Nietzsche come una risorsa per inventare un atteggiamento lucido nei confronti del mondo tecnologico, una sorta di «grande stile» in un mondo saturo di dispositivi tecnici, digitali e normativi?
Sì, certamente. La società industriale europea del XIX secolo, in cui vive Nietzsche, è essa stessa caratterizzata da un fascino per la tecnica, la produttività, il produttivismo, l’economia di mercato. Tutte queste cose, che sono collegate tra loro, esistono già, anche se non nelle proporzioni tecnicistiche che conosciamo oggi. Quindi, anche se Nietzsche si pone ai margini di queste questioni, può servire come strumento di riflessione.
Va precisato innanzitutto che la risposta di Nietzsche non è una risposta politica. La politica è oggetto di una sua minimizzazione, di una sua negazione. Lo strato che, secondo lui, è veramente determinante nella vita umana è quello dei valori. La politica nel senso comune non raggiunge questa profonda assiologia e rimane quindi in uno stato relativamente superficiale. Questo è il motivo per cui Nietzsche poteva considerare che la politica non fosse interessante e che non ci fosse un’enorme divergenza tra le diverse dottrine politiche.
D’altra parte, la sua risposta filosofica e intellettuale è interessante.
A questo proposito si possono ricordare due cose: da un lato, il pensiero della probità e, dall’altro, il pensiero dell’educazione e della formazione intellettuale.
Filosoficamente, al centro del pensiero nietzscheano c’è la capacità di educarsi, di pensare con la propria testa, il che significa innanzitutto analizzare i discorsi e saper riflettere per individuare i pregiudizi, che Nietzsche rileva anche nei filosofi, il che dimostra quanto sia elevata la sua esigenza di probità. Egli incoraggia l’identificazione dei passi falsi, delle insufficienze, delle facilità, delle omissioni, dei riflessi ideologici, della servilità nei confronti delle correnti dominanti, del gregarismo, ecc. È questo che egli chiama essere «inattuale».
La formula «diventare la cattiva coscienza del proprio tempo» definisce bene il filosofo.
Questa esigenza di probità intellettuale, di verifica, di giustificazione, di rifiuto di tutto ciò che è vago o impreciso, di tutto ciò che è approssimativo, allusivo o fantastico è al centro del pensiero nietzscheano. In questo senso, ogni parola del manifesto del tecno-ottimismo cadrebbe sotto questo tipo di accuse.
Ogni parola del manifesto del tecno-ottimismo ricadrebbe sotto l’esigenza nietzscheana di probità intellettuale.
Patrick Wotling
Nietzsche è un pensatore della probità, ma anche un pensatore dell’educazione, perché la probità intellettuale e il rigore argomentativo sono cose che richiedono allenamento.
In sintesi, non sono quindi le dottrine particolari di Nietzsche che devono essere citate qui come risposta, ma piuttosto gli elementi che possono fungere da baluardo efficace contro le derive e l’assopimento intellettuale – tecnicista o di altro tipo: l’onestà, la capacità di testare, verificare o di qualche modo di essere esperti sono qualità intellettuali che devono essere risvegliate e allenate.
Tra i testi presentati nell’ultimo volume cartaceo di Grand Continent, c’è un testo di Jianwei Xun che difende il concetto di ipnocrazia. In sostanza e in modo molto semplificato, Xun sostiene l’idea che l’IA e le piattaforme americane siano ipnotizzatori che ci mettono in trance, una trance totale, permanente e senza punto focale. La lotta consisterebbe quindi nello sviluppare un doppio gioco di coscienza, una coscienza all’interno della trance e una coscienza all’esterno della trance, che sarebbe un modo per rimanere svegli, per affermare lo stile nella trance, in definitiva. Non è un po’ quello che ci dice quando parla dell’esigenza di probità e di educazione?
È una posizione piuttosto interessante. Ciò che farebbe sicuramente reagire Nietzsche di fronte al manifesto di Marc Andreessen – oltre alla sua prodigiosa inettitudine – è questa fantasia di controllo totale, questa paranoia unita a una volontà di controllo generalizzato.
Si può effettivamente preoccuparsi dell’ascesa di questa ipnosi tecnologica. Ma Nietzsche le risponderebbe che non esiste l’ipnosi totale. L’ipnosi generale, il controllo, la corrente irresistibile portata da un’ideologia sono costanti nella storia umana. La logica del cristianesimo è una forma di ipnosi. In certi momenti della storia, una popolazione può reagire a un’ideologia o a una dottrina, anche se le si dimostrasse mille volte a livello teorico che è piena di contraddizioni. Ciò non impedisce l’adesione.
Per Nietzsche, tuttavia, la capacità delle menti libere di analizzare e resistere rimane garantita, anche di fronte a minacce reali e importanti, come l’azione della corrente che ispira questo manifesto.
Prima ha citato il brano di Così parlò Zarathustra utilizzato nel manifesto, quello sull’ultimo uomo. Ha detto che il brano era troncato e che sarebbe interessante analizzare ciò che è stato omesso. Potrebbe approfondire questo punto?
Sì, assolutamente. Il manifesto riporta una lunga citazione dal preambolo di Così parlò Zarathustra.
«Che cos’è l’amore? Che cos’è la creazione? Che cos’è il desiderio? Che cos’è una stella? – chiede l’Ultimo Uomo, e sbatte le palpebre.
La terra è diventata piccola, e su di essa salta l’Ultimo Uomo, che rende tutto piccolo. La sua specie è inestirpabile come la pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo…
Si lavora ancora, perché il lavoro è un passatempo. Ma si sta attenti che questo passatempo non ci ferisca.
Non si diventa più poveri né ricchi; entrambi sono troppo pesanti…
Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono la stessa cosa; tutti sono uguali: chi la pensa diversamente entra volontariamente nella casa dei pazzi».
Per Nietzsche, la capacità delle menti libere di analizzare e resistere rimane garantita, anche di fronte a minacce reali e importanti, come l’azione della corrente che ispira questo manifesto.
Patrick Wotling
Quando si conosce questo testo, si nota – è divertente – che una parte è stata troncata senza alcun segno di interruzione dopo «Non si diventa più poveri né ricchi; entrambi sono troppo pesanti». Questo passaggio dice: «Chi vuole ancora governare? Chi vuole ancora obbedire? Sono due cose troppo penose».
«Chi vuole ancora governare?» è ovviamente la domanda che non si può fare a meno di porsi quando si legge questo manifesto.