I capi di Stato e di governo dell’UE sono stati complessivamente cauti nei loro commenti sulla campagna presidenziale statunitense, cercando di non prendere una posizione ufficiale a favore di una delle due parti.

  • Viktor Orbán, che giovedì 31 ottobre ha dichiarato su X (Twitter) di aver “augurato buona fortuna” a Donald Trump per telefono e di “tenere le dita incrociate” per la sua vittoria, rappresenta un’eccezione.
  • Il primo ministro ungherese aveva già incontrato l’ex presidente nella sua residenza di Mar-a-Lago lo scorso luglio per discutere della “pace” in Ucraina. Da allora, il leader ungherese e i suoi alleati hanno sostenuto con forza che Trump è il “presidente della pace”, l’unica persona in grado di porre fine alla guerra in Ucraina.
  • Orbán è il miglior alleato di Trump nell’UE: dal 2022, l’Ungheria ospita l’edizione europea del CPAC, l’incontro annuale delle forze di destra nazional-conservatrici alleate del Partito Repubblicano.
  • Robert Fico, primo ministro slovacco, è l’unico altro capo di Stato o di governo ad aver espresso una preferenza per il candidato repubblicano. Anch’esso vittima di un attentato a luglio, Fico ha fatto un parallelo tra l’attacco contro Donald Trump e quello contro di lui.
  • In quell’occasione, le sue provocazioni contro i media e gli avversari di Trump sono stati ampiamente interpretati come un sostegno all’ex presidente. Come Orbán, Fico ha ipotizzato un ruolo positivo di Trump nel conflitto ucraino e ha recentemente accusato l’Occidente di “prolungare la guerra” in un’intervista per la televisione di Stato russa.

Tra i potenziali sostenitori di Kamala Harris, sia nel centrodestra che nella sinistra europea, nessuno ha espresso un sostegno diretto. Tuttavia, diversi capi di Stato o di governo hanno criticato più o meno apertamente le posizioni di Donald Trump.

  • Ciò è stato particolarmente evidente nel discorso pubblico di Pedro Sánchez (Spagna, S&D), per il quale l’agenda politica di Trump e dei suoi alleati conservatori in Sud America e in Europa è un contro-modello da diversi anni.
  • Le critiche del centrodestra si sono concentrate sulla prospettiva di un disimpegno militare dall’Europa orientale. Ad esempio, Alexander De Croo (Belgio, RE) ha messo in dubbio la “pace” prevista per l’Ucraina. Allo stesso modo, Nikos Christodoulides (Cipro, PPE) ha espresso i suoi “timori” di un disimpegno americano dopo le elezioni.
  • Andrej Plenković (Croazia, PPE) ha riconosciuto una “difficile convivenza” in passato. Ulf Kristersson (Svezia, PPE), il cui Paese ha recentemente aderito alla NATO, ha osservato che la retorica di Trump “rischia di indebolire” il legame transatlantico.

Altri tre capi di Stato e di governo hanno rifiutato di fare un commento, ma sembrerebbero orientarsi naturalmente verso il campo democratico.

  • Robert Golob (Slovenia, RE) ha fatto visita a Biden in ottobre, ed il suo principale avversario politico a livello nazionale è Janez Janša, spesso descritto come il “Trump sloveno” per il suo populismo.
  • Quanto a Emmanuel Macron (Francia, RE), è stato preso in giro dall’ex presidente degli Stati Uniti durante un meeting lo scorso gennaio. Almeno a partire dal 2018, i rapporti tra i due capi di Stato sono apparsi tesi, come le indicano le critiche reciproche scambiate tra i due uomini attraverso i media. A gennaio, Emmanuel Macron ha liquidato la questione della sua preferenza per le prossime elezioni, dichiarando che avrebbe “trattato con i leader che il popolo gli avrebbe dato”.
  • Anche Mette Frederiksen (Danimarca, S&D) ha avuto un rapporto teso con il Presidente Trump, dopo che quest’ultimo aveva suggerito nel 2019 che gli Stati Uniti potrebbero “comprare la Groenlandia” dal Regno.

L’unico commento esplicitamente positivo su Kamala Harris è arrivato da Berlino. A luglio, il Cancelliere Olaf Scholz (S&D) ha descritto la Vicepresidente come “un politico competente ed esperto che sa esattamente cosa sta facendo e che ha un’idea molto chiara del futuro del suo Paese”. La dichiarazione è stata percepita in maniera unanime dalla stampa tedesca ed internazionale come un implicito appoggio alla candidata democratica.

  • All’interno del PPE, molti capi di Stato e di governo hanno esplicitamente rifiutato di esprimere una preferenza. È il caso del cancelliere austriaco Karl Nehammer (PPE), che ha affermato che le relazioni transatlantiche si costruiranno “su solide fondamenta indipendentemente dall’amministrazione in carica a Washington”.
  • In un delicato equilibrio retorico, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis (PPE) ha recentemente rifiutato di commentare i possibili esiti del voto, pur esprimendo nella stessa conversazione preoccupazione per i rischi istituzionali di una “seconda vittoria” del populismo in vari Stati.
  • Negli ultimi mesi, il primo ministro greco ha avuto uno scambio di opinioni con i rappresentanti di entrambi gli schieramenti, così come il primo ministro finlandese Petteri Orpo (PPE). Su una linea simile, il primo ministro lussemburghese Luc Frieden (PPE) si è limitato a dire di essere “preparato a tutti gli scenari”.

In Europa orientale, l’affermazione della neutralità rispetto al duello Harris-Trump va di pari passo con il desiderio di preservare la solidità dell’alleanza e la presenza delle truppe americane indipendentemente dall’esito del voto.

  • Gitanas Nausėda (Lituania, Ind.), Klaus Iohannis (Romania, PPE) e Evika Siliņa (Lettonia, PPE) hanno rilasciato dichiarazioni in tal senso. Nel febbraio 2024, dopo la minaccia di Trump di lasciare che la Russia “faccia quello che diavolo vuole” se gli europei non avessero raggiunto gli obiettivi rispetto ai contributi alla NATO, la premier lettone ha insistito sull’importanza di questi obiettivi per mantenere gli Stati Uniti nell’alleanza.

I due membri più influenti del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), storici alleati del partito repubblicano in Europa, si trovano in una posizione ambigua.

  • A Praga, Petr Fiala, a capo di un governo conservatore, è in aperto conflitto con l’ex primo ministro e miliardario Andrej Babiš, soprannominato “il Trump ceco”. Non sorprende che la sua aperta neutralità sia in linea con quella dei suoi colleghi del PPE.
  • La situazione è ancora più complessa a Roma. Giorgia Meloni, che non si è espressa ufficialmente sull’argomento, sembra combattuta tra le sue affinità ideologiche con il campo conservatore ed i suoi interessi economici e geopolitici a medio termine. Dal 2022, la premier italiana si è riposizionato su una linea nettamente atlantista, in opposizione a Matteo Salvini (PfE).
  • Soprattutto, essendo a capo di un’economia con un surplus commerciale con gli Stati Uniti di 44 miliardi di dollari nel 2023, Meloni ha molto da perdere da una guerra commerciale transatlantica.