Giorgia Meloni ha commesso il primo grande passo falso della sua carriera da Presidente del Consiglio. Con il voto contrario alla rielezione di Ursula von der Leyen la premier annulla un percorso di legittimazione presso le istituzioni europee e di collaborazione con la Commissione che ha caratterizzato l’ultimo anno e mezzo di governo. Meloni ha vanificato oltre un anno di sforzi per accreditarsi a Bruxelles e costruire un rapporto proficuo con la Commissione Europea ed è rimasta intrappolata nelle logiche partitiche, italiane ed europee, e nella paura di lasciare il nido della destra euroscettica e nazionalista.
Fratelli d’Italia finisce all’opposizione totale nel Parlamento Europeo, schiacciato sulle stesse posizioni del gruppo sovranista dei Patrioti di Salvini, Le Pen e Orbán, mentre Forza Italia vota a favore con il PPE.
Il governo italiano non esce bene da queste negoziazioni per gli incarichi europei: la sera delle elezioni l’esecutivo Meloni si presentava come il più forte e stabile d’Europa, ma esce dalle trattative con nulla in mano. Ci sarà un commissario come da regola, ma non una vice-presidenza esecutiva. Anche il commissario dovrà essere discusso con la Presidente della Commissione e una maggioranza che saranno poco amichevoli verso il partito di Meloni. Non è da escludersi che possa anche saltare il nome (il ministro del suo partito Raffaele Fitto) che la premier aveva in mente per la Commissione.
Fratelli d’Italia non solo non è stata decisiva per l’elezione della Presidente, ma è finita nell’angolo della destra radicale, costretta a seguire Salvini, Orbán e Le Pen senza potersi intestare l’opposizione ai partiti europeisti. In altre parole, Meloni è rimasta schiacciata tra le trame di Scholz e Macron, che puntavano ad escludere tutta la destra dalla maggioranza europea a partire da Meloni che rappresentava la versione di successo e di governo della stessa, e quelle di Orbán, che voleva unire tutta la destra nell’opposizione influenzando i conservatori.
Si tratta di un fallimento chiaro. Ha ragionato e gestito male le trattative: la cocciuta opposizione a Von der Leyen dopo il Consiglio Europeo di fine giugno, dove Meloni si è offesa per non esser stata consultata dai partiti della maggioranza uscente sui top jobs, ha spinto la presidente in pectore ad aprire ai Verdi, i quali hanno più pragmaticamente di Meloni accettato l’offerta. Così Von der Leyen si è ritrovata in una posizione più forte verso Meloni e probabilmente non ha ceduto sulle richieste italiane di un commissario con un grande portafoglio.
Meloni è finita nel pantano, incalzata dal nuovo gruppo dei patrioti e parte dei conservatori per opporsi a Von der Leyen ed esclusa dalla maggioranza uscente disposta a minori concessioni verso il governo italiano. Alla fine Fratelli d’Italia ha optato per la contrarietà al bis, unico grande partito di governo di un grande paese fondatore a mettersi fuori da tutto, sia sul voto alla Presidente che sull’ingresso in maggioranza.
Questo disastro senza logica politica significa che l’Italia avrà più difficoltà a relazionarsi con la Commissione. Una domanda semplice si pone: perché Von der Leyen dovrebbe tendere una mano a Meloni che l’ha bocciata in Parlamento se l’Italia dovesse trovarsi in difficoltà sul piano finanziario, dell’esecuzione del PNRR o della gestione dell’immigrazione?
Meloni ha preferito ragionare da capo politico che da Presidente del Consiglio di un paese dell’eurozona, con un grande debito pubblico, un enorme PNRR da gestire, esposizione alle ondata migratorie.
Il voto non espone l’Italia per forza all’isolamento, ma è chiaro che questo voto contrario ridurrà gli sconti e aiuti di cui il governo ha potuto godere fino ad oggi.
Si è peraltro creata una spaccatura con Forza Italia che oggi può vantarsi di essere l’unico vero interlocutore della Commissione, e si è ravvivata la Lega, capace di influenzare le decisioni della premier con l’incalzante retorica euroscettica.
Il voto sul Presidente non significava entrare automaticamente in maggioranza ma stabilire un buon rapporto bilaterale tra governo italiano e Commissione.
È davvero valsa la pena votare contro il bis di Von der Leyen? Giorgia Meloni dimostra ancora una volta i limiti della destra italiana, tutta votata al consenso e al mantenimento delle posizioni politiche originarie, incapace di rompere con l’euroscetticismo e il sovranismo fino in fondo, priva nei fatti di una cultura di governo e di culto della ragione di Stato.
Nelle sue stesse condizioni, cioè al governo e all’apice del consenso elettorale, i gollisti francesi, la CDU tedesca o il PP spagnolo avrebbero gestito così la partita europea?
La risposta è no, perché questi sono partiti che hanno dimestichezza col potere mentre Fratelli d’Italia è un ibrido rimasto a metà del guado. Sono errori che il governo Meloni pagherà perché le difficoltà, interne o esterne, arriveranno e avere un rapporto freddo con la Commissione e i capi di governo degli altri principali paesi europei non aiuterà.