Il principio della giustizia climatica e le politiche di ridistribuzione che questo implica – dai Paesi a più alte emissioni ai Paesi a più basso reddito – sarebbero sostenute dalla maggioranza dell’opinione pubblica dei Paesi a reddito medio-alto.
- Secondo i risultati – inaspettati a prima vista, viste le attuali situazioni di stallo e le tensioni che circondano il finanziamento della transizione climatica e la giustizia climatica – di uno studio del World Inequality Lab, l’opinione pubblica di una ventina di Paesi ad alto e medio reddito, che rappresentano oltre il 70% delle emissioni globali di CO2, è in maggioranza favorevole a una ridistribuzione globale tra Paesi, volta all’aiuto allo sviluppo e al finanziamento della transizione climatica.
Questo recente studio conferma un dato classico sulla percezione degli aiuti allo sviluppo: l’opinione pubblica dei Paesi donatori ha una forte tendenza a sovrastimare l’importo degli aiuti internazionali rispetto all’importo effettivo, e la maggioranza dell’opinione pubblica non vuole ridurre gli aiuti una volta conosciuto l’importo effettivo.
- Anche l’introduzione di una tassa globale sui milionari per finanziare i Paesi a basso reddito è sostenuta dalla maggioranza assoluta degli intervistati in tutti questi Paesi.
- Secondo gli autori, l’inclusione di una politica con effetti ridistributivi come una tassa globale sul carbonio in un programma elettorale non sarebbe quindi svantaggiosa in una corsa elettorale, tutt’altro.
- Da questo risultato, gli autori derivano l’ipotesi che gli ostacoli all’attuazione di politiche di questo tipo siano da cercare al livello dei governi e dei leader, che non riflettono le opinioni pubbliche nazionali su questo punto.
Questo dato può rivelarsi critico in vista della COP 28, che riunirà i leader mondiali a partire dal 30 novembre per discutere la questione irrisolta del finanziamento della transizione energetica (in termini di ordini di grandezza, l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha stimato il fabbisogno in 4.000 miliardi di dollari all’anno per il periodo 2026-2030) e dell’adattamento al cambiamento climatico nei Paesi a basso reddito – che sono tra i minori produttori di emissioni a livello globale.