La vita di Giorgio Napolitano, nato nel 1925 e morto il 22 settembre, illumina l’intera fase della storia nazionale dal Dopoguerra. Siamo davanti a un uomo che si è avvicinato alla politica in giovane età e vi si è poi dedicato completamente fino all’ultimo respiro, e allo stesso tempo un intellettuale dalla cultura sconfinata, sottile e raffinato, ma anche esperto di economia e di questioni istituzionali. Ha scritto numerosi libri e ricevuto molti riconoscimenti prestigiosi, in Italia e in Europa, tra cui una laurea Honoris causa alla Sorbona nel 2010. Fin da giovanissimo ha militato nel PCI, il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, ben radicato nella penisola e, soprattutto, capace di affascinare molti attivisti e intellettuali di sinistra ben oltre i confini del Paese a partire dagli anni Sessanta. Non solo ha vissuto l’evoluzione, a volte tortuosa, del suo partito, ma dalla metà degli anni Sessanta in poi ha avuto un ruolo fondamentale nei dibattiti sui cambiamenti di orientamento e di identità del PCI, senza sempre convincere la massa dei suoi compagni. Ancorato a Napoli, legato al Mezzogiorno, impegnato a trovare soluzioni alla questione meridionale che ha ossessionato l’Italia dall’unità, analizzò anche le notevoli trasformazioni socio-economiche del Paese e le numerose crisi politiche che lo scuotevano, cercando costantemente di proporre delle idee e una strategia d’azione per il suo partito. Nel corso degli anni, poi, ha allargato lo spettro dei suoi interessi a livello internazionale, cercando per decenni di sciogliere il complesso nodo costituito, da un lato, dal sempre più problematico rapporto storico del suo partito con l’Unione Sovietica e, dall’altro, dal riconoscimento, su impulso suo e di altri a lui vicini, dei meriti e dei vantaggi dati all’Italia dall’Europa, dalla NATO e persino dagli Stati Uniti. Inizialmente critico nei confronti della socialdemocrazia, il leader comunista avviò a nome del suo partito un dialogo con i partiti che si dichiaravano socialdemocratici e alla fine vi aderì con armi e bagagli.

Infine assurse alle più alte responsabilità e, a coronamento di una carriera straordinaria, venne eletto Presidente della Repubblica all’età di 81 anni, diventando così il primo comunista a ricoprire questa carica, oltre alla persona più anziana. Per la prima volta nella storia della Repubblica, fu rieletto per un secondo mandato nel 2013, prima di abbandonare la carica nel 2015. Ricoprì questo incarico in un momento di grande tensione politica, nazionale e internazionale. Già prima del suo ingresso al Quirinale aveva acquisito un peso politico e simbolico particolarmente forte, che volutamente rafforzò, dando vita a grandi polemiche tra esperti costituzionalisti e politici. Politico di grande esperienza, si è cimentato in sottili manovre tattiche, a volte pesantemente criticate e non sempre vincenti, bilanciate però da una visione ampia dell’Italia – del suo passato, del suo presente, del suo futuro – dell’Europa e del mondo, che ha esposto in discorsi di altissimo livello, anche nelle altre lingue europee. 

La sua reputazione e la sua visibilità in Italia e all’estero ne uscirono rafforzate e il suo prestigio si moltiplicò. Per chi lo ha conosciuto e ha avuto l’onore di incontrarlo, Giorgio Napolitano è stato un uomo impressionante, di eccezionale statura senza mai essere intimidatorio, estremamente cortese, estremamente curioso, sempre aperto al dialogo, alternando conversazioni di rara profondità a battute maliziose. 

Inizialmente critico nei confronti della socialdemocrazia, il leader comunista avviò a nome del suo partito un dialogo con i partiti che si dichiaravano socialdemocratici e alla fine vi aderì con armi e bagagli

MARC LAZAR

Giorgio Napolitano è stato un figlio del fascismo1. Quando nacque, Mussolini era al potere da tre anni e nello stesso anno iniziò la trasformazione del fascismo in un regime a partito unico con la promulgazione delle leggi fascistissime. La sua famiglia borghese viveva a Napoli, il padre era un avvocato liberale piuttosto tradizionalista che avrebbe avuto grandi difficoltà ad accettare il futuro coinvolgimento politico del figlio, mentre la madre era di origini nobili.

Il giovane Giorgio inizia gli studi al prestigioso liceo classico Umberto I, che prosegue a Padova, dove i genitori si sono trasferiti: in questa città del Nord inizia a frequentare gli ambienti antifascisti. A 17 anni torna nel capoluogo partenopeo per studiare legge alla Federico II. Come tutti i giovani dell’epoca, strettamente controllati dal sistema totalitario messo in atto dal fascismo, fa parte del Gruppo Universitario Fascista (GUF) della città. Spicca la sua passione per le arti, in particolare per il teatro, di cui si occupa nella sua rubrica sul settimanale del Gruppo. Con il crollo del regime, alcuni giovani studenti erano in fermento: speravano nella vittoria degli americani sbarcati in Nordafrica nel novembre 1942, seguivano festanti i progressi dell’Armata Rossa di Stalin e apprendevano il marxismo. Mussolini viene deposto il 25 luglio 1943, Badoglio annuncia l’8 settembre di aver firmato un armistizio con gli Alleati e la Germania invade il Paese, gettandolo in un caos spaventoso. Giorgio Napolitano visse nella sua Napoli, bombardata da mesi e afflitta da povertà e degrado diffuso, fornendo il materiale per l’avvincente romanzo La pelle di Curzio Malaparte (con il quale Napolitano strinse un rapporto intellettuale e politico eclatante) e che guidò la popolazione a sollevarsi dal 27 al 30 settembre 1943 contro l’occupazione tedesca. Giorgio Napolitano, impegnato con i comunisti locali fin dal 1944, fece il grande passo e si iscrisse al PCI nel novembre dell’anno successivo. 

Palmiro Togliatti, segretario del PCI, arrivò a Napoli il 27 marzo 1944 dall’URSS e, con il suo acume, applicò le grandi linee strategiche del Cremlino. Per il momento rifiuta di prendere il potere da solo, la priorità è la sconfitta del Terzo Reich, ma persegue una politica di unità nazionale e cerca di costruire una solida organizzazione, inserita negli angoli della società italiana per condurre una «guerra di posizione» e stabilire una forma di «egemonia culturale», per usare le parole di Antonio Gramsci, di cui Togliatti si dichiara erede, controllando strettamente la pubblicazione delle sue opere. Il partito aveva bisogno di talenti, soprattutto nel Sud, che ne diffidava. Peggio ancora, il PCI si scontrò con le élite locali, in particolare con i proprietari terrieri e la borghesia urbana, che lo osteggiarono violentemente. Va ricordato che nel referendum del 2 giugno 1946, il Paese scelse la repubblica ma non il Mezzogiorno e tantomeno Napoli, che votò per quasi l’80% per il mantenimento della monarchia.

All’età di 22 anni, Giorgio Napolitano divenne «funzionario» del partito, facendo della politica la sua professione, invece di diventare avvocato come suo padre. Tuttavia, completò gli studi, conseguendo la laurea in giurisprudenza con una tesi sul mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno. All’interno del partito, due leader nazionali di grande esperienza, legati al Meridione, lo segnano e contribuiscono a formarlo: Giorgio Amendola ed Emilio Sereni.

Come molti giovani intellettuali che si avvicinarono al comunismo in quel periodo, la formazione di Napolitano si basò sulla lettura, sul lavoro marxista sulla situazione del Meridione e sul confronto quotidiano con le realtà economiche, sociali, culturali e umane delle «classi subalterne», per usare ancora una volta l’espressione di Gramsci. Dopo essere stato estromesso dal governo di unità nazionale di Alcide De Gasperi nel maggio 1947 e aver subito una pesante sconfitta nelle elezioni dell’aprile 1948, il PCI entrò nel vivo della Guerra fredda e si allineò più che mai a Mosca. Giorgio Napolitano diventa un comunista stalinista con un tocco italiano.

Come molti giovani intellettuali che si avvicinarono al comunismo in quel periodo, la formazione di Napolitano si basò sulla lettura, sul lavoro marxista sulla situazione del Meridione e sul confronto quotidiano con le realtà economiche, sociali, culturali e umane delle «classi subalterne»

MARC LAZAR

Dotato di grandi capacità politiche, percorre le tappe del cursus honorum del suo partito. Leader della federazione di Caserta nel 1951, viene eletto alla Camera dei Deputati due anni dopo; rimarrà in in carica per 43 anni, ad eccezione dell’unica legislatura dal 1963 al 1968.

Nel febbraio 1956, il rapporto segreto di Kruscev al XX Congresso del CPSU denunciò alcuni dei crimini di Stalin. La sua pubblicazione, quattro mesi dopo, scosse il movimento comunista internazionale, compreso il PCI. Togliatti, in una posizione difficile e costretto da una disputa interna a riconoscere la veridicità del rapporto, si riprende rilasciando un’intervista nel giugno dello stesso anno alla rivista Nuovi argomenti. Egli sostiene la fine del partito guida, quello dell’URSS, e propugna il policentrismo per il comunismo internazionale senza rompere con Mosca. Tuttavia, nel novembre 1956, in occasione della rivolta di Budapest, invocò l’intervento dei carri armati dell’Armata Rossa e ne accolse la spietata repressione. Napolitano lo approvò pienamente, pentendosene in seguito nella sua autobiografia. Criticò duramente anche i comunisti dell’opposizione, che contestavano la leadership del partito. La sua fedeltà e lealtà alla linea del segretario furono premiate.

All’ottavo congresso del PCI si unì a molti altri giovani ortodossi del Comitato centrale. Salì sempre più in alto nella gerarchia del partito e nella vita istituzionale del Paese. Ricoprì vari incarichi nella direzione centrale, dove si costruì una solida reputazione. Lo stesso accadde alla Camera, dove fu attivo in diverse commissioni: era un esperto di economia politica, di Mezzogiorno, di politica industriale e di sindacati. Dal 1963 al 1966 fu segretario della Federazione comunista di Napoli. La sua ascesa continuò anche dopo la morte di Togliatti, nell’estate del 1964. Quando gli successe Luigi Longo, il partito fu attraversato da un dibattito tra due sensibilità principali (le correnti erano ufficialmente vietate). Il partito di Pietro Ingrao, detto «movimentista», era piuttosto radicale e cercava di sfruttare le proteste che cominciavano a emergere nell’Italia che cambiava, criticando i socialisti che avevano rotto l’alleanza con i comunisti per governare con la Democrazia Cristiana. Il partito di Giorgio Amendola, pur essendo filo-sovietico, era più attento al rispetto delle istituzioni, cercava riforme costruttive e intendeva mantenere i rapporti con il PSI. Napolitano scelse l’approccio del suo mentore; negli anni successivi sarebbe stato definito dai suoi avversari, non senza una certa condiscendenza, «migliorista».

Giorgio Napolitano rimase su queste posizioni, ma come responsabile della politica culturale del PCI dal 1969 al 1975, si sforzò di stabilire relazioni e dialogo con i non comunisti

MARC LAZAR

Nel 1972 a capo del partito arrivò Enrico Berlinguer. Egli cercò di trovare un equilibrio tra le due sensibilità in un momento in cui, a partire dal 1967-1968, l’Italia attraversava un susseguirsi di proteste che coinvolgevano l’intera società e si trasformarono in violenti attacchi terroristici, prima da parte dell’ultradestra e poi dell’ultrasinistra. In questo contesto, Giorgio Napolitano divenne uno dei principali leader del PCI. A partire dal 1973, il partito intraprese una politica di compromesso storico, cercando un accordo di governo con la Democrazia Cristiana, che fallì e fu abbandonato sei anni dopo. Contemporaneamente, soprattutto dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia il 21 agosto 1968, gesto condannato dal partito italiano, il PCI intraprese la strada di quello che venne chiamato Eurocomunismo, a cui aderirono i partiti spagnolo e francese. L’obiettivo era quello di definire una strategia per accedere al potere in Europa occidentale nel rispetto delle regole della democrazia rappresentativa, prendendo le distanze dall’URSS e criticandola anche per le sue politiche interne e persino internazionali, senza però tagliare i ponti con essa. Si riconobbe il ruolo storico della Rivoluzione d’Ottobre e la forza che essa rappresentava di fronte all’imperialismo americano e alle potenze capitaliste. Di conseguenza, il PCI, molto cauto e timido, non sostenne mai i dissidenti dell’Est, a differenza dei socialisti, che lo tagliarono fuori da molti intellettuali. Giorgio Napolitano rimase su queste posizioni, ma come responsabile della politica culturale del PCI dal 1969 al 1975, si sforzò di stabilire relazioni e dialogo con i non comunisti. 

In questo senso, la sua fama si diffuse oltre i confini italiani, ad esempio con la pubblicazione nel 1976 del libro Intervista sul PCI con lo storico Eric Hobsbawm, che venne tradotto in molte lingue. 2 Nello stesso periodo, e ancor più in seguito, divenne ministro degli Affari esteri del PCI. Cominciò a discutere con i socialdemocratici, in particolare quelli della SPD, e a familiarizzare con le complessità dell’integrazione europea, che lui e il suo partito avevano inizialmente condannato, ma che gradualmente erano arrivati a sostenere. Ottenne un visto per una serie di conferenze presso le università americane e visitò anche alcune istituzioni di grande prestigio in Germania e in Gran Bretagna. Fu membro della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, di cui divenne in seguito presidente. Dal 1984 al 1992 e dal 1994 al 1996 è stato membro della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della NATO. Acquisisce così una statura internazionale senza precedenti nel suo partito, ampiamente riconosciuta da tutte le altre forze politiche italiane, compresi i suoi principali avversari. Nel 1989 viene eletto al Parlamento europeo. Vi siede fino al 1992 e di nuovo dal 1999 al 2004, affermandosi come uno dei parlamentari più ascoltati e rispettati. Grazie alla sua conoscenza degli affari internazionali e ai suoi solidi contatti con i decisori di ogni tipo, Giorgio Napolitano ha esercitato un’influenza decisiva sulla politica internazionale del suo partito, che è diventata sempre più europeista e non ha più messo in discussione l’appartenenza dell’Italia alla NATO, che aveva denunciato al momento della sua formazione. Con la voce di Berlinguer, il PCI condannò l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 e il colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia nel 1981. 

Grazie alla sua conoscenza degli affari internazionali e ai suoi solidi contatti con i decisori di ogni tipo, Giorgio Napolitano ha esercitato un’influenza decisiva sulla politica internazionale del suo partito, che è diventata sempre più europeista e non ha più messo in discussione l’appartenenza dell’Italia alla NATO

MARC LAZAR

Pur avendo presieduto il gruppo parlamentare comunista alla Camera dal 1981 al 1986 e accumulato molta influenza, Napolitano non succedette a Enrico Berlinguer dopo la morte di quest’ultimo nell’estate del 1984. La sua appartenenza all’ala moderata «migliorista» glielo impedì, poiché la maggioranza dei membri del partito era più a sinistra. Il PCI, che aveva ottenuto guadagni spettacolari durante gli anni Settanta, era ora in declino elettorale, isolato e come una barca in tempesta, privo di una strategia chiara ed efficace. Napolitano, che si stava avvicinando sempre più al socialismo europeo, difendeva un orientamento riformista che avrebbe comportato un’alleanza con il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, che stava cercando di riequilibrare i rapporti di forza con i comunisti, da lui detestati. Non fu ascoltato. Tuttavia, dopo la caduta del Muro nel 1989, Napolitano sostenne pienamente il nuovo segretario del PCI, Achille Occhetto, che proponeva di abbandonare l’identità comunista. Nel 1991 nacque il Partito Democratico della Sinistra (PDS), che sette anni dopo divenne Democratici di Sinistra (DS) e poi Partito Democratico (PD) nel 2007. Giorgio Napolitano era il vecchio saggio di questo partito, guidato da giovani che si erano formati con Berlinguer. Nel Paese si stava avviando una nuova sequenza politica, che ha avuto una svolta senza precedenti nel 1994 con il crollo del sistema partitico, Mani Pulite e l’emergere in politica di nuovi attori, tra cui ovviamente Silvio Berlusconi. Ciò ha portato Giorgio Napolitano ad assumere responsabilità istituzionali sempre più importanti. È stato Presidente della Camera dei Deputati dal 1992 al 1994 e poi Ministro dell’Interno dal 1996 al 1998 nel governo di Romano Prodi. Nel 1998, insieme al ministro della Solidarietà sociale Livia Turco, ha fatto approvare una legge che, da un lato, mirava a favorire l’integrazione degli immigrati regolari facilitando l’accesso alla cittadinanza italiana e, dall’altro, cercava di controllare l’immigrazione clandestina aprendo campi di accoglienza ed espellendo gli immigrati. Un anno dopo aver terminato il suo mandato a Strasburgo, nel 2005, è stato nominato senatore a vita dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi. L’anno successivo, il 10 maggio 2006, 543 parlamentari su 991 votanti lo hanno eletto undicesimo Presidente della Repubblica.

Come abbiamo detto, è la prima volta che un ex comunista accede alla Presidenza della Repubblica e ciò rappresenta una svolta storica di massima importanza. Egli intende fare ancora di più dei suoi predecessori per essere all’altezza delle aspettative riposte in lui dall’istituzione della presidenza, perché è consapevole che il suo passato di militante nelle file del PCI preoccupa alcuni settori dell’opinione pubblica: deve quindi mostrarsi assolutamente imparziale e riunire gli italiani in un momento in cui molte questioni li dividono profondamente. Nonostante l’età avanzata, 81 anni, Napolitano è un Presidente molto attivo in Italia, in Europa e a livello internazionale. Intende garantire il buon funzionamento delle istituzioni. Per questo critica il regolare ricorso ai decreti legge e ai voti di fiducia da parte dei governi di Romano Prodi e Silvio Berlusconi, e ribadisce l’importanza del lavoro del Parlamento, a cui è molto legato.

Come abbiamo detto, è la prima volta che un ex comunista accede alla Presidenza della Repubblica e ciò rappresenta una svolta storica di massima importanza

MARC LAZAR

Durante il governo Berlusconi, dal 2008 al 2011, i rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale sono stati spesso tesi. Il Presidente della Repubblica si rifiutava di approvare alcuni testi e, se si sentiva obbligato a firmare leggi che disapprovava, non esitava a rendere noto il suo punto di vista critico. La destra accusa il Presidente di ostacolare l’azione dell’esecutivo, mentre la sinistra e il Movimento 5 Stelle lo criticano per aver controfirmato troppe leggi emanate dall’esecutivo. Nei tre anni in cui Silvio Berlusconi ha guidato il suo ultimo governo, si sono in un certo senso scontrate, o meglio mobilitate, due legittimità: il Presidente del Consiglio sosteneva di aver ricevuto l’unzione del suffragio universale, che gli permetteva di agire come voleva, o quasi, mentre il Presidente della Repubblica si richiamava al potere conferitogli dalla Costituzione. Giorgio Napolitano svolge un ruolo decisivo anche nelle crisi di governo. Quelle dell’esecutivo di centro-sinistra di Prodi nel 2007 e nel 2008, durante le quali ha lottato per trovare soluzioni parlamentari ed evitare le elezioni anticipate; impresa riuscita nel 2007 ma fallita l’anno successivo.

Nel 2011, l’ultimo governo di Silvio Berlusconi, insediatosi nel 2008 dopo la vittoria nelle urne IN primavera, è stato indebolito dagli scandali del Presidente del Consiglio e dal grave deterioramento della situazione economica interna dovuto, tra l’altro, agli effetti della crisi dei subprime, iniziata negli Stati Uniti nel 2007 e che ha colpito tutto il mondo l’anno successivo. Napolitano ha accompagnato le pressioni della Banca Centrale Europea, del presidente francese Nicolas Sarkozy e della cancelliera Angela Merkel per cambiare il governo. Il 12 novembre, sottoposto a universale pressione, Silvio Berlusconi presenta le sue dimissioni al Presidente della Repubblica. Napolitano mette a segno un vero e proprio colpo da maestro – un colpo di forza secondo i suoi detrattori – che ha giustificato con la necessità di salvare il Paese, ma che ha fatto scorrere molto inchiostro. Giorgio Napolitano, che il 10 novembre aveva nominato senatore a vita Mario Monti, economista, presidente della Bocconi ed ex commissario europeo, è riuscito, sei giorni dopo, a farlo nominare presidente del Consiglio dal Parlamento. L’esecutivo, composto da personalità tecniche, doveva rimettere in sesto l’economia della penisola e rassicurare le capitali europee e mondiali, oltre che i mercati finanziari. Questa nomina è stata accolta molto bene dagli attori internazionali, che hanno elogiato il Presidente Napolitano.

Tuttavia, ha dimostrato l’impotenza dei leader politici e la profonda sfiducia del Presidente della Repubblica nei loro confronti. Proprio perché Mario Monti è privo di esperienza politica, il suo governo sarà un governo Monti-Napolitano. Nel 2013, dopo che le elezioni di febbraio non hanno prodotto una chiara maggioranza, il Presidente sarà di nuovo in carica. Con il Parlamento incapace di designare il suo successore, accetta di svolgere un secondo mandato, ma a una condizione: la formazione da parte dei partiti di «un governo di larghe intese», cosa che solo il Movimento 5 Stelle, il maggior partito alle elezioni con quasi il 26% dei voti, si è rifiutato di fare. Il 20 aprile, 738 dei 997 voti espressi sono andati a suo nome. Tuttavia, Giorgio Napolitano ha annunciato fin dall’inizio che non avrebbe svolto il suo secondo mandato. Il 22 aprile, nel suo discorso di investitura al Parlamento, ha ammonito i partiti politici, criticando la loro incapacità di accordarsi per agire al servizio degli italiani. Nella settimana successiva ha contribuito alla nascita del governo di centro-sinistra di Enrico Letta, leader del Partito Democratico, con cui aveva un ottimo rapporto personale, ma che è durato solo pochi mesi (28 aprile 2013 – 22 febbraio 2014).

Ha poi chiamato Matteo Renzi, anche lui giovane leader del PD, verso cui provava una certa diffidenza. La sua preoccupazione era sempre la stessa: far durare la legislatura il più a lungo possibile e attuare le riforme che aveva indicato. Più in generale, l’operato di Giorgio Napolitano, soprannominato «Re Giorgio» da una certa parte della stampa italiana e straniera, ha suscitato polemiche. La destra, il Movimento 5 Stelle e la sinistra denunciano un presidente invadente, «un sovranista» che ha di fatto introdotto il «semipresidenzialismo», come ha scritto il settimanale Left il 27 luglio 2013. I costituzionalisti discutono sull’evoluzione della Presidenza della Repubblica, chiedendosi se Giorgio Napolitano, nelle circostanze eccezionali che l’Italia stava vivendo, stesse dando un’interpretazione piena e completa della Costituzione o se tendesse a forzarla un po’. 3

Più in generale, l’operato di Giorgio Napolitano, soprannominato «Re Giorgio» da una certa parte della stampa italiana e straniera, ha suscitato polemiche

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Giorgio Napolitano è fortemente impegnato nella commemorazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia nel 2011. Sulle orme del suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, si batte per una nazione italiana unita e orgogliosa, fondata sul patriottismo costituzionale, capace di integrare i milioni di immigrati che si sono ormai insediati nel Paese, che sta vivendo un inverno demografico e per i quali vorrebbe lo ius soli per facilitare l’acquisizione della cittadinanza italiana; si batte allo stesso modo per una nazione che sia anche ampiamente aperta all’Europa e non ripiegata su se stessa. Per l’Europa si è impegnato totalmente, soprattutto durante il governo Berlusconi, che spesso ha suscitato perplessità sulla realtà e sulla coerenza dell’impegno dell’Italia nel processo di integrazione. Come ha scritto Sergio Romano, giornalista, storico ed ex ambasciatore, Giorgio Napolitano è stato il garante dell’Italia in Europa. Viaggia anche in tutto il mondo per rappresentare al meglio il suo Paese e si occupa di sviluppare e attuare la politica estera italiana. Durante la sua presidenza, quest’uomo anziano non ha mai smesso di rivolgersi ai giovani. Riceve regolarmente diplomatici, alti funzionari, ricercatori, professori e dirigenti d’azienda di questa fascia d’età: li apprezza e li addita come esempio. Lo stesso fa con le giovani donne, nominando nel 2013 la biologa Elena Cattaneo senatrice a vita pur avendo solo 50 anni, una prima assoluta nella storia della Repubblica, e rendendo un commosso omaggio all’astronauta Samantha Cristoforetti il 22 dicembre 2014. In questo modo, il Presidente Napolitano ha voluto simbolicamente dare speranza alle nuove generazioni che si trovano ad affrontare i pesi e le rigidità della gerontocrazia italiana. Il 14 gennaio 2015, esausto, Giorgio Napolitano ha rassegnato le dimissioni, diventando senatore a vita. Con regolarità, accetta di rispondere a interviste e partecipa a dibattiti pubblici per esprimere il suo punto di vista: è così che approva il progetto di modifica costituzionale proposto da Matteo Renzi, ampiamente bocciato dal referendum del 2016.

Resta ora da vedere cosa la memoria collettiva conserverà di Giorgio Napolitano. Nulla è scritto in anticipo. Dipende, tra l’altro, da come lo percepiscono attualmente gli italiani. Una parte della sinistra apprezza la lunga vita del comunista Napolitano, mentre un’altra parte, critica nei confronti del PCI, lo ama poco, e ancor meno ama le sue tendenze riformiste. Un riformismo a cui non crede la destra anticomunista e antifascista, per la quale rimane un eterno «rosso» anche dopo il suo arrivo al Quirinale. Come Presidente della Repubblica era più rispettato perché l’istituzione stessa era rispettata come simbolo dell’unità del Paese. Tuttavia, non suscitò un entusiasmo travolgente, né si impegnò per farlo. Perché ha rifiutato di cedere alla personalizzazione e alla mediatizzazione della vita politica, perché ha voluto in ogni suo discorso fare appello alla coscienza e alla mobilitazione civica dei suoi concittadini, perché ha voluto mostrare la complessità delle sfide che l’Italia, l’Europa e il mondo devono affrontare, è forse per questo apparso troppo intellettuale ed esigente per una parte della popolazione. Infine, è indubbio che oltre l’Italia, tra le élite politiche e culturali europee e mondiali, Napolitano goda di un’ottima reputazione e di un’immagine ampiamente positiva. Lo testimoniano i vibranti omaggi che gli sono stati tributati alla notizia della sua morte, salutandolo come il grande europeo che era diventato. Il 24 settembre 2015, a Piacenza, concluse il suo intervento al Festival del diritto con queste parole: «Toccherà a ciascuno fare la propria parte iniettando nella vita dell’Unione quel lievito di cultura e di partecipazione democratica la cui carenza ha esposto a così seri fenomeni e rischi di logoramento il grande, insostituibile progetto europeo»4. Ora che egli stesso ha dato tanto di sé al servizio di questo ideale a cui si è convertito, osiamo sperare che il suo appello venga ascoltato, soprattutto in occasione delle elezioni europee del giugno 2024.

Note
  1. La sua autobiografia : Giorgio Napolitano, Dal PCI al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Bari-Roma, Laterza, 2005 e Paolo Franchi, Giorgio Napolitano. La traversata da Botteghe Oscure al Quirinale, Milano, Rizzoli, 2013.
  2. Giorgio Napolitano, Intervista sul comunismo a cura di Eric Hobsbawm, Bari-Roma, Laterza, 1975.
  3. Francesco Clementi, «Una monarchia repubblicana ? Un bilancio della Presidenza di Giorgio Napolitano», Rivista di politica, 4/2014, p. 5-8; Vincenzo Lippolis, Giulio M. Salerno, La presidenza più lunga. I poteri del capo dello Stato e la Costituzione, Bologna, Il Mulino, 2016.
  4. http://www.cde.unict.it/sites/cde.unict.it/files/files/2015-09-24-Piacenza-Festival-del-Diritto-layout-stampadocx-1.pdf