La questione delle potenziali cause economiche dei disordini avvenuti in Francia alla fine di giugno 2023 non è stata affrontata a sufficienza. Uno sguardo al database statistico dell’INSEE rivela che il consumo alimentare francese ha subito un calo mai sperimentato prima, del 17% rispetto al 2021. Il dato non è una completa sorpresa, dal momento che i prezzi dei prodotti alimentari in Francia sono aumentati del 22%, mentre erano rimasti stabili nel periodo precedente. Le rivolte che hanno scosso il Paese negli ultimi giorni non possono essere comprese a pieno senza tenere conto di questo dato.
Più in generale, le cifre sollevano la questione dell’impatto economico della guerra in Ucraina e delle sanzioni che l’accompagnano dall’anno scorso. Il tema non è popolare, ma potrebbe comunque determinare il futuro delle economie occidentali sviluppate. L’economista britannico John Maynard Keynes affrontò questioni simili in Le conseguenze economiche della pace (1919), che gli valse molte critiche negative. Le forze da lui discusse portarono al crollo per iperinflazione della Germania di Weimar, all’ascesa del nazionalsocialismo e alla Seconda guerra mondiale. Quando si parla di guerra, protezionismo ed economia, tutto questo è assolutamente fondamentale.
Le statistiche INSEE possono suscitare reazioni straordinariamente ostili, al limite della negazione della realtà: il consumo alimentare della Francia è diminuito di quasi un quinto dall’inizio della guerra in Ucraina, è chiaro che un’informazione del genere difficilmente lascia indifferenti.
In primo luogo, bisogna esaminare le cause profonde del fenomeno. Perché i prezzi delle derrate alimentari sono saliti al punto da determinare un calo senza precedenti dei consumi? Non è difficile da capire. L’abbondanza alimentare, come la conosciamo in Europa, si fonda sui fertilizzanti chimici. Prima della guerra in Ucraina, molti di questi fertilizzanti provenivano dalla Russia e dalla Bielorussia. Quando l’UE ha imposto sanzioni alla Russia, ha cercato di creare eccezioni per i fertilizzanti, ma senza successo. Sia per ragioni amministrative, sia perché la Russia ha deciso di adottare delle controsanzioni, le importazioni europee del prodotto sono crollate, provocando una crisi sui mercati dei fertilizzanti. Questo sconvolgimento non è divenuto oggetto di dibattito pubblico probabilmente per due motivi: in primo luogo perché la guerra ha suscitato un’immensa emozione collettiva – come dimostra l’approvazione popolare del sostegno all’Ucraina nei paesi europei – e in secondo luogo perché gli agricoltori rappresentano una classe trascurata nella nostra società. Tuttavia, gli esperti di d’agricoltura con cui ho parlato l’anno scorso hanno confermato la mia impressione: le complicazioni nel settore dei fertilizzanti avrebbero portato ad una crisi alimentare nel giro di un anno. Ci siamo arrivati.
Dobbiamo poi pensare a come la carenza di cibo possa arrivare a generare le rivolte. Per alcuni sarebbe assurdo fare questo collegamento. Dopotutto, i rivoltosi non invocavano la scarsità di cibo come motivo principale della loro rabbia. Hanno invece invocato l’omicidio di Nahel M. da parte della polizia. Tuttavia, è necessario fare una distinzione tra cause immediate e cause profonde. Le cause immediate sono quelle che scatenano l’evento. Ad esempio, se si sbatte un dito del piede contro un mobile, la causa immediata è l’impatto del piede contro la gamba del tavolo. La causa profonda, invece, è la situazione globale che spiega come la causa immediata abbia scatenato l’evento. Nel nostro esempio, la causa profonda sta nella decisione di passare davanti a un tavolo e nella nostra disattenzione. Le cause profonde possono essere molteplici e sono sempre più importanti della causa immediata.
L’omicidio di Nahel M., nel caso delle rivolte francesi, è stata la causa immediata. Le cause profonde, tuttavia, sono molteplici. Il persistere di tensioni razziali nella società francese, particolarmente concentrate nelle banlieues, è un dato di fatto. Ma la causa profonda più rilevante è la carenza di cibo, un fattore familiare a economisti, sociologi e storici interessati a comprendere le rivolte. Quando le persone non riescono più a mangiare bene come prima, il malcontento e i disordini crescono. In altre parole, la scarsità di cibo è come una foresta in un periodo di siccità: è sufficiente una piccola scintilla perché prenda completamente fuoco. Uno studio, ad esempio, dimostra che l’impennata dei prezzi alimentari accresce del 75% la probabilità di rivolta in un Paese in via di sviluppo. Per fare un paragone, l’avvicinarsi di un’elezione aumenta le probabilità di rivolta solo del 65%. Nei Paesi instabili, l’aumento dei prezzi alimentari e la relativa penuria sono una causa profonda di rivolte più potente di un’elezione. Tre pasti al giorno separano la civiltà dalla barbarie.
In Occidente ci crediamo immuni a questi fenomeni, pensavamo che le penurie alimentari non si sarebbero più verificate, che avrebbero colpito solo i Paesi in via di sviluppo, poveri e disfunzionali. Fino ad ora, tutto questo era vero. Ma da quando i conflitti globali sono tornati all’ordine del giorno, questi rischi stanno aumentando e, come vediamo in Francia, mettono alla prova l’equilibrio di società che sono probabilmente meno stabili di quanto pensassimo. Le tensioni razziali in Europa esistono. Sarebbe sciocco ignorarle e, se il multiculturalismo deve funzionare, non può che farlo in un ambiente prospero, in cui i bisogni fondamentali delle persone sono soddisfatti. Senza questo, le nostre società potrebbero diventare ingovernabili.
Ma le rivolte sollevano anche la questione della guerra economica. A partire dell’invasione russa dell’Ucraina, i leader occidentali hanno mostrato grande entusiasmo per questo strumento. All’inizio della guerra, il presidente Biden aveva promesso che le sanzioni avrebbero dimezzato l’economia russa e causato una crisi profonda nel Paese. Tutto ciò non è accaduto, come chiunque conosca la portata dei legami commerciali tra la Russia e l’Europa avrebbe potuto prevedere. In realtà, l’Europa scambia con la Russia dei beni sostituibili, mentre la Russia scambia con l’Europa dei beni non sostituibili. Prima della guerra, ad esempio, la Russia acquistava molte automobili dall’Europa; dopo la guerra, si è invece rivolta alla Cina. Al contrario, per l’Europa è stato molto più complicato sostituire il gas naturale, il petrolio e i fertilizzanti importati dalla Russia, mentre i prezzi di questi prodotti sono saliti alle stelle. Questi beni non sostituibili sono più importanti dei beni sostituibili negati alla Russia: è molto più doloroso affrontare la carenza di cibo e di energia che quella di auto nuove. Molti sono indotti ad adottare una postura morale in difesa delle sanzioni, ma la moralità non conduce da nessuna parte se le sanzioni sono controproducenti.
Negli ultimi quarant’anni, il mondo è entrato in un aggressivo processo di globalizzazione. Questo ha portato a una grande e maggiore dipendenza delle economie occidentali verso gli altri paesi. Oggi è di tendenza dire che dobbiamo invertire la globalizzazione e può anche essere che sia così. Ci vorranno però diversi decenni e il progetto sarà difficile da realizzare. Cercare di de-globalizzare le economie occidentali da un giorno all’altro è un’idea pericolosa e francamente stupida che potrebbe portare conseguenze molto gravi per l’Occidente sviluppato: iperinflazione, disordini sociali, crollo dei governi. Le forze in campo sono molto potenti e non è saggio giocare con loro.
Questo ci porta al problema posto dalla Cina. Dal 2016 e dall’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno cercato di promuovere una guerra commerciale con Pechino, che durante la presidenza Biden ha subito un’accelerazione. Entrambi i Paesi hanno imposto sanzioni e controsanzioni sui semiconduttori. La Cina ha recentemente indicato che potrebbe rifiutarsi di esportare germanio e gallio, terre rare, ai Paesi occidentali che conducono contro di essa una guerra commerciale. La scarsità di questi elementi potrebbe distruggere completamente intere fasce dell’industria high-tech occidentale.
Minacciando di trattenere questi elementi, la Cina dimostra quanto sia potente la globalizzazione e quanto sarà difficile invertirla. L’Occidente sviluppato dipende dalla Cina più di quanto la Cina dipenda dall’Occidente. Vent’anni fa non era così, ma adesso questa è diventata la nuova realtà ed è estremamente pericoloso ignorarla. Una guerra commerciale con la Cina farebbe apparire le sanzioni russe un gioco da ragazzi, e potrebbe trascinare le economie occidentali verso il collasso totale.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, i decisori politici hanno agito in maniera ingenua, sostenendo che guerre commerciali e altri strumenti estremamente pericolosi e aggressivi potessero essere applicati senza rischi. Questo è completamente falso, e qualsiasi economista che sostenga il contrario dimostra una leggerezza che rasenta l’incompetenza o la manipolazione. Dovremmo avere invece una discussione di fondo, costruttiva e aperta sul futuro della globalizzazione, sulla politica industriale, sul capitalismo politico e sui suoi mutamenti. Ma possiamo discutere davvero con chi pretende che una guerra commerciale non abbia alcun effetto sulle nostre società fratturate?