Europa

Costruire l’Unione in guerra

Il discorso sullo stato dell'Unione pronunciato oggi a Strasburgo da Ursula von der Leyen prende atto di una realtà: il contesto generale è cambiato. L'integrazione europea è iniziata in un continente in pace. Deve continuare in un mondo in guerra. Come ogni anno, offriamo la prima traduzione commentata riga per riga, per comprendere l'articolazione di questo importante discorso.

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Il Grand Continent
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AP PHOTO/JEAN-FRANCOIS BADIAS

Senza gli sconvolgimenti del 24 febbraio, il discorso sullo Stato dell’Unione del 2022 sarebbe stato probabilmente un discorso incentrato sulla valutazione di una “Commissione geopolitica” a metà di un mandato costellato di crisi. Per il posto occupato dall’Ucraina nel discorso, per la portata degli annunci, per la presenza di Olena Zelenska a Strasburgo accanto a Roberta Metsola e Ursula von der Leyen, e persino per l’abito giallo e blu di quest’ultima, questo Stato dell’Unione è stato l’occasione per mettere nero su bianco ciò che era emerso fin dall’inizio dell’aggressione russa: la guerra condotta dagli ucraini è una guerra europea. Il sostegno all’Ucraina non è solo un’altra dimensione di questo discorso politico generale: è ciò che lo struttura e ne guida gli orientamenti.

Un annuncio illustra questa dimensione: mentre la controffensiva ucraina mostra progressi che potrebbero rappresentare un punto di svolta nella guerra, la Presidente della Commissione visiterà Kyiv venerdì – per la terza volta – per discutere in dettaglio con Volodymyr Zelensky i modi per “garantire l’accesso dell’Ucraina al mercato unico e viceversa”.

Come diretta conseguenza della guerra, l’altro tema su cui Ursula von der Leyen era molto attesa era quello dell’energia – il discorso di settembre è sempre l’occasione per la formulazione di diversi annunci – e in particolare dell’indipendenza energetica dalla Russia, che avrebbe necessariamente trasformato l’azione climatica dell’Unione in una “ecologia di guerra”. A questo proposito, si elencano diversi annunci, in particolare sulla creazione di una banca dell’idrogeno, e si dà una direzione abbastanza chiara per quanto riguarda la riforma del mercato dell’elettricità: ciò si giustifica non tanto per la sua efficacia, quanto per l’urgenza di rispondere concretamente a una nuova permanenza: essendo la transizione ecologica sinonimo di una massiccia elettrificazione dei sistemi energetici europei, l’accoppiamento del prezzo dell’elettricità con quello del gas perde sempre più significato.

Il discorso voleva essere anche un’occasione per garantire che le misure di emergenza adottate in seguito all’invasione dell’Ucraina – non solo nel settore energetico – fossero integrate nell’architettura politica dell’UE. 

Infine, Ursula von der Leyen ha chiuso il suo intervento su un punto istituzionale che spera possa essere un nuovo filo conduttore del suo mandato: la gioventù come vettore di riforme istituzionali. Questo discorso diventa l’occasione per un appello diretto a integrare la solidarietà generazionale nei trattati. Insieme al Parlamento europeo, Ursula von der Leyen ha chiesto l’istituzione di una “convenzione europea”. Questo desiderio di trasformazione istituzionale è la diretta conseguenza di un discorso segnato dal nuovo contesto di guerra sul continente europeo: la costruzione europea ha cambiato natura. Questo cambiamento, spina dorsale dell’intero discorso, si riassume nell’articolazione finale tra l’estensione dell’organizzazione continentale e la sua trasformazione politica: “dal momento che stiamo pensando seriamente di allargare la nostra Unione, dobbiamo anche considerare seriamente di riformarla”.

UN’UNIONE CHE È FORTE SOLO SE UNITA

INTRODUZIONE

Signora Presidente,

onorevoli deputate, onorevoli deputati,

concittadine e concittadini europei,

mai prima d’ora questo Parlamento si è trovato a discutere lo stato della nostra Unione mentre sul suolo europeo infuriava la guerra.

Ricordiamo tutti quella fatidica mattina di fine febbraio.

In tutta l’Unione gli europei si sono svegliati sconcertati da quello che vedevano, scossi dal riaffacciarsi del volto spietato del male, atterriti dal suono delle sirene e dalla brutalità assoluta della guerra.

Ma da quel momento un intero continente si è unito all’insegna della solidarietà.

Ai valichi di frontiera dove hanno trovato riparo i rifugiati, nelle strade che si sono riempite di bandiere ucraine, nelle aule in cui bambine e bambini ucraini hanno stretto nuove amicizie.

Da quel momento gli europei non si sono tirati indietro né hanno esitato.

Hanno trovato il coraggio di fare la cosa giusta.

Da quel momento l’Unione si è prodigata collettivamente dimostrandosi all’altezza della situazione.

Quindici anni fa, durante la crisi finanziaria, ci sono voluti anni per giungere a soluzioni durature.

Dieci anni dopo, allo scoppio della pandemia, sono bastate poche settimane.

Quest’anno, non appena le truppe russe hanno varcato il confine con l’Ucraina, la nostra risposta è stata unanime, decisa e immediata.

Dovremmo andarne fieri.

Abbiamo fatto riemergere la forza interiore dell’Europa.

Ci servirà tutta. I mesi che ci aspettano non saranno facili, né per le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, né per le imprese chiamate a fare scelte difficili sul loro futuro.

L’inflazione nei Paesi dell’UE è in costante aumento dall’inizio della guerra in Ucraina. In agosto ha raggiunto il 9,1% nell’Eurozona, con alcuni Paesi particolarmente esposti come la Germania (8,8%) e la Spagna (10,3%) che sono tornati a livelli che non si vedevano da oltre 30 anni. Questo costante aumento dell’inflazione è dovuto principalmente al massiccio incremento dei prezzi dell’energia, pari a oltre il 38% in media nell’area dell’euro nel mese di agosto, su base annua. Le forti disparità tra gli Stati membri hanno colpito soprattutto quelli che dipendono maggiormente dalla Russia per le loro importazioni di idrocarburi: la variazione annuale dei prezzi dell’energia ha raggiunto il +87% in Estonia a luglio, rispetto al 4,42% dell’Ungheria. Budapest continua a ricevere gas dalla Russia e ha recentemente firmato un nuovo contratto di fornitura con Gazprom.

Sarò molto franca: la posta in gioco è alta, non solo per l’Ucraina, ma per tutta l’Europa e per il mondo intero.

Saremo messi alla prova. A farlo saranno coloro che vogliono approfittare della minima divisione tra di noi.

Questa non è solo una guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina.

È una guerra contro la nostra energia, la nostra economia, i nostri valori e il nostro futuro.

È uno scontro tra l’autocrazia e la democrazia.

Sono convinta che, grazie al coraggio e alla solidarietà, l’Europa avrà la meglio e Putin perderà.

IL CORAGGIO DI STARE DALLA PARTE DEGLI EROI

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

oggi il coraggio ha un nome e questo nome è Ucraina.

Il coraggio ha un volto, ed è il volto delle ucraine e degli ucraini che si oppongono all’aggressione russa. 

Ricordo un episodio avvenuto nelle prime settimane del conflitto, quando la first lady ucraina Olena Zelenska ha radunato i genitori dei bambini uccisi dall’invasore.

Centinaia di famiglie per le quali la guerra non terminerà mai e la vita non sarà mai più la stessa.

Abbiamo visto la first lady, alla guida di una folla silenziosa di madri e padri affranti, appendere agli alberi tante campanelle, una per ogni vittima.

Ora le campanelle tintinneranno per sempre nel vento e le vittime innocenti di questa guerra vivranno per sempre nella nostra memoria.

La guerra in Ucraina è un vero e proprio disastro umanitario e una sfida per i Paesi vicini. Sebbene sia difficile ottenere cifre precise e probabilmente occorrerà attendere la fine della guerra per quantificare il numero di vittime civili, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che, alla fine di agosto, 5.587 civili siano morti a causa del conflitto. A causa del tempo necessario per corroborare le fonti e le informazioni, è probabile che questa stima aumenti notevolmente. 

Allo stesso tempo, l’Ucraina – e in particolare le regioni orientali – è stata svuotata dei suoi abitanti. Dall’inizio della guerra, più di 7 milioni di ucraini hanno attraversato i confini del loro Paese per cercare rifugio presso i loro vicini. Sebbene una parte significativa sia tornata, soprattutto perché l’esercito ucraino sta recuperando il territorio e alcune grandi città come Kiev non sono più direttamente minacciate, quasi 2.500.000 persone si trovano ora in Russia e più di 4 milioni in Paesi europei, soprattutto Polonia e Germania.

La first lady oggi è qui con noi.

Cara Olena, resistere alla crudeltà di Putin ha richiesto un coraggio immenso.

Tu l’hai trovato.

Un’intera nazione di eroi si è levata.

Oggi l’Ucraina resiste perché un intero paese combatte strada per strada, casa per casa.

L’Ucraina resiste perché persone come tuo marito, il presidente Volodymyr Zelenskyy, sono rimaste a Kiev per guidare la resistenza, insieme a te e ai vostri figli.

Avete infuso coraggio a un’intera nazione e siamo stati testimoni, in questi ultimi giorni, dei risultati ottenuti grazie al coraggio degli ucraini.

Avete dato una voce al vostro popolo sulla scena mondiale e avete acceso la speranza in tutti noi.

Oggi vogliamo ringraziare te e tutti gli ucraini e le ucraine.

Gloria a un paese di eroi europei. Slava Ukraini!

La solidarietà dell’Europa nei confronti dell’Ucraina resta salda.

L’Europa è al fianco dell’Ucraina fin dal primo giorno, con armi, fondi, ospitalità per i rifugiati. E con le sanzioni più severe che il mondo abbia mai visto.

In Russia il settore finanziario è allo stremo. Abbiamo estromesso tre quarti del settore bancario russo dai mercati internazionali.

Quasi mille società internazionali hanno lasciato il paese.

La produzione automobilistica è crollata di tre quarti rispetto allo scorso anno. Aeroflot è costretta a lasciare a terra i suoi aerei perché non trova più pezzi di ricambio. L’esercito russo sta recuperando microchip da lavastoviglie e frigoriferi per riparare le apparecchiature militari, perché ha esaurito i semiconduttori. L’industria russa è alla deriva.

Sebbene sia difficile quantificare e misurare con precisione l’impatto delle sanzioni occidentali sull’economia russa, alcune conseguenze sono già visibili. Ad oggi, i Paesi europei hanno pagato alla Russia l’equivalente di quasi 100 miliardi di euro in acquisti di idrocarburi. Con l’aumento dei prezzi dell’energia, l’embargo dell’UE sul carbone russo, entrato in vigore ad agosto, ha avuto un impatto minore. Da gennaio a luglio, il bilancio russo ha registrato un surplus di quasi 500 miliardi di rubli (oltre 8 miliardi di euro). Tuttavia, secondo gli ultimi dati, il calo delle esportazioni di idrocarburi ha portato a un deficit di bilancio russo di 360 miliardi di rubli in agosto, per la prima volta dall’introduzione delle sanzioni occidentali. La strategia russa di usare l’energia verso l’Europa come arma si sta rivelando a doppio taglio per il regime di Putin. Alcune industrie russe, come la produzione di autovetture singole, sono quasi completamente crollate (-96,7% a maggio), e anche le esportazioni di molti Paesi asiatici verso la Russia hanno subito un drastico calo di valore (-65% per la Corea del Sud, -59% per il Giappone a giugno rispetto all’anno scorso), ponendo un grosso rischio a medio e lungo termine per le filiere produttive. Secondo un documento interno del governo russo, nei prossimi anni la Russia si aspetta uno shock economico più grave del previsto, con un calo del PIL dell’11% nel 2023 nello scenario peggiore e dell’8,3% se si mantiene lo status quo attuale.

È stato il Cremlino a mettere l’economia russa sulla via della rovina.

È il prezzo da pagare per la scia di morte e distruzione lasciata da Putin.

Voglio che sia ben chiaro: le sanzioni resteranno in vigore.

È il momento della risolutezza, non delle concessioni.

Lo stesso vale per il nostro sostegno finanziario all’Ucraina.

Finora Team Europa ha stanziato oltre 19 miliardi di euro di assistenza finanziaria, senza contare il nostro sostegno militare.

Sommando gli impegni e gli aiuti già forniti all’Ucraina dal 24 gennaio al 3 agosto, le istituzioni europee hanno fornito più di 16 miliardi di euro in aiuti finanziari, umanitari e militari, secondo il Kiel Institute for the World Economy. Se nella politica di aiuti si includono gli Stati membri e le istituzioni i, gli aiuti europei ammontano a oltre 27 miliardi di euro. Sebbene si tratti di una cifra considerevole, è comunque di gran lunga inferiore agli aiuti totali degli Stati Uniti, che ammontano a oltre 42 miliardi di euro, di cui 25 miliardi di euro per l’assistenza alla sicurezza. Tra i Paesi europei, gli Stati membri vicini all’Ucraina sono quelli che hanno contribuito di più in proporzione al loro PIL. Ad agosto, l’Estonia aveva fornito l’equivalente dello 0,83% del suo PIL in aiuti bilaterali a Kiev, rispetto allo 0,08% di economie più grandi come la Germania e allo 0,04% della Francia.

Il nostro è un impegno a lungo termine.

Per ricostruire l’Ucraina serviranno risorse ingenti. Solo per fare un esempio, gli attacchi russi hanno danneggiato o distrutto oltre 70 scuole.

Mezzo milione di bambine e bambini ucraini ha iniziato l’anno scolastico nell’Unione europea, ma molti altri rimasti in Ucraina semplicemente non hanno un’aula in cui andare.

La ricostruzione dell’Ucraina è una questione cruciale per gli anni a venire e i leader europei, le organizzazioni internazionali e alcune istituzioni private stanno già iniziando a interessarsi. 

Lo scorso luglio, la Conferenza di Lugano in Svizzera ha riunito i leader mondiali per discutere e concordare il loro impegno ad aiutare la ricostruzione dell’Ucraina attraverso l’assistenza finanziaria.

Secondo le ultime stime della Banca Mondiale, saranno necessari 349 miliardi di dollari per ricostruire le infrastrutture del Paese (1,5 volte il PIL dell’Ucraina nel 2021). A Lugano, il primo ministro ucraino ha stimato il costo totale in 750 miliardi di dollari. Da allora, il conflitto è andato avanti e la Russia ha intensificato i suoi attacchi contro le infrastrutture civili in risposta alla controffensiva ucraina lanciata il 6 settembre.

Per questo oggi sono lieta di annunciare che, insieme alla first lady, lavoreremo per sostenere la ricostruzione delle scuole danneggiate in Ucraina e lo faremo stanziando 100 milioni di euro: perché è proprio nelle scuole che nasce il futuro del paese.

Non solo forniremo finanziamenti, ma metteremo anche l’Ucraina nelle condizioni di sfruttare al meglio il suo potenziale.

L’Ucraina è già un polo tecnologico in ascesa, sede di molte giovani imprese innovative.

Voglio fare pienamente leva sul nostro mercato unico per contribuire ad accelerare la crescita e creare opportunità.

A marzo abbiamo collegato l’Ucraina alla nostra rete elettrica, un traguardo inizialmente previsto per il 2024. Lo abbiamo conseguito in appena due settimane e oggi l’Ucraina esporta energia elettrica verso l’UE. Intendo espandere in modo significativo questi scambi reciprocamente vantaggiosi.

Abbiamo già sospeso i dazi sulle esportazioni ucraine verso l’UE.

Nel 2021, l’Ucraina ha esportato l’equivalente di 28,3 miliardi di euro di merci verso i Paesi europei, una cifra in crescita rispetto agli ultimi due anni (23,1 miliardi di euro per il 2020, 24,2 miliardi di euro per il 2019). Il mercato unico europeo, che già comprende tre Paesi non appartenenti all’UE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein), consente la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali.

Includeremo l’Ucraina nello spazio europeo del roaming gratuito.

I nostri corridoi di solidarietà sono un grande successo.

Muovendo da queste iniziative, la Commissione collaborerà con l’Ucraina per darle accesso al mercato unico senza soluzione di continuità. E viceversa.

Il mercato unico è una delle grandi realizzazioni europee. È giunto il momento di rendere partecipi anche i nostri amici ucraini.

È proprio per questo che oggi andrò a Kiev per discuterne in dettaglio con il presidente Zelenskyy.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

uno degli insegnamenti che abbiamo tratto da questa guerra è che avremmo dovuto dare ascolto a chi conosce Putin.

Ad Anna Politkovskaya e a tutti i giornalisti russi che hanno denunciato i suoi crimini, pagando con la vita.

Ai nostri amici in Ucraina, Moldova e Georgia e agli oppositori in Bielorussia.

Avremmo dovuto dare ascolto alle voci all’interno della nostra Unione, in Polonia, nei paesi baltici e in tutta l’Europa centrale e orientale.

Ci dicevano da anni che Putin non si sarebbe fermato.

Loro hanno agito di conseguenza.

Ursula von der Leyen sottolinea il ruolo di chi aveva denunciato, nelle società russe dei Paesi dell’Europa orientale, anche se la principale fonte di informazioni che prevedevano un’invasione russa dell’Ucraina erano, prima del febbraio 2022, gli Stati Uniti. Già nel dicembre 2021, Joe Biden metteva in guardia il mondo da un’offensiva russa in Ucraina.

Parlando delle “voci che avremmo dovuto ascoltare”, il Presidente della Commissione fa eco anche alle parole del Primo Ministro finlandese Sanna Marin, intervenuta ieri al Parlamento europeo di Strasburgo, che ha affermato: “Avremmo dovuto ascoltare con più attenzione i nostri amici degli Stati baltici e della Polonia, che hanno vissuto sotto il dominio sovietico”.

I paesi baltici si sono impegnati a fondo per affrancarsi dalla Russia. Hanno investito nelle energie rinnovabili, nei terminali GNL e negli interconnettori.

Si tratta di investimenti onerosi, ma il prezzo della dipendenza dai combustibili fossili russi è ben più alto.

Dobbiamo porre fine a questa dipendenza in tutta l’Europa.

Per questo motivo abbiamo trovato un accordo sullo stoccaggio in comune. Attualmente siamo all’84 %: abbiamo superato l’obiettivo che ci eravamo posti.

Purtroppo non sarà sufficiente.

Abbiamo diversificato l’approvvigionamento, abbandonando la Russia in favore di fornitori affidabili: gli Stati Uniti, la Norvegia, l’Algeria e altri.

Alla fine di agosto, l’UE ha raggiunto prima del previsto l’obiettivo di riempire le proprie riserve di gas, fissato all’80% entro il 1° novembre nell’ambito del piano “Risparmiare gas per un inverno sicuro” presentato dalla Commissione lo scorso luglio. Sebbene il tasso medio di riempimento negli Stati membri sia ora dell’84%, esistono ancora grandi disparità tra i Paesi. Secondo l’AGSI, al 12 settembre le riserve della Lettonia erano piene solo al 51%, contro il 94% di Francia e Danimarca e il 99% della Polonia.

Lo scorso anno il gas russo rappresentava il 40 % delle nostre importazioni di gas. Oggi la percentuale è scesa al 9 % per il gas via gasdotto.

La fornitura di gas russo ai Paesi europei è soggetta a contratti a lungo termine tra gli Stati e i fornitori di energia, di cui Gazprom è il principale in Russia. A differenza del gas naturale liquefatto (GNL), che può essere trasportato da navi cisterna, il gas naturale transita attraverso i gasdotti, con 4 percorsi principali che collegano l’Europa alla Russia: i due gasdotti Nord Stream nel Mare del Nord, Yamal che transita attraverso la Polonia, i gasdotti che attraversano l’Ucraina e il gasdotto Turkstream, che passa attraverso il Mar Nero. Di queste quattro rotte, solo due sono ancora attive (attraverso l’Ucraina e il Turkstream), a livelli ben inferiori al 2021 per i gasdotti che transitano in Ucraina. Per compensare questa riduzione del flusso di gas, i Paesi europei hanno sia ridotto i loro consumi sia iniziato a sostituire le loro forniture con altri fornitori e altre fonti. Di conseguenza, da gennaio le importazioni di GNL sono aumentate in modo significativo e gli europei si sono rivolti maggiormente alla Norvegia, all’Azerbaigian e ad altri produttori di gas più piccoli con gasdotti verso il continente europeo.

Ma la Russia continua a manipolare attivamente il nostro mercato dell’energia. Preferisce bruciare il gas piuttosto che consegnarlo. Questo mercato non funziona più.

Per di più la crisi climatica incide pesantemente sulle bollette. Le ondate di caldo fanno crescere la domanda di energia elettrica, mentre la siccità costringe a chiudere le centrali idroelettriche e nucleari.

Di conseguenza i prezzi del gas sono aumentati di oltre 10 volte rispetto a prima della pandemia.

Per milioni di imprese e famiglie è sempre più difficile far quadrare i conti.

Ma gli europei stanno affrontando con coraggio anche questa situazione.

Nei ceramifici del centro Italia gli operai hanno deciso di spostare i turni al mattino presto per beneficiare delle tariffe più basse dell’energia.

Provate a mettervi nei panni di questi genitori, costretti ad uscire di casa di prima mattina, quando i figli ancora dormono, per colpa di una guerra che non hanno scelto.

È solo uno dei mille modi in cui gli europei si stanno adattando alla nuova realtà.

Voglio che l’Unione prenda esempio dai suoi cittadini. Ridurre la domanda durante le ore di punta farà durare più a lungo le scorte e farà scendere i prezzi.

Ecco perché proponiamo misure che consentiranno agli Stati membri di ridurre il loro consumo complessivo di energia elettrica.

Serve però un sostegno più mirato.

Per le imprese, come i vetrai obbligati a spegnere i forni, o per i genitori single che devono pagare una bolletta dopo l’altra.

Milioni di europei hanno bisogno d’aiuto.

Gli Stati membri dell’UE hanno già investito miliardi di euro per assistere le famiglie vulnerabili.

Sappiamo però che non basterà.

Pertanto proporremo un massimale per le entrate delle imprese che producono energia elettrica a basso costo.

A seguito del vertice straordinario sull’energia di venerdì scorso, i ministri dell’energia dell’UE hanno chiesto alla Commissione di presentare misure specifiche su quattro fronti: un tetto alle entrate per i produttori con bassi costi di produzione, un eventuale tetto ai prezzi del gas, una riduzione coordinata del consumo di elettricità a livello europeo e misure per affrontare il problema della liquidità dei fornitori di energia.

Queste imprese stanno realizzando profitti inaspettati, che non si sarebbero mai nemmeno immaginate.

Nella nostra economia sociale di mercato gli utili sono una buona cosa.

Ma di questi tempi è sbagliato accumulare proventi straordinari approfittando della guerra, a spese dei consumatori.

In momenti come questo i profitti devono essere condivisi e incanalati verso coloro che ne hanno più bisogno.

La nostra proposta raccoglierà oltre 140 miliardi di euro che gli Stati membri potranno usare direttamente per mitigare la situazione.

Poiché la crisi odierna è legata ai combustibili fossili, anche l’industria dei combustibili fossili ha una responsabilità particolare.

Il 2 settembre la Commissione ha proposto l’istituzione di un “meccanismo di solidarietà” per i produttori di combustibili fossili. Questo non è stato incluso nel comunicato finale della riunione straordinaria dei ministri dell’Energia del 9 settembre. Ursula von der Leyen è stata quindi piuttosto vaga nel suo discorso sull’attuazione di tale meccanismo.

Le grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone stanno realizzando profitti enormi. Devono quindi dare un apporto commisurato, versando un contributo di crisi.

Le misure che stiamo mettendo a punto, tra cui i massimali di prezzo attualmente al vaglio, sono tutte temporanee e di emergenza.

La fissazione di un tetto ai prezzi del gas è ben lungi dal trovare un consenso tra gli Stati membri. Mentre la Francia sarebbe favorevole a un tetto al prezzo del gas russo, Paesi come l’Italia e il Belgio sono favorevoli a porre un tetto al prezzo di tutto il gas che entra nel mercato europeo, sia che si tratti di GNL o di gas proveniente dalla Norvegia o dall’Algeria. Finora Berlino si è opposta.

Dobbiamo continuare a impegnarci per abbassare i prezzi del gas.

Bisogna garantire tanto la sicurezza dell’approvvigionamento quanto la nostra competitività a livello globale.

Elaboreremo quindi insieme agli Stati membri una serie di misure che tengano conto delle specificità delle nostre relazioni con i fornitori, da quelli più inaffidabili come la Russia ai partner fidati come la Norvegia.

Ho concordato con il primo ministro Støre l’istituzione di una task force; i lavori sono già iniziati.

Jonas Gahr Støre è il primo ministro laburista della Norvegia dall’ottobre 2021.

In agenda c’è anche un altro tema importante. Il mercato del gas è cambiato radicalmente, con il passaggio dal gas trasportato via gasdotto a quantità sempre maggiori di GNL.

Tuttavia l’indice di riferimento in uso nel mercato, il TTF, non è stato adattato.

Il TTF, o Title Transfer Facility, è un mercato di riferimento virtuale con sede nei Paesi Bassi in cui caricatori e acquirenti si scambiano gas.

La Commissione si adopererà per definirne uno più rappresentativo.

Al tempo stesso sappiamo che le imprese del settore energetico fanno fronte a gravi problemi di liquidità nei mercati a termine dell’energia elettrica, che mettono a repentaglio il funzionamento del nostro sistema energetico.

Collaboreremo con le autorità di regolamentazione del mercato per attenuare questi problemi modificando le norme sulle garanzie reali e adottando misure volte a limitare la volatilità infragiornaliera dei prezzi.

In ottobre modificheremo il quadro temporaneo in materia di aiuti di Stato per consentire la concessione di garanzie statali preservando al contempo la parità di condizioni.

Tutto ciò rappresenta un primo passo ma, oltre ad affrontare la crisi nell’immediato, dobbiamo guardare al futuro.

L’assetto attuale del mercato dell’energia, basato sull’ordine di merito, non è più nell’interesse dei consumatori.

Questi dovrebbero poter trarre vantaggio dalle fonti rinnovabili a basso costo.

Occorre arginare l’influenza dominante del gas sul prezzo dell’energia elettrica. A tal fine procederemo a una riforma profonda e onnicomprensiva del mercato dell’energia elettrica.

Il mercato europeo dell’elettricità si basa sul principio del prezzo marginale, che corrisponde al costo di produzione dell’ultimo kWh prodotto. È quindi l’ultima centrale elettrica necessaria a soddisfare la domanda, spesso una centrale a gas o a carbone, a determinare il prezzo complessivo dell’elettricità. Diversi Stati membri, tra cui Francia, Spagna, Italia e Grecia, chiedono una riforma approfondita del mercato europeo dell’elettricità, che finora la Commissione si è dimostrata riluttante a intraprendere.  In un rapporto pubblicato il 29 aprile, l’Agenzia europea dei regolatori dell’energia (ACER) ha affermato che “sebbene le attuali circostanze che interessano il sistema energetico dell’UE siano tutt’altro che normali, l’attuale struttura del mercato dell’elettricità non è da biasimare e dovrebbe essere mantenuta”. L’Agenzia si è inoltre opposta al perpetuarsi di misure interventiste, ricordando che esse devono rimanere temporanee, mirate e supervisionate, e che l’Unione deve affrontare innanzitutto “le radici” del problema, ovvero la dipendenza dal gas russo. In concreto, Ursula von der Leyen ha giustificato la riforma del mercato non tanto con la sua inefficienza quanto con la necessità di rispondere a una nuova realtà: la transizione è sinonimo di una massiccia elettrificazione dei sistemi energetici europei.

A questo punto va fatta un’altra un’osservazione importante. Mezzo secolo fa, negli anni Settanta, il mondo ha affrontato un’altra crisi dei combustibili fossili.

Alcuni di noi ricorderanno i fine settimana senza auto per risparmiare energia. Eppure abbiamo proseguito imperterriti sulla stessa strada.

Non abbiamo messo fine alla nostra dipendenza dal petrolio, anzi: i combustibili fossili hanno addirittura ricevuto cospicue sovvenzioni.

È stato un errore, non solo sul fronte del clima, ma anche su quello delle finanze pubbliche e della nostra indipendenza. Oggi ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

All’epoca solo in pochi si sono resi conto che il vero problema erano i combustibili fossili in sé, non il loro prezzo.

Tra questi c’erano i nostri amici danesi.

Quando è scoppiata la crisi petrolifera, la Danimarca ha iniziato a investire massicciamente nell’energia eolica.

Ha gettato le basi della sua leadership mondiale nel settore e ha creato decine di migliaia di nuovi posti di lavoro.

Dobbiamo andare nella stessa direzione.

Non cercare solo una soluzione rapida ma un nuovo paradigma, un salto nel futuro.

ATTENERSI AI PIANI E PREPARARSI AL FUTURO

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

la buona notizia è che questa trasformazione necessaria è iniziata.

Sta avvenendo nel Mare del Nord e nel Baltico, dove i nostri Stati membri hanno investito massicciamente nell’eolico offshore.

Sta avvenendo in Sicilia, dove presto la più grande fabbrica fotovoltaica d’Europa produrrà pannelli solari di ultimissima generazione.

E sta avvenendo nel nord della Germania, dove i treni regionali circolano ormai con l’idrogeno verde.

Secondo i dati compilati dal ricercatore Paweł Czyżak del think-tank energetico Ember, la produzione di elettricità da energia solare è aumentata del 28% nei quattro mesi dell’estate 2022 (da maggio ad agosto) rispetto al 2021. L’estate scorsa il fotovoltaico ha prodotto l’equivalente del 3% della produzione di elettricità in Europa, contro il 12% di quest’anno.

L’idrogeno può essere la chiave di volta per l’Europa.

Per l’idrogeno dobbiamo passare da un mercato di nicchia a un mercato di massa.

Con REPowerEU abbiamo raddoppiato il nostro obiettivo: entro il 2030 vogliamo produrre nell’Unione europea dieci milioni di tonnellate d’idrogeno rinnovabile all’anno.

Per riuscirci dobbiamo creare un facilitatore di mercato per l’idrogeno così da colmare la carenza di investimenti e collegare la domanda e l’offerta future.

Per questo motivo posso annunciarvi oggi la nostra intenzione di creare una nuova Banca europea dell’idrogeno che contribuirà a garantire l’acquisto di idrogeno rinnovabile, in particolare utilizzando le risorse del Fondo per l’innovazione, e potrà investire 3 miliardi di euro per aiutarci a costruire il futuro mercato dell’idrogeno.

È così che si costruirà l’economia del futuro.

E questo è il nostro Green Deal europeo.

Secondo Frank Timmermans, in un’intervista al Grand Continent, “Putin sta perdendo la guerra ecologica”. Il Commissario europeo per l’Azione per il clima riprende il concetto proposto da Pierre Charbonnier “di ecologia della guerra” per spiegare come il Green New Deal non sia solo uno strumento per la transizione ecologica delle società europee, ma anche una conditio sine qua non per la sovranità e l’indipendenza di un continente ormai a corto di idrocarburi.

Negli ultimi mesi tutti noi abbiamo toccato con mano quanto sia importante il Green Deal europeo.

L’estate 2022 resterà nella nostra memoria. Tutti abbiamo visto fiumi in secca e foreste in fiamme e abbiamo sofferto il caldo torrido.

La situazione, però, è molto più critica. Finora i ghiacciai alpini erano serviti da serbatoi d’emergenza per fiumi come il Reno o il Rodano.

Ma con i ghiacciai d’Europa che si stanno sciogliendo a una velocità senza precedenti le siccità future saranno ben più gravi.

Dobbiamo impegnarci alacremente per adattarci ai cambiamenti climatici e fare della natura il nostro primo alleato.

Per questo motivo la nostra Unione insisterà per un accordo ambizioso per la natura a livello mondiale in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, che quest’anno si svolgerà a Montreal.

Faremo altrettanto alla COP27 di Sharm el-Sheikh.

Il tema centrale della COP 27, che si terrà in Egitto dal 6 al 18 novembre, sarà il finanziamento delle misure di transizione e adattamento nei Paesi in via di sviluppo. In base alle tendenze registrate dalla prima COP del 1995 a Berlino, non si prevede che l’edizione del 2022 sarà memorabile. Tuttavia, la crescente urgenza di un’azione coordinata (la maggior parte dei Paesi ha fissato l’obiettivo della neutralità del carbonio entro il 2050) potrebbe portare a un maggiore impegno da parte degli attori governativi e privati.

A breve termine, però, dovremo anche attrezzarci meglio per affrontare i cambiamenti climatici.

Nessun paese può far scudo da solo ad eventi meteorologici estremi e alle loro forze distruttive.

Quest’estate abbiamo inviato aerei dalla Grecia, dalla Svezia e dall’Italia per domare gli incendi in Francia e Germania.

Ma questi eventi stanno diventando sempre più frequenti e devastanti e l’Europa avrà quindi bisogno di maggiori capacità.

Ecco perché, oggi, annuncio che intendiamo raddoppiare le nostre capacità antincendio nel corso del prossimo anno.

L’Unione europea acquisterà dieci aeromobili anfibi leggeri e tre elicotteri supplementari per completare la nostra flotta.

È quello che intendiamo per “solidarietà europea in azione”.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

gli ultimi anni ci hanno fatto capire quanto l’Europa possa realizzare quando è unita.

Dopo una pandemia senza precedenti, la nostra produzione economica ha superato in tempi record i livelli pre-crisi.

Siamo passati da una totale mancanza di vaccini a più di 4 miliardi di dosi garantite agli europei e al resto del mondo.

In tempi record abbiamo presentato SURE, che ha permesso ai lavoratori di conservare il loro impiego nonostante il calo di attività delle imprese.

Abbiamo attraversato la recessione più profonda dalla seconda guerra mondiale e abbiamo registrato la ripresa più rapida dal boom del dopoguerra.

È stato possibile perché tutti ci siamo mobilitati per un piano comune per la ripresa.

 NextGenerationEU ha costituito un’iniezione di fiducia per la nostra economia.

E il suo cammino è appena iniziato.

Finora sono stati erogati agli Stati membri 100 miliardi di euro, il che significa che 700 miliardi di euro non sono ancora confluiti nella nostra economia.

NextGenerationEU garantirà un flusso costante di investimenti per sostenere l’occupazione e la crescita.

Darà sollievo alla nostra economia, ma soprattutto porterà innovazione.

Sta finanziando nuove turbine eoliche e parchi fotovoltaici, treni ad alta velocità e riqualificazioni energetiche.

NextGenerationEU è stato concepito quasi due anni fa, ma è esattamente ciò di cui l’Europa ha bisogno in questo momento.

Quindi atteniamoci al piano previsto e utilizziamo sul campo i finanziamenti disponibili.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

per il futuro dei nostri figli occorre sia investire nella sostenibilità che investire in modo sostenibile.

Dobbiamo finanziare la transizione verso un’economia digitale e a emissioni zero.

Ma dobbiamo anche prendere atto della nuova realtà di un debito pubblico più elevato.

Servono norme di bilancio che ci consentano investimenti strategici ma che salvaguardino nel contempo la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Norme che siano adeguate alle sfide di questo decennio.

In ottobre presenteremo nuove idee di governance economica.

Ma permettetemi di condividere con voi alcuni dei suoi principi di base.

Gli Stati membri dovrebbero disporre di una maggior flessibilità nel loro percorso di riduzione del debito.

Dovrebbe esserci tuttavia maggior responsabilità nell’attuare quanto concordato.

Servono norme più semplici che tutti siano in grado di seguire e che consentano di creare uno spazio aperto agli investimenti strategici e di dare ai mercati finanziari la fiducia di cui hanno bisogno.

Nel febbraio 2021, Olivier Blanchard, Álvaro Leandro e Jeromin Zettelmeyer proponevano di abolire le regole di bilancio europee e di sostituirle con degli standard, aprendo così un dibattito fondamentale sul futuro del Patto di stabilità. Sulle nostre colonne, hanno scritto che: “In un contesto in cui la crisi di Covid-19 ha già portato alla sospensione di queste regole e a un’azione di bilancio comune prima impensabile, non si dovrebbe perdere l’opportunità di ripensare radicalmente il quadro di bilancio europeo. È ora di mettere in discussione i principi del quadro stesso”.

Anche in questo caso tracciamo un cammino comune per il futuro, con più libertà di investimento e un maggior controllo su quanto realizzato.

Occorre una maggiore responsabilità da parte degli Stati membri e il conseguimento di migliori risultati per i cittadini.

Riscopriamo lo spirito di Maastricht: stabilità e crescita vanno necessariamente di pari passo.

Mentre le frasi precedenti suggerivano una messa in discussione delle regole di bilancio europee, questa espressione sembra riaffermare il legame indistruttibile tra “stabilità” e “crescita” e quindi il “Patto di stabilità e crescita”.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

nel muovere i primi passi verso questa transizione della nostra economia, dobbiamo affidarci ai valori duraturi della nostra economia sociale di mercato.

Basta basarsi sulla semplice idea che la forza maggiore dell’Europa risiede in ciascuno di noi.

La nostra economia sociale di mercato incoraggia tutti ad eccellere, ma si occupa anche delle nostre fragilità in quanto esseri umani; premia i risultati e garantisce protezione; offre opportunità, ma fissa anche dei limiti.

Oggi ne abbiamo ancor più bisogno, perché la forza della nostra economia sociale di mercato sarà il motore della transizione verde e digitale.

Abbiamo bisogno di un contesto imprenditoriale favorevole, di una forza lavoro con competenze adeguate e di un accesso alle materie prime necessarie per la nostra industria.

Da questo dipende la nostra futura competitività.

Dobbiamo rimuovere gli ostacoli che, ancor oggi, frenano le nostre piccole imprese.

Imprese che devono essere al centro di questa trasformazione, in quanto su di esse si basa la lunga storia di virtù industriale europea.

Imprese che hanno sempre messo al primo posto i loro dipendenti, anche e soprattutto in tempi di crisi.

Ma l’inflazione e l’incertezza le stanno stringendo in una morsa particolarmente opprimente.

Per questo motivo presenteremo un pacchetto di aiuti per le PMI che includerà anche una proposta riguardante un corpus unico di norme fiscali per l’attività imprenditoriale in Europa – il cosiddetto quadro BEFIT.

In questo modo sarà più facile operare nella nostra Unione. Ridurre la burocrazia significa migliorare l’accesso ad un mercato continentale dinamico.

Rivedremo anche la direttiva sui ritardi di pagamento, perché semplicemente non è giusto che un fallimento su quattro sia dovuto al mancato pagamento delle fatture entro le scadenze previste.

Per milioni di imprese familiari sarà come un’ancora di salvezza in acque agitate.

La carenza di risorse umane costituisce un’altra sfida per le imprese europee.

Il numero di disoccupati non è mai stato così basso.

È una buona notizia!

Contemporaneamente, però, il numero di posti di lavoro vacanti ha raggiunto livelli record.

Che si tratti di autotrasportatori, camerieri o personale aeroportuale, o ancora di personale sanitario, ingegneri o tecnici informatici: l’Europa ha bisogno di tutti, dal personale non qualificato ai laureati!

Per questo dobbiamo investire molto di più nella formazione e nello sviluppo delle competenze.

E vogliamo farlo lavorando fianco a fianco con le imprese.

Nessuno meglio di loro sa quali sono i professionisti di cui hanno bisogno, adesso e in futuro.

Dobbiamo conciliare meglio queste esigenze con gli obiettivi e le aspirazioni che chi cerca lavoro coltiva per il proprio percorso professionale.

Vogliamo inoltre assumere professionisti specializzati dall’estero che contribuiscano alla crescita delle nostre imprese e dell’Europa.

Un primo passo importante consiste nel migliorare e accelerare il riconoscimento delle loro qualifiche in Europa.

L’Europa deve riuscire ad attirare chi ha delle capacità e vuole mettersi in gioco.

Per questo propongo che il 2023 diventi l’Anno europeo delle competenze e in particolare della formazione continua.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

Il terzo punto che voglio trattare riguarda le nostre piccole e medie imprese e la nostra industria.

Che si parli di semiconduttori su misura per la realtà virtuale o di celle fotovoltaiche non fa differenza: l’accesso alle materie prime è decisivo per il successo della nostra transizione verso un’economia sostenibile e digitale.

A breve il litio e le terre rare acquisiranno più importanza del petrolio e del gas.

La sola domanda di terre rare sarà quintuplicata entro il 2030.

È un segnale positivo!

Ci indica infatti la rapidità con cui sta progredendo il Green Deal europeo.

Il problema è che attualmente un solo paese detiene quasi la totalità del mercato.

Secondo un rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, la quota della Cina in tutte le fasi di produzione dei pannelli solari supera ormai l’80%. Se da un lato la Cina ha contribuito a ridurre il costo del fotovoltaico, dall’altro questa concentrazione geografica delle catene di fornitura pone molte sfide a livello globale.

Dobbiamo evitare di ritrovarci nuovamente in una situazione di dipendenza, come è avvenuto con il petrolio e il gas.

Qui entra in gioco la nostra politica commerciale.

Con l’aiuto di nuovi partenariati non solo rafforzeremo la nostra economia, ma promuoveremo anche i nostri interessi e i nostri valori a livello globale.

Collaborando con partner che condividono i nostri principi, possiamo garantire norme in materia di lavoro e ambiente anche al di fuori dei nostri confini.

Dobbiamo rinnovare innanzitutto le nostre relazioni con questi partner e con le principali regioni in crescita.

Sottoporrò pertanto a ratifica gli accordi con il Cile, il Messico e la Nuova Zelanda.

Nel contempo stiamo portando avanti i negoziati con partner importanti come l’Australia e l’India.

Ma la sicurezza dell’approvvigionamento è solo un primo passo.

La lavorazione di questi metalli è altrettanto critica.

Oggi la Cina controlla l’industria mondiale della trasformazione: quasi il 90 % delle terre rare e il 60 % del litio sono trasformati in Cina.

Individueremo progetti strategici lungo tutta la catena di approvvigionamento, dall’estrazione alla raffinazione, dalla trasformazione al riciclaggio. E vogliamo costituire riserve strategiche laddove l’approvvigionamento è a rischio.

Per questo motivo annuncio oggi una normativa europea sulle materie prime critiche.

Dal 2011, la Commissione ha stilato un elenco di materie prime considerate critiche per la loro importanza nelle catene di produzione. Questo elenco è stato rivisto tre volte (nel 2014, nel 2017 e nel 2020) ed è passato da 14 a 30 materie prime. La dipendenza dalla Cina per le terre rare (il 98% delle importazioni europee di terre rare proviene dalla Cina) non deve far passare in secondo piano il fatto che l’UE dipende anche da altri attori: il 98% delle importazioni europee di borato proviene dalla Turchia, il 71% del platino dal Sudafrica. L’European Chips Act, presentato dalla Commissione lo scorso febbraio, afferma che l’UE deve riconquistare la sovranità sulla produzione di semiconduttori. Ciò è inestricabilmente legato alle catene di approvvigionamento delle materie prime.

Sappiamo che questo approccio può funzionare.

Cinque anni fa l’Europa ha varato l’Alleanza delle batterie e a breve due terzi delle batterie di cui abbiamo bisogno saranno prodotte in Europa.

Lo scorso anno ho annunciato una normativa europea sui semiconduttori. I lavori per il primo grande stabilimento di semiconduttori inizieranno nei prossimi mesi.

Ora dobbiamo replicare questo successo.

Anche per questo vogliamo aumentare la nostra partecipazione finanziaria a importanti progetti di comune interesse europeo.

E per il futuro mi adopererò per creare un nuovo Fondo per la sovranità europea.

Facciamo in modo che il futuro dell’industria sia europeo.

DIFENDERE LA NOSTRA DEMOCRAZIA

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

Guardando alla situazione in cui versa il mondo oggi, spesso si può avere la sensazione che ciò che un tempo appariva così stabile stia ora svanendo.

E, in qualche modo, la scomparsa della regina Elisabetta II la settimana scorsa ce lo ha ricordato.

Parliamo di una leggenda!

È stata un punto fermo durante tutti gli eventi e cambiamenti tumultuosi degli ultimi 70 anni.

Ha svolto la sua funzione con stoicismo e determinazione.

Ma soprattutto ha sempre trovato le parole giuste, in ogni momento.

Dagli annunci radiofonici ai bambini evacuati a causa della guerra nel 1940 fino al suo storico discorso durante la pandemia.

Ha parlato non solo al cuore della sua nazione, ma anche all’anima del mondo.

E quando penso alla situazione in cui ci troviamo oggi, sento ancora la forza delle sue parole nella fase culminante della pandemia.

Ecco le sue parole: “Ce la faremo e la vittoria apparterrà a ciascuno di noi”.

La Regina Elisabetta II ha fatto la storia del XX secolo, ha effettuato visite ufficiali in più di 50 Paesi e ha avuto 15 primi ministri durante il suo regno. In un articolo pubblicato al momento della sua morte, Baptiste Roger-Lacan ha ricordato la realtà paradossale del suo regno: “mentre l’influenza globale del Regno Unito diminuiva e il Paese sembrava sempre più ossessionato da una forma di fantasia post-imperiale, la sua sovrana diventava una figura mondiale […] nessuna testa coronata gode dell’aura cha ha saputo costruirsi”.

Ci ha sempre ricordato che il nostro futuro si costruisce su nuove idee e si fonda sui nostri valori più antichi.

Dalla fine della seconda guerra mondiale ci siamo adoperati per la democrazia e lo Stato di diritto, come avevamo promesso.

E le nazioni del mondo hanno costruito insieme un sistema internazionale che promuove la pace e la sicurezza, la giustizia e il progresso economico.

Oggi tutto questo è diventato l’obiettivo dei missili russi.

Ciò che abbiamo visto nelle strade di Bucha, nei campi di cereali bruciati e ora ai cancelli della più grande centrale nucleare ucraina non è solo una violazione delle norme internazionali.

È un tentativo deliberato di liquidarle.

Questo momento rappresenta uno spartiacque nella politica internazionale e richiede un ripensamento del nostro programma di politica estera.

È il momento di investire nella forza delle democrazie.

Questo lavoro inizia con il gruppo di partner con cui condividiamo gli stessi principi: i nostri amici in ogni singola nazione democratica del pianeta.

Vediamo il mondo con gli stessi occhi. E dobbiamo mobilitare il nostro potere collettivo per dare forma al bene a livello mondiale.

Dobbiamo avere l’ambizione di ampliare questo nucleo di democrazie. Il modo più immediato di farlo è approfondire i nostri legami e rafforzare le democrazie nel nostro continente.

Penso innanzitutto ai paesi che sono già sul cammino verso la nostra Unione.

Dobbiamo essere al loro fianco ad ogni passo.

Perché il cammino verso democrazie forti e il cammino verso la nostra Unione coincidono.

Mi rivolgo quindi ai popoli dei Balcani occidentali, dell’Ucraina, della Moldova e della Georgia: fate parte della nostra famiglia, il vostro futuro è nella nostra Unione e la nostra Unione non sarà completa senza di voi!

Abbiamo anche visto che è necessario interagire con i paesi dell’Europa, al di là del processo di adesione.

Per questo sostengo la richiesta di una Comunità politica europea. E presenteremo le nostre idee al Consiglio europeo.

La proposta di creare una Comunità politica europea, che comprenda diversi Paesi nelle immediate vicinanze dell’Europa, è stata avanzata da Emmanuel Macron in un discorso tenuto il 9 maggio al Parlamento europeo di Strasburgo. Da allora, l’idea ha preso piede tra i leader europei e una prima riunione si terrà il 6 ottobre a Praga, nell’ambito della presidenza ceca del Consiglio dell’Unione europea.

Ma il nostro futuro dipende anche dalla nostra capacità di estendere il nostro impegno al di là del gruppo costituito dai nostri partner democratici.

Paesi vicini e lontani condividono l’interesse a collaborare con noi sui grandi problemi di questo secolo, come i cambiamenti climatici e la digitalizzazione.

Questa è l’idea principale alla base del Global Gateway, il piano di investimenti che ho annunciato un anno fa.

E che sta già dando risultati concreti.

Insieme ai nostri partner africani stiamo costruendo due fabbriche, in Ruanda e in Senegal, per la produzione di vaccini a mRNA.

Saranno prodotti in Africa, per l’Africa, con tecnologie di prim’ordine.

E ora riproponiamo questo approccio in America latina nell’ambito di una strategia di impegno più ampia.

Sono necessari investimenti su scala mondiale.

Vogliamo quindi collaborare con i nostri amici negli Stati Uniti e con altri partner del G7 per conseguire questo obiettivo.

In quest’ottica, il presidente Biden e io organizzeremo una riunione dei leader per esaminare e annunciare progetti di attuazione.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

 queste iniziative fanno parte del lavoro di rafforzamento delle nostre democrazie.

 Non dobbiamo però perdere di vista il modo in cui le autocrazie straniere stanno prendendo di mira i nostri paesi.

Vi sono soggetti stranieri che finanziano istituti che minano i nostri valori.

La loro disinformazione si sta diffondendo, dalla rete alle aule delle nostre università.

Quest’anno l’università di Amsterdam ha chiuso un centro di ricerca che si dichiarava indipendente, ma che in realtà riceveva finanziamenti cinesi. Il centro pubblicava delle cosiddette ricerche sui diritti umani, in cui le prove dell’esistenza di campi di lavoro forzato per la popolazione uigura venivano liquidate come “dicerie”.

Questa denuncia della disinformazione promossa e finanziata in Europa da entità cinesi giunge a due settimane dalla pubblicazione di un atteso rapporto sullo Xinjiang da parte dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il rapporto evidenzia i crimini e le violazioni dei diritti umani commessi dal governo cinese contro la popolazione uigura.

Queste menzogne sono tossiche per le nostre democrazie.

Pensate a questo: abbiamo introdotto una normativa per controllare gli investimenti esteri diretti nelle nostre imprese per motivi di sicurezza.

Se tuteliamo la nostra economia, non dovremmo fare altrettanto con i nostri valori?

Dobbiamo proteggerci meglio dalle ingerenze malevole.

È per questo che presenteremo un pacchetto per la difesa della democrazia, per individuare influenze straniere occulte e finanziamenti sospetti.

Non permetteremo a nessuno Stato autocratico di ingannarci per attaccare le nostre democrazie dall’interno.

Da più di 70 anni il nostro continente avanza deciso verso la democrazia, ma i benefici di questo lungo viaggio non sono garantiti.

Molti e molte di noi hanno dato per scontata la democrazia troppo a lungo. Specialmente chi, come me, non sa cosa significhi vivere sotto il pugno di un regime autoritario.

Oggi ci rendiamo tutti e tutte conto di dover combattere per le nostre democrazie, giorno dopo giorno.

Dobbiamo proteggerle tanto dalle minacce esterne quanto dai vizi che le corrodono dall’interno.

La mia Commissione ha il dovere e il nobile compito di proteggere lo Stato di diritto.

Perciò vi assicuro che continueremo a difendere l’indipendenza della magistratura.

Proteggeremo anche il nostro bilancio grazie al meccanismo di condizionalità.

Oggi vorrei anche soffermarmi sulla corruzione e su tutti i suoi aspetti: agenti stranieri che tentano di influenzare il nostro sistema politico, imprese e fondazioni sospette che abusano del denaro pubblico.

Se vogliamo risultare credibili quando chiediamo ai paesi candidati di rafforzare le loro democrazie, dobbiamo eliminare la corruzione anche all’interno dell’Unione.

Per questo motivo il prossimo anno la Commissione presenterà misure per aggiornare il nostro quadro legislativo di lotta alla corruzione.

Adotteremo un atteggiamento più duro nei confronti di reati come l’arricchimento illecito, il traffico d’influenza e l’abuso di potere, oltre che della corruzione in senso più classico.

Proporremo inoltre di includere la corruzione nel regime di sanzioni in materia di diritti umani, il nostro nuovo strumento per proteggere i valori dell’UE all’estero.

La corruzione erode la fiducia nelle nostre istituzioni; dobbiamo quindi combatterla con tutta la forza della legge.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

i nostri padri fondatori intendevano solo posare la prima pietra di questa democrazia.

Hanno sempre pensato che le generazioni future avrebbero completato la loro opera.

“La democrazia non è passata di moda, ma deve aggiornarsi per continuare a essere strumento per migliorare la vita delle persone.”

Sono le parole di David Sassoli, un grande europeo al quale oggi rendiamo tutti omaggio.

David Sassoli era convinto che l’Europa dovesse sempre cercare nuovi orizzonti.

E in questo periodo di avversità iniziamo a intravedere quali potrebbero essere i nostri nuovi orizzonti.

Un’Unione più coraggiosa, più vicina alle persone nei momenti di bisogno, più audace nel far fronte a sfide storiche e alle preoccupazioni quotidiane degli europei e nel restare al loro fianco nelle grandi prove della vita.

È per questo che la Conferenza sul futuro dell’Europa è stata così importante: è stata il primo esempio di un diverso tipo di partecipazione civica, che va ben oltre quella del giorno delle elezioni.

Adesso, dopo aver ascoltato la voce dei suoi cittadini e delle sue cittadine, l’Europa deve dare risposte concrete.

I panel europei di cittadini, che hanno svolto un ruolo centrale nella Conferenza, diventeranno una costante della nostra vita democratica.

Nella lettera di intenti che ho inviato oggi alla Presidente Metsola e al Primo ministro Fiala ho presentato una serie di proposte per l’anno a venire che scaturiscono dalle conclusioni della Conferenza.

Tra queste c’è una nuova iniziativa sulla salute mentale.

Dovremmo prenderci più cura gli uni degli altri, e per molte persone che si sentono ansiose e smarrite un sostegno adeguato, accessibile e a prezzi abbordabili può davvero fare la differenza.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

le istituzioni democratiche devono costantemente conquistarsi e riconquistarsi la fiducia dei cittadini.

Dobbiamo essere all’altezza delle nuove sfide che la storia continuerà a porci.

Proprio come lo sono stati gli europei quando milioni di persone provenienti dall’Ucraina hanno bussato alla loro porta.

Questa è la migliore espressione dell’Europa: un’Unione fatta di determinazione e solidarietà.

Determinazione e spirito di solidarietà che tuttavia sono ancora assenti nel dibattito sulla migrazione.

Le nostre azioni nei confronti dei rifugiati ucraini non devono essere un’eccezione; possono anzi rappresentare la rotta da seguire per il futuro.

Servono procedure eque e rapide, un sistema a prova di crisi e velocemente attuabile e un meccanismo permanente e giuridicamente vincolante che garantisca la solidarietà.

Allo stesso tempo abbiamo bisogno di un controllo efficace delle nostre frontiere esterne, nel rispetto dei diritti fondamentali.

Voglio un’Europa che gestisca la migrazione con dignità e rispetto.

Il 23 settembre 2020, la Commissione europea ha proposto un nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, che mira a stabilire procedure per l’intero sistema, a bilanciare i principi di condivisione delle responsabilità e di solidarietà e a “ripristinare la fiducia” degli Stati membri nella capacità dell’Unione di gestire la migrazione. Tuttavia, il Patto è in stallo da quasi due anni a causa di disaccordi tra i governi europei. Il Parlamento europeo e diversi Stati membri hanno recentemente annunciato di aver concordato di approvare definitivamente il Patto entro febbraio 2024, ma al momento non vi è alcuna indicazione che i disaccordi siano stati effettivamente risolti.

Voglio un’Europa in cui tutti gli Stati membri si assumano la responsabilità dei problemi comuni.

E un’Europa che dia prova di solidarietà nei confronti di tutti gli Stati membri.

Abbiamo fatto progressi per quanto riguarda il patto e abbiamo ormai una tabella di marcia. Ora abbiamo bisogno di una volontà politica all’altezza.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

tre settimane fa ho avuto l’occasione di incontrare 1 500 giovani di tutta Europa e di tutto il mondo a Taizé.

Hanno opinioni diverse, vengono da paesi e contesti diversi e parlano lingue diverse, eppure qualcosa li unisce.

Condividono un insieme di valori e ideali.

 Credono in questi valori e condividono la passione per qualcosa di più grande.

La loro è una generazione che non si limita a sognare ma agisce anche.

Nel mio ultimo discorso sullo stato dell’Unione vi ho detto che vorrei che l’Europa somigliasse di più a questi giovani.

Dovremmo porre le loro aspirazioni al centro del nostro lavoro.

E il luogo per farlo sono i nostri trattati istitutivi.

Ogni azione dell’Unione dovrebbe ispirarsi a un principio semplice: non compromettere il futuro dei nostri ragazzi e lasciare un mondo migliore alle prossime generazioni.

Perciò, onorevoli deputate e deputati, ritengo che sia arrivato il momento di iscrivere la solidarietà tra generazioni tra i principi dei nostri trattati.

È ora di rinnovare la promessa europea.

Di migliorare il nostro modo di agire e prendere le decisioni.

Qualcuno potrebbe dire che non è il momento giusto. Ma se vogliamo davvero prepararci al mondo di domani dobbiamo essere in grado di intervenire sulle questioni che stanno più a cuore alle persone.

E dato che ci stiamo impegnando seriamente per allargare l’Unione, dobbiamo impegnarci seriamente anche per riformarla.

Pertanto, come questo Parlamento ha chiesto, ritengo che sia giunto il momento di una convenzione europea.

I lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa si sono conclusi il 9 maggio, dopo un anno di dibattiti tra gli 800 cittadini europei selezionati per partecipare. Una relazione, contenente 49 proposte e oltre 300 misure, è stata consegnata a Ursula von der Leyen, Roberta Metsola ed Emmanuel Macron (durante l’a Presidenza francese). Tuttavia, alcune misure (come la regola della maggioranza qualificata, il diritto di iniziativa del Parlamento europeo o l’età legale per votare alle elezioni europee) richiederebbero una revisione dei trattati europei. La Presidente della Commissione aveva già lasciato intendere che sarebbe stata favorevole a tale revisione, ma non lo aveva mai dichiarato apertamente fino ad ora. Ora lo ha fatto. Si unisce così al Parlamento europeo, che si è già espresso a favore di una revisione e che ha preso iniziative in merito lo scorso giugno. Le posizioni dei capi di Stato e di governo sono attualmente divise in seno al Consiglio.

CONCLUSIONE

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

si dice che la luce risplenda di più nell’oscurità.

È stato sicuramente così per le donne e i bambini in fuga dalle bombe russe.

Scappavano da un paese in guerra, pieni di tristezza per ciò che si lasciavano alle spalle e di paura per il futuro.

Ma sono stati accolti a braccia aperte da molte persone come Magdalena e Agnieszka, due giovani donne polacche che hanno dato prova di grande altruismo.

Non appena hanno saputo dell’arrivo di treni pieni di rifugiati, sono corse alla stazione centrale di Varsavia.

Hanno iniziato a organizzarsi, hanno allestito una tenda per dare assistenza a quante più persone possibile.

Hanno contattato i supermercati per chiedere viveri e si sono rivolte alle autorità locali per organizzare il trasporto in autobus verso i centri di accoglienza. 

In pochi giorni hanno riunito 3 000 volontari per accogliere i rifugiati tutti i giorni e a tutte le ore.

Onorevoli deputate, onorevoli deputati,

oggi Magdalena e Agnieszka sono qui con noi.

Facciamo insieme un applauso a loro e a tutte le cittadine e i cittadini europei che hanno aperto i loro cuori e le loro case.

La loro storia è emblematica di tutto ciò che la nostra Unione rappresenta e intende realizzare.

È una storia di cuore, volontà e solidarietà.

 Hanno mostrato a tutti quello che l’Europa può realizzare quando unisce le forze in nome di una missione comune.

Questo è lo spirito dell’Europa.

Un’Unione che è forte solo se unita.

Un’Unione che supera le avversità insieme.

 Viva l’Europa!

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