Key Points
- La visita di Emmanuel Macron in Algeria dal 25 al 27 agosto ha riunito – per la prima volta dall’indipendenza – le più alte cariche militari e di intelligence, alla presenza di entrambi i capi di Stato.
- Questo processo costituisce anche il superamento delle recenti polemiche scaturite dalle dichiarazioni del Presidente francese dell’ottobre 2021, che aveva criticato la “rendita memoriale” di cui approfittavano le autorità al di là del Mediterraneo, e che aveva portato a un allontanamento tra Algeri e Parigi.
- Il viaggio – che avrà un equivalente in una prossima visita di Stato in Marocco – si svolge nel contesto di una ristrutturazione delle relazioni internazionali.
Emmanuel Macron si è recato in visita “ufficiale e di amicizia” in Algeria dal 25 al 27 agosto, toccando Algeri, Orano e poi di nuovo Algeri per firmare diversi trattati che rinforzeranno la cooperazione negli ambiti dell’educazione e della cultura tra i due paesi. Al di là della dimensione formale di questo accordo, la visita ha portato allo stesso tavolo, per la prima volta dall’indipendenza del 5 luglio 1962, i più alti responsabili militari e dei servizi in presenza dei due capi di Stato.
All’estremo opposto, il Presidente francese si è recato nella sede storica del raï oranese, l’hanout [negozio] “Disco Maghreb”, passando per cene private con membri della società civile oranese raccolti intorno allo scrittore e giornalista Kamel Daoud, e abboccamenti informali con giovani startupper e atleti, fino a una dimostrazione di break-dance in un complesso sportivo.
Nel mezzo, la visita al maqâm ash-shahîd – il gigantesco monumento ai caduti algerini della guerra di indipendenza – ha avuto la sua coda nella deposizione di una corona al cimitero Saint-Eugène per le vittime militari e civili francesi e nella passeggiata nei cimiteri cristiani e israelita (dove ha voluto essere sepolto Roger Hanin), seguita da una visita alla grande moschea di Algeri e un pellegrinaggio a Santa-Cruz, la spettacolare basilica che domina su Orano e sulla baia di Mers el Kébir – dove furono beatificati quattro anni fa diciannove martiri della guerra civile algerina degli anni 1990, tra cui i sete monaci di Tibéhirine.
Questa visita polisemica, alla quale le autorità locali hanno dato grande lustro, lastricando le strade di bandiere tricolori e algerine – fatto mai visto dal 1962 – è stata anche innovativa, e forse, soprattutto, per la composizione della numerosa delegazione francese, nella quale la parte del leone la fanno persone con origini algerine: deputati, deputate, senatori e senatrici, rettori di università, imprenditori, scrittori, artisti, sportivi, responsabili di associazioni, i quali rappresentano allo stesso tempo il successo sul suolo francese e la continuità del pluralismo dell’Algeria d’antan, quella dei musulmani, degli ebrei e dei pieds-noirs.
I 132 anni in cui l’Algeria è stata francese appartengono ormai alla storia. La memoria di quel tempo si tramanda ai giorni nostri tramite i sopravvissuti e i discendenti, che ne elaborano un Grande Racconto polemico ma collettivo. Ogni locutore contribuisce a legittimare la propria causa, imputando a un altro la colpa. Esattamente sei decenni dopo la fine della guerra, lo scopo simbolico primario di questo viaggio presidenziale era quello di dare impulso al superamento – hegeliano – di queste contraddizioni per costruire il futuro.
L’elaborazione di questo futuro radicato nel presente richiede un’importante inversione semantica: gli immigrati algerini nell’Hexagone e i loro discendenti, ieri dimenticati dalla storia, ne diventano oggi gli attori. Il processo di “decostruzione” – secondo la concezione elaborata dallo Spinoza contemporaneo dell’ebraismo algerino, che Jacques Derrida divenne a modo suo nella sua Amsterdam dell’esilio parigino o newyorkese – può ormai mutare in una feconda rielaborazione della memoria, il cui lievito sono i discendenti di questa immigrazione.
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Nel solco dei lavori di Benjamin Stora – membro di spicco della delegazione – le parti algerina e francese hanno concordato di riunire una commissione di storici di entrambi i Paesi il cui compito sarebbe stato quello di lavorare immediatamente sul corpus di questa memoria plurale. Mentre in Francia i figli e le figlie dell’Algeria si sono trovati, in molti casi, intimamente coinvolti, tramite matrimoni e figli, con le altre componenti della società francese contemporanea.
Questo processo assolutamente inedito costituisce anche il superamento delle recenti polemiche scaturite dalle affermazioni di Emmanuel Macron dell’ottobre 2021, che aveva criticato la “rendita memoriale” di cui profittavano le autorità d’oltre Mediterraneo e che aveva portato a un allontanamento tra Algeri e Parigi. Il contrasto tra le invettive di allora e l’entusiasmo reciproco di oggi non deve sorprendere più di tanto se si considera il funzionamento della politica nel mondo arabo, dove le parole giocano un ruolo sproporzionato: l’espressione dell’anatema è spesso una condizione necessaria per la riconciliazione, in quanto permette di superare il non detto in un sistema di governo in cui la democrazia rimane formale.
Tuttavia, la motivazione della parte algerina è stata resa esplicita da molteplici segnali che appartengono al proprio registro semantico, dalle lunghe ore di tête-à-tête notturno nella residenza presidenziale di Zéralda agli scambi con la stampa successivi alla firma degli accordi, in cui il presidente Tebboune ha parlato esclusivamente in francese, alla scorta dei caccia Sukhoï Su-30 MKA1 1 che ha accompagnato l’Airbus presidenziale fino ai confini dello spazio aereo algerino. L’Algeria di oggi ha tutto da guadagnare da una rifondazione delle sue relazioni con la Francia, che le consentirebbe di compensare una serie di difficoltà strutturali che ostacolano sia il suo sviluppo interno sia il suo posizionamento mediterraneo e africano, e di diversificare le sue alleanze internazionali laddove il sovrappeso sovietico e poi russo, e ora le condizioni severissime imposte dalla dipendenza dalla Cina, rappresentano un problema.
Diversi giornalistacci avevano preso in giro il viaggio di Emmanuel Macron, dipinto come una corsa all’acquisto di gas algerino per trascorrere l’inverno al caldo, compensando l’interruzione delle forniture da Mosca a causa delle sanzioni europee contro l’invasione dell’Ucraina. Se l’Algeria ha beneficiato, come tutti i produttori di idrocarburi (89% del valore delle esportazioni) dell’aumento dei prezzi (+ 69% nel 2021 per la miscela Sahara) dopo il picco della pandemia Covid-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina, Difficilmente riuscirà a riempire la quota di 1 milione di barili al giorno (800.000 nel 2020 contro 1,3 nel 2010) assegnatagli dall’OPEC, a causa del prosciugamento delle riserve e dell’obsolescenza degli impianti, e di un continuo aumento del consumo nazionale (+ 4,5% annuo) da parte dei suoi 44 milioni di abitanti. Pertanto, difficilmente potrà contribuire in modo significativo al riscaldamento del prossimo inverno francese. L’inflazione alimentare (l’Algeria è il primo importatore mondiale di cereali pro capite) nell’ultimo anno è stata del 15% nella capitale e gli alimenti costituiscono il 43% delle spese delle famiglie, a causa del continuo deprezzamento del dinaro rispetto all’euro e al dollaro.
Sul piano politico, dopo la destituzione del presidente Bouteflika successiva all’hirak – il massiccio “movimento” di rivolta popolare iniziato nel febbraio 2019 e interrotto dalla Covid-19 l’anno successivo – la stabilizzazione del potere è passata per una massiccia purga dei tecnocrati cinquantenni e sessantenni dell’era precedente, accusati di corruzione e condannati a molti anni di prigione. Il generale Gaïd Saleh, capo di Stato Maggiore, notoriamente vicino a Mosca e molto ostile a Parigi, che aveva destituito l’ex presidente, è morto a sua volta poco dopo l’elezione, con scarsa affluenza, del presidente Tebboune, e le sue reti sono state a loro volta smantellate. Molti degli interlocutori civili e militari della delegazione francese avevano settant’anni, o addirittura ottanta o novanta, il che pone il problema del rinnovamento delle generazioni del potere, tragicamente illustrato dal terzo e quarto mandato di Bouteflika. L’attrattiva dell’alta funzione pubblica è diminuita per i giovani talenti, accentuando la fuga di cervelli verso l’Europa e verso i fondi di investimento dei Paesi del Golfo, dove gli algerini si sono ormai fatti spazio a scapito dei libanesi.
In un simile contesto, la giovinezza e il dinamismo dei membri della delegazione francese di origine algerina hanno prodotto un effetto di contrasto – ribadito dalle parole di Emmanuel Macron che ha invitato a “guardare insieme alle nostre sfide e a fare di tutto per dare risposte insieme, in modo da aiutare la gioventù algerina e la gioventù francese ad avere successo (…) su entrambe le sponde quando decidono di abbracciare le due sponde del Mediterraneo, (…) sono binari o eredi di questa Storia, qualunque forma essa assuma”. Ha inoltre annunciato di aver “preso delle decisioni sulla questione della mobilità e della circolazione”: il problema della restrizione dei visti è in via di risoluzione grazie al notevole aumento dei lasciapassare consolari rilasciati da Algeri per i delinquenti espulsi dalla Francia (come avviene anche per il Marocco), che era all’origine del problema.
Questo viaggio – che avrà un equivalente in un prossimo viaggio di Stato in Marocco – si iscrive nella percezione parigina di una ristrutturazione delle relazioni internazionali. L’erosione delle alleanze e dei partenariati ereditati dal passato si è espressa nei voti ambivalenti della maggior parte dei Paesi africani all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina.
I dubbi sugli allineamenti mondiali ereditati dalla caduta del Muro di Berlino e dalla scomparsa dell’URSS, ma anche il disincanto dei partner della Cina, costretti a cedere beni sovrani a causa dell’incapacità di ripagare i debiti, e gli interrogativi sulle ambizioni della Turchia in Africa, favoriscono nuove relazioni tra Stati, soprattutto quando i flussi migratori hanno stabilito complementarità tra le società.
La sfida è quella di rendere virtuosi questi flussi regolamentandoli – in un contesto in cui l’elettorato europeo sta dando sempre più voti ai Savonarola della Grande Sostituzione – e di partecipare alla prosperità degli Stati di emigrazione incoraggiando trasferimenti di talenti che aumentino reciprocamente la prosperità, favorendo l’inserimento transnazionale delle diaspore. In questo senso, il superamento dei blocchi e dei risentimenti derivanti da una lettura normativa della storia che trae il suo argomento militante dall’ideologia decoloniale, e il processo concreto di scrittura comune delle memorie costituiscono, come ha voluto dire Emmanuel Macron, la garanzia del futuro.