La sua opera prima, divenuta poi un best seller mondiale, ha come titolo “La Lingua geniale” (Laterza, 2016). Può spiegarci la scelta di quest’espressione per parlare del greco antico?
Credo che il greco antico sia stato uno dei motori del “miracolo greco”. Ormai quel greco lì non si parla più. Oggi, non sappiamo neanche più come si pronunciasse, il che rinforza la cifra immaginaria, quasi mitica, dell’antica Grecia. Sono sempre stata affascinata da questa questione: perché in Grecia, ad Atene più precisamente, in un territorio così piccolo, abbastanza disconnesso dal resto del mondo, uno scoglio senza importanti risorse economiche o innovazioni tecnologiche rivoluzionarie, l’essere umano ha inventato cose inaudite come la filosofia, il pensiero politico, la tragedia? Sono convinta che una parziale spiegazione di questi miracoli sia da ricercare nella lingua, nel greco antico.
Questa lingua geniale è fatta per la filosofia e la politica. Sul piano della grammatica, incarna il passaggio dal logos, dalla logica, al dialogos, il dialogo. E’ una lingua che permette l’astrazione. Non è fatta solo per dare nome a delle cose concrete, ma sa dare un nome al pensiero.
Utilizzando una metafora linguistica, possiamo chiederci che cosa abbiamo ereditato da questa lingua geniale: più la sintassi o il vocabolario?
Io direi entrambi. Dal punto di vista del vocabolario, la maggior parte delle parole che noi usiamo nell’ambito della filosofia vengono dal greco, a volte dal latino. Il greco è stato scoperto come un pozzo inesauribile di parole dotte a partire dal XVIe secolo, facilitandone l’ingresso nel nostro vocabolario. Ma il greco ci ha anche insegnato, con la sua sintassi, a ragionare, ad argomentare, a fornire prove, a inventare racconti. Abbiamo traslato la sua struttura nelle nostre lingue, ma molto di ciò che pensiamo, lo dobbiamo alla maniera in cui pensava il greco antico.
Ereditiamo l’insieme di una costruzione logica. Esiste un aneddoto legato al sofista Anassagora. Anassagora aveva un allievo che, dopo aver seguito i suoi corsi di filosofia e retorica, non aveva più vinto neanche un processo. Un giorno, l’allievo ritornò dal maestro chiedendo di essere rimborsato. Il dialogo che segue viene posto da Anassagora sul piano del ragionamento logico. Concludendo, dice al proprio allievo che, se lui fosse riuscito a convincerlo di essere un cattivo maestro, avrebbe allora vinto il suo primo dibattito e il suo apprendimento non sarebbe stato inutile. Questo divertente esempio mostra come il pensiero greco ci insegni a portare tutti i problemi e tutte le azioni che noi mettiamo in campo per risolverli sul piano della logica e della riflessione.
In ultimo, un grande debito che noi abbiamo nei confronti del greco riguarda la storia come disciplina. Erodoto, Tucidide e gli altri storici greci hanno avuto cura di registrare gli eventi passati, le idee che li circondavano e le evoluzioni del sapere per trasmettercele, cosa che costituisce una ricchezza incredibile.
Qual è l’opera in greco che preferisce?
Credo di non poter rispondere altrimenti che con Omero. E’ il primo autore greco che ho letto durante la mia infanzia. Adoro il ritmo della sua lingua, mi fa pensare a un cuore pulsante. Credo di non avere preferenze tra Iliade e Odissea, anche se ovviamente si tratta di due mondi diversi. Di recente tendo più verso l’Iliade, come mi capita per l’Eneide in latino, per la maniera in cui queste opere aprono squarci sugli aspetti civili e sociali del mondo antico. In questi poemi, ogni elemento diventa all’istante un elemento mitico. La dissociazione fra mito e logica arriva solo al momento in cui prende forma la democrazia ateniese, proprio quando inizia il “miracolo greco”.
Come riescono quindi a coesistere il mito e la logica?
Al giorno d’oggi, crediamo a tutto e a niente e siamo pronti a mettere tutto in discussione. La logica greca implica di mettere in discussione il mito. Questo era il metodo di Platone. Ciò non vuol dire distruggere il mito e passare a un universo solamente razionale: è una rimessa in discussione del mito dall’interno, applicando un metodo logico. In questa maniera i greci sono riusciti a mantenere entrambi i poli che gli permettevano di spiegare il mondo, il mito e la logica. E’ questo che ammiro in Platone, poiché funziona in entrambe le direzioni: anche lui sa utilizzare il mito per spiegare i propri ragionamenti logici . L’allegoria della caverna ne La Repubblica, il mito del carro celeste nel Fedro… Oggi, anche uno scrittore come Tucidide è molto interessante per via dei suoi metodi di indagine e di ragionamento storico.
Gli europei occidentali vedono la Grecia con gli occhi di Roma, che l’ha in qualche maniera addomesticata? Qual è la giusta scala per (capire) la Grecia?
Innanzitutto, la Grecia è un paese balcanico. Questa è una verità se prendiamo in conto il punto di vista geografico. Inoltre, la Grecia ne costituisce un prolungamento e un’opportunità formidabile per la nostra relazione con i paesi del sud-est dell’Europa: culturalmente, politicamente, economicamente, la Grecia è la nostra porta d’ingresso verso queste regioni. Guardare la Grecia dai Balcani vuol dire esercitarsi a proporre un nuovo sguardo, decentrato dall’eredità greco-latina.
Credo comunque che la scala più appropriata per comprendere la Grecia, con tutte le sue differenze, sia quella Mediterranea.
Solo di recente ho capito che questa Grecia di cui vi parlo qui, quella che descrivo nei miei libri o che pensavo di aver studiato per vent’anni, è in realtà una Grecia immaginaria. Come molti europei occidentali, non mi interessavo a ciò che era successo in quel paese dall’antichità ad oggi, a una storia lunga duemila anni.
Oggi, quando si arriva ad Atene, pur non credendo che tutti siano in giro a filosofeggiare in sandali, ci si dimentica comunque facilmente dello sforzo profuso dalla Grecia moderna per esistere, per inventarsi e reinventare anche il passato che noi le proiettiamo addosso.
E’ vero che, se non si è preparati a porsi delle domande su questa Grecia immaginaria, si rischia di rimanere delusi dalla Grecia di oggi, che in ogni caso ha molto da dare, anche da un punto di vista letterario. E’ da un anno che cerco di “recuperare”, leggendo autori differenti da Platone e Omero ed è un piacere scoprire le novità di questo paese.
Ci si rende conto anche che l’Antica Grecia non è nemmanco esistita. Tutto è stato ripensato e immaginato dagli Occidentali, prima a Roma, poi durante il Rinascimento. Allo stesso tempo, è un paese a cui si è rubato di tutto. La prima frase della letteratura latina è una traduzione dell’Odissea. I Greci di questa Grecia immaginaria, siamo noi: i discendenti di Platone, gli intellettuali e i curiosi di tutta Europa che si recano nei musei, frequentano i licei…
Che rapporto hanno i Greci con questa eredità che lei qualifica come immaginaria?
Oggi in Grecia si ritrovano due tipi di profili. Ci sono i Greci convinti di parlare il greco antico, perché è vero che il greco moderno è comunque greco, anche se non si tratta della lingua di Platone. Si tratta di una sorta di fierezza che ignora i duemila anni che sono trascorsi, soprattutto gli anni della dominazione ottomana e della conquista dell’indipendenza durante il XIX secolo. Dall’altra parte, ci sono coloro che rigettano questa eredità per ragioni politiche. Alcuni di loro pensano che la Grecia Antica sia un’invenzione nazionalista creata dopo l’indipendenza greca, quando emerse la necessità di trovare lingua, letteratura e radici comuni per un popolo assai frammentato in dialetti, lingue, letterature… Riassumendo, alcuni vivono in una trasognata continuità con l’Antichità e altri ritengono questa immagine o troppo antica, o troppo nuova.
Da che cosa passa il suo rapporto con la Grecia, il suo lavoro su questo paese e su questa lingua?
Per molto tempo, la conoscenza che ho avuto della Grecia è stata accademica, filologica. Ma in questi ultimi anni, essendo stata in Grecia sempre più spesso, sento che il mio approccio è cambiato, così come la mia maniera di capire questo paese.
Il mio primo viaggio risale agli anni del liceo. Avevo 17 anni ed ero convinta che la città che visitammo non era Atene. Io mi immaginavo una città perfetta, bianca, nobile… Al cospetto di questa città del Mediterraneo orientale, mi dicevo che non era possibile che non fosse come me l’ero immaginata. La delusione è stata quindi il primo passo, un po’ come per quelli che partono per il Giappone e non vi trovano ciò che hanno letto nei libri di Kawabata. Questa delusione è stata una buona lezione che mi ha spinto a studiare questo paese più in profondità.
Per la collezione “La mia notte al museo”, delle edizioni Stock, a giugno ho passato una notte nel museo dell’Acropoli, un’esperienza affascinante. L’anno scorso, per il mio libro sul culto dello sport, ho rifatto la corsa da Maratona ad Atene che ha dato inizio alla tradizione leggendaria della maratona. Grazie a queste esperienze, ho capito che, rimanendo sul piano intellettuale, rischiavo di rimanere imprigionata nella Grecia immaginaria di cui parlavo prima.
In questo momento, per me è fondamentale studiare Atene senza uno sguardo nostalgico rivolto solo verso l’Acropoli. Questa nostalgia, nonostante tutta la sua nobiltà ed effervescenza, può rendere tristi e ciechi. Si rischia di sviluppare una devozione fittizia per un mondo che non esiste più.
Le sue opere hanno ormai un successo mondiale e sono state tradotte in più di trenta lingue, sebbene si possa credere che il greco e il latino non vendano. Secondo lei, che cosa dice questo successo dell’epoca in cui viviamo? Che cosa cercano i lettori nei suoi libri?
Non ho ancora trovato la risposta a questa domanda, sulla quale rifletto da sei anni, da quando il mio primo libro è stato pubblicato in Italia…
Da un lato, il latino e il greco stanno scomparendo dalle scuole, dalla cultura e da ciò che vogliamo trasmettere alle generazioni future. Sono vittime doppie, dell’ignoranza e della sfiducia, che si alimentano l’un l’altra. In Francia, solamente 535 studenti hanno ottenuto la maturità con specializzazione in lingue e culture dell’antichità quest’anno: non si tratta più di un ritiro, bensì di una semplice sparizione, di cui rischiamo di pagare le conseguenze su tutti i piani.
Allo stesso tempo, incontro molte persone, lettori e lettrici dei miei libri, che si rammaricano per non aver studiato il greco, il latino, a volte la letteratura. La maggior parte di queste lettrici parlano di una mancanza, di un bisogno intimo nei confronti dei classici. L’idea che i classici possano fornire delle risposte alle domande dell’oggi, anche a quelle molto personali, resta forte, e in un certo senso un po’ commovente.
Più i Greci che i Latini?
Sì, forse i classici greci rispetto ai latini, dal momento che hanno una sorta di aura immaginifica supplementare nell’inconscio collettivo.
Credo che questo bisogno di rivolgersi verso i classici, di chiedere una mediazione verso questi testi, tradisca una grande sofferenza o paura: forse la paura di ciò che non si conosce, delle dinamiche del mondo contemporaneo, che spingono a rifugiarsi nel tempo immobile del passato greco. Ma bisogna essere molto attenti a non rifugiarsi in un miraggio.
Come si articolano lo spazio mediterraneo e la lingua greca?
All’epoca classica, la lingua greca era il vettore di un’idea culturale comune e di una grammatica politica e filosofica, diffusa poi in tutto il Mediterraneo. E’ evidente che oggi non è più così. Sul piano culturale, la Grecia si è isolata: i suoi autori sono poco letti in Francia o in Spagna, con l’eccezione, forse, di Petros Markaris. La Grecia ha anche rispolverato un’altro abito immaginario: quello delle casette bianche, delle isole, del turismo, che evidentemente non possono riassumerla. Ho di recente riletto Zorba e sono stata colpita dal fatto che il romanzo di Kazantzakis sia un libro serio, filosofico e melancolico, che ci dice molte cose sulla Grecia contemporanea, molte di più rispetto anche alle immagini che ci si ricorda del film.
Può parlarci di un luogo – un paesaggio, una città, una strada… – che dica qualcosa del suo rapporto con la Grecia?
Consiglio a chiunque vada in Grecia di fare tappa a Missolonghi. E’ il luogo della grande battaglia per l’indipendenza, che Delacroix ha immortalato ne “La Grèce sur les ruines de Missolonghi” et “Les Massacres de Scio”. Si tratta anche del luogo della memoria per eccellenza della crociata dei filelleni, il suo luogo d’origine, perché è a partire dalla morte di Byron, lì a Missolonghi, che il movimento del filellenismo si è davvero sviluppato. Si può ancora vedere la sua tomba, nel cimitero dei filelleni e di tutti gli indipendentisti greci.
Visitare Missolonghi ci permette di uscire da Atene e dagli itinerari turistici, di avere allo stesso tempo l’impressione di essere al centro del mondo culturale moderno, perché è qui che si incontra il sogno della generazione romantica che ha sognato la Grecia, e contemporaneamente pare di essere in una sorta di periferia o margine dell’Europa.
Scambierebbe la Grecia immaginaria dell’Antichità per la Grecia romantica?
Noi abbiamo ereditato questa visione romantica della Grecia. Ma anche perché è proprio lo sguardo dei romantici ad aver ricreato la Grecia antica. All’epoca, la Grecia era occupata dall’Impero ottomano da molti secoli. Il legame con la ricchezza culturale dell’epoca classica si era perso, l’Acropoli era stata abbandonata. All’arrivo di Napoleone, la Grecia è un paese povero, Atene conta solo diecimila case. Il risveglio filellenico ha significato anche un risveglio culturale, storico e patrimoniale per i Greci.
L’infatuazione di una personalità come Lord Byron per la Grecia, come quella di tanti altri Europei, è stata un nuovo miracolo politico per l’Europa. Si tratta di una delle rare volte in cui l’Europa si è unita per difendere una visione della cultura e del passato. Tutto questo è stato possibile anche grazie alle campagne napoleoniche, che, com’è noto, hanno sconvolto l’ordine geopolitico e spostato grandi masse di persone. Prima di tutto questo, nessuno andava in Grecia. Si è allora costituito un circuito proto-turistico, con come detonatore il ruolo di Lord Byron, partito per aiutare gli indipendentisti greci e morto lì dopo tre mesi, in una traiettoria che ha commosso una gran parte delle élite europee.
Il Mediterraneo è anche un luogo di sofferenza continua, legato alla tragedia migratoria. Samotracia e Lesbo sono di fronte alla Turchia. La situazione militare e navale è in perenne tensione, che si tratti del soccorso dei migranti o delle diverse forme che può prendere la minaccia turca. Gli immaginari della Grecia classica o della Grecia turistica entrano in contraddizione con questa realtà. Tuttavia, il valore dell’ospitalità è uno dei più grandi dell’antichità greca. E’ grazie ad esso che Ulisse, travestito da mendicante, è accolto al suo ritorno ad Itaca. Allo stesso modo, morire in mare, senza sepoltura, era l’incubo dei viaggiatori ed il peggior sacrilegio della Grecia antica. La tragedia dell’oggi sfortunatamente nega la migliore eredità della Grecia antica.