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Mentre oggi e domani i leader di tutto il mondo si riuniscono a Parigi in occasione dell’AI Action Summit, ci troviamo a un momento cruciale nel percorso dell’intelligenza artificiale. L’insieme delle tecnologie comunemente indicate con il termine IA ha già trasformato l’economia e promette di rimodellare le società. Ma la domanda fondamentale resta: nell’interesse di chi avviene questa trasformazione e che tipo di futuro stiamo costruendo?

Il biologo Theodosius Dobzhansky ha pronunciato una frase celebre: «Nulla ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione». Nell’era dell’IA, potremmo dire che «nulla ha senso se non alla luce delle lotte di potere». Questa rivalità profonda determina chi controlla l’IA, quali interessi essa serve e quali valori ne guidano lo sviluppo. Oggi, questo potere è essenzialmente concentrato nelle mani di pochi giganti della tecnologia.

La storia ci insegna i pericoli di una concentrazione eccessiva del potere. Nell’Europa medievale, i progressi agricoli aumentarono la produttività, ma non migliorarono la vita dei lavoratori. La nobiltà e il clero, che possedevano le risorse e controllavano la ricchezza, raccolsero tutti i benefici dei progressi tecnologici e dell’organizzazione agricola, mentre i lavoratori conducevano un’esistenza misera in condizioni di grande povertà. Lo stesso interrogativo si pone oggi. La direzione che prenderà l’IA determinerà come saranno distribuiti i guadagni economici all’interno della società e quale forma assumeranno le comunità in cui viviamo.

Due futuri possibili per l’IA

Due scenari emergono con chiarezza.

Il primo è la corsa senza fine verso l’intelligenza artificiale generale e poi la superintelligenza, in cui le macchine superano gli esseri umani in quasi tutte le attività. Se questa visione può suscitare timori di un dominio delle macchine, la minaccia principale, in questo scenario, proviene in realtà dal potere incontrollato di chi sviluppa e gestisce questi sistemi. Un simile futuro aggraverebbe enormemente le disuguaglianze e, privandoci della nostra capacità di azione, ridurrebbe e svuoterebbe il significato stesso dell’essere umano.

Ci si può chiedere se l’intelligenza artificiale generale sia davvero realizzabile nel prossimo futuro. Anche se lo fosse, è improbabile che porti con sé i guadagni di produttività promessi. Uno scenario più realistico è che sistemi di IA di qualità inferiore sostituiscano i lavoratori in compiti in cui questi ultimi apportano esperienza e creatività, finendo così per distruggere valore economico anziché crearlo.

La seconda via è quella che io e i miei colleghi chiamiamo un’«IA a favore dei lavoratori» o «a favore dell’umanità». In questa visione, l’IA diventa uno strumento per responsabilizzare gli individui e rendere i lavoratori più produttivi, fornendo loro informazioni contestuali e affidabili in supporto alla loro competenza. La priorità è garantire agli individui il controllo sui propri dati e consentire di svolgere un più ampio ventaglio di compiti con maggiore sicurezza e autonomia.

A differenza della prima, questa seconda prospettiva non è un’utopia. L’IA può già oggi creare sistemi che aiutano concretamente lavoratori e cittadini. Tuttavia, questo potenziale sarà vanificato se l’architettura su cui si basa è progettata per imitare e superare gli esseri umani anziché per sostenerli e aiutarli. Invece di sviluppare strumenti per migliorare il processo decisionale, molte aziende sembrano più preoccupate di creare modelli che producono mere imitazioni prive di sostanza o altre riproduzioni superficiali e prive di vita. Per preservare ciò che ci rende umani — e lasciare la creatività al suo giusto posto — l’IA deve liberarsi dall’obiettivo della semplice imitazione. Dovrebbe fornire indicazioni chiare e interpretabili ai decisori umani, aiutandoli a fare scelte più informate.

La deriva del settore tecnologico e l’egemonia delle Big Tech

Finora, la traiettoria dell’industria tecnologica è stata dettata da scelte molto precise, radicate in motivazioni sia economiche che ideologiche.

Sul piano ideologico, l’industria è guidata dal sogno dell’intelligenza artificiale generale e della superintelligenza, nonché dall’aspirazione di poter plasmare la società attraverso nuove tecnologie egemoniche.

Sul piano economico, le Big Tech hanno prosperato grazie a modelli di business che generano profitti colossali automatizzando compiti, abbattendo i costi del lavoro e monopolizzando la pubblicità digitale, senza alcun interesse per l’autonomia dei lavoratori o il rafforzamento delle democrazie.

Esistono modelli alternativi, più benefici per la società, che potrebbero sostituire questo paradigma, a patto che si creino le condizioni per la nascita di nuove imprese.

Purtroppo, le attuali condizioni di mercato consentono alle aziende dominanti di rafforzare la propria posizione egemonica: le Big Tech dispongono di immense risorse finanziarie — per acquistare o soffocare la concorrenza —, di enormi quantità di dati, di basi di clienti colossali e del favore di legislatori che sembrano aver rinunciato a qualsiasi politica di concorrenza.

Chiunque avesse l’illusione che il potere delle grandi aziende tecnologiche potesse essere contenuto dalla regolamentazione del governo americano, ha dovuto ricredersi alla vista degli oligarchi tecno-cesaristi presenti all’insediamento di Donald Trump.

Protette e sostenute dalla nuova amministrazione americana, le Big Tech hanno una strategia chiara nella loro incessante corsa all’IA: intendono usare questa tecnologia come strumento per consolidare il proprio dominio e rimodellare i mercati globali a proprio vantaggio.

Un’opportunità per l’Europa

Ma non è il momento di rassegnarsi. La storia non è ancora scritta.

Mentre le relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea si fanno più tese, il Summit di Parigi offre agli Europei l’occasione di riprendere il controllo del proprio futuro, a partire dall’IA.

L’Europa non può limitarsi a essere un consumatore passivo di questi sistemi, sviluppati senza tener conto della sovranità economica, della capacità di innovazione o dei valori democratici. L’emergere recente del modello linguistico di DeepSeek dimostra che l’innovazione può ancora prevalere sulla dimensione aziendale, a patto di creare le giuste condizioni.

Affrontando direttamente il potere e l’influenza delle Big Tech — per esempio applicando il diritto alla concorrenza in modo sistematico e strategico — e promuovendo una visione dell’IA che metta al centro la dignità e l’autonomia umana, i governi europei possono ancora costruire un’alternativa: un ecosistema veramente competitivo.

Solo a questa condizione la tecnologia potrà continuare a contribuire alla prosperità dei lavoratori e dei cittadini, anziché trasformarsi in uno strumento di dominio nelle mani di una minuscola élite per asservire il resto dell’umanità.