Un cyber-destino manifesto
È una luce che abbaglia.
Dritta nei nostri occhi, fende i binari e una radura aperta tra due file parallele di alberi.
Lungo un orizzonte declinante, disboscato pesantemente, si stagliano capanne di legno e tendoni, segno evidente della presenza umana che ha realizzato la ferrovia su cui ora il treno ci corre contro.
‘Verso Occidente la stella dell’impero dirige il suo corso’, dipinto del 1867, realizzato da Andrew Melrose, è considerato, assieme ai dipinti di Emanuel Gottlieb Leutze e alle litografie di Fanny Palmer, una delle raffigurazioni più iconiche della espansione interna che vide sciamare centinaia di migliaia di pionieri lungo la frontiera americana nel corso del XIX secolo.
E del pari è considerata evocazione mitografica 1 della dottrina del destino manifesto, nel cui nocciolo profondo collimano investitura divina del potere, tecnologia, raffigurata questa nella ferrovia e nel treno dal pennello di Melrose, e ideali di libertà.
Coniata dal giornalista John L. O’Sullivan, in due articoli del 1845, la dottrina del destino manifesto indicava la naturale e divina vocazione degli Stati Uniti a espandersi 2 lungo tutto il Continente americano e con questa espansione diffondere gli ideali della libertà e dell’autogoverno.
Radice culturale di ciò che sarebbe poi divenuto l’eccezionalismo americano 3.
Ed una nuova forma, molto più accelerata, ellittica e altamente tecnologizzata, di destino manifesto 4 va assemblandosi all’ombra di Washington, nelle fasi di insediamento e di strutturazione del nuovo governo Trump.
Lo scenografico Dipartimento per l’efficienza governativa, dal nome-meme D.O.G.E., coordinato da Elon Musk, ne è parte, ma non una delle più rilevanti in chiave sostanziale.
Musk avrà un ruolo di front-man, di comunicatore e, sul versante interno, sarà chiamato a snellire la capillare burocrazia federale 5, percepita come vero corpo estraneo al disegno di insieme delle forze che hanno sostenuto Trump.
Ma i veri artefici di questa ibridazione tra governo, amministrazione, cultura digitale e tech, si muovono in apparenza più defilati, tessendo una tela algoritmica di operazioni finanziarie, innovazioni, progetti e inoculazione di uomini di fiducia nei gangli della nascente amministrazione Trump.
D’altronde, essi stessi hanno ormai consolidata esperienza nei rapporti col governo, essendo government contractor di lunghissimo corso, specie in delicate funzioni sovrane come la difesa, la sicurezza nazionale, senza dimenticare la salute.
Anche questa volta, le carovane dei pionieri si sono messe in marcia, ma il viaggio ora, al contrario di quanto avvenuto in passato, si dirige verso oriente.
Verso oriente l’impero della tecnodestra dirige il suo corso
Il tramonto della Silicon Valley non ha molto di romantico. Il cielo non si tinge infatti di un artefatto e incendiato rosso sangue, ma più banalmente delle direttrici che pulviscolarmente connettono tra loro i nuovi padroni del potere digitale e di quello tecno-industriale.
Eccoci al cospetto della PayPal Mafia e dei suoi eredi. La valle oscura della Silicon Valley che prima di altri, e contro tutti, ha scommesso, a partire dal 2016, su Donald Trump.
Per PayPal Mafia si intende, a partire da un fortunato articolo apparso su Fortune nel 2007 6, quel gruppo che racchiude i fondatori e i dirigenti di altissimo rango di PayPal; Peter Thiel, Jawed Karim, Jeremy Stoppelman, Andrew McCormack, Premal Shah, Luke Nosek, Ken Howery, David O. Sacks, Peter Thiel, Keith Rabois, Reid Hoffman, Max Levchin, Roelof Botha, Russel Simmons.
Nomi che, forse fatta eccezione per Thiel, sono sconosciuti ai più.
Ma sconosciute non lo sono di certo le creature a cui molti di loro hanno dato vita negli anni; Palantir Technologies, Tesla, SpaceX, Affirm, Yelp, YouTube, LinkedIn, tra le tante.
Musk, che non compare nella fotografia che orna l’articolo di Fortune del 2007, è una figura di cerniera, una sorta di interfaccia.
Tra cosa, esattamente? Tra il modello di Silicon Valley incarnato dalla PayPal Mafia e quello più risalente, impersonificato da Google, da sempre autentica bestia nera per Thiel e soci, sia come modello aziendale sia come visione globale 7.
La PayPal Mafia, che in questi giorni va facendosi architettura portante della amministrazione Trump e che ha recato in dote al magnate anche la simpatia elettorale della galassia imprenditoriale delle criptovalute, lo si diceva, ha lunga esperienza di contatti organici e contrattuali con il governo.
La Palantir Technologies di Thiel e Alexander Karp è una società leader nella realizzazione di complessi sistemi software per la analisi massiva di dati, per la profilazione a fini di sicurezza nazionale e di sorveglianza e può vantare commesse statali che compongono il 60% complessivo dei suoi introiti 8.
Di quali rami della amministrazione statale si tratti non è difficile intuirlo: difesa, intelligence, dispersa questa nelle varie agenzie.
Anche la salute, visto che la società di Denver ha coordinato e reso possibili le operazioni di vaccinazione contro il covid-19 con il sistema Warp Speed, nome derivante dalla serie Star Trek, e portate avanti con specialisti militari 9.
La società ha mutuato il proprio nome dalle pietre veggenti de Il Signore degli Anelli, di cui Thiel, come pure Musk, è più che un semplice, per quanto grandissimo, appassionato.
Di questo circuito, altro nome di spicco è Marc Andreessen, uno dei più influenti e potenti venture-capitalist californiani. Pur non apparentato alla PayPal Mafia, ha sostenuto con il suo studio Andreessen-Horowitz alcune delle operazioni più importanti in fatto di sviluppo e implementazione di alta tecnologia 10 ed ora è lui, in dimensione recruiter, a selezionare il personale che dovrà dare ausilio al D.O.G.E. di Musk 11.
Ma Marc Andreessen, proprio come Peter Thiel, non si limita ai pur rilevanti affari e ha una sua visione filosofica.
Nell’ottobre 2023, ha pubblicato online un Manifesto del Tecno-Ottimismo, al cui interno si rinvengono fonti concettuali disparate, dall’accelerazionista Nick Land a Vilfredo Pareto, da Nietzsche a Thomas Sowell, dal teorico anarco-capitalista David Friedman al futurista Filippo Tommaso Marinetti e che tradiscono un caotico eclettismo che però, quando poi scende nel campo delle decisioni e delle scelte, si tramuta in granitico pragmatismo visionario.
Visionario, perché come Thiel, Andreessen reputa che il vero successo consista nell’aprire nuove rotte, per seguire strade mai aperte prima da altri.
Pragmatico, perché Andreessen snocciola i nemici della crescita economica, della vocazione alla potenza e della difesa della libertà: teorici della decrescita, integralisti del green, amanti della iper-regolazione, responsabilità sociale delle imprese contro cui già Milton Friedman aveva tuonato, il woke, autentico cavallo di Troia dei nemici dell’occidente.
Individua del pari la strada da percorrere, che va assemblata giustapponendo ciottoli rappresentati da investimenti su intelligenza artificiale, robotica, nucleare, rimettendo l’uomo al vertice dell’ecosistema e puntando soprattutto sulla sinergia tra innovazione capitalistica e interesse nazionale.
Una visione di un impero della libertà da puntellare, rafforzare, espandere, attraverso la sicurezza, che sintetizzi tra loro modulazione disruptive dell’alta tecnologia e dei suoi demiurghi privati e fisionomia degli apparati statali.
Questa visione non si limita al tecno-ottimismo, ma assume le sfumature di una versione riaggiornata della dottrina del destino manifesto.
Se Thiel infatti, da allievo attento di René Girard a Stanford, ha basato molte delle sue decisioni imprenditoriali e politiche sul rifiuto della mimesi 12, ovvero della fascinazione per modelli già esistenti, preferendo, da vero pioniere visionario, battere sentieri sconosciuti, Andreessen è un convinto assertore del dinamismo americano.
Sul sito web del suo studio di venture capitalism, il dinamismo americano appare come una ibridazione tra una cyber-dottrina del destino manifesto, il riconoscimento della priorità dell’interesse nazionale, a dispetto di una dimensione utopistica e globalista di digitale, e la necessità della difesa intransigente, anche mediante espansione, della libertà.
Libertà e sicurezza sono tra loro endiadicamente intrecciate. E per garantire davvero, sostanzialmente, la prima, va potenziata la seconda, mediante un approccio attivo alla sicurezza.
Questo approccio attivo ha una vocazione schiettamente imperiale.
In un mondo globale e in cui le sfide tecnologiche trascendono i confini, in cui spesso intere aree si aggregano sulla base di interessi, l’unica morfologia che davvero possa presidiare la libertà è quella dell’impero; frammentato e frazionato in aree connesse dall’interesse, spesso determinate dalla insistenza su queste aree di aziende o sedi distaccate delle realtà americane, da opporre agli attori concretamente o potenzialmente ostili.
La pragmatica sicurezza imperiale patrocinata in questa ricostruzione è antitetica, ontologicamente e assiologicamente, a qualunque approccio a vocazione globalista.
La tecnodestra, come l’hanno rubricata giornali e analisti, pur provenendo almeno in parte dalla Silicon Valley, detesta quel modo di pensare, di intessere relazioni commerciali e finanziarie con Paesi stranieri, tipico della ‘vecchia’ Silicon Valley.
La polemica, spesso, viene sollevata nei confronti di Google.
Sin dai tempi del caos seguito a Project Maven 13 e in seguito, con l’apertura di un laboratorio Google per lo sviluppo della intelligenza artificiale a Pechino, avvenuta nel 2017, i rapporti sono sempre stati tesi, inconciliabili e Thiel non ha mai mancato di polemizzare con il colosso di Mountain View.
D’altronde, come ricorda spesso la PayPal Mafia ai suoi antagonisti ‘pacifisti’, le radici della Silicon Valley affondano saldamente nell’industria militare e nelle logiche belliche 14.
E la loro, quindi, diventa quasi una accusa da ‘intelligenza col nemico’ a chi metta i bastoni di traverso alla macchina inesorabile della sicurezza imperiale.
Per questo, se i coloni della frontiera sciamavano verso l’occidente californiano, ultima fermata in apparenza del moto tellurico interno, ora la marcia viene invertita.
Le sedi delle grandi società riferibili alla tecnodestra non sono in California.
Colorado, Nevada, New Hampshire, Texas. La geografia del potere digitale muta, sovente per motivi di migliori climi fiscali, oppure, come di recente sottolineato da Alessandro Aresu 15, al fine di una non meno banale ricerca di spazio vitale, autentico Lebensraum algoritmico, per lo sviluppo di progetti in tema di intelligenza artificiale le cui infrastrutture necessitano di grandi spazi.
Spesso però questo spostamento è convinto allontanamento dal sole vetero-hippie della California e dai suoi codici ideologici, morali, aziendali.
Ed ora la marcia verso Est si sposta lungo due direttrici. Washington, da un lato, e dall’altro lato la Cina e l’Europa.
A Washington vanno messe radici. Si devono consolidare già sviluppati rapporti e contatti, si deve influire sull’agenda setting. Si deve inoculare la visione del dinamismo americano e della sicurezza imperiale.
Alcuni primi successi sono stati portati a casa; esaminando la fluviale mole di ordini esecutivi adottati a catena da Trump, se ne trovano alcuni, come ‘Putting people over Fish’, che risentono di questa impostazione e che chiedono con vigore di far tornare l’uomo al vertice dell’ecosistema, contro qualunque ideologizzazione dell’ambientalismo.
Anche la diffidenza nei confronti degli organismi sovra-nazionali, come l’OMS da cui gli USA con mossa da poker sono usciti per aumentare il loro potere di negoziazione contrattuale e poi rientrarvi, nel caso, diminuendo i finanziamenti e chiedendo una radicale revisione della governance, è figlia di questa visione.
Sommovimenti in tal senso riguarderanno anche la NATO.
Ma l’oriente, verso cui la tecnodestra si è messa in marcia, è anche quello, lo si accennava, dei suoi due antagonisti su scala globale.
La Cina e l’Unione Europea.
Repubblica tecnologica e sicurezza imperiale
Uno spettro aleggia in occidente e il suo nome è DeepSeek-R1.
Chatbot realizzato dalla start-up cinese DeepSeek e che, in pochissimi giorni, ha terrorizzato i suoi diretti competitor, come OpenAI, Meta e Anthropic, e inflitto perdite enormi alle Borse, soprattutto a colossi del settore digitale, come NVIDIA, che ha bruciato in una singola giornata il 17%.
La NVIDIA di Jensen Huang è peraltro snodo cruciale per la realizzazione di prodotti centrali per l’addestramento dell’intelligenza artificiale e la sua disfatta in borsa è una ferita ancora sanguinante, specie in chiave simbolica.
Ma DeepSeek non è un fantasma palesatosi d’improvviso, come una tempesta estiva. Arriva dalla città di Hangzhou, dove ha sede anche il fondo speculativo che l’ha finanziata, High Flyer.
Hangzhou è la cyber-roccaforte del progetto Made in China 2025 16, ‘gemello’ digitale della Via della Seta. Una città completamente trasformata, nella propria morfologia, dagli investimenti e dai piani del governo cinese, che l’hanno resa una evoluta manifestazione cinese di ciò che Nick Land intendeva con ‘NeoChina arrives from the future’ 17.
Ad Hangzhou l’intelligenza artificiale è stata utilizzata anche per il governo cittadino dei flussi veicolari, per l’amministrazione ordinaria e si è molto evoluta, in un arco temporale estremamente accelerato, tra il 2015 e il 2017.
Ma, cosa ancora più importante, interi distretti cittadini sono stati nei fatti militarizzati e convertiti alla innovazione digitale, servendosi di quello spazio, occupato senza particolare attenzione per i diritti umani, che serve per gestire la dislocazione delle infrastrutture fisiche essenziali per intelligenza artificiale, connettività di ultima generazione, cloud.
E nonostante non sia davvero tutto oro quel che brilla in DeepSeek, la sua mitografia di intelligenza artificiale performante, poco costosa, proposta come open source, anche se non appare realmente open source in senso stretto, è stata spinta dal soft power cinese e ha conquistato borse e soprattutto dibattito pubblico e politico, accreditando la Cina come vettore dell’innovazione tecnologica 18.
Per la tecnodestra il segnale è chiaro.
La visione della sicurezza imperiale non deve essere più un mero slogan ma, a fronte di queste evoluzioni, un imperativo concreto di policy.
Da alcune settimane, l’amministratore delegato di Palantir, Alexander Karp, calca palchi di sale convegni e rilascia dichiarazioni e snocciola analisi che costituiscono nei fatti l’antipasto del suo libro, scritto a quattro mani con Nicholas W. Zamiska, direttore del corporate di Palantir, in uscita a metà febbraio.
Titolo da autentico manifesto programmatico della tecnodestra: ‘The Technological Republic’.
Sottotitolo ancora più esplicito: ‘Hard Power, Soft Belief, and the Future of the West’.
La posta in gioco è esplicitata in maniera cristallina; il futuro dell’occidente.
E questo futuro, non per caso, passa anche attraverso il potere duro, quello della sicurezza, quello degli eserciti e quello della tecnologia al servizio dell’interesse nazionale.
E cosa dice Karp? Sostiene, echeggiando Thiel, che innovazione tecnica, progresso culturale e volontà di rischiare siano elementi fondamentali per salvare l’occidente dalla stagnazione e dalla deriva in cui è ormai piombato.
Un clima, questo, che potrebbe essere agevolmente utilizzato dai nemici della libertà e dell’interesse nazionale americano.
E Karp, anche qui come Thiel e Andreessen, rivolge critiche feroci alla Silicon Valley.
L’accusa è semplice e brutale; la visione miope e quasi hippie, ecumenica, globalista della Silicon Valley, oltre ad aver intessuto relazioni con realtà in potenza ostili, ha trasformato legioni di ingegneri, inventori, programmatori, informatici, in commessi di negozio preoccupati solo di realizzare algoritmi primitivi e standardizzati, privi di qualunque quoziente di innovazione, e advertising per fidelizzare gli utenti.
In questo modo, l’America e l’occidente tutto finiscono per focalizzarsi sullo scenario micro e rimangono indietro, come dimostra la vicenda di DeepSeek, nella corsa globale alla intelligenza artificiale.
È forte anche la eco di quanto Henry Kissinger ha messo nero su bianco nel suo ultimo libro 19, riflettendo sulla centralità assoluta della tecnologia avanzata sia come forma di soft power sia come hard power in senso stretto.
La tecnodestra è quindi interventista nella guerra culturale della tecnologia: più investimenti, più innovazione, meno regole, non sono più elementi di mera strategia commerciale per massimizzare i profitti, ma strada obbligata per difendere la libertà.
Il vessillo della libertà quando brandito in una visione imperiale è bandiera poco sovranista, va detto, nonostante l’arcipelago dei referenti politici appartenga a quell’area politica.
La tecnodestra, le cui radici sono in America, ha però interessi interconnessi tra diversi Paesi, e parla per questo il linguaggio della libertà in luogo dell’uso esplicito di singoli interessi nazionali.
I discorsi, i libri, i manifesti della tecnodestra utilizzano la locuzione ‘occidente’, non solo come spazio da conquistare ma da preservare e da difendere da invasioni, decadenza, stagnazione.
Per portare avanti questa ambiziosa agenda diventa essenziale costituire una rete internazionale di aree non semplicemente vassalle ma connesse da una visione comune che sappiano utilizzare la tecnologia statunitense.
L’unità dell’autorità imperiale in questo caso non è più politica o solo politica ma tecno-industriale e conduce direttamente alle diramazioni dell’Idra chiamata PayPal Mafia.
Nel 2024, Peter Thiel si è recato due volte in Argentina per discutere con Javier Milei di investimenti tech nel Paese sudamericano.
Elon Musk sta intessendo contatti organici con il governo italiano per valutare l’approdo di Starlink nel nostro Paese. E lo stesso Musk è il front-man di influenza di questo coacervo tecno-politico, attraverso X, in Inghilterra, in Germania, in Francia.
Proprio in questa strategia, si situa il problema chiamato Unione Europea.
L’inverno dell’Unione Europea
Quando DeepSeek ha scatenato brividi lungo la schiena della politica occidentale, delle società del tech, di commentatori e opinionisti, la reazione di Marc Andreessen è stata sarcasticamente social; ha postato su X, ormai intelligenza collettiva di coagulazione del pensiero e della comunicazione della tecnodestra, un meme che immortala un uomo, impersonificante l’Unione Europea, intento a fissare lo schermo del proprio smartphone, nello specifico la norma sui tappi delle bottiglie di plastica, mentre a pochi passi da lui altri uomini, ovvero Anthropic, Meta, OpenAI, si accapigliano furiosamente con DeepSeek.
Anche questo a suo modo, un manifesto.
Esemplificativo in maniera limpida di quale sia la considerazione che la tecnodestra ha dell’Unione Europea: un monumento ossificato, inerte, incapace di produrre innovazione e centrato solo sulla dimensione del proporsi come regolatore universale sulle global policies.
Non per caso, tra i nemici elencati nel suo manifesto da Andreessen figura lo ‘Stato universale e omogeneo’ pensato da Alexandre Kojève, il filosofo franco-russo che ebbe ruolo decisamente rilevante nella burocrazia della primigenia comunità europea, e la cui risultante è un impero assiologicamente e istituzionalmente opposto all’impero libertario e pragmatico immaginato dalla tecnodestra.
Dall’entrata in vigore del General Data Protection Regulation (GDPR) e in considerazione della sua capacità di imporsi al di là dei confini dell’UE, nel settore della protezione dei dati personali, tema essenziale nel digitale, è entrata nel lessico politico e giuridico la locuzione ‘Brussels effect’, coniato da Anu Bradford 20, professoressa alla Columbia University.
L’ambizione europea di divenire un regolatore universale, e unilaterale, sull’onda montante del sempre più complesso framework normativo che assomma ormai Digital Services Act (DSA), Digital Markets Act (DMA), Artificial Intelligence Act, e della modellazione di un mercato unico digitale europeo che finirebbe per essere impermeabile all’ingresso e alla espansione dell’influenza della tecnodestra, viene ormai da questa percepita come una minaccia, come una deriva ostile, una falla nella costruzione dell’arcipelago turrito della sicurezza imperiale.
In questa chiave vanno letti il sostegno a formazioni politiche euro-scettiche che sembrano promettere una ridefinizione radicale degli assetti istituzionali euro-unitari e le minacce di Trump di dazi selettivi che risparmierebbero però l’Italia.
In questo senso, vanno le parole di Mark Zuckerberg, il quale, pur non direttamente parte del dispositivo della tecnodestra, è amico e compagno di affari di Thiel sin da quando Thiel finanziò la Facebook degli albori; Zuckerberg ha detto, esplicitamente, che si attende che Trump ripristini le libertà americane, tra cui quella di espressione, minacciata dalla normativa europea 21.
Così come è oggi l’Unione Europea, ombelicalmente rinchiusa nella sua considerazione di poter governare l’accelerazione tecnologica privilegiando la norma a discapito dell’innovazione, in un frangente in cui il mercato si connette alla potenza degli eserciti, non suscita alcuna attrazione, né può davvero esercitare un ruolo di autentica influenza nello scacchiere planetario.
È certo questa l’occasione per un radicale ripensamento della architettura istituzionale dell’Unione, dei suoi meccanismi decisionali, della sua stessa filosofia di fondo. Privilegiando, in una fase tanto delicata a livello globale, finalmente innovazione, competitività, riducendo in maniera draconiana stock e flusso di normazione, rigettando la ideologizzazione ambientalista che ha contraddistinto l’agenda green, cogliendo la sfida della tecnodestra americana come proposta di una alleanza, paritaria, prima che sia troppo tardi.
Perché l’alternativa è ad oriente e ha le sembianze poco confortanti del Dragone di silicio.
Note
- Sulla frontiera americana come mito capace di influenzare l’evoluzione politica e la costruzione della identità politica, B. Cartosio, Verso ovest. Storia e mitologia del Far West, Milano, Feltrinelli, 2018, p. 35.
- La differenza tra le frontiere europee e quella americana, rileva F. J. Turner nel suo classico studio sulla frontiera americana, consisterebbe proprio nella fluidità espansiva di questa ultima, mentre le prime sarebbero statiche e puramente difensive. La frontiera americana, al contrario, è un sistema popolato, vissuto, e proprio per questo in continua espansione, F. J. Turner, La frontiera nella storia americana (1920), Bologna, Il Mulino, 2024, pp. 32 e ss.
- A. Stephanson, Destino manifesto. L’espansionismo americano e l’impero del Bene, Feltrinelli, Milano 2004.
- Di un nuovo destino manifesto aveva già parlato in realtà P. Khanna, Connectography. Le mappe del futuro ordine mondiale, Roma, Fazi, 2016, p. 172 e ss. il quale sottolineava come nella value chain dei ceti abbienti americani si sia fatta sempre più strada l’idea di abbandonare il Paese per cercare una qualche realizzazione fuori dai confini. Una analisi che trova conferma oggi, proprio perché la realizzazione sulla e nella frontiera esterna diventa il dispositivo per garantire la totale sicurezza e la libertà degli USA. In questo senso la vis immessa dalla tecnodestra nella idea di presidiare, sotto forma di mobile espansione, la frontiera esterna, stringendo connessioni con altre aree geografiche, riappropriandosi di luoghi di influenza e di difesa, come nel caso di Groenlandia e Panama, non è un unicum nella storia americana. La giurisprudenza della Corte Suprema agli inizi del XIX secolo si era scarsamente interessata dei confini interni degli USA, mentre al contrario aveva prestato molta più attenzione al confine esterno e alla sovranità mobile, ad esempio per la perimetrazione sovrana delle acque e per stabilire quindi fin dove potesse spingersi una nave straniera, US Supreme Court, Little v. Barreme, 6 US 170 (1804), Church v. Hubbart, 6 US 187 (1804), Jennings v. Carson, 8 US 2 (1807).
- Una delle prime decisioni assunte da Musk è stata l’annullamento di contratti in corso per un valore complessivo di 420 milioni di dollari, come ha fatto sapere lo stesso magnate che su X conduce una sorta di social-cronaca degli atti intrapresi dal D.O.G.E.
- J. M. O’Brien, The PayPal Mafia, in Fortune, 26 novembre 2007. La centralità irriducibile di questi imprenditori nel mondo digitale e produttivo statunitense, i collegamenti con la politica, sono stati confermati di recente dallo stesso magazine, A. Oreskovic, The PayPal Mafia still rules Silicon Valley, in Fortune, 21 luglio 2024.
- Un aspetto non secondario che rende inevitabilmente Musk parte non totalmente direttiva della tecnodestra è il fatto che abbia interessi, non banali, in Cina. Tesla infatti produce circa il 40% della componentistica per le batterie dei suoi veicoli su scala globale a Shanghai, nella avveniristica Giga Factory inaugurata anni fa. In questi giorni, è filtrata la notizia, riportata dal The Times, che allo stesso Musk sarebbe stato negato accesso diretto a Trump da parte della White House Chief of Staff Susie Wiles, D. Charter, Trump’s ‘ice maiden’ freezes Elon Musk out of West Wing, in The Times, 28 gennaio 2025. La decisione, se confermata, potrebbe essere letta in questa prospettiva di ‘accerchiamento’ di Musk, per consentire al resto della tecnodestra di esercitare reali influenze in chiave di policy-making.
- T. Radke, Palantir’s valued tied to 60% of their revenue coming from government contracts, in Yahoo Finance, 14 febbraio 2023.
- P. Mango, Warp Speed. Inside the Operation that beat Covid, the Critics, and the Odds, New York City, Republic Book Publishers, 2022.
- Oltre ad aver indirettamente, per il tramite del suo socio Bob Swan, partecipato alle operazioni di acquisizione di Twitter da parte di Musk, W. Isaacson, Elon Musk, Milano, Mondadori, 2023, p. 583.
- C. Zakrzewski, J. Alemany, Elon Musk isn’t the only tech leader helping shape the Trump administration, in The Washington Post, 13 gennaio 2025.
- Una idea formulata da Girard a far tempo dalla sua opera del 1961, Menzogna romantica e verità romanzesca, secondo cui il desiderio avrebbe natura triangolare, partecipando tanto del soggetto che desidera, dell’oggetto desiderato e poi di un terzo modello, ovvero l’elemento fascinatore che con il suo successo, la sua celebrità, ci porta, per mimesi appunto, a desiderare qualcosa.
La matrice triangolare dell’atto desiderante porta, inevitabilmente, alla conflittualità, e proprio per questo emergerebbe la fisionomia salvifica del ‘capro espiatorio’ che risolverebbe in sé, nel proprio sacrificio, la intima contraddizione su cui si erige una civiltà, R. Girard, Il capro espiatorio, Milano, Adelphi, 1999.Il libro di Thiel, Da zero a uno, Milano, Rizzoli, 2023, è profondamente intriso di concetti girardiani, soprattutto nel rifiuto della concorrenza e nella necessità di muoversi lungo idee e sentieri non battuti prima, senza indulgere nella mimesi, con impeto visionario che sappia creare mercati dove mercati non esistono ancora.
- Un progetto del Pentagono sviluppato a partire dal 2017 e utilizzato in molti conflitti dal 2021; si tratta di un utilizzo cross-funzionale di algoritmi, con machine-learning e Big Data, da integrare in dispositivi di guerra. Inizialmente al progetto partecipò anche Google, per mettere a disposizione del Pentagono i propri sistemi di intelligenza artificiale che sarebbero stati utilizzati per pilotare velivoli senza pilota. La collaborazione suscitò la vasta riprovazione del personale di Google e l’episodio è considerato uno dei primi esempi di mobilitazione politico-sindacale interna alla realtà delle grandi piattaforme digitali. Thiel si disse molto deluso e in disaccordo con la decisione di Google, la quale finiva per ridurre la capacità difensiva statunitense.
- Un aspetto questo che è assoluta verità, si vedano, tra i molti, J. Ryan, Storia di Internet e il futuro digitale, Torino, Einaudi, 2011, p. 5, M. O’Mara, The Code. Silicon Valley and the Remaking of America, New York City, Penguin, 2019, specie pp. 24 e ss.
- A. Aresu, La PayPal Mafia si fa Deep State, in Limes, 4, 2024, pp. 63 e ss.
- Sulla politica cinese di implementazione delle intelligenze artificiali e dei sistemi algoritmici connessi alla dimensione economica, sociale, geopolitica e urbana, A. Webb, The big nine. How the tech titans & their thinking machines could warp humanity, NYC, PublicAffairs, 2019, pp. 65 e ss.
- N. Land, Collasso, in N. Land, Collasso, Roma, LUISS University Press, pp. 199 e ss.
- R. A. Fannin, Silicon Dragon. How China is inning the tech race, Columbus, McGraw-Hill, 2008, pp. 22 e ss.
- H. Kissinger, E. Schmidt, D. Huttenlocher, L’era dell’Intelligenza Artificiale – il futuro dell’identità umana, Milano, Mondadori, 2023.
- A. Bradford, The Brussels Effect. How the European Union Rules the World, Oxford, Oxford University Press, 2020.
- A. Hernández-Morales, Zuckerberg urges Trump to stop the EU from fining US tech companies, in Politico, 11 gennaio 2025.