In America contro America (1991), Wang Huning, professore di Shanghai arrivato al vertice del Partito Comunista Cinese, racconta nel dettaglio le sue impressioni sulla cerimonia di inaugurazione di George H.W. Bush del 1989, all’interno del suo lungo viaggio negli Stati Uniti tra il 1988 e il 1989, volto a comprendere i pregi e i difetti della potenza che si accingeva a vincere la guerra fredda.  

In “La Cina ha vinto” (in uscita il 2 settembre 2025 in italiano per Feltrinelli), Alessandro Aresu immagina le impressioni di Wang Huning oggi sulla cerimonia di inaugurazione di Donald Trump, per immaginare la prospettiva del potere cinese sui suoi due vantaggi odierni rispetto all’avversario statunitense (il capitale umano e la capacità industriale) e sulla possibilità che l’avversario si suicidi, soffocato dalle sue contraddizioni, come intuito 35 anni fa dallo stesso Wang Huning. 

Nel racconto, si descrive l’incontro di Wang Huning e Xi Jinping con i leader imprenditoriali cinesi, avvenuto a febbraio 2025, ripensato e ampliato per Le Grand Continent.   

Il 17 febbraio 2025, fuori dalla Grande Sala del Popolo, i capitalisti rossi fanno anticamera, in attesa di essere ammessi. 

I governanti comunisti hanno raccolto e perfezionato l’eredità della millenaria e sofisticata macchina amministrativa della civiltà cinese. Un organismo caratterizzato dalla gerarchia dei funzionari, la specializzazione dei ruoli e degli uffici, la presenza di registri e archivi, il ruolo centrale della classe dei funzionari-letterati. 

Il grande sinologo francese, Étienne Balazs, ha descritto in pagine immortali e immaginifiche questa “burocrazia celeste”, il cui potere era basato su compiti che scandivano la vita: la compilazione del calendario, il coordinamento delle opere idrauliche, la standardizzazione di pesi e misure, l’organizzazione della difesa, la direzione del sistema formativo. Bisognava amministrare qualunque cosa. L’amministrazione finiva per essere superiore alla vita. O meglio, scrivere la vita diviene più importante che viverla perché la colloca dentro l’ordine insopprimibile delle cose. Scrive Balazs: “Lo Stato-provvidenza sorveglia attentamente ogni passo dei suoi sudditi, dalla culla alla tomba. È un regime di cartacce inutili e di fastidi, di cartacce a perdita d’occhio, di cartacce a non finire.” Ora il Partito Comunista Cinese è la burocrazia celeste, e porta il mantello dell’ordine della civiltà cinese, dei suoi millenni e delle sue cartacce. “La coreografia resta in sostanza la stessa” (“La chorégraphie reste en substance la meme”), scrive Balazs.  

Ma la burocrazia celeste ha bisogno del dinamismo dei capitalisti rossi. Senza la loro inventiva, senza la loro fame, senza la loro volontà di arricchirsi, senza il loro caos creativo, la Cina non può riprendere il suo posto nel mondo. 

Tra i capitalisti rossi in attesa, vi sono i leader mondiali della mobilità elettrica, Robin Zeng di CATL e Wang Chuanfu, il chimico fondatore di BYD. Un tempo, quei nomi dei “prometei cinesi dell’elettricità” erano noti solo a pochi addetti ai lavori, con una impressionante eccezione: Charlie Munger, il braccio destro di Warren Buffett innamorato del genio di Wang Chuanfu fin dal 2008. Quando Munger e Buffett investivano, Elon Musk scoppiava a ridere: “Avete visto le auto di BYD?”. Ora perfino Musk ha chiesto scusa, perché ha paura. 

C’è anche Lei Jun di Xiaomi, che ha promesso di andare in palestra almeno 100 giorni nel 2025. Ha fondato la sua azienda nel 2010, pressappoco quando Apple, mentre faceva una marea di soldi sfruttando le aziende taiwanesi e agli operai cinesi, ha promesso di realizzare la Apple Car. Apple ha abbandonato il progetto, invece le auto di Xiaomi solcano le strade e Lei Jun le fotografa con gli smartphone di Xiaomi, da tempo presenti nel mercato indiano, e non solo. 

A moderare e presiedere l’incontro della Grande Sala del Popolo, al cospetto del segretario generale e presidente della Commissione Militare Centrale, Xi Jinping, è Wang Huning. 

Oltre a essere membro del Comitato Permanente del Politburo, Wang Huning è il Presidente del Comitato Nazionale della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese: questo nome pletorico, perfetto per la logica di Balazs, identifica un organo in cui i rappresentanti del mondo economico, della scienza e della tecnologia mostrano la loro ubbidienza alla burocrazia celeste, al Partito.  

Wang Huning è stato ed è molto altro.

Xi Jinping e altri leader del Partito Comunista Cinese (PCC) e dello Stato, Li Keqiang, Li Zhanshu, Wang Yang, Wang Huning, Zhao Leji, Han Zheng e Wang Qishan, hanno rivisto il giuramento di adesione al Partito dopo aver visitato una mostra sulla storia del PCC intitolata “Rimanere fedeli alla missione fondatrice” al Museo del PCC a Pechino, capitale della Cina, il 18 giugno 2021. © Li Xueren

Nato nel 1955, la sua mente è a tempo pieno al servizio del Partito dal 1995. Prima professore di politica alla Fudan di Shanghai, traduttore, viaggiatore negli Stati Uniti, autore nel 1991 del libro “America contro America”, volto a decifrare il dinamismo e le debolezze degli Stati Uniti. Quando Donald Trump negli anni ’80 si arrabbiava perché un collezionista giapponese gli soffiava all’asta il pianoforte di Casablanca, Wang Huning aveva già discusso il concetto di sovranità in Jean Bodin. Quando i politici europei dovevano ancora cominciare le loro insignificanti carriere, Wang Huning aveva già tradotto Raymond Aron dal francese e Robert Dahl dall’inglese. Aveva già accompagnato la squadra della Fudan alla vittoria dei dibattiti interuniversitari di Singapore nel 1988 e nel 1993, contro la National Taiwan University. Nella sua vita politica, il professore di Shanghai, Wang Huning, servirà i tre segretari generali, Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping, e giungerà nel Comitato Permanente del Politburo nel 2022. 

Gli intellettuali hanno sempre voluto dare forma alla politica, anche nella mente e nella storia occidentale. Platone ha inseguito il tiranno di Siracusa, il segretario fiorentino si è ritirato sconfitto per parlare coi classici, Kojève è stato snobbato da Stalin e ha abbozzato qualche trattato commerciale. Quanto a Wang Huning, ha servito tre segretari generali del Partito mentre varie centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà assoluta; siede nel Comitato Permanente del Politburo; modera l’incontro coi capitalisti rossi.   

Nella Grande Sala del Popolo, la politica esiste ancora. E comanda. 

Dietro i leader comunisti c’è un enorme dipinto, lungo 16 metri e largo 3 metri, “Paesaggio Dorato d’Autunno a Yuyan” di Hou Dechang. Le montagne e le rocce dominano la scena, con un caratteristico disegno ondulato che giunge fino alle cime rossicce; gli alberi verdi stanno poco sopra Xi Jinping e Wang Huning, i corsi d’acqua e le nubi avvolgono il paesaggio, mentre sentieri umani sono messi in prospettiva da una natura soverchiante. Il paesaggio continua, non si interrompe, nemmeno dopo 16 metri, perché la storia millenaria della Cina determina la sua profondità.

La mente di Wang Huning è inquieta, come ogni mente filosofica. Il professore di Shanghai disprezza il denaro, come il segretario generale e presidente della Commissione Militare Centrale, Xi Jinping, che squadra i ricchi col suo sorriso bonario e feroce.  Negli imprenditori che ha davanti a sé, Wang Huning non vede i prodotti o le innovazioni, ma i concetti che glieli ricordano e che essi incarnano. Quando guarda Wang Chuanfu nella Grande Sala del Popolo, Wang Huning pensa subito: “Lenin: il comunismo è i soviet e l’elettricità”. Una formula molto amata da Carl Schmitt, il giurista nazista acuto ammiratore della tattica militare maoista. 

La Cina, fuori dalla Grande Sala del Popolo, è anche questo: l’accesso di elettricità per la popolazione, la capacità installata di energia solare, milioni e milioni di punti di ricarica, la lotta delle batterie tra BYD e CATL, le esportazioni dei veicoli elettrici, le innovazioni in tutta la filiera. I rapporti dell’Agenzia Internazionale dell’Energia testimoniano anno dopo anno questa crescita impetuosa. 

Un potere di infrastrutturazione energetica che fa paura ai giganti dell’avversario, dell’America. Le grandi aziende degli Stati Uniti si sentono deboli davanti alla rete elettrica cinese, davanti al potere di convertire, come in un procedimento alchemico, una fabbrica di alluminio in un data center.

In America, le aziende gestite dagli immigrati asiatici hanno migliaia di miliardi di capitalizzazione, superano costantemente queste soglie, investono sempre di più. Poi servono idraulici ed elettricisti. Quanta acqua sai far arrivare? Quale trasmissione riesce a reggere la tua rete? Le tue infrastrutture funzionano oppure no? Wang Huning vede le centinaia di miliardi di investimenti delle aziende americane e le centinaia di miliardi di passi degli elettricisti cinesi. I soviet e l’elettricità. 

Vicino a Wang Chuanfu, nella disposizione delle sedie della Grande Sala del Popolo, sta il più decorato tra gli eroi della guerra tecnologica tra la Cina e gli Stati Uniti, che lo stesso Wang Huning si ferma a salutare con riverenza: Ren Zhengfei, il fondatore di Huawei nato nel 1944. La guerra dura ancora ma lui è già il grande veterano. 

Quante vite ha vissuto Ren Zhengfei? Quante Cine ha incontrato nel suo percorso? Wang Huning pensa a quando andava in cerca di libri usati, nella sua vecchia vita da professore di Shanghai. Il padre di Ren Zhengfei era un libraio che nel 1937 vendeva Il Capitale. Lavora come educatore. Poi, come tutti o quasi, viene perseguitato durante la Rivoluzione Culturale, nel suo caso per non aver appoggiato in tempo la parte giusta. Durante le persecuzioni, il padre di Ren Zhengfei viene umiliato nella mensa della scuola di cui è preside. È costretto a portare un cappello della vergogna, col viso imbrattato di inchiostro, mentre la folla grida: “Studiare è inutile! Più conoscenza possiedi, più sei reazionario!”. 

Quegli insulti ancora echeggiano nella Grande Sala del Popolo. Nessuna ricchezza, nessun primato industriale può cancellare quelle sofferenze. Nella Grande Sala del Popolo, ognuno ha quelle tristi storie da raccontare, che i decenni di sviluppo non hanno cancellato. Ognuno ha i suoi morti e feriti.   

Studiare è inutile? Ren Zhengfei ha assistito al discorso alla conferenza scientifica nazionale di Deng Xiaoping nel 1978, l’anno in cui ha Wang Huning ha potuto tenere, grazie ai cambiamenti delle politiche cinesi, l’esame di ammissione agli studi post-laurea alla Fudan. Insieme ad altre 6.000 persone, Ren Zhengfei ha sentito Deng Xiaoping dire che “gli scienziati e i tecnici devono concentrare le loro energie sul lavoro professionale”, senza essere disturbati troppo dalla politica. “Se qualcuno lavora sette giorni e sette notti alla settimana per le esigenze della scienza e della produzione, ciò mostra la sua elevata e altruistica devozione alla causa del socialismo”. Deng parla di “indipendenza e autosufficienza” nella scienza e nella tecnologia, ma dicendo che non deve esservi una “cieca opposizione a tutto ciò che è straniero”. Per non vivere un nuovo secolo di umiliazione, bisogna imparare dagli altri e “anche dopo aver raggiunto i paesi più avanzati, dovremo ancora imparare da loro nelle aree in cui sono particolarmente forti”. 

Studiare è inutile? La storia contemporanea cinese ha già dato la sua risposta, che sfila nella Grande Sala del Popolo. arrivano i simboli delle nuove generazioni di imprenditori cinesi, Liang Wenfeng di DeepSeek, nato nel 1985, figlio di insegnanti, con laurea e master alla Zhejiang University, e Wang Xingxing della società di robotica Unitree, quella dei robot che fanno le capriole, nato nel 1990, laureato a Zhejiang Sci-Tech University con master all’Università di Shanghai. 

Tra le cartacce che Wang Huning e gli altri membri del Comitato Permanente hanno ricevuto sulla guerra dei semiconduttori, sono descritti i vari prodotti di NVIDIA: A100, H20, B200, e molti altri. Wang Huning ha capito che le lettere sono omaggi ad alcune personalità matematiche e scientifiche: il francese André-Marie Ampère, gli statunitensi Grace Hopper e David Blackwell. Gli è però difficile ricordare queste personalità, preferisce fare riferimenti ai suoi amati filosofi: Aristotele, Hegel, e naturalmente Bodin. Gli è ancora più difficile capire cosa facciano veramente quei prodotti, come funzionino, oppure cosa veramente abbia fatto DeepSeek con Huawei, cosa con NVIDIA. O meglio, Wang Huning dispone dei rapporti dell’intelligence cinese che dicono esattamente come sono andate le cose. Tutto ciò non gli interessa realmente. Gli interessa leggere che ormai nei brevetti sull’intelligenza artificiale generativa la Zhejiang University si colloca al secondo posto nel mondo, tra Google e Microsoft. Parte dei brevetti di Microsoft, d’altra parte, vengono dal suo laboratorio di ricerca cinese. E chi starà lavorando a queste cose, a Google? Interi dipartimenti di informatica, di ingegneria elettronica, di robotica negli Stati Uniti, sono popolati da studenti cinesi. Intere conferenze sull’intelligenza artificiale, tutte co-organizzate dai cinesi. Wang Huning ha sbirciato il curriculum di una studentessa cinese che ora sta al MIT e che da sola co-organizza 10 conferenze sull’intelligenza artificiale nel solo 2025.  

Jack Ma di Alibaba ora ha fatto il suo ingresso nella Grande Sala del Popolo, e deve sedersi a lato. Mai nessuno è stato umiliato come Jack Ma, in tempi recenti, per aver sfidato il potere finanziario e regolatorio del Partito, per aver velatamente suggerito che il potere in Cina può essere conteso, o sospeso. 

Étienne Balazs ricorda l’assenza di audacia, “la mancanza completa di spirito combattivo” della classe media e dei mercanti, davanti alla burocrazia celeste. I mercanti avevano un’ambizione limitata, intrappolati e tormentati dal sogno che i loro figli fossero funzionari-letterati. Solo grazie ad altri sogni la Cina si è risvegliata. Ma la burocrazia celeste riporterà al suo posto, con la violenza del sorriso bonario e feroce di Xi Jinping, ogni spirito combattivo che intraprende la battaglia che non può essere vinta: la battaglia col potere.  

Eppure, nel capitalismo politico della burocrazia celeste, anche Jack Ma ora deve essere invitato. Quando il gioco si fa duro, non può essere certo il cugino di qualche militare a far avanzare la Cina nel cloud e nell’intelligenza artificiale. L’Esercito Popolare di Liberazione può buttare i soldi, ma non può buttarne troppi. Serve pure la gente come Jack Ma, o come il suo co-fondatore, il ben più navigato Joe Tsai, gentiluomo sportivo che si muove con disinvoltura tra due mondi in guerra, comprando squadre di basket e giocando a lacrosse. 

Durante il lungo incontro della Grande Sala del Popolo, finalmente prende la parola il segretario generale, Xi Jinping. Dopo aver lodato l’importanza dell’alta tecnologia e delle nuove forze produttive, a un certo punto si mette a parlare di acciaio. Ogni volta che il segretario generale Xi Jinping parla della produzione di acciaio, Wang Huning pensa a Max Weber e al dialogo con Werner Sombart che ha trovato nei libri per i suoi corsi sulle contraddizioni dello sviluppo capitalistico e sulla lunga strada che il socialismo con caratteristiche cinesi deve percorrere nel corso dei prossimi secoli, sulla base di un’analisi degli ultimi millenni. 

La “danza delle streghe” dei Paesi capitalistici, dicono gli studiosi tedeschi all’inizio del Novecento, finirà soltanto quando “l’ultima tonnellata di ferro si fonderà con l’ultima tonnellata di carbone”. Stanno parlando dell’acciaio.

Finché dovranno esserci cose, strutture, stabilimenti di produzione, “fabbriche” della plastica o “fabbriche dell’intelligenza artificiale” (come le chiama Jensen Huang), il meccanismo non si interromperà. Pertanto, non si può intravedere la sua interruzione. 

Ciò che conta non sono solo i rapporti di forza tra le classi, ma la divisione del lavoro internazionale: chi produce cosa, e come, e chi approfitta dell’abbandono della produzione da parte di qualcun altro. Lo spazio della Repubblica Popolare si costruisce qui. Chi sta realizzando la fusione di ferro e carbone? Chi produce più di metà dell’acciaio del mondo? La Cina. 

Il presidente cinese Xi Jinping (al centro), anche segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) e presidente della Commissione militare centrale, visita le fattorie e l’ufficio amministrativo per il ripristino dei terreni di Jiansanjiang, nella provincia di Heilongjiang, nel nord-est della Cina, il 25 settembre 2018. © Xinhua/Wang Ye

Wang Huning ha sentito più volte il segretario generale Xi Jinping ribadire il suo disprezzo per le cose fittizie o virtuali e l’ammirazione per le fabbriche, in grado di produrre cose “vere”.

In questo, il segretario generale Xi Jinping ha una curiosa somiglianza col presidente Trump: nell’incapacità di comprendere l’economia contemporanea così come esiste realmente, nella fissazione con altre metriche, altri particolari. Una fissazione così testarda da diventare realtà effettuale, che condiziona i loro interlocutori.  

Entrambi, pur vivendo in un’economia dei servizi, ritengono che il centro della vita economica sia e debba essere per imperativo categorico solo e soltanto una fabbrica, che realizza beni. Per entrambi, solo chi “costruisce” ha dignità. Entrambi hanno radunato una gigantesca corte di mosche cocchiere che si proclamano “costruttori” per raggranellare favori e farsi i fatti propri. Dentro questa nebbia di elogi, è difficile vedere chiaro. Come capita dentro ogni corte. Il vertice della burocrazia celeste è tutt’altro che onnisciente: Wang Huning, come gli altri potenti della Cina, e come lo stesso segretario generale Xi Jinping, non ha certo una totale comprensione dell’economia cinese. La burocrazia celeste conosce suppergiù i suoi problemi (come la dipendenza dalle esportazioni o l’invecchiamento della popolazione) ma non sa veramente come affrontarli. Meglio dire che bisogna “costruire”, e basta. 

Nella comune ossessione di Xi Jinping e Trump per la costruzione c’è una differenza: il segretario generale è giunto ormai a disprezzare l’investimento immobiliare, che per lui rappresenta una bolla infinita di debiti e una cesta di serpi arricchite da punire, mentre per il tycoon la fisicità ha la sua massima espressione proprio nella speculazione immobiliare, i cui concetti e contratti vanno applicati a ogni ambito del vivere umano. “Se il mondo davvero un giorno finisse, come immagina il pensiero occidentale, Trump costruirebbe un albergo nella Gerusalemme Celeste”, pensa Wang Huning. 

Il professore di Shanghai, un tempo grafomane, ha dovuto abbandonare la sua attività di scrittura, una volta divenuto politico a tempo pieno. Ora scrive soprattutto per gli altri. Del resto, la burocrazia celeste impone comunque di scrivere. Il segretario generale e presidente della Commissione Militare Centrale Xi Jinping deve pubblicare articoli a proprio nome per essere incastonato in una dottrina.  Una volta ha scritto che l’economia reale è il fondamento indispensabile per un Paese vasto e popoloso come la Cina. Senza la base, nulla può reggere. La manifattura ha lo stesso ruolo del cibo nel garantire l’autonomia della Cina, la sicurezza nazionale, la sicurezza industriale, la sicurezza nazionale dentro ogni cosa. Come l’avversario statunitense, il segretario generale ricorda che la pandemia mette a nudo i rischi e pericoli nascosti nelle supply chain globali. Tutto è sicurezza, occorre stare all’erta. 

Gli strumenti che il Partito ha a disposizione per valutare questi pericoli sono più ampi rispetto a quelli dell’avversario: maggiore è la sua visibilità sull’economia interna, maggiore la paura che incute al settore privato l’inazione sulle direttive che vengono dal potere. Trascurare l’economia reale, dando troppa enfasi ai servizi, rende sempre deboli: può arrivare una carestia industriale. Anche perché il reale obiettivo dello strapotere manifatturiero cinese è più ampio: ripararsi dalle turbolenze esterne e condizionare allo stesso tempo l’avversario statunitense. 

Così il Partito ripensa il vecchio concetto, comunista e stalinista, di “industria pesante”: la centralità nei mezzi di produzione diviene il condizionamento delle catene del valore globali. Per giungere a un prodotto finito, che serve a chiunque, ci sarà sempre qualcosa di provenienza cinese, che stringe quella catena del valore a un insieme di fabbriche cinesi, che possono potenzialmente impedire all’avversario di respirare. 

L’uomo è ovunque in catene, in catene del valore. La Cina è un’industria troppo pesante del mercato globale. Com’è possibile trasferire un’infinita distesa di fabbriche? Si può fare, in un comizio elettorale.

“Vedi? A produrre gli smartphone siamo noi, i coreani, ed Apple, che siamo sempre noi”, ha detto una volta Xi Jinping a Wang Huning, dopo aver udito l’ennesimo elogio di Tim Cook delle competenze cinesi, in uno dei numerosi viaggi in Cina dell’uomo della catena del valore dell’iPhone. Un video virale di Tim Cook, registrato a un evento di “Forbes” del 2017, viene opportunamente amplificato su TikTok, per amplificare l’orgoglio del popolo cinese. “Ricordiamo quello che ha detto Steve Jobs: Non bisogna perdere tempo a vivere la vita di qualcun altro”, aggiunge Xi Jinping negli incontri del Comitato Permanente. “Una frase lungimirante. Vuol dire che il popolo cinese, mentre assembla gli iPhone, non può perdere tempo a vivere la vita dei capi della Apple e dei suoi azionisti che godono del fisco irlandese allo scopo di pensare sempre e solo ai fatti propri. Il popolo cinese deve vivere la sua vita, con gli smartphone di Apple, e soprattutto con gli smartphone cinesi. Sognare il suo sogno. Il sogno cinese”. 

Durante una riunione riservata sulle terre rare, il segretario generale Xi Jinping trae le seguenti conclusioni: “In sintesi, noi abbiamo limitato le esportazioni di terre rare verso il Giappone nel 2010. Da allora, tutti sanno che abbiamo questa leva e tutti ne hanno parlato. Anche oggi, abbiamo esaminato i possibili effetti di queste contromosse e le nostre possibili risposte. Dal 2010 sono passati 15 anni. Sembra uno scherzo ma possiamo ancora bloccare le esportazioni e fare male a tutti, compresi i giapponesi, per non parlare di americani ed europei. Non è una magia, è un insieme di processi che valgono un commercio di poche centinaia di milioni, in un mondo dove ballano centinaia di miliardi e dove noi siamo ancora molto indietro dal punto di vista finanziario rispetto agli avversari. Eppure, quanti documenti potremmo compilare con le rivendicazioni degli avversari sulla riduzione della loro dipendenza da noi? Quanti ordini esecutivi annunciati, quante foto scattate, quanti regolamenti, quante strategie, quanti comunicati sulle terre rare e sulle materie prime critiche! Sì, tutto ciò ha un costo ambientale e sociale, ma anche negli altri paesi ci sono persone che vogliono lavorare, ci sono imprese che vogliono occupare quella filiera. Non possono essere tutti scemi. Eppure, quando mettiamo le nostre videocamere nei luoghi designati per le miniere e per le fabbriche degli avversari, per i grandi progetti che dovrebbero ridurre la dipendenza dalla Cina, noi non vediamo nulla. Dopo qualche tempo, ci annoiamo e dobbiamo cambiare canale”.

Un enorme ritratto di Xi Jinping è esposto durante la parata organizzata a Pechino, capitale della Cina, il 1° ottobre 2019, in occasione della celebrazione del 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC). © Xinhua/Wang Kai

Il segretario generale Xi Jinping, nei suoi dialoghi coi membri del Comitato Permanente, è circondato sul serio dalle “cartacce” di cui parlava Balazs. Quei fogli indicano le possibili mosse del presidente Trump nella guerra dei dazi, e le possibili contromosse della Cina. In mezzo ai fogli, c’è uno smartphone dorato con la scritta “Trump”: la fabbrica cinese che l’ha prodotto, infatti, ha voluto e dovuto donarlo al Comitato Centrale e Xi Jinping ha deciso di fare partecipare lo smartphone alla riunione.    

Il segretario generale fa riferimento ai rapporti di società statunitensi che evidenziano la dipendenza dalla Cina nei sistemi di difesa e nei settori industriali critici per la difesa. “Anche le armi sono un’industria e si possono smontare per capire come sono fatte, dove e da chi. Sembra scontato ma è il caso di ribadirlo per evitare di dimenticarlo. È difficile combattere una guerra fredda, una guerra tiepida, qualunque guerra, con chi ha le fabbriche dove si costruiscono le armi con cui si dovrebbe combattere. Gli americani vivono per spararla grossa, e dicono: Arsenal of Democracy, Freedom’s Forge. Ma esattamente, dove si trovano realmente quegli arsenali, dove stanno quelle fucine a cui loro danno il nome di democrazia e di libertà allo scopo di danneggiare la Cina? Si trovano nel territorio cinese”, afferma Xi Jinping, ricordando che le aziende cinesi hanno la maggiore presenza in aree come i prodotti chimici speciali, i principali prodotti chimici diversificati, le apparecchiature di telecomunicazione e i componenti elettronici. Il segretario generale ricorda l’aumento della dipendenza nel settore dell’elettronica e scuote la testa quando gli parlano solo delle “alte” tecnologie.

“Alti, bassi? Un corpo ha bisogno di ossa di tutte le dimensioni, e di organi diversi per funzionare. Se ne manca uno, il corpo non funziona. Gli avversari agiscono per strozzare la capacità cinese nella parte più alta della catena del valore perché ci considerano, come sempre, gentaglia che copia, che ruba, che non sa innovare, che sa costruire solo cianfrusaglie, e continuano a raccontarsi questa favola per dormire tranquilli la notte. In questa lunga notte, sono seduti al ristorante cinese a ridere dei piatti che navigano nell’olio. Noi ce ne siamo andati da decenni e loro sono sempre lì, intrappolati nel ristorante, a pretendere di essere serviti e riveriti. Il Partito sa che l’avversario, in spregio ai cosiddetti valori dell’economia di mercato, sta pensando a una sorta di embargo. Per questo, i nostri imprenditori stanno già agendo, per l’interesse economico che coincide con l’interesse politico del popolo cinese, per rendere la parte bassa di quelle catene del valore un campo di battaglia in cui gli avversari non potranno più nemmeno identificare i fornitori da cui dipendono”.  Il segretario generale conclude: “Confucio ricorda l’importanza per l’uomo degno di prestare attenzione quando guarda, per vedere chiaramente. L’avversario non potrà guardare con attenzione, non potrà vedere chiaramente, pertanto non avrà dignità”.