Come scrive Giuliano da Empoli nell’introduzione dell’ultimo volume cartaceo del Grand Continent: «Ogni resistenza inizia con la conoscenza». A partire da questa settimana, pubblicheremo sistematicamente la traduzione e il commento di un testo inedito: un’intervista esclusiva, un discorso o un’altra fonte del pensiero neoreazionario, commentato e contestualizzato da accademici e ricercatori – da Marlène Laruelle a Gary Gerstle, da Arnaud Miranda a Quentin Skinner. Per ricevere tutti gli episodi di questa serie e sostenere questo lavoro pionieristico, abbonatevi.

Abbiamo appena pubblicato un Atlante del pensiero neoreazionario — abbreviato in «NRx» in inglese — al quale avete entrambi contribuito. Questa risorsa, accessibile qui, cerca di proporre un primo tentativo sistematico di mappare uno spazio particolarmente mutevole che sembra irradiarsi dalla Silicon Valley alla Casa Bianca di Donald Trump. Da dove bisogna partire per comprendere questo pensiero?

Arnaud Miranda

Da una cosa che mi sembra molto importante: la neoreazione è una vera e propria controcultura di destra.

Questa costellazione intellettuale si è sviluppata nel corso degli anni 2010 su Internet, principalmente su blog e forum, attorno a figure intellettuali marginali. I suoi rappresentanti hanno spesso scritto sotto pseudonimo e al di fuori dei canali classici di diffusione del pensiero — sia accademici che mediatici. Per citare solo alcune delle figure neoreazionarie più famose: Curtis Yarvin è un ingegnere, Nick Land è stato costretto a lasciare l’università alla fine degli anni ’90 e Costin Vlad Alamariu (Bronze Age Pervert) era semplicemente un dottorando all’inizio degli anni 2010. La neoreazione si è anche costituita in opposizione alle tradizioni intellettuali dominanti: in primo luogo contro la sinistra progressista, ma anche contro le posizioni conservatrici tradizionali dei partiti di destra occidentali.

La neoreazione è una vera e propria controcultura di destra.

Arnaud Miranda

Oltre a costruirsi ai margini e in opposizione ai modelli ideologici dominanti, è necessario comprendere che la neoreazione sviluppa un riferimento culturale singolare, sia attraverso l’uso della cultura popolare, dei meme o dello stile blog. Da notare anche l’importanza della fantascienza (SF), sia come riferimento ricorrente che come produzione intellettuale — Nick Land e Zero HP Lovecraft sono anche scrittori di fantascienza. Proprio perché si tratta di una controcultura, la neoreazione ha inizialmente attirato giovani intellettuali che trovavano in questi contenuti una forma di radicalità ironica in rottura totale con la politica tradizionale.

Andrea Venanzoni

Per rispondere a questa domanda, sono convinto che occorra innanzitutto chiarire due malintesi. Il primo riguarda il concetto stesso di «pensiero».

Come molte creature nate dal digitale, il pensiero neoreazionario è caratterizzato da una natura sfuggente, filiforme e fondamentalmente provocatoria. Cercare in esso la coerenza strutturata di una scuola o di un movimento politico in senso classico sarebbe fuorviante.

Il secondo malinteso riguarda il suo nome: se da un lato sembra annunciare un aggiornamento – nell’era della rivoluzione tecnologica – delle dottrine di Joseph de Maistre, Thomas Carlyle, Louis de Bonald, Donoso Cortés, Nicolás Gómez Dávila o Karl Ludwig von Haller, la neoreazione (o NRx) in realtà ne conserva ben poco.

Si trovano certamente qua e là citazioni, frammenti, aforismi, persino la valorizzazione di una certa aura concettuale di alcuni degli autori citati, ma il tutto è immerso in un vortice digitale generalizzato, psichedelico e instabile, più incline a condensare e distorcere un intero libro di Julius Evola in un semplice meme che a produrre una dottrina strutturata.

Perché la neoreazione è soprattutto un lungo meme ininterrotto, che improvvisamente diventa uno strumento di presa di potere.

Il pensiero neoreazionario è caratterizzato da una natura sfuggente, sottile e fondamentalmente provocatoria.

Andrea Venanzoni

Questo movimento può essere considerato come una sorta di lunga sequenza dark ambient, sotterranea, che si è sviluppata nel cuore dei forum digitali e che ha visto, a turno, il trionfo del movimento MAGA — prima nel 2016 — poi quello del movimento Dark MAGA nel 2024 : la sua versione sfrenata, libera da ogni freno e contrappeso istituzionale, più apertamente neoreazionaria e post-liberale, che è salita al potere nel gennaio 2025 e che incarna, in un certo senso, il raffinato risultato di una «neoreazione di governo».

Nel suo lavoro, Arnaud Miranda, lei offre una lettura diversa.

Arnaud Miranda

In effetti, ho un’interpretazione leggermente diversa.

Credo che non si debba minimizzare l’ambizione intellettuale della neoreazione solo perché si tratta di un pensiero diffuso dai blogger.

Credo che ci sia una certa illusione retrospettiva propria della storia del pensiero – quella che Skinner chiama «mitologia della coerenza» – che tende a rendere le dottrine del passato più coerenti di quanto non fossero in realtà. È perché la neoreazione si sta sviluppando sotto i nostri occhi che ne percepiamo tutte le contraddizioni e le sfumature. Se prendiamo l’esempio della Rivoluzione conservatrice degli anni 1920, si tratta di un’etichetta discutibile, ma ciò non significa che non descriva una realtà intellettuale e politica. Con il pensiero neoreazionario abbiamo a che fare con una costellazione intellettuale: diverse dottrine che si aggregano attorno a problematiche e riferimenti comuni.

Inoltre, non sono d’accordo con l’idea che il termine «reazione» sia fuorviante, in quanto potrebbe indurre confusione con la tradizione reazionaria.

Certo, la neoreazione incorpora elementi nuovi, in particolare il libertarismo e la tecnofilia, ma rimane un pensiero reazionario. Innanzitutto perché esiste un vero e proprio intertesto con la tradizione reazionaria (Carlyle, Maistre, Schmitt, Spengler, Evola, ecc.), ma anche perché la neoreazione si oppone frontalmente al conservatorismo. Essa non intende semplicemente difendere un insieme di valori morali o religiosi, ma creare una vera e propria rottura storica e instaurare – o reintrodurre – un nuovo ordine politico. Senza le categorie di analisi del pensiero reazionario, non si potrebbe vedere nella neoreazione altro che una nebulosa digitale incomprensibile.

Allo stesso tempo, leggendo gli autori di questo corpus, si rimane sorpresi dalle profonde contraddizioni tra, da un lato, un fondo libertario o tecno-ottimista e, dall’altro, il sostegno a una forma radicale di reazione, con aspetti talvolta teologici. Come opera questa tensione, tradotta dall’ossimoro Dark Enlightenment (Illuminismo oscuro) lanciato da Nick Land in uno dei libri NRx più influenti?

Arnaud Miranda

È proprio questa combinazione che rende unico e innovativo il pensiero neoreazionario. Già nel 2013, Spandrell descriveva la neoreazione come una «trichotomia» — termine poi ripreso da Nick Land — ovvero l’unica base ideologica in grado di riunire le principali correnti della destra radicale: i tecnolibertari, i religiosi tradizionalisti e gli etnonazionalisti.

Si sarebbe quasi tentati di dire che la ragion d’essere della neoreazione è proprio l’unificazione ideologica di queste correnti a prima vista incompatibili.

Con il pensiero neoreazionario abbiamo a che fare con una costellazione intellettuale: diverse dottrine che si aggregano attorno a problematiche e riferimenti comuni.

Arnaud Miranda

Il pensiero neoreazionario è un tentativo di conciliare l’innovazione tecnocapitalista con la stabilità di una società gerarchica. Naturalmente, questa unione strategica si realizza innanzitutto contro un nemico comune: l’egualitarismo democratico.

L’ossimoro «Illuminismo oscuro» evoca forse questa inaspettata alleanza tra progresso e reazione, ma è anche un modo per posizionare esplicitamente la neoreazione come specchio del progetto universalista dell’Illuminismo.

Quali sono le caratteristiche distintive del pensiero neoreazionario?

Andrea Venanzoni

I tratti distintivi del pensiero NRx sono, senza dubbio, l’enfasi sull’efficienza — nel senso tecnico ed economico del termine — da cui deriva un profondo disprezzo per i sistemi rappresentativi, giudicati pesanti e inefficienti, un feticismo dei processi decisionali e produttivi accelerati, resi possibili dalla matrice dirompente delle alte tecnologie, un evidente tecno-ottimismo, un’aura intrinsecamente religiosa e mistica – che oscilla tra le teorizzazioni di René Girard, strane forme di tecnoanimismo pagano e un integralismo cattolico – nonché un richiamo a valori «antichi», spesso fantasticati, riletti e filtrati attraverso il prisma della cultura digitale.

Si tratta di una reazione a una nuova crisi dell’Occidente?

Arnaud Miranda

Sì, la neoreazione si basa innanzitutto su una constatazione condivisa secondo cui l’Occidente sta morendo di sclerosi democratica e progressista.

Il mondo occidentale sarebbe dominato da un’ideologia egualitaria doppiamente problematica: essa confonde le gerarchie naturali essenziali alla stabilità di una società e frena la distruzione creativa necessaria all’innovazione tecnocapitalista.

Il pensiero NRx pone l’accento sull’efficienza — nel senso tecnico ed economico del termine — da cui deriva un profondo disprezzo per i sistemi rappresentativi, giudicati pesanti e inefficienti.

Andrea Venanzoni

La neoreazione si pone l’obiettivo di riaccelerare il capitalismo in Occidente.

Questa riaccelerazione passa attraverso una riconfigurazione autoritaria del potere politico e la difesa di quello che si presenta come un realismo proteiforme – politico innanzitutto, ma anche sessuale e razziale.

È proprio questo che ha portato alla neoreazione qualcuno come Nick Land, che in origine non era un pensatore di destra. Land ha sviluppato un pensiero accelerazionista, che consiste nel difendere lo sviluppo incondizionato e illimitato del tecnocapitalismo. Ma se Land si è interessato a Curtis Yarvin e alla neoreazione, è perché gli sembra il modo migliore per rilanciare l’accelerazione capitalista in Occidente. In altre parole, per lui la dimensione autoritaria del pensiero neoreazionario è strumentale: serve a precipitare l’Occidente in una nuova era tecnologica. Al contrario, la questione tecnologica sembra secondaria in altri pensatori, come Yarvin o Bronze Age Pervert.

Se dovessi identificare alcuni elementi caratteristici, direi: la ferma opposizione alla democrazia e al progressismo, la critica al conservatorismo, il pessimismo antropologico, la difesa del tecnocapitalismo e una concezione elitaria e gerarchica delle società umane. Questi elementi non sono sufficienti per comprendere cosa sia la neoreazione, poiché occorre anche sottolineare la forma particolare che assume questa costellazione, ma possono senza dubbio servire come chiavi di lettura.

L’aspetto autodidatta, marginale, quasi barbaro sembra caratterizzare molti di questi intellettuali che hanno fatto della navigazione in Internet la matrice della loro formazione e il loro spazio di espressione.

Andrea Venanzoni

Ha ragione a sottolineare questo aspetto cruciale. Gli autori neoreazionari sono ingegneri, blogger, informatici, startupper convertiti – il più delle volte in modo autodidatta – alla filosofia politica e alla speculazione concettuale, che rimangono consapevoli delle loro radici, delle loro origini e dell’ecosistema che li ha visti nascere. Questa acuta consapevolezza delle origini digitali e della natura virtuale di questo pensiero costituisce, in una certa misura, sia la forza che la debolezza del movimento neoreazionario.

Una forza da un lato perché la sua natura inclassificabile rende il pensiero neo-reazionario imprevedibile nei suoi effetti: non si basa su alcuna tradizione storica o dottrinale — come potrebbe fare, ad esempio, il neofascismo, al quale, nonostante le tensioni interne, una parte dell’Alt-Right rimane legata. Sostenuto da questa aura spettrale, il pensiero neo-reazionario tende a diffondersi, a dissolversi negli angoli della cultura dei meme dei forum, della stessa Alt-Right, del movimento MAGA, senza tuttavia confondersi totalmente o esclusivamente con nessuno di questi elementi. Ciò gli conferisce un notevole vantaggio competitivo in termini di efficacia comunicativa e diffusione del messaggio rispetto alle forme politiche «classiche», rigide e fossilizzate. Ma è anche una debolezza.

Perché questo pensiero non è, in realtà, altro né molto più che una «blogizzazione» della filosofia politica: una riduzione provocatoria di concetti e autori a una dimensione univoca propria del digitale, il cui linguaggio presenta tratti spesso poco compatibili con la densità e la vertiginosa profondità della filosofia. Non appena si cimenta nella struttura o tenta di costituirsi in sistema, il pensiero neoreazionario rivela tutta la sua intrinseca fragilità e il suo caos concettuale.

Arnaud Miranda

Sono d’accordo, è essenziale tenere conto del carattere digitale di questa costellazione intellettuale. È parte integrante di essa. Si perderebbe l’originalità del fenomeno neoreazionario se non si considerasse il mezzo internet come condizione di produzione e diffusione delle sue idee politiche.

Credo che questo mezzo abbia permesso una libertà di tono, ma anche di sviluppare in modo molto efficace reti intellettuali alternative — creando legami tra gli attori e consentendo la circolazione di riferimenti intellettuali prima sconosciuti.

D’altra parte, sono in profondo disaccordo con l’idea di fare della neoreazione una sorta di hapax. Sebbene singolare dal punto di vista formale, la neoreazione si inserisce innegabilmente nella storia delle idee politiche. Inoltre, non credo che l’uso dei meme e dell’ironia operino una vera e propria riduzione del pensiero. Non è perché un pensiero è ironico o non sistematico che non è un pensiero. Infine, non tutti i testi neoreazionari sono «pronti all’uso». Ad esempio, credo che non si possa comprendere l’approccio di Nick Land senza comprendere il contesto filosofico. Riducendo la neoreazione a una sorta di bozza digitale, credo che si rischi di perdere di vista l’essenziale.

Sebbene singolare dal punto di vista formale, la neoreazione si inserisce innegabilmente nella storia delle idee politiche.

Arnaud Mimrand

Quali sono gli autori che secondo lei hanno maggiore influenza alla Casa Bianca e perché questo fenomeno è così intenso – come ammette lo stesso Curtis Yarvin – durante il secondo mandato di Donald Trump?

Andrea Venanzoni

Paradossalmente, Nick Land più di Curtis Yarvin. Dico paradossalmente perché Yarvin è senza dubbio molto più citato dalle figure di spicco dell’amministrazione Trump e dall’apparato tecno-industriale, così come Bronze Age Pervert è letto da molti giovanissimi consiglieri della Casa Bianca. Ma il «cowboy coding» messo in pratica dal DOGE ha una vocazione accelerazionista che alla fine è meno debitrice al pensiero neo-cameralista tech di Yarvin di quanto si potrebbe pensare.

Non è un caso che quest’ultimo abbia violentemente criticato il DOGE sul Washington Post all’inizio di maggio 2025.

Land è citato, come è noto, nel Manifesto del tecno-ottimismo di Marc Andreessen. Oserei dire che è una delle poche citazioni espresse con cognizione di causa in un documento che è un florilegio di autori spesso in contraddizione tra loro.

Andreessen si definisce, senza sorpresa, un accelerazionista efficace. E parlerei di «accelerazionismo efficace» in riferimento alla produzione normativa dell’amministrazione Trump, pensando ad esempio all’executive order sulla deregolamentazione totale per lo sviluppo dell’IA.

Arnaud Miranda

Sono perfettamente d’accordo. Yarvin è la figura più citata, ma da solo non basta a comprendere il pensiero neoreazionario. Yarvin è filocapitalista, ma non è convinto dall’approccio accelerazionista. Del resto, per sua stessa ammissione, non ha letto i testi di Nick Land. Pensiamo anche al suo «manifesto tecnopessimista», risposta ironico-scettica al testo di Andreessen. Se Yarvin è una figura di spicco, è anche perché è un buon pamphlettista (ricordiamo che è a lui che dobbiamo le espressioni virali «red pill», «Cattedrale», «RAGE» per Retire All Government Employee, ecc.)

Dal punto di vista della storia del pensiero, penso che Nick Land sia l’autore più interessante, anche se i suoi testi sono sicuramente i più ermetici.

Arnaud Miranda

Ecco perché sono convinto che sia necessario leggere altri autori importanti della corrente neoreazionaria come Bronze Age Pervert, Anomaly UK o Spandrell, che non condividono esattamente la posizione di Yarvin – e vorrei rendere omaggio al Grand Continent che svolge questo importante lavoro di contestualizzazione e di messa a disposizione dei testi. Infine, dal punto di vista della storia del pensiero, penso che Nick Land sia l’autore più interessante, anche se i suoi testi sono sicuramente i più ermetici. Infatti, è quello che va più lontano nella difesa del tecnocapitalismo. Lo studio del suo percorso intellettuale — era un pensatore di avanguardia di sinistra negli anni ’90! — mi sembra estremamente fecondo per comprendere cosa ci possa essere di seducente nel pensiero neoreazionario.

Torneremo su Nick Land la prossima settimana. In questa prospettiva, l’inizio della nuova amministrazione americana ha costituito un primo caso di applicazione, più o meno riuscita, del pensiero neoreazionario e accelerazionista a una forma di governo. Qual è il bilancio, a quasi sei mesi dall’insediamento di Donald Trump?

Arnaud Miranda

Non direi necessariamente che si tratti di un’applicazione pura e semplice. Vedrei più modestamente i segni della sua influenza — con tutta la cautela che si addice all’uso di questo termine — sulla nuova amministrazione.

Alcuni segni sono abbastanza chiari: il presidenzialismo assunto fin dai primi giorni del mandato, la creazione del DOGE, il neomercantilismo, il piano per la Palestina, il discorso di J.D. Vance a Monaco, gli attacchi alle università, l’insistenza più o meno ironica sulla dimensione regale di Donald Trump, ecc. Per sapere se queste decisioni siano state concretamente ispirate da proposte neoreazionarie, sarebbe necessario condurre un’indagine approfondita e dimostrare l’esistenza di meccanismi di influenza degli intellettuali sugli attori politici — per il momento possiamo solo formulare ipotesi.

Andrea Venanzoni

Di fronte alla brutalità di questa amministrazione, io sarei meno sfumato. Alcuni executive orders tradiscono chiaramente una concezione accelerazionista e, in una certa misura, neoreazionaria. I decreti sull’intelligenza artificiale e sull’ambiente, che dovrebbero essere riportati sotto il dominio dell’uomo, sono senza dubbio accelerazionisti, un concetto già chiaramente espresso nel 2023 da Marc Andreessen, in opposizione frontale all’ecologismo ideologico.

Parlo di «accelerazionismo efficace» in riferimento alla produzione normativa dell’amministrazione Trump.

Andrea Venanzoni

Allo stesso modo, lo smantellamento del Ministero dell’Istruzione e il ritorno delle competenze educative a livello statale, e non più federale, è una battaglia storica condotta da una certa destra e dalla «PayPal Mafia», che vedono nelle istituzioni scolastiche, a tutti i livelli, un meccanismo di propaganda e indottrinamento.

Yarvin ne parlerebbe come di un elemento saliente della «Cattedrale» e osservazioni simili si trovano nel libro di J. D. Vance, Hillbilly Elegy.

Più in generale, la stessa riorganizzazione della forma di governo attorno a una centralizzazione iper-verticalista nelle mani del presidente e l’intolleranza nei confronti dei contrappesi giudiziari tradiscono un pensiero fondamentalmente associato all’efficacia accelerata e radicale della tecnologia, che evolve a una latitudine diversa da quella delle coordinate liberaldemocratiche abituali. Non è una semplice coincidenza che il principale movimento popolare contro Donald Trump si sia chiamato No Kings Day.

Nell’Atlante figurano due signori della tecnologia che cercano di darsi una vocazione intellettuale: Marc Andreessen e Peter Thiel. Qual è il loro rapporto con il pensiero neoreazionario?

Arnaud Miranda

Queste due figure hanno un rapporto molto diverso con la neoreazione, innanzitutto per quanto riguarda la loro importanza.

Thiel è un alleato di lunga data dei pensatori neoreazionari. Lui stesso ha seguito un percorso che lo ha portato dal libertarismo a posizioni chiaramente antidemocratiche, il che ha contribuito al suo avvicinamento a Curtis Yarvin, di cui ha finanziato la start-up. Oggi credo che la posizione di Thiel sia quella di un motore di avvicinamento strategico tra i tecnolibertari e i conservatori cattolici. I suoi stessi testi — sull’apokálypsis trumpista, l’apocalisse zombie o l’Anticristo — sono piuttosto significativi a questo proposito. Ora, come ho detto sopra, questo avvicinamento è una delle sfide principali dello sviluppo della neoreazione.

Peter Thiel si posiziona come motore di avvicinamento strategico tra i tecnolibertari e i conservatori cattolici.

Arnaud Miranda

Il ruolo di Marc Andreessen è meno importante, ma mi sembra interessante perché sintomatico. Andreessen fa parte di quei boss della tech convertiti al trumpismo, nonostante in precedenza fosse democratico. È in qualche modo la prova del successo delle idee neoreazionarie.

Andrea Venanzoni

Peter Thiel è il padrino di esperimenti istituzionali che tentano di organizzare un’uscita dalla democrazia. Penso in particolare ai progetti di conquista oceanica (Seasteading) di Patri Friedman o allo stesso Yarvin, di cui non solo ha finanziato la start-up, ma che ha anche pubblicamente elogiato per le sue qualità di pensatore — il che ha sicuramente giocato un ruolo nelle numerose riprese del lavoro di Yarvin da parte di J.D. Vance.

Ma Thiel ha lui stesso una vocazione filosofica, innervata da una pratica imprenditoriale situata su una linea di cresta tra pragmatismo e visione. Il suo pensiero è molto diverso da quello di Yarvin, di cui fondamentalmente non ha bisogno per dettare la sua agenda filosofica e operativa.

Se si vuole davvero capire Thiel e cogliere la logica che sta dietro a realtà imprenditoriali come Palantir, il testo da leggere assolutamente è «The Straussian Moment» — che i lettori di Grand Continent potranno scoprire in autunno in un’edizione critica.

Consiglio anche la lettura del libro The Technological Republic di Alexander Karp, che contiene idee messe in pratica empiricamente dall’amministrazione Trump, come l’efficace e assoluta convergenza tra tecnologia e sicurezza nazionale e l’idea di un ricorso massiccio all’alta tecnologia per ottimizzare le istituzioni democratiche in declino.

Il contratto che assegna a Palantir la razionalizzazione algoritmica dei dati detenuti da tutte le amministrazioni americane – dati che saranno integrati nell’«Ontology» di Palantir – finirà per produrre una forma di governo dalla razionalità algoritmica, che svilupperà modelli decisionali in cui il quoziente tecnologico finirà per superare, anche in modo non dichiarato, il decisore politico umano.

Nick Land ne sarebbe sicuramente felice. Yarvin, solo in parte, perché questa politica non implica necessariamente una figura eroica al vertice, un re-CEO: è piuttosto il politico che viene travolto dalla tecnologia, rispondendo in una certa misura all’alternativa che Thiel poneva alla fine di “The Straussian Moment” — e questo è uno dei punti decisivi dell’intervista realizzata dal Grand Continent.

Andreessen è meno incentrato sulla filosofia. Il suo «Manifesto» non regge il confronto con «The Straussian Moment», ma in qualità di investitore in capitale di rischio e personalità influente nella nuova amministrazione, ha ovviamente contribuito a diffondere il nome e le idee di Yarvin, che definisce un «amico», e quelle di Nick Land, oltre ad aver reclutato lui stesso parte del personale del DOGE e ad aver ispirato alcuni executive orders.

Il suo Manifesto rimane comunque un buon punto di partenza per verificare la persistenza dell’ossessione della Silicon Valley per la meritocrazia, l’efficienza e la logica delle start-up da trasporre nell’azione di governo, una sorta di sintesi evolutiva tra Vilfredo Pareto, Nick Land, Filippo Tommaso Marinetti e Milton Friedman.

Qual è il ruolo di J. D. Vance in questo movimento?

Andrea Venanzoni

Per molti membri di questo movimento, J.D. Vance è l’aspirante successore che, prima o poi, dovrà prendere il posto di Donald Trump e consacrare, almeno in apparenza, la vittoria definitiva della Tech Right sulla base popolare del movimento MAGA.

Dico «in apparenza» perché Vance ha elogiato Yarvin anni fa — probabilmente lo ha letto e apprezzato sotto certi aspetti —ma la sua formazione mi sembra più vicina a un certo radicalismo americano di destra, con forti accenti religiosi, in cui la libertà economica e il libero mercato si articolano con accenti quasi autarchici e comunitaristi. La retorica della piccola impresa di successo, ad esempio, è onnipresente nel suo discorso.

Sotto certi aspetti, Vance sembra quindi ideologicamente più vicino a Howard Lutnick che a Peter Thiel, che pure lo ha creato, politicamente e professionalmente parlando.

Può essere definito genericamente come un reazionario — e non credo che questo gli dispiacerebbe — ma in un senso in definitiva più classico.

Per molti membri di questo movimento, J.D. Vance è l’aspirante successore che dovrà consacrare — almeno in apparenza — la vittoria definitiva della Tech Right sulla base popolare del movimento MAGA.

Andrea Venanzoni

Come lo stesso Yarvin ha ammesso alcuni mesi fa in un’intervista video concessa al New York Times, l’aspetto che sembra unire la visione politica di Vance e quella dell’ambiente intellettuale che lo circonda, sebbene molto eterogeneo, è il concetto di «bene comune», interpretato in un’ottica post-liberale e quasi religiosa, che non ha molto a che vedere con i «beni comuni» di cui parlano gli economisti e i teorici della sussidiarietà, e che probabilmente non si adatta meglio alla democrazia rappresentativa che all’individualismo libertario.

Arnaud Miranda

J. D. Vance è una figura estremamente interessante per lo sviluppo della neoreazione, molto più di Trump. Innanzitutto, bisogna capire che deve in parte la sua esplosione politica a Thiel e che si è mostrato sensibile alle idee neoreazionarie, arrivando persino a citare pubblicamente Yarvin in alcuni podcast.

Se i neoreazionari ripongono così tante speranze in J. D. Vance, è perché potrebbe incarnare l’atteso punto di incontro tra cattolici tradizionalisti, identitari e tecnolibertari.

Il suo fallimento potrebbe invece segnare l’impossibilità del progetto neoreazionario, e in particolare l’incapacità di far convergere in modo duraturo i tradizionalisti con i tecnolibertari.

Più in generale, qual è l’accoglienza riservata al pensiero neoreazionario all’interno del movimento MAGA?

Arnaud Miranda

Non è facile pronunciarsi in modo definitivo su questa questione. Da un lato perché stiamo parlando di una realtà in divenire, dall’altro perché le etichette non sono né perfettamente definite né chiare per tutti gli attori. Risponderò alla sua domanda menzionando due punti importanti.

Innanzitutto, credo che sia necessario distinguere tra neoreazione e alt-right.

L’alt-right è piuttosto populista, mentre la neoreazione è fondamentalmente elitaria e condanna il populismo come una forma di democrazia deviata. In questo senso, la corrente MAGA mi sembra piuttosto ispirata al populismo vicino a quello che viene chiamato alt-right.

Tuttavia, esistono ovviamente delle porosità e dei casi limite. Ad esempio, come classificare qualcuno come Steve Bannon? Sarebbe facile etichettarlo come una delle figure di spicco dell’alt-right. D’altra parte, ha molti punti in comune con la neoreazione.

Credo che ci siano stati tentativi di convergenza e personalmente ho interpretato la famosa espressione «Dark MAGA» come un modo per collegare i neoreazionari elitari alla versione populista del trumpismo.

La neoreazione è fondamentalmente elitaria.

Arnaud Miranda

Andrea Venanzoni

Nel momento che stiamo attraversando, l’impressione che emerge è quella di un movimento MAGA fondamentalmente diviso in diversi sottogruppi. La guerra tra Iran e Israele ha aperto una frattura molto importante e Israele, in generale, rappresenta un potenziale elemento di conflitto molto violento all’interno del gruppo MAGA e delle sue diverse fazioni, una delle quali è apertamente antisemita, mentre altre sono decisamente filoisraeliane.

Una parte del movimento MAGA è senza dubbio interessata all’idea neomonarchica di Yarvin e, quando sente Trump essere definito «re», la prende sul serio. Non dimentichiamo che Tucker Carlson è stato uno dei primi a intervistare Curtis Yarvin alcuni anni fa, offrendogli una visibilità che fino ad allora sarebbe stata del tutto impensabile.

Un’altra parte mi sembra tuttavia piuttosto impermeabile a queste idee: è quella parte dell’America profonda che vuole meno governo, meno interventismo, meno centralismo e ancora meno aderire a una potenziale monarchia tecnologica. Le feroci critiche rivolte a Trump da una parte non trascurabile del mondo MAGA dimostrano che, se esiste una teoria dell’autorità del movimento MAGA, essa non è necessariamente favorevole a vedere un nuovo re salire al trono d’America.

Ci sono ovviamente aspetti contingenti.

Ad esempio, quando Yarvin sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero lasciare mano libera alla Russia in Europa, non c’è dubbio che i MAGA siano d’accordo. L’universo MAGA è generalmente favorevole all’uomo forte, all’autoritarismo, ma poi bisogna trovare la parte costruttiva: i MAGA sono spesso più uniti nel «no» e nell’opposizione che su ciò che bisogna costruire in positivo.

Una parte non trascurabile del mondo MAGA non è necessariamente favorevole a vedere un nuovo re salire al trono d’America.

Andrea Venanzoni

Per quanto possa sembrare paradossale, molti sostenitori di MAGA vogliono un uomo forte non per essere tiranneggiati o sottomessi a un’autorità regale, ma perché pensano che solo un uomo forte possa liberarli dalla tirannia centralizzatrice del governo e dalla “palude”, il Deep State.

Infine, coloro che non condividono in alcun modo gli approcci isolazionisti e riduzionisti sono l’apparato tecno-industriale, la «tecno-destra», desiderosa di esportare e vendere i propri prodotti tecno-militari, che finora sono stati utilizzati con successo dagli ucraini per difendersi dall’aggressione di Putin. Lo stesso universo MAGA deve fare i conti con questa realtà.

Come spiega la conversione di una parte della Silicon Valley alle tesi neoreazionarie? Si tratta di una trasformazione radicale o di una forma di continuità?

Arnaud Miranda

Dal punto di vista delle idee, non è una sorpresa. La neoreazione si basa su una tradizione libertaria critica della democrazia, che si pensi a Murray Rothbard o, ancora di più, al suo discepolo Hans-Hermann Hoppe.

Se si ripercorre la storia del libertarismo – rimando qui agli appassionanti lavori di Sébastien Caré sull’argomento, in particolare La pensée libertarienne Les libertariens aux États-Unis – si vede chiaramente che il libertarismo è ben lungi dall’essere essenzialmente democratico, libertario o progressista. Tuttavia, l’onnipresenza del libertarismo negli ambienti della tech californiana mi sembra fornire un terreno fertile per la diffusione delle idee neoreazionarie.

La neoreazione si basa su una tradizione libertaria

Arnaud Miranda

Ciò che mi sembra invece più sorprendente è la rapidità e la radicalità con cui alcuni imprenditori cambiano orientamento politico. Ancora una volta, trovo che il caso di Marc Andreessen sia sintomatico di questa trasformazione.

Al di là del caso specifico della neoreazione, la recente svolta a destra del mondo della tecnologia e dei libertari in generale è un fenomeno affascinante. Il podcast di Joe Rogan (uno dei podcast più ascoltati al mondo) è esemplare in questo senso. Per comprendere i mutamenti ideologici degli imprenditori del tech, penso che sia del tutto pertinente e illuminante studiare i passaggi di Musk, Andreessen o Zuckerberg al microfono di Rogan.

Andrea Venanzoni

Proprio come Carl Schmitt aveva fatto di Donoso Cortés un profeta dell’escatologia – segno araldico di una civiltà alla deriva, inquadrando il suo pensiero in un sistema organico e coerente che integrava idee reazionarie in una ricostruzione cristallina della politica – Curtis Yarvin ha fatto di Thomas Carlyle un profeta del meme.

Intendiamoci bene: questa considerazione non è peggiorativa. Come fenomeno culturale, i meme sono una cosa estremamente seria.

Nell’era digitale, il meme è diventato a tutti gli effetti uno strumento di lotta politica solido, efficace e spesso decisivo, come ha dimostrato la campagna elettorale americana del 2016.

Nel senso di Nick Land, un meme è un’iperstizione, una profezia che si autoavvera e si avvolge sulla propria architettura.

Un meme è ciò che può essere compreso e accettato alla velocità accelerata della Silicon Valley. Grazie a Yarvin, grazie al suo lavoro di riduzione di Carlyle e di un certo pensiero reazionario all’immagine digitale, nomi e concetti hanno iniziato a filtrare in un contesto organicamente digitale dove queste idee non avrebbero mai potuto passare attraverso altri canali, come ad esempio il classico canale della lettura di un libro. Ad eccezione di Peter Thiel, che ha letto e in parte compreso Carl Schmitt, Leo Strauss o Joseph de Maistre, per gran parte della techno-destra americana il cambiamento e l’interesse sono determinati, in primo luogo, dal meme.

Un meme è qualcosa che può essere compreso e accettato nella realtà accelerata della Silicon Valley.

Andrea Venanzoni

Ecco perché il cambiamento, la conversione se vogliamo, è stato determinato dal fascino esercitato da idee colorite in chiave pop e presentate in una certa misura ad usum Delphini: il Carlyle di Yarvin esiste solo sulle pagine digitali di Unqualified Reservations. Proprio per questo motivo sostengo che la neoreazione non ha molto a che vedere, in termini concettuali, filosofici e storici, con il pensiero reazionario comunemente inteso.

Yarvin ha dedicato tre lunghi articoli a Carlyle, pubblicati nel 2009 e nel 2010, talmente lunghi da essere raccolti in un e-book di circa 90 pagine. Qual è la sua lettura?

Andrea Venanzoni

Lo legge modificandolo profondamente, ad esempio eliminando gli accenti socialisti e le critiche all’industrializzazione, passaggi che sarebbero stati indigesti per i magnati della tecnologia.

Lo riduce così a un puro dispositivo pop: una voce di forum, un meme ad uso e consumo di un pubblico che non si sente incline alla lettura e ritiene che la cultura digitale sia sufficiente.

I magnati della tecnologia, con il loro potere di trasformazione, sono costantemente alla ricerca di idee intellettuali che diano un senso in più a ciò che fanno. Considerano Yarvin un «grande storico» o un pensatore dalle idee brillanti perché seziona, sintetizza, assembla, modifica e adatta le idee di pensatori, filosofi e storici per presentarle esattamente come desiderano.

Curtis Yarvin riduce Thomas Carlyle a un puro dispositivo pop.

Andrea Venanzoni

Condivido anche l’osservazione sul ruolo centrale dei podcast, che finisce per inserirsi in questa dinamica accelerata e destrutturata di comunicazione delle idee: i magnati della tecnologia amano i podcast e spesso, come Joe Lonsdale ad esempio, ne hanno uno proprio.

Direi che la Silicon Valley era quasi fisiologicamente e inevitabilmente incline ad accogliere teorie che, tra l’eroismo alla Carlyle, il governo dei filosofi alla Platone e le rivisitazioni della teoria delle élite alla Pareto, fanno eco a quel massimalismo meritocratico che è sempre stato al centro dello spirito e delle ambizioni della tecnologia.

I temi e le tesi neo-reazionarie sono presenti nello spazio politico europeo?

Andrea Venanzoni

Concettualmente, non c’è dubbio. Del resto, lo stesso accelerazionismo si è sviluppato in Inghilterra.

Certo, alle sue origini, appare più come una ricontestualizzazione cyber-esoterica del post-strutturalismo francese che come ciò che sarebbe diventato il Black Enlightenment, ma il seme dell’accelerazione tecnologica come dato fondamentale della pratica politica era stato comunque piantato.

In Europa, tuttavia, l’accelerazionismo sembra ancora oggi evolversi maggiormente nelle file di una certa sinistra radicale, più vicina all’insegnamento di Mark Fisher o Nick Srnicek che all’ultimo Nick Land.

Concretamente, quindi, c’è poca circolazione e si tratta essenzialmente di nicchie digitali, fanzine individuali, fan che popolano i forum online, senza che si assista all’emergere di un vero e proprio programma o di una piattaforma con figure e pensatori di spicco. Nessun partito, nemmeno tra i più ferocemente critici nei confronti della democrazia rappresentativa, sembra davvero familiare con la corrente neoreazionaria.

Ciò potrebbe facilmente spiegarsi con l’assenza, in Europa, del fattore tecnologico che è diventato determinante nella politica americana.

Arnaud Miranda

Per quanto riguarda la Francia, la penetrazione delle idee neoreazionarie rimane debole e in ritardo rispetto ad altri paesi europei come l’Italia. Ciò potrebbe forse essere spiegato da una certa impermeabilità della cultura politica francese alle idee libertarie: non esiste una vera e propria destra libertaria che possa dare voce politica a queste idee.

Ciò non significa tuttavia che non vi sia alcuna ricezione intellettuale della neoreazione. Citiamo in particolare la rivista RAGE, che mi sembra essere il principale veicolo delle idee neoreazionarie in Francia. Il collettivo traduce in francese i testi principali, dando luogo ad alcune pubblicazioni di Curtis Yarvin e Nick Land nella casa editrice di Julien Rochedy. Inoltre, durante i suoi recenti viaggi in Francia, Yarvin ha incontrato diverse figure intellettuali della destra francese (tra cui, evidentemente, Renaud Camus ed Éric Zemmour) e diverse realtà editoriali (nella rivista neoconservatrice Éléments e nella rivista Huis Clos).

Perché le forme più radicali del pensiero neoreazionario non riescono ad esprimere forze di maggioranza in Europa, almeno fino ad ora?

Arnaud Miranda

Al di là dell’assenza di una cultura libertaria, è forse la preminenza di una destra critica nei confronti della tecnologia a spiegare la scarsa penetrazione delle idee neoreazionarie.

Mi riferisco ancora alla Francia, perché è il contesto che conosco meglio. Che si tratti della Nuova Destra o della destra cattolica, un evento decisivo del decennio 2010 è stata la Manif pour Tous, che ha avuto un ruolo determinante nell’orientamento ideologico dei pensatori di destra di quel periodo. La destra si è in gran parte schierata su una posizione di conservatorismo bioetico (talvolta arrivando a rivendicare una posizione ecologista e decrescentista).

In Francia, la preminenza di una destra critica nei confronti della tecnologia può spiegare la scarsa diffusione delle idee neoreazionarie.

Arnaud Miranda

Mi sembra di percepire che le cose stiano cambiando dall’inizio degli anni 2020, e questo potrebbe senza dubbio creare uno spazio per il pensiero neoreazionario. Alcuni attori, come Pierre Édouard-Stérin, che è sia cattolico che libertario, stanno senza dubbio lavorando per aprire questa breccia politica.

Andrea Venanzoni

Il fattore tecnologico non è solo il terreno fertile per il pensiero NRx, ma è anche la forza motrice che ha fatto emergere dall’ombra digitale figure come Bronze Age Pervert, Curtis Yarvin e lo stesso Nick Land, che promettono di risolvere le contraddizioni e le inefficienze del sistema democratico rappresentativo.

Se potessimo immaginare un Curtis Yarvin europeo, non abbiamo un Thiel, un Andreessen, né tantomeno un Musk: in generale, non abbiamo capitale di rischio né piattaforme che rappresentino un elemento trasformativo, dirompente.

Ma è proprio questo il punto chiave, secondo me: senza questi magnati, Yarvin stesso sarebbe rimasto una sorta di curiosità intellettuale riservata a una ristretta cerchia di internauti. Credo che lo stesso valga per Land.

In Europa, un’esperienza istituzionale come il DOGE sembrerebbe inimmaginabile.

Alcune di queste idee sono state discusse all’interno della Nuova Destra, anche in Italia, e in alcune nicchie “transumaniste”, ma si tratta di elementi che hanno poca rilevanza nel dibattito politico e che presentano inoltre numerose contraddizioni. L’“archeofuturismo” di Guillaume Faye, che a volte vedo affiorare nei dibattiti sul pensiero neoreazionario, è funzionalmente e concettualmente incompatibile con molti postulati NRx, a cominciare dal capitalismo.

Se potessimo immaginare un Curtis Yarvin europeo, non avremmo né Thiel, né Andreessen, né tantomeno Musk.

Andrea Venanzoni

Per questo motivo condivido l’osservazione di Arnaud Miranda sul fatto che la presenza di una destra «sociale», antilibertaria e persino antitecnologica ha costituito un ostacolo alla diffusione del pensiero NRx. Questa constatazione vale tanto per la Francia quanto per l’Italia, ma la estenderò anche ad altri paesi europei per le ragioni che ho evocato a proposito del fattore tecnologico.

Le idee che sono fisiologicamente legate all’alta tecnologia hanno meno presa nei paesi in cui esiste, direi quasi antropologicamente, un atteggiamento dubbioso, se non addirittura ostile, nei confronti dell’uso politico di questa stessa tecnologia.

Credits
Testi in uscita nella serie:

— Nick Land, «The Dark Enlightenment» (4e e 4f); «Meltdown»
— Curtis Yarvin, «From Mises to Carlyle», «The Magic of Symmetric Sovereignty», «A Techno-Pessimist Manifesto»
— Marc Andreessen, «A Techno-Optimist Manifesto»
— Peter Thiel, «The Straussian Moment»
— Bronze Age Pervert, «Bronze Age Mindset» (estratti)
— Spandrell, «Bioleninism»
— Hans Hermann Hoppe, «Democracy, The God that Failed» (estratti)