Dall’Europa, si potrebbe essere sorpresi dall’apparente assenza di reazione della sinistra americana di fronte all’energia controrivoluzionaria dispiegata dall’amministrazione Trump. Cosa sta facendo l’opposizione negli Stati Uniti?

Come si vede in questo momento a Los Angeles, la reazione della gente, nella vita quotidiana, è massiccia e popolare — ma è una reazione frammentata e priva di strategia.

L’unica forza politica negli Stati Uniti che attualmente dispone di un piano, di una strategia e di una dinamica è l’amministrazione Trump.

Il Partito Democratico — che non confondo con la sinistra americana — non ha un piano.

Ha tuttavia presentato una serie di strategie contraddittorie, ammesso che si possa parlare di strategie.

Quali sono?

Una di queste, formulata da James Carville sul New York Times 1, consiste semplicemente nell’aspettare.

Carville sostiene che i democratici dovrebbero non fare nulla e lasciare che l’amministrazione Trump imploda sotto il peso della propria impopolarità. Non tutto è da scartare in questa strategia: c’è una forma di prudenza nel voler evitare di fare ombra, per così dire, all’impopolarità di Trump quando i sondaggi sono in calo e sappiamo, fin dalla prima amministrazione Trump, che la politica della distruzione spettacolare si paga sempre alle urne.

Questa strategia potrebbe funzionare a breve termine, nella misura in cui il programma di Trump e la sua maldestra attuazione potrebbero rivelarsi così impopolari che i democratici, senza fare granché, potrebbero schiacciarlo alle elezioni di medio termine del 2026 e conquistare la presidenza nel 2028.

Ma c’è un problema più profondo per il Partito Democratico e la sinistra negli Stati Uniti.

Quale?

La reazione contro Trump si è verificata principalmente tra le persone con un livello di istruzione più elevato — circa il 20% della popolazione. Il Partito Democratico ha puntato tutto su questo segmento, cercando di conquistarlo, compresi gli sfuggenti «swing voters», ovvero gli elettori indecisi.

Le elezioni si vincono e si perdono sempre ai margini: è quella piccola porzione di elettori immediatamente delusi da Trump che bisogna recuperare per prima.

Jonathan Smucker

Perché i democratici si concentrano così tanto su questo gruppo demografico?

Le persone che fanno parte di quel 20% votano con percentuali più alte. Con gli elettori a basso reddito, che storicamente votano poco, bisogna sia convincerli che si è il candidato migliore, sia riuscire a farli andare effettivamente alle urne. C’è quindi una pressione a breve termine che spinge le campagne elettorali a concentrare tempo, energie e denaro limitati sugli elettori con maggiore propensione al voto.

Ma nell’ultimo decennio, questa strategia ha prodotto risultati sempre più deludenti, per usare un eufemismo.

Gli elettori indecisi dei sobborghi, che immaginavamo essere gli swing voters,  si sono in gran parte già schierati. E dando priorità per decenni agli elettori benestanti e istruiti, il Partito Democratico ha perso milioni e milioni di elettori della classe operaia — non a un ritmo costante, ma in modo esponenziale.

Questo è uno dei motivi principali per cui i Democratici hanno perso nel 2016. È sconcertante che, tra il 2020 e il 2024, non abbiano cambiato approccio. Hanno deciso di poter vincere senza cambiare nulla, contando sull’ondata di rigetto popolare verso Trump. Ha funzionato abbastanza bene nel 2018, alle elezioni di metà mandato, nel 2020 per conquistare la presidenza — ma di poco — e anche nel 2022, ottenendo risultati migliori del previsto, in gran parte grazie alla reazione contro la decisione della Corte Suprema di annullare la sentenza Roe vs. Wade.

Ma anche se sono riusciti a ottenere alcune vittorie continuando a privilegiare gli elettori benestanti e istruiti, nel frattempo gli elettori della classe operaia stavano abbandonando il Partito Democratico, passando a Trump o semplicemente restando a casa il giorno delle elezioni.

Come lo spiega?

Nel 2021, una circolare interna del Partito Repubblicano intitolata “Cementing GOP as the Working-Class Party”descriveva con precisione la strategia repubblicana volta a sfruttare la crescente vulnerabilità dei democratici presso gli elettori della classe operaia e ad accelerare il loro esodo dal Partito Democratico.

Il memo spiegava chiaramente come Trump avesse di fatto ridefinito l’immagine del Partito Repubblicano come partito della classe operaia e come il Partito Democratico fosse ormai ampiamente considerato il partito delle élite.

E anche se Trump aveva perso nel 2020, i Repubblicani avevano comunque guadagnato terreno in modo significativo tra gli elettori della classe operaia. In particolare, l’emorragia di voti non riguardava più solo gli elettori bianchi della working class — anche gli afroamericani e i latinoamericani della classe operaia stavano iniziando a disertare il Partito Democratico in numeri che avrebbero dovuto far scattare l’allarme.

Il fatto che Trump abbia affidato le redini del governo all’uomo più ricco del mondo è stato straordinariamente impopolare.

Jonathan Smucker

Ma non è stato così…

E non lo è ancora ! I Democratici continuano a dare per scontato il voto delle persone di colore e non hanno saputo immaginare che un cambiamento significativo fosse anche solo possibile. Pochi all’interno del Partito Democratico hanno persino preso atto dell’esistenza di quel promemoria. La strategia repubblicana per vincere nel 2024 era sotto gli occhi di tutti. Avevano dichiarato ciò che intendevano fare, e lo hanno fatto, praticamente senza opposizione.

Ancora oggi non esiste un vero dibattito visibile all’interno della leadership democratica che riconosca la strategia del GOP. Tra molti progressisti americani persiste l’idea che Trump stia conquistando solo la classe operaia bianca, e che ciò accada perché questi elettori sono irrimediabilmente razzisti o sessisti. Sia chiaro: Trump continua ad alimentare i peggiori pregiudizi razzisti, xenofobi e sessisti; questo è al centro della sua retorica. Ma allo stesso tempo fa leva su reali frustrazioni economiche e sul risentimento diffuso tra la maggioranza degli americani, che si sentono abbandonati da un sistema economico ingiusto e da élite politiche scollegate dalla realtà, che lavorano al servizio di quel sistema.

Cosa dovrebbero fare i democratici?

I Democratici dovrebbero parlare a oltranza dell’agenda e delle azioni a favore dei miliardari portate avanti da Trump e Musk — di ciò che hanno fatto e tentato di fare nei primi mesi di questa amministrazione — e dovrebbero farlo come un disco rotto, da qui al 2026 e al 2028. Il fatto che Trump abbia consegnato le redini del governo all’uomo più ricco del mondo è stato estremamente impopolare. L’immagine di Trump che porta Musk, Bezos e Zuckerberg in primo piano durante un’inaugurazione a porte chiuse ha suscitato rabbia — anche tra una parte degli elettori che avevano appena votato per lui. Le elezioni si vincono o si perdono su questi margini. I Democratici devono raccontare questa storia in continuazione, affrontare apertamente miliardari potenti come Musk.

Oggi, solo alcuni membri del partito lo stanno facendo.

Nel frattempo, altri si chiedono se non valga la pena tentare di recuperare Musk, ora che lui e Trump si sono scontrati in modo grottesco e plateale… Solo prendere in considerazione una simile alleanza equivarrebbe, per i Democratici, a offrirsi volontari per togliere un peso dalla caviglia di Trump — cercare di corteggiare Musk sarebbe un controsenso totale.

La parte più sostanziale della resistenza a Trump proviene quindi dalla sinistra 2.

La sinistra del Partito Democratico?

Uso questo termine per semplificare: intendo con esso i movimenti, le organizzazioni e i sindacati esterni al partito, così come un numero crescente di ribelli progressisti all’interno del Partito Democratico: Bernie Sanders e AOC, il «Squad», oltre al Congressional Progressive Caucus. Mettono in pratica quello che chiamo «populismo economico» — su cui tornerò più avanti.

Questa divisione è profonda. Ma il Partito Democratico dovrà opporre ai Repubblicani un messaggio unico per le elezioni di midterm e un solo candidato per la prossima elezione presidenziale. Nel 2020, Biden aveva rappresentato, quasi per default, un punto di equilibrio a cui tutta la sinistra aveva potuto adattarsi. Questa strategia funzionerebbe oggi?

Biden è stato scelto a malincuore dall’establishment quando si è capito che sarebbe stato di fatto l’unico candidato in grado di frenare l’ascesa di Bernie Sanders.

Come presidente, Joe Biden ha fatto più di quanto molti di noi, a sinistra, si aspettassero.

Ha rotto in alcuni aspetti con le prescrizioni del neoliberismo — per esempio in materia di rilancio economico e investimenti nella produzione. Probabilmente è stato il miglior presidente americano sul tema del lavoro negli ultimi quarant’anni. Ma non ha mostrato abbastanza i suoi risultati al popolo americano. Non ha dimostrato uno spirito combattivo né ha fatto comprendere con sufficiente chiarezza di essere dalla parte dei lavoratori.

Di conseguenza, la sua risposta alla crisi dell’inflazione è stata un fallimento politico. Talvolta ha denunciato i prezzi eccessivi, ma non in modo coerente o disciplinato. Aveva bisogno di combattere in modo molto più esplicito e visibile contro i potenti responsabili economici e di presentarsi come il campione della classe operaia.

Come presidente, Joe Biden ha fatto più di quanto molti di noi, a sinistra, ci aspettassimo. Ma non è stato in grado di mostrarlo agli americani.

Jonathan Smucker

Spesso si caricaturizza il Partito Democratico dicendo che è guidato da clan: Pelosi, Clinton, Obama… È ancora così?

In una certa misura, sì. I Clinton, gli Obama e gli altri sono ancora alla guida dell’establishment democratico. Una nuova generazione di consiglieri e eletti sta arrivando a Washington, ma in fondo raccontano la stessa storia e mettono in atto la stessa «strategia» di prima. Riducono ogni questione alla divisione tra destra e sinistra e non capiscono che la retorica economica e le proposte di Bernie Sanders non sono «di estrema sinistra», ma sono popolari ed essenziali per forgiare una coalizione di maggioranza duratura.

È importante capire che, a questo proposito, il fatto di avere una democrazia non parlamentare pone problemi strutturali che rendono il nostro sistema partitico molto diverso da quasi tutti gli altri al mondo.

Perché?

Dal punto di vista della sinistra, una delle ragioni fondamentali è la seguente: se sei un giovane idealista di sinistra, nella maggior parte dei paesi d’Europa e dell’America Latina ci sarà sempre un partito sufficientemente vicino alle tue opinioni e in cui potrai impegnarti. Questo partito forse non otterrà la maggioranza, ma potrà vincere qualche seggio e, talvolta, far parte di un governo di coalizione e negoziare vittorie politiche. Questo rappresenta un terreno di formazione per imparare a fare politica — fino alla vittoria sperata.

Negli Stati Uniti siamo di fatto esclusi dal sistema. O sei nel Partito Repubblicano, o nel Partito Democratico — il partito del male minore. Ma pochissimi a sinistra si impegnano davvero nel Partito Democratico. Questa dinamica si perpetua da sola perché non abbiamo meccanismi che permettano ai giovani di formarsi alla politica. I giovani americani imparano quindi la politica — nel senso di conoscere le grandi questioni politiche — ma quasi mai hanno l’opportunità di conoscere i meccanismi e le competenze necessarie per fare politica attivamente.

A questo si aggiunge il fatto che entrambi i partiti sono molto complessi.

Il partito democratico non è monolitico, ma è costituito da una serie di sacche diverse. Per certi versi, assomiglia più a una coalizione che comprende diversi partiti. Ma a complicare ulteriormente il quadro, queste fazioni non sono formalizzate e non hanno tutte lo stesso potere sull’orientamento del partito. A volte sono mutevoli.

È per questo che sembra così difficile dire chi, oggi, guida il Partito Democratico?

Sì. È diventato impossibile dire chi abbia veramente il controllo. Al partito manca crudelmente la capacità di mostrare una leadership d’opposizione visibile — e ancor più efficace — contro Trump.

Eppure, questo è proprio il momento in cui ne avremmo più bisogno.

Di fronte a ciò, i trumpisti hanno l’ambizione di costruire una contro-élite duratura. Esiste una lotta reale e coerente all’interno del Partito Democratico affinché la sinistra possa prevalere, come lei auspica, con un’élite rinnovata?

Sotto certi aspetti, la strategia della sinistra del Partito Democratico riflette quella del Tea Party e di Trump: ci costruiamo come una fazione che apre una lotta anti-establishment all’interno del partito, sostenuta da elementi sia esterni che interni.

Questo tipo di strategia non è nulla di fondamentalmente nuovo: è stata applicata dai partiti tradizionali, democratici e repubblicani, negli ultimi quindici anni, ma in modo asimmetrico; i «ribelli» repubblicani avevano un vantaggio considerevole rispetto a noi.

Oggi è impossibile dire chi comanda nel Partito Democratico.

Jonathan Smucker

Cosa intende dire?

Il Tea Party è stato il primo a cavalcare il malcontento populista, all’inizio del 2009, subito dopo l’insediamento del presidente Obama.

È stata una reazione rapida: Obama aveva saputo cogliere perfettamente questo malcontento per vincere la campagna presidenziale del 2008, dinamica e carica di energia rivoluzionaria. L’amministrazione di George W. Bush era il risultato di un progetto neoconservatore estremamente impopolare. Per vincere, Barack Obama ha saputo attingere con grande abilità al sentimento popolare anti-establishment e anti-conservatore. Ha raccontato la storia dell’America dal punto di vista di coloro che hanno lottato per far parte della città: gli schiavi ribelli, gli abolizionisti, le suffragette, le femministe, i sindacalisti. È stato probabilmente uno dei candidati più impressionanti nella storia del Paese.

Qual è stato il suo limite?

Il vero tallone d’Achille della presidenza Obama è stato il fatto che non ha mai osato affrontare l’establishment.

Durante la campagna elettorale, non aveva davvero bisogno di designare capri espiatori: il colpevole era già nella mente di tutti. Era George W. Bush e le sue politiche disastrose — in particolare la guerra in Iraq. Il terreno era in qualche modo già minato e Obama non aveva bisogno di aggiungere altro. Si limitò a cogliere bene quel momento. Ma una volta entrato in carica, fece di tutto per evitare di scontrarsi con i potenti.

Quando ha iniziato la sua battaglia sulla riforma sanitaria, ha cominciato facendo pace con le grandi società farmaceutiche e le compagnie di assicurazione sanitaria invece di indicarle come responsabili. Se lo avesse fatto in modo tale da rendere visibile questa lotta al popolo americano, forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma invece di farsi nemici potenti, ha preferito allearsi con la struttura di potere esistente.

Con Obama, i democratici avevano un notevole slancio per diventare il grande partito di sinistra in modo duraturo. Lo hanno sprecato.

È stato allora, dice lei, che i repubblicani ne hanno approfittato.

Hanno capito che non c’era un capro espiatorio.

Il crollo finanziario era appena avvenuto e milioni di americani avevano perso la casa, il lavoro e i risparmi per la pensione… e nessuno era stato ritenuto responsabile.

Non indicando i colpevoli né chiedendo loro di rendere conto in modo significativo o visibile, Obama e i Democratici hanno lasciato un vuoto enorme nel racconto politico. Il Tea Party si è subito affrettato a colmarlo, creando un momento populista per la destra.

Con Obama, i democratici avevano un notevole slancio per diventare il grande partito di sinistra in modo duraturo. L’hanno sprecato.

Jonathan Smucker

C’è stato però, da parte della frangia radicale della sinistra, il tentativo di Occupy Wall Street…

Stabilendo una presenza provocatoria alle porte di Wall Street e presentando la lotta del 99% contro l’1%, questo movimento ha senza dubbio inaugurato una nuova coscienza di classe popolare — un momento decisivo per rompere con l’egemonia dell’era neoliberale inaugurata da Reagan.

Ma Occupy Wall Street era allergico a qualsiasi forma di strategia elettorale. Non è stato possibile concepire una chiara traduzione politica da questo movimento — Bernie Sanders riprenderà sicuramente questo testimone, ma più tardi.

È qui che sta l’asimmetria di cui parla?

Il Tea Party e Occupy Wall Street rappresentano due movimenti insurrezionali.

Ma con Trump, il Tea Party ha avuto un vantaggio: hanno iniziato la loro insurrezione elettorale sul serio nel 2009. Nel 2014 avevano eliminato il potente Eric Cantor, che guidava i Repubblicani alla Camera 3. Quel momento è stato un vero punto di svolta.

L’equivalente di sinistra del Tea Party — il «Squad» e alcuni membri del Congressional Progressive Caucus — ha lanciato la propria insurrezione elettorale all’interno del Partito Democratico solo nel 2017, dopo la prima vittoria di Trump.

In altre parole, abbiamo circa otto anni di ritardo rispetto alla destra. Questo divario si fa sentire nella formazione dei dirigenti, dei candidati e degli attivisti provenienti dalle campagne che sanno come fare politica. Questo vantaggio è stato molto importante, soprattutto perché il movimento insurrezionale di destra ha vinto la presidenza — ridefinendo e disciplinando così l’intero Partito Repubblicano — mentre il movimento insurrezionale di sinistra non ci è ancora riuscito.

Nella storia degli Stati Uniti, i grandi riallineamenti politici sono generalmente stati catalizzati o consolidati dai candidati presidenziali e dai presidenti. In condizioni storiche favorevoli — come oggi — i presidenti sono simboli fluttuanti che riallineano l’elettorato.

Nel processo di riallineamento in corso, sono Trump e il Partito Repubblicano i veri artefici.

L’insurrezione all’interno del Partito Democratico — rappresentata da AOC, Bernie Sanders e molti altri al Congresso e negli Stati — continua a crescere, o almeno a mantenersi. Ma è il candidato di punta che definisce veramente il partito nella mente degli elettori insoddisfatti e poco informati. In definitiva, se vogliamo riconquistare gli elettori della classe operaia a livello nazionale, non c’è altra scelta che cambiare i candidati democratici alla presidenza.

Più precisamente, abbiamo bisogno di un candidato o una candidata in grado di applicare un populismo economico anti-establishment.

Il Tea Party ha avuto un vantaggio: l’insurrezione elettorale all’interno del Partito Repubblicano è iniziata già nel 2009.

Jonathan Smucker

Potrebbe spiegare cosa significa in sostanza la strategia del «populismo economico» che lei sostiene?

Il termine «populismo» è stato coniato negli Stati Uniti negli anni 1890. Si trattava di un movimento progressista di contadini e operai. In quel contesto, populismo significava in realtà il movimento dei più numerosi contro i meno numerosi — un programma di ridistribuzione volto a migliorare le condizioni dei lavoratori.

È la forma più pura di populismo, ed è per questo che rivendico e assumo questo termine per la sinistra.

Trump rappresenta un pseudo-populismo che stravolge la forma classica del populismo concentrando i suoi attacchi sull’élite culturale per distogliere l’attenzione da coloro che detengono realmente il potere economico.

Questo tipo di populismo funziona perché negli Stati Uniti esiste un divario tra il 20% più ricco e l’80% più povero. È un problema molto diverso da quello dell’«1%».

Il 20% più ricco ha un livello di istruzione più elevato, svolge professioni differenti, vive in quartieri diversi, frequenta scuole diverse, compie scelte di vita e di consumo differenti, ed è molto più scollegato dall’80% più povero rispetto a qualsiasi altro momento della storia americana. Se fai parte dell’80% più povero e guardi al 20% più ricco, hai l’impressione di guardare all’1% — anche se una persona che si trova al 19° percentile non ha nulla a che vedere con un miliardario.

È proprio su questa confusione che Trump fa leva, incanalando il risentimento culturale.

Ma Trump non prende mai di mira la vetta. Non mette mai al centro il problema della concentrazione estrema della ricchezza. Invece, attacca le élite culturali — i media, le università, Hollywood e naturalmente i politici del Partito Democratico, accusati di aver tradito il popolo americano. Trump unisce questa retorica anti-élite, che colpisce verso l’alto, con una retorica che colpisce verso il basso, prendendo di mira capri espiatori vulnerabili — fondendo le ansie e i risentimenti economici degli elettori con i loro pregiudizi. Il suo ultimo spot elettorale del 2024 è rivelatore a questo proposito. Anti-trans, era molto diverso da quello del 2016, che prendeva di mira i colpevoli economici in misura molto maggiore. Era «populista» nel senso in cui accusava Kamala Harris di preoccuparsi più di un gruppo specifico di persone che della «gente che lavora duramente, come voi».

Perché pensa che il populismo economico potrebbe funzionare contro Trump?

Perché è dimostrato che questa retorica pseudo-populista che lui utilizza è elettoralmente debole se paragonata a ciò che io chiamo populismo economico.

Ricerche condotte, ad esempio, dal Center for Working-Class Politics mostrano che è molto efficace identificare i colpevoli economici — come Wall Street, le grandi case farmaceutiche o le compagnie assicurative sanitarie. Nominare i «cattivi» risulta molto più convincente per una grande parte dell’elettorato rispetto a un anti-elitismo generico o agli attacchi contro migranti, persone transgender o altri capri espiatori.

Il problema è che gli attuali leader del Partito Democratico non sono disposti ad affrontare scontri reali con Wall Street.

Se lo fossero, penso che avrebbero battuto Trump.

Gli ideologi del nuovo regime a Washington sono convinti di aver vinto una sorta di lotta pseudo-gramsciana per l’egemonia culturale in America. Sono convinti che l’energia culturale e ideologica della sinistra sia scomparsa, lasciando loro tutto lo spazio. Come concilia questo con la strategia del populismo economico?

La risposta della sinistra non può basarsi su queste battaglie culturali altamente polarizzanti.

Sono perfettamente d’accordo sul fatto che i trumpisti stiano vincendo su alcuni di questi fronti, e abbiamo bisogno di risposte ai loro attacchi.

Ma il problema principale è che il Partito Democratico si limita a combattere in modo difensivo su questi terreni perché si rifiuta di aprirne di nuovi.

 Nominare i «cattivi» risulta molto più convincente per una grande parte dell’elettorato rispetto a un anti-elitismo generico o agli attacchi contro migranti, persone transgender o altri capri espiatori.

Jonathan Smucker

Pensa che la sinistra e i democratici dovrebbero provocare nuove battaglie?

Uno dei principi più fondamentali della strategia politica, della guerra o persino del gioco del Go è che spesso si vince là dove si ha la dinamica, l’iniziativa, il momentum.

Bisogna sempre cercare di combattere là dove si ha un vantaggio, minimizzando l’impegno sui terreni sfavorevoli. È un principio piuttosto elementare.

Ma c’è un fronte su cui possiamo beneficiare di un vantaggio reale e di un forte momentum: il populismo economico.

La causa sottostante alle molteplici crisi che affrontiamo oggi è l’inarrestabile disuguaglianza economica. Naturalmente, non tutto si riduce a questo, ma si tratta della crisi centrale che alimenta e informa tutte le altre. I responsabili hanno nomi e indirizzi. È possibile indicarli come i «cattivi» e, quando lo facciamo davvero e ci scontriamo con loro apertamente, diventiamo popolari.

Uno studio recente di Fight Corporate Monopolies ha mostrato che più la retorica è punitiva verso questi potenti, più risulta popolare.

Il Partito Democratico, ormai disconnesso dalla propria base, si è abituato a soddisfare i ricchi donatori e le grandi aziende.
Dall’altra parte, il Partito Repubblicano è altrettanto elitista, ma adotta uno stile retorico completamente diverso, fondato sulla menzogna.

Di conseguenza, i democratici si trovano oggi stretti in una tenaglia strategica.

Tra quali strategie?

Uno degli approcci è quello dell’«identitarismo neoliberale», in cui si evita di criticare la struttura economica, ma si pone l’accento su questioni culturali. È ciò che avviene all’interno del Partito Democratico — ed è stata una trappola perfetta nella quale è caduta Kamala Harris.

La reazione a questa strategia è un approccio «solo economico», piuttosto debole, che tenta di evitare del tutto le questioni culturali. È importante sottolineare che la maggior parte dei democratici che agisce in questo modo si limita a frasi come «creeremo lavoro per tutti» o «riporteremo l’abbondanza» — un modo velato per non attaccare frontalmente i colpevoli potenti che potrebbero davvero far aprire gli occhi agli elettori della classe operaia scontenti.

Inoltre, non capiscono che in politica bisogna sapersi difendere dagli attacchi dell’avversario, piuttosto che sperare che ignorando l’argomento questo svanisca come per incanto.

Nessuna di queste due soluzioni è dunque quella giusta.

Il Partito Democratico si limita a battaglie difensive perché si rifiuta di aprire nuovi fronti.

Jonathan Smucker

Esistono esempi di populismo economico che hanno avuto successo e potrebbero servire da modello strategico?

Ho recentemente scritto con Jared Abbott un articolo per The Hill in cui mostriamo che il caso del governatore del Kentucky, Andy Beshear, rappresenta un esempio istruttivo 4.

Beshear ha guadagnato credibilità conducendo alcune di queste battaglie economiche. Ma quando sulla sua scrivania è arrivato un disegno di legge anti-trans, ha posto il veto 5: ha usato una retorica fondata sui valori, che ha reso gli elettori meno vulnerabili agli attacchi del Partito Repubblicano. Tuttavia, questo veto va compreso nel contesto di una credibilità già costruita come difensore della classe lavoratrice. È proprio grazie a questo retroterra che è riuscito a presentare il suo veto — potenzialmente impopolare — come una naturale estensione del suo impegno a difendere tutti.

Non c’è nulla di cui vergognarsi nel prestare attenzione ai racconti attraverso cui gli elettori interpretano gli eventi in corso, senza presumere che la buona politica pubblica o un ragionamento razionale saranno sufficienti a convincerli.

Si sente spesso dire che la vibe del momento conta più delle politiche. È una visione riduttiva, ma contiene un fondo di verità.

Ed è proprio questo che ha fatto vincere Trump. Come ha ben detto Michael Moore nel 2016, Trump rappresenta una sorta di «cocktail Molotov umano» che le persone, sentendosi abbandonate dall’economia e dal sistema politico, possono lanciare. Forse non lo amano, ma lo vedono come uno strumento utile per rompere il sistema.

L’alleanza tra la Silicon Valley e Trump è un altro punto che sembra cruciale per comprendere la fase attuale. Mentre Peter Thiel era praticamente l’unico ad allinearsi con Trump nel 2016, questa volta il vibe shift è stato molto più ampio. Si tratta di un’altra battaglia che vale la pena combattere, o gli elettori non si preoccupano della minaccia che i tecnocrati di Washington rappresentano per le loro vite?

Al contrario, credo che si interessino molto alle Big Tech. Il fatto che Trump abbia scelto Elon Musk è stato molto impopolare. Lo hanno dimostrato i sondaggi, anche tra gli elettori di Trump, che hanno avuto l’impressione di non aver votato per Elon Musk e di sentirsi traditi dal potere che Trump gli ha concesso.

Nella circolare del 2021 che ho citato in precedenza, i repubblicani indicavano chiaramente la demonizzazione delle Big Tech come un pilastro della loro strategia. Trump ha sabotato questa linea integrandole in modo visibile nella sua amministrazione.

Come dicevo: i democratici hanno mancato questa occasione — e alcuni stanno persino cercando di corteggiare Musk, il che rappresenterebbe un errore strategico drammatico…

Per cambiare l’America, bisognerà cambiare il Partito Democratico.

Jonathan Smucker

Lei parla di una serie fatale di occasioni mancate: è troppo tardi per resistere al trumpismo?

Siamo onesti: non è il momento di sperare negli Stati Uniti.

Non si tratta solo di una sconfitta politica: è il tessuto stesso della società che si sta disgregando. Si ha l’impressione che negli ultimi dieci anni la vita sia peggiorata in un clima di diffidenza generalizzata. Milioni di persone oggi credono alle disinformazioni più selvaggie.

Nel migliore dei casi, dovremo affrontare ciò che Trump ha scatenato per i decenni a venire. Ha alimentato i peggiori pregiudizi dell’America e ha incoraggiato i gruppi d’odio e gli estremisti.

Per cambiare l’America, bisognerà quindi cambiare il Partito Democratico.

Come ?

Sarebbe difficile farlo in modo convincente se questo cambiamento venisse dall’alto — anche qualora si riuscisse a convincere i vertici che è necessario.

Serve un’insurrezione aperta all’interno del partito. Per dirla brutalmente e in modo figurato: delle teste devono cadere.

Gli attuali dirigenti devono essere rovesciati dagli insorti.

E gli Stati Uniti devono assistere a questo agone.

Abbiamo bisogno di una guerra aperta all’interno del Partito Democratico.

Perché necessariamente aperta?

Permettetemi un’analogia: immaginate che una grande azienda sia vittima di uno scandalo.

Per uscirne, deve licenziare persone ai vertici, il top management. E devono entrare nuove teste a spiegare di essersi liberate di quelle persone perché avevano commesso degli errori.

Arriva un momento in cui non basta cambiare solo il marchio. Bisogna assumersi la responsabilità e mostrare che le cose sono cambiate e che, in senso figurato ovviamente, sono cadute delle teste.

Se questo tipo di sconvolgimento si verificasse all’interno del Partito Democratico, le cose potrebbero cambiare molto rapidamente.

La schiacciante vittoria elettorale di Trump ci ha fatto dimenticare quanto sanguinosa sia stata la lotta interna al Partito Repubblicano.

Perché è convinto che il Partito Democratico non possa riformarsi dall’interno?

Una cosa fondamentale è cambiata: in quindici anni, la sinistra radicale ha fatto importanti progressi negli Stati Uniti. Migliaia di persone hanno ormai esperienza nelle campagne elettorali. Abbiamo più leader politici e più giovani promettenti che potrebbero diventare i futuri leader del Partito Democratico.

Quindici anni fa, questa frangia della sinistra non sembrava davvero voler il potere.

Era quasi come se fosse allergica al potere – questo era anche il tema del mio primo libro, Hegemony How-To 6.

Oggi siamo chiari: vogliamo prendere il potere, ma dobbiamo migliorare il modo in cui lo costruiamo e lo esercitiamo.

 È necessaria una guerra aperta all’interno del partito. Per dirla in modo crudo e figurato: devono cadere delle teste.

Jonathan Smucker

Non pensa che sia una strategia molto rischiosa? Se la sinistra radicale fallisce, il Partito Democratico potrebbe perseverare in ciò che ha portato alla sua sconfitta elettorale…

Abbiamo bisogno di diverse cose contemporaneamente: approfondire il nostro impegno, uscire dalla nostra insularità di classe e ampliare la nostra base.

Una delle strategie più importanti è il reclutamento e la formazione dei candidati.

Mentre nei sistemi parlamentari è più importante il partito che il candidato, nel nostro sistema non parlamentare spesso sono più importanti i singoli candidati e il loro ego. Dobbiamo investire di più nel reclutamento e nella formazione di candidati seri, con persone che comprendono il momento populista che stiamo vivendo.

Dobbiamo costruire una fazione populista progressista più organizzata all’interno del Partito Democratico, con una base che si estenda ben oltre l’attuale portata del partito.

In politica, ci sono essenzialmente due vie per arrivare al potere. O si ottiene il favore dei propri superiori, o si crea una forza esterna in grado di rovesciarli.

Questa deve essere la nostra strada.

Ma per ora non siamo stati in grado di costruire una base sufficientemente ampia, e questo è il motivo principale per cui la sinistra non riesce a prendere il controllo del Partito Democratico.

Ci sono troppo poche persone nella classe politica che dispongono degli strumenti e delle competenze necessarie per parlare ai membri della classe operaia, che sanno come svolgere un lavoro di base che porti realmente i membri della classe operaia alla politica. Ci vorrà tempo e campagne serie per formare un maggior numero di leader competenti in questo campo.

Crede che funzionerà?

Bernie Sanders ne è un ottimo esempio. Naturalmente, il compito è sempre stato arduo: le primarie del Partito Democratico sono sempre state una lotta molto asimmetrica. Tutte le forze erano contro di lui, ma nonostante ciò aveva un margine di manovra. La vittoria era possibile. Ma ci sono stati passi falsi, e i passi falsi non perdonano quando si affrontano forze così potenti.

L’arte della politica dipende da innumerevoli contingenze, da capacità tattiche. Eppure è ancora difficile avere queste conversazioni a sinistra. Molti ritengono di aver perso in partenza perché si trovano di fronte alle «forze del capitale». Questo non è affatto istruttivo. Certo, siamo di fronte alle forze del capitale, ma abbiamo l’audacia di credere che organizzandoci e acquisendo competenze possiamo talvolta sconfiggere e superare queste forze.

Dobbiamo costruire una fazione populista progressista più organizzata all’interno del Partito Democratico.

Jonathan Smucker

Ci sarebbe un’altra ipotesi: la scissione e la creazione di un terzo partito. Una strategia del genere è automaticamente destinata al fallimento a causa della natura del sistema americano?

I partiti terzi sono praticamente destinati a svolgere un ruolo di guastafeste: di fatto, sottraggono voti al Partito Democratico e aiutano così i Repubblicani. Esistono approcci ibridi interessanti, come il Working Families Party, che comprende questo vincolo e adatta strategicamente il proprio approccio in base alle diverse competizioni elettorali.

L’anno scorso, in Nebraska, Dan Osborn, che si è presentato come populista economico e indipendente, ha quasi sconfitto il repubblicano in carica. La corsa serrata di Osborn ci spinge a sperimentare ulteriormente questa strategia indipendente, magari concentrandoci sulle battaglie senatoriali nel Midwest. Se vincessimo un’elezione al Senato del genere nel 2026, lo slancio che ne deriverebbe potrebbe davvero spostare il baricentro del Partito Democratico.

Nancy Pelosi ama sostenere che è bello che Alexandria Ocasio-Cortez si candidi ad Astoria 7, ma che non potrebbe vincere nel cuore del Paese.

Lei associa alcune delle questioni socioculturali più controverse, come la riduzione dei fondi alla polizia o i diritti dei transgender, a questioni di populismo economico, come se l’assicurazione sanitaria per tutti, l’assistenza sanitaria universale e la tassazione dei ricchi – che sono molto popolari – fossero equivalenti alla riduzione dei fondi alla polizia e fossero misure diestrema sinistra su cui è impossibile candidarsi e vincere.

Ma Nancy Pelosi ha torto.

Lo dimostra la campagna di Dan Osborn. Era svantaggiato dal forte slancio di Trump. Ma si è presentato come un populista economico e ha dimostrato che questo è un modo incredibilmente popolare di fare campagna elettorale nel cuore del Paese.

Direbbe che i democratici non sanno più vincere nel Midwest?

Oggi sono pochissimi quelli che sanno davvero come fare campagna elettorale nel cuore del Paese, perché il Partito Democratico e i movimenti progressisti hanno largamente disinvestito queste regioni negli ultimi cinquant’anni.

Prendiamo l’esempio del mio Stato, la Pennsylvania.

Gran parte delle vaste regioni tra Filadelfia e Pittsburgh erano un tempo roccaforti del movimento operaio. Oggi, la maggior parte dei democratici si è rassegnata all’idea che saranno sempre conservatori. Molti fattori hanno cambiato la politica in queste regioni, ma uno dei più importanti è semplicemente che le forze progressiste non hanno organizzato gli attivisti in queste regioni. Dobbiamo reimparare a farlo.

L’autoritarismo si basa sulla debolezza: oggi c’è spazio per la forza che lo rovescerà.

Jonathan Smucker

Due o tre elezioni chiave potrebbero essere esempi davvero potenti in questi ambiti. Vincere queste elezioni sposterebbe il baricentro del Partito Democratico.

Abbiamo un anno per dimostrare il nostro valore.

Non trasformeremo il partito democratico semplicemente rafforzando la squadra fino a quando non avrà la maggioranza. Si vince dimostrando che il nostro concetto è quello giusto e cambiando le regole del gioco. È così che le persone che sono semplicemente interessate alla vittoria e che non sono ideologicamente allineate si rendono conto che la ricetta del successo è lottare per i lavoratori e attaccare i potenti. 

La situazione attuale non è promettente. Ma potrebbe diventarlo molto rapidamente.

Viviamo in un’epoca altamente instabile. C’è una crisi di legittimità che, a mio avviso, si sta verificando su scala mondiale, con istituzioni politiche e una perdita di fiducia da parte dell’opinione pubblica. Questo lascia spazio all’autoritarismo, ma anche alla forza che lo rovescerà.

L’autoritarismo è una forma debole di governo.

È precario e compensa la sua illegittimità con la repressione. Lontano dall’idea gramsciana di egemonia, si basa sulla debolezza. Le cose potrebbero quindi cambiare rapidamente. Dobbiamo essere il più possibile pronti a sfruttare questa dinamica quando si presenterà l’occasione.

Note
  1. James Carville, “How to Turn Trump’s Economic Chaos Against Him“, The New York Times, 14 April 2025.
  2. Jonathan Smucker contribuisce al rapporto collettivo della Fondazione Jean Jaurès, «La troisième gauche, enquête sur le tournant post-sociétal de la gauche européenne»/«The third left, an investigation into the post-identitarian shift of the European left», coordinato da Renaud Large, che sarà pubblicato il prossimo 26 giugno.
  3. Dopo essere stato rieletto senza interruzioni alla Camera dei Rappresentanti dal 2002, il 10 giugno 2014 Cantor perde le primarie in vista delle elezioni di medio termine di novembre dello stesso anno contro Dave Brat, un candidato sostenuto dal Tea Party. A luglio cede il posto di leader della maggioranza a Kevin McCarthy.
  4. Jared Abbott, Jonathan Smucker, «Here’s how Democrats win back voters», The Hill, 30 maggio 2025.Andy Beshear è governatore del Kentucky. Pur lottando in modo visibile per la classe operaia, si è opposto a una legge che avrebbe vietato qualsiasi discussione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle scuole, rendendo più difficile per gli oppositori del movimento MAGA distinguersi da lui sulle questioni sociali.
  5. Veto del governatore del Kentucky, 24 marzo 2023
  6. Jonathan Smucker, Hegemony How-To, AK Press, 2017.
  7. Astoria è un quartiere di Queens, a New York