Il 3 giugno, a Roma, Giorgia Meloni ha ricevuto Emmanuel Macron. L’incontro era molto atteso, soprattutto da parte italiana. In realtà, è stato piuttosto discreto: un tête-à-tête seguito da una cena di lavoro, nessuna conferenza stampa, nessuna dichiarazione congiunta. Tuttavia, il colloquio tra il capo dello Stato e il capo del governo è durato molto più a lungo del previsto ed è stato pubblicato un comunicato stampa piuttosto dettagliato, in cui si rilevano numerosi punti di accordo. Esso attesta la volontà comune di lavorare per un’Europa più sovrana, più forte e più prospera, indicando numerosi temi su cui intervenire, afferma il sostegno incondizionato della Francia e dell’Italia all’Ucraina, che passa attraverso un ambizioso cambiamento di scala della difesa europea e spiega che i due leader hanno affrontato altre questioni, come quelle della Libia e del Medio Oriente. Se il presidente francese ha proposto questa visita a Roma, è perché si era creato un certo malessere tra Parigi e Roma.
È evidente che l’incontro del 3 giugno abbia contribuito ad allentare un clima che stava diventando seriamente teso.
Tuttavia, non poteva pretendere di risolvere in poche ore i problemi di fondo che esistono tra i due governi, ideologicamente e politicamente distanti. Infatti, sono emerse alcune divergenze tra il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio sull’Ucraina, in particolare sulla questione dell’invio di truppe da parte dei paesi volontari dopo la conclusione di un accordo di pace. Da parte italiana, la stampa di destra alimenta quasi quotidianamente il fuoco, amplificando i punti di attrito e accusando costantemente Emmanuel Macron di tramare colpi bassi a vantaggio della sola Francia. Ciò contrasta con la relativa indifferenza dei media francesi, che seguono da lontano l’attualità italiana. A dire il vero, dalla netta vittoria della coalizione di destra, composta dalla Lega di Matteo Salvini, da Forza Italia guidata da Antonio Tajani e da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, sono spesso scoppiate tensioni franco-italiane. Alcune dichiarazioni di ministri francesi sulle possibili minacce che Fratelli d’Italia, un partito di matrice neofascista, rappresenterebbe per il futuro della democrazia nella penisola, hanno suscitato l’indignazione del governo italiano. Nel 2022, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin aveva criticato Roma per aver rifiutato di far sbarcare i migranti a bordo di una nave, la Ocean Viking, dell’ONG SOS Méditerranée. Qualche mese dopo, nel maggio 2023, dichiarava: «La signora Meloni, governo di estrema destra scelto dagli amici della signora Le Pen, è incapace di risolvere i problemi migratori per cui è stata eletta». In segno di protesta, Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio, aveva annullato all’ultimo momento la visita che stava per compiere alla sua omologa francese.
I rapporti tra i due paesi attraversano regolarmente momenti di grande convergenza, in cui si celebra l’amicizia indissolubile tra le due sorelle latine, e fasi di tensione che a volte sfociano in vere e proprie crisi.
Marc Lazar
Anche la questione dell’Ucraina ha suscitato polemiche tra Roma e Parigi.
Lo scorso febbraio, Giorgia Meloni aveva manifestato il suo malumore durante un vertice convocato all’Eliseo. Il 16 maggio aveva rimproverato a Emmanuel Macron di non averla invitata a una riunione alla quale hanno partecipato il presidente Volodymyr Zelensky, il primo ministro Keir Starmer, il cancelliere Friedrich Merz e il capo del governo Donald Tusk, al termine della quale hanno avuto un colloquio telefonico con Donald Trump. Tuttavia, precisando che il vertice era dedicato alla questione del dispiegamento di soldati in Ucraina, cosa che l’Italia non prevede, il presidente francese ha smentito, parlando di «fake news».
Dall’Unità d’Italia, i rapporti tra i due paesi attraversano regolarmente momenti di grande convergenza, in cui si celebra l’amicizia indissolubile tra le due sorelle latine, e fasi di tensione che talvolta sfociano in vere e proprie crisi.
In questo periodo, dal punto di vista politico, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni divergono su tre temi principali strettamente interconnessi: l’Europa, l’Ucraina e gli Stati Uniti di Donald Trump.
Fronti opposti: come il «gaullismo» di Meloni vuole cambiare l’Europa di Macron
Sull’Europa, i punti di vista sono chiaramente opposti.
Se, sin dal suo primo mandato, Emmanuel Macron ha cambiato spesso orientamento su numerose questioni politiche, ad esempio l’immigrazione, l’ordine pubblico e la sicurezza, ha dato prova di grande coerenza sull’Europa. Egli invoca incessantemente un’Europa più sovrana, più integrata politicamente, più potente, più dinamica, più autonoma e in grado di garantire la propria difesa.
Ancor prima di arrivare al potere, Giorgia Meloni aveva rinunciato all’uscita dall’Unione e all’abbandono dell’euro, posizioni che inizialmente difendeva. In qualità di capo del governo, ha indubbiamente dato prova di uno spirito più costruttivo, pragmatico e orientato al raggiungimento di obiettivi politici precisi. Pragmatismo, perché l’Italia ha un bisogno imperativo della massiccia manna di denaro del programma Next Generation EU per realizzare investimenti pubblici e rilanciare la sua economia. Se l’opinione pubblica italiana è diventata critica nei confronti dell’Unione dalla metà degli anni ’90, non vuole però in alcun modo separarsene — a fortiori i capi delle milioni di dinamiche piccole e medie imprese che dipendono dal mercato europeo. Nelle ultime elezioni, quelle del 2022 e quelle del Parlamento europeo, Fratelli d’Italia si è affermato come primo partito, fortemente radicato nel nord della penisola, la zona più interessata all’Europa per ragioni storiche, geografiche, economiche e culturali.
Parallelamente alla presa in considerazione degli interessi materiali del suo Paese, Giorgia Meloni, pur accettando il quadro europeo, persegue un obiettivo politico e ideologico abbastanza chiaro. Essa pretende di rompere con la lunga tradizione italiana iniziata all’indomani della Seconda guerra mondiale, molto favorevole alla costruzione europea. Ciò si è tradotto nella continua ricerca di compromessi con gli altri protagonisti della costruzione europea, nell’accettazione, anche se spesso mal accettata, della preminenza del «motore franco-tedesco» per ovvie ragioni storiche, ma anche perché la Francia siede nel Consiglio di sicurezza dell’ONU e rappresenta una potenza nucleare, mentre la Germania era un gigante economico da cui l’Italia dipendeva fortemente – e da cui continua, del resto, a dipendere.
Pur avendo opinioni molto convergenti con quelle del suo grande amico Viktor Orbán, Meloni non lo segue nella sua strategia di scontro diretto con Bruxelles.
Marc Lazar
Giorgia Meloni è una delle ultime grandi leader politiche ad aver acquisito la propria formazione in un partito, in questo caso il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista. È quindi fortemente influenzata da una cultura politica che non si caratterizza certo per il suo entusiasmo europeista. Certo, è indubbiamente cambiata. Tuttavia, ritiene che l’Italia debba contare di più, far sentire chiaramente la propria voce, imporre le proprie soluzioni, affermarsi come potenza media che gode anche di credibilità internazionale, da cui il moltiplicarsi dei suoi viaggi in tutto il mondo. Si è quindi impegnata a mantenere buoni rapporti con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. È riuscita a far nominare Raffaele Fitto, membro del suo partito ma proveniente dalla Democrazia Cristiana, passato da Forza Italia e considerato filoeuropeo, alla carica di vicepresidente esecutivo della Commissione e commissario per la politica di coesione, lo sviluppo regionale e le città. Allo stesso modo, lei e i suoi eletti al Parlamento europeo che siedono nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei stanno manovrando per agire di concerto con i deputati del Partito Popolare Europeo. L’Italia ha così svolto un ruolo importante nell’elaborazione del patto sull’immigrazione. Ora intende inasprire ulteriormente le politiche migratorie a livello europeo ispirandosi a quanto fatto nella penisola. La sua politica sembra fare sempre più scuola tra i membri dell’Unione e anche tra i laburisti del Regno Unito: accordi con i paesi del sud del Mediterraneo per arginare i flussi migratori, drastica limitazione delle attività delle ONG, riduzione al minimo indispensabile del diritto di asilo, esternalizzazione del trattamento dei migranti (l’Italia ha firmato un accordo in tal senso con l’Albania). Inoltre, Giorgia Meloni sta cercando di rimettere in discussione il Green Deal, senza però poter essere definita realmente scettica sul clima. Ma lei agisce, sostiene, per difendere l’intero settore dell’industria automobilistica. Anche in questo caso, però, sta guadagnando punti all’interno del PPE e presso vari capi di governo che condividono le sue opinioni e stanno facendo marcia indietro sull’impegno nella lotta al riscaldamento globale. In Francia, molti media hanno creduto di poter affermare che si fosse convertita all’Europa e se ne sono rallegrati.
In realtà, l’europeismo di Meloni è particolare.
Il suo obiettivo finale è quello di recuperare una maggiore sovranità nazionale, rifondare i valori europei sulla base della trilogia Dio, famiglia, patria, di fronte alla minaccia islamica ma anche al «wokismo» e in particolare alle teorie di genere che lei aborrisce, insomma a tutto ciò che lei definisce l’egemonia della sinistra che vuole spezzare. Per questo motivo, durante le elezioni europee, ha dato un forte sostegno al partito di estrema destra Vox in Spagna, prima che questo la deludesse entrando a far parte del gruppo dei Patrioti Europei dopo le elezioni. Allo stesso modo, recentemente si è schierata al fianco dei leader dei partiti membri del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, di cui Fratelli d’Italia è membro attivo: il rumeno George Simion e il polacco Karol Nawrocki, che ha calorosamente congratulato dopo la sua elezione alla presidenza della Repubblica.
Giorgia Meloni sta agendo per cercare di riorientare la politica europea, con il sostegno di Petr Fiala, primo ministro ceco, e Bart de Wever, capo dell’esecutivo belga, i cui partiti appartengono al Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei. Pur avendo opinioni molto convergenti con quelle del suo grande amico Viktor Orbán, non lo segue nella sua strategia di scontro diretto con Bruxelles.
Al contrario, si sforza di riunire attorno a sé il PPE per isolare i socialisti, i verdi e Renew e quindi far passare le sue linee politiche.
La Francia e l’Italia si ritrovano su fronti opposti.
Emmanuel Macron rompe in parte non solo con la visione gollista dell’Europa delle nazioni che influenza ancora i politici di destra e in parte anche la sinistra radicale, ma coltiva anche quella concezione molto diffusa in Francia, indipendentemente da chi occupi l’Eliseo, di un’Europa che dovrebbe essere a immagine e somiglianza della Francia.
Da parte sua, Giorgia Meloni modifica la tradizionale politica europea di matrice federalista storicamente promossa dalla Democrazia Cristiana e alla quale si erano progressivamente allineati i socialisti e poi, in misura più o meno netta, i comunisti. Una concezione che ha quindi trovato consenso e che è stata più o meno portata avanti dopo il big bang dei partiti negli anni ’90: Giorgia Meloni si richiama al gollismo e, di conseguenza, difende un’Europa delle nazioni e dei popoli.
Pacifismo, atlantismo e attriti sulla guerra in Ucraina
Per quanto riguarda l’Ucraina, fin dall’inizio dell’invasione russa, Fratelli d’Italia, allora all’opposizione, ha sostenuto il governo di Mario Draghi che l’aveva condannata e aveva inviato armi all’Ucraina. Al potere, ha proseguito questa politica senza esitazione. In questo senso, converge con la Francia. Ma al momento se ne discosta per diversi motivi.
Da un lato, dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, nonostante la sua vicinanza al presidente americano, è sconcertata dal suo comportamento e dai suoi atteggiamenti erratici nei confronti dei presidenti Volodymyr Zelensky – con cui Meloni si è sempre mostrata apertamente amichevole – e Vladimir Putin. Non vuole apparire in opposizione alla politica americana ed è per questo che, per il momento, rifiuta di inviare soldati italiani in Ucraina dopo un accordo di pace, subordinando un’eventuale partecipazione italiana a una decisione dell’ONU – ovviamente impossibile, visti i veti di Russia e Cina. Allo stesso modo, secondo lei, la difesa militare europea può essere concepita solo nell’ambito della NATO. Ma queste riserve del governo italiano si spiegano anche con il forte pacifismo italiano. Esso è veicolato dalla Lega di Matteo Salvini, che conduce una guerriglia permanente contro di lei nel tentativo di recuperare gli elettori che l’hanno abbandonato per passare a Fratelli d’Italia, dal Movimento 5 Stelle e da una buona parte del Partito Democratico, che tuttavia è all’opposizione.
Giorgia Meloni si richiama al gollismo e, di conseguenza, difende un’Europa delle nazioni e dei popoli.
Marc Lazar
Questo pacifismo, diffuso e popolare, è il prodotto di diversi fattori.
Da un lato, una cultura cattolica che, nonostante l’importante secolarizzazione che ha colpito l’Italia, rimane vigorosa; dall’altro i residui della cultura dell’ex Partito Comunista Italiano, il più potente d’Europa occidentale, scomparso nel 1991 ma che, come un astro spento, continua a irradiare; infine, l’aspirazione alla pace immediata – a qualsiasi prezzo per gli ucraini – da parte degli imprenditori desiderosi di riprendere al più presto i loro affari con Kiev e Mosca.
Questi vincoli di politica interna limitano il margine di manovra del capo dell’esecutivo italiano che, allo stesso tempo, per l’Unione e per soddisfare Donald Trump, si sforza di aumentare la spesa per la difesa dall’1,5% al 2% del PIL, evitando però di ricorrere al concetto di «riarmo» per paura della reazione di un’opinione pubblica italiana legata alla pace per il ricordo del fascismo bellicista e al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, che inizia con queste parole tanto ripetute in questo momento nella penisola: «L’Italia ripudia la guerra».
Infine, e forse più profondamente, Giorgia Meloni non può condividere la visione e la narrazione di Emmanuel Macron. Quest’ultimo si era illuso di poter convincere Putin a non invadere l’Ucraina durante un memorabile incontro a Mosca, dove i due uomini sedevano alle estremità di un tavolo lungo sei metri il 6 febbraio 2022. Con l’attacco russo, ha capito che era avvenuto un cambiamento storico e ha continuato ad affermare e proclamare, a rischio di scandalizzare non solo i capi di governo europei ma anche l’opinione pubblica, che la guerra in Ucraina non riguardava solo quel Paese ma l’Europa intera e che, ormai, la guerra faceva parte della nostra vita. Nella visione francese, ciò implica rispondere alla minaccia della Russia e dissuaderla dall’attaccare. L’Europa non è più quel continente di pace tanto celebrato sin dagli inizi della costruzione europea. È diventato il continente dove la guerra esiste in Ucraina e dove domani potrebbe scoppiare altrove. Entra nel nostro orizzonte di aspettative. In Francia non si tratta di essere guerrafondai, ma di dissuadere una Russia tentata di lanciarsi in altre avventure militari; in Italia, un forte «pacifismo d’atmosfera» impedisce a Giorgia Meloni di fare propria questa argomentazione, anche se la condividesse.
Di conseguenza, è costretta ad affermare che deve esserci un cessate il fuoco senza penalizzare Kiev, nella speranza che questo conflitto armato rimanga limitato a questa parte d’Europa e che questa tragica parentesi si chiuda rapidamente.
Saper parlare con Trump: le cause profonde di una rivalità
La rielezione di Donald Trump e i primi cento giorni dell’amministrazione americana hanno suscitato reazioni contrastanti da parte della Francia e dell’Italia.
Se Emmanuel Macron non intende rompere con gli Stati Uniti, consapevole della dipendenza economica, militare e tecnologica della Francia e dell’Unione da Washington, ritiene tuttavia che si sia aperta una nuova era, già iniziata ai tempi della presidenza Obama, che sta peggiorando in modo spettacolare e probabilmente inarrestabile.
L’Europa non è una priorità per gli Stati Uniti, tanto meno con la nuova amministrazione di Washington, che vuole indebolirla, sanzionarla e persino farla esplodere sostenendo i vari partiti europei di estrema destra che non smettono di criticarla. Dal punto di vista francese, è più che mai urgente rafforzare l’integrazione dell’Unione, garantirne la difesa e accrescerne il potere. Gli ostacoli sono numerosi, ma questo è l’obiettivo che richiede un duro negoziato con Donald Trump, senza escludere un braccio di ferro con lui. Se i dazi doganali saranno effettivamente introdotti, l’Unione europea dovrà reagire. Dopo un momento di esitazione, anche la presidente della Commissione europea potrebbe essersi convinta della giustezza di questa posizione.
Poiché Giorgia Meloni gode di questo rapporto politico privilegiato con la nuova amministrazione e persegue l’atlantismo di tutti i governi precedenti, spera di potersi erigere a interfaccia tra Washington e Bruxelles.
Marc Lazar
Non è questa l’atteggiamento italiano. In primo luogo, perché Giorgia Meloni è vicina a Donald Trump: è stata l’unica capo di governo presente alla sua investitura il 20 gennaio 2025. Mostra una complicità ideologica con il vicepresidente J. D. Vance e non ha esitato a dire che approvava diversi elementi del suo famoso discorso di Monaco di febbraio, che aveva stupito gli altri leader europei. Infine, va molto d’accordo con Elon Musk, con cui condivide la passione per Tolkien, il nativismo, il nazionalismo, la necessità di una lotta risoluta contro il «wokismo» e il fascino per la tecnologia.
Giorgia Meloni si inserisce anche nella continuità di una politica estera italiana caratterizzata fin dagli inizi della Repubblica dall’atlantismo. L’Italia si è sempre comportata come il miglior alleato anticomunista durante la Guerra Fredda e grazie alla sua posizione geopolitica nel Mediterraneo. Grazie al suo rapporto politico privilegiato con la nuova amministrazione e alla continuazione dell’atlantismo di tutti i governi precedenti, Giorgia Meloni spera di potersi affermare come interfaccia tra Washington e Bruxelles, dimostrando al contempo agli italiani la sua importanza e il suo credito personale.
Spera così di riuscire a convincere Donald Trump a impegnarsi più chiaramente al fianco di Zelensky e a rinunciare ai dazi doganali, la cui introduzione penalizzerebbe gravemente l’Italia – seconda potenza industriale dell’Unione – e rischierebbe quindi di farle perdere voti.
Se Emmanuel Macron si iscrive nella tradizione gollista di fermezza nei confronti degli Stati Uniti, Giorgia Meloni si dimostra invece una sostenitrice della mediazione, nuova parola chiave della politica e della diplomazia italiana. Questo spiega perché si ostina a non voler scontrare l’alleato americano ed evita qualsiasi confronto con lui. Allo stesso tempo, sta estremamente attenta a non allinearsi completamente con lui perché, come hanno ben dimostrato i risultati del sondaggio Eurobazooka, gli italiani rifiutano in massa Donald Trump, anche se la destra un po’ meno. L’attuale inquilino della Casa Bianca li preoccupa molto. Inoltre, avendo bisogno dell’Unione, non può allinearsi alla politica americana volta a disgregarla in un modo o nell’altro.
Che si tratti della difesa europea o dell’eventuale invio di truppe in Ucraina per garantire la pace, Giorgia Meloni pone il suo Paese al di fuori dell’asse inedito che si sta formando da Londra a Varsavia, passando per Parigi e Berlino. In altre parole: Francia e Italia stanno mettendo in atto due strategie diverse rispetto agli Stati Uniti.
Infine, esiste una rivalità tra Roma e Parigi per la leadership europea.
Giorgia Meloni intende approfittare dell’indebolimento della Francia: un presidente alla fine del mandato, costituzionalmente incapace di ricandidarsi, impopolare anche se la sua azione sull’Ucraina e nei confronti di Trump è approvata da una grande maggioranza dei francesi, un governo fragile, un parlamento frammentato, un’estrema destra molto alta nei sondaggi, una sinistra radicale rumorosa, un alto livello di sfiducia politica, un profondo malessere sociale. Constata la stagnazione economica della Germania e la fragilità della coalizione CDU-CSU-SPD del cancelliere Merz, messa in discussione dall’ascesa dell’AfD. In queste condizioni, favorita da una popolarità che rimane elevata, tanto più che l’opposizione è divisa, ritiene che l’Italia dia prova di una stabilità politica piuttosto inedita, nonostante i capricci di Matteo Salvini. Essa afferma inoltre che l’economia italiana sarebbe sulla buona strada, cosa contestata da numerosi economisti che, tra l’altro, ricordano le debolezze della penisola, quali il calo della produzione industriale, la scarsa produttività, l’aumento delle disuguaglianze, il ritardo nella ricerca e il crollo demografico. In breve, si propone come la principale leader dei nazional-populisti europei, la donna forte dell’Unione europea, l’unica in grado di ergersi come interlocutrice di Trump per siglare un buon «accordo».
Giorgia Meloni pone il suo Paese al di fuori dell’asse inedito che si sta formando da Londra a Varsavia, passando per Parigi e Berlino. In altre parole: Francia e Italia stanno mettendo in atto due strategie diverse nei confronti degli Stati Uniti.
Marc Lazar
Questo obiettivo si scontra tuttavia con molteplici ostacoli.
I partiti della destra radicale sono divisi e non tutti sono disposti ad accettare la sua tutela. Giorgia Meloni può certamente sperare che in Francia, alle prossime elezioni presidenziali, si formi un’alleanza di destra sul modello della coalizione che lei guida in Italia; ma oltre al fatto che questa ipotesi rimane molto teorica, nulla dice che, se si realizzasse, cambierebbe radicalmente le relazioni franco-italiane.
D’altra parte, la dinamica di Giorgia Meloni si rivela del tutto relativa. Abile tatticamente e brava comunicatrice, rimane ancora segnata dalla sua storia personale, che la porta a dare raramente fiducia a persone che non appartengono al suo clan. Allo stesso modo, esita spesso a promulgare riforme strutturali, quindi divisive, che susciterebbero opposizioni e sarebbero complicate da attuare, come quella volta a eleggere il presidente del Consiglio a suffragio universale. Dà quindi spesso l’impressione di navigare a vista. D’altra parte, si impegna a controllare i media pubblici e le istituzioni culturali per promuovere i valori nazionali e conservatori a cui fa riferimento, e intende far approvare una legge sulla sicurezza estremamente preoccupante per le libertà pubbliche.
3 giugno 2025: sintesi di un incontro
È in questo contesto che si è tenuto l’incontro tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni.
Lasciare che le relazioni franco-italiane si deteriorassero era rischioso.
Era quindi necessario dialogare.
L’Italia non vuole essere emarginata dall’accordo che si sta delineando tra questi grandi paesi dell’Unione e un Regno Unito che ha ripreso il dialogo con loro.
Per quanto riguarda la Francia, stando alle dichiarazioni di Emmanuel Macron, essa spera che l’Italia ad un certo punto aderisca alla coalizione dei volontari secondo modalità proprie.
Inoltre, come è già successo in passato quando sono sorti malintesi e divergenze, la Francia e l’Italia ricordano di avere troppi interessi comuni per lasciare che le polemiche prendano il sopravvento. I due paesi sono i loro secondi partner commerciali, devono ridurre il debito pubblico considerevole, lavorano per una maggiore flessibilità di bilancio a livello europeo, una reale semplificazione normativa e sono ormai più o meno sulla stessa linea in materia di politica migratoria.
Il comunicato congiunto del 3 giugno enuncia chiaramente i punti di accordo e di convergenza che Emmanuel Macron e Giorgia Meloni intendono portare al Consiglio europeo. Inoltre, al di là delle rispettive sensibilità politiche, i ministri lavorano bene insieme, incoraggiati dalle disposizioni del Trattato del Quirinale firmato il 26 novembre 2021. È il caso, ad esempio, del ministro della Difesa Guido Crosetto e del ministro delle Forze armate Sébastien Lecornu, e persino del ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che attacca quasi ogni giorno Emmanuel Macron ma collabora strettamente con il suo omologo Philippe Tabarot, mentre Gérald Darmanin, diventato ministro della Giustizia e critico in passato nei confronti della politica migratoria italiana, si è recentemente recato a Roma per trarre ispirazione dall’esperienza italiana nella lotta alla criminalità organizzata per progettare le sue prigioni di massima sicurezza.
L’incontro Meloni-Macron è stato quindi positivo.
A riprova della loro volontà di riallacciare i fili del dialogo, il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio hanno annunciato che all’inizio del prossimo anno si terrà un vertice franco-italiano, che non si riunisce dal 2019, mentre era annuale sin dal suo lancio all’epoca della presidenza di François Mitterrand.
Allo stesso modo, potrebbero compiere un altro passo avanti applicando una delle disposizioni del Trattato del Quirinale che prevede la presenza di un ministro italiano al Consiglio dei ministri francese almeno una volta al trimestre e viceversa.