Il 6 dicembre 2024, nel cuore del Massiccio del Monte Bianco, il Prix Grand Continent riconoscerà ancora una volta una grande narrazione europea contemporanea.

A pochi giorni dal verdetto, ecco le cinque opere finaliste di narrativa pubblicate quest’anno in francese, spagnolo, italiano, polacco e tedesco. Il Premio – che finanzia la traduzione e la distribuzione del libro vincitore nelle altre aree linguistiche – sarà assegnato nel cuore del massiccio del Monte Bianco, a 3.466 metri di altitudine.

Martina Hefter, Hey, Guten Morgen, wie geht es dir?, Klett Cotta

“Un libro che avanza come un funambolo. Ma finché Martina Hefter racconta la storia, nulla può accadere”. Anne Weber

Di giorno, Giunone aiuta il marito Giove, gravemente malato, a gestire la sua vita quotidiana. È un’artista. Balla e recita. Di notte, quando di nuovo non riesce a dormire, chatta con i love scammers (o truffatori sentimentali) su Internet.

Martina Hefter ha scritto un romanzo commovente sui bisogni e le aspirazioni della vita, cercando di rispondere alla domanda: fino a che punto siamo disposti a spingerci per amore?

Giunone parla con uomini che dichiarano il loro amore a delle donne online nel tentativo di derubarle del loro denaro.

Ma Giunone non si lascia abbindolare e anzi riesce a ribaltare la situazione: questi uomini diventano per lei una forma di libertà. In queste conversazioni, Giunone può essere chi vuole e dire quello che vuole, senza costrizioni o conseguenze. Tutto il contrario della sua vita abituale, in cui è sempre in movimento, senza mai riposare, sempre preoccupata per Giove, sempre occupata.

Così Giunone sfugge di tanto in tanto alla sua routine quotidiana su Internet, dove gioca con uomini che le mentono.

Al punto da diventare lei stessa una bugiarda. Ma non è forse vero che quando si mente, si mente prima a se stessi? Un giorno Giunone incontra Benu, che vede al di là delle sue affermazioni; proprio comme lei riesce a vedere al di là dei suoi discorsi.

E nonostante la distanza che li separa, nasce un legame.

Hey Guten Morgen, wie geht es dir? è un romanzo profondo, ma leggero come una commedia.

Eduardo Halfon, Tarántula, Libros del Asteroide

1984. Due giovani fratelli esiliati negli Stati Uniti tornano in Guatemala, nel cuore della foresta dell’Altiplano.

I genitori li mandano lì per partecipare a un campo di sopravvivenza per bambini ebrei, affinché non dimentichino le loro radici. Ma una mattina i bambini vengono svegliati da urla e scoprono che il campo si è trasformato in qualcosa di molto più oscuro.

Le ragioni e le ramificazioni di questo episodio dell’infanzia del narratore iniziano a chiarirsi solo anni dopo, grazie a incontri fortuiti: a Parigi con un lettore di Salinger diventato avvocato, o a Berlino con un ex capo istruttore del campo dagli occhi blu mutevoli, che andava sempre in giro con un serpente in tasca e un’enorme tarantola sul braccio.

Intrecciando passato e presente, realtà e finzione, Eduardo Halfon tesse un racconto ricco di simboli per toccare le fondamenta della sua identità: il quadro severo e rigoroso della religione ebraica nel seno avvolgente e materno del Guatemala.

“Una storia terrificante ambientata nelle giungle del Guatemala che risuona da Gaza al Donbass”. Santiago Roncagliolo

Michele Masneri, Paradiso, Gli Adelphi

“Nel giorno più caldo di una delle estati più calde a memoria d’uomo, Federico Desideri, giovane giornalista di belle speranze ma piuttosto insoddisfatto, viene incaricato dal caporedattore della rivista di nicchia in cui lavora di recarsi a Roma per intervistare un famoso regista, autore di un film di grande successo in cui un irresistibile seduttore è al centro dell’azione.

Federico scopre presto che il regista è evasivo. Ma a un evento mondano a Roma, gli viene presentato l’uomo che sarebbe stato il modello di questo personaggio: Barry Volpicelli. Una sorta di psicopompo, a metà strada tra il Pifferaio di Hamelin e il Bruno Cortona de Il Fanfarone, Barry condurrà Federico in un luogo incantevole: il Paradiso, un enorme complesso di ville e bungalow fatiscenti sul litorale laziale, dove vive con un gruppetto di vecchi pazzi, tanto adorabili quanto eccentrici.

Un ambasciatore che fa incetta di prodotti da discount; una ginecologa in pensione che alleva polli ornamentali; il principe Gelasio Aldobrandi che, afflitto da una perenne angoscia “mistico-araldica”, insegue il sogno irraggiungibile di una discendenza; una coppia di lesbiche che rimpiange i tempi gloriosi in cui erano invitate in Vaticano da Papa Ratzinger; un ex bellona che accusa tutto il cinema italiano di averle rubato le idee; senza dimenticare la prima – e la seconda – Signora Volpicelli.

Tra interminabili conversazioni di delirante inutilità e una notte in cui qualcuno minaccia di uccidere uno degli ospiti; tra l’arrivo di un famoso influencer e una morte sospetta, sono molte le cose che il giovane Federico vedrà e imparerà durante il suo soggiorno al Paradiso.

Finché non si renderà conto che non può – o non vuole – andarsene”.

Frédéric Gros, La première histoire, Albin Michel

“Primo secolo d.C.

Affascinata dai discorsi infuocati di Paolo di Tarso, Teoclide, giovane aristocratica della colonia romana di Iconio, decide di rompere il suo fidanzamento, seguire l’apostolo e fare della sua verginità un atto di resistenza.

Salvata miracolosamente dal rogo, poi dalle bestie selvatiche che stavano per divorarla, e battezzandosi nonostante la minaccia, diventa il vessillo sventolato dal popolo femminile.

Iconoclasta e sovversiva, diventa una figura scomoda per la Chiesa nascente e i capi della comunità, percependo il pericolo crescente, reagiscono…

In questo romanzo potente e vivace, Frédéric Gros racconta la storia – che alcuni studiosi ritengono essere la prima testimonianza cristiana scritta – di questa figura importante ma oscurata”.

Mateusz Pakuła, Skóra po dziadku (La Peau du grand-père en héritage), Agora

Nel suo secondo romanzo, in una forma simile all’autofiction, Mateusz Pakuła – uno dei più acclamati drammaturghi polacchi contemporanei – scava in profondità nella storia della sua famiglia.

Viaggiamo con lui fino all’epicentro dello stalinismo, nei primi anni Cinquanta, quando suo nonno viene imprigionato nella casa-cattedrale di Kielce per uno scherzo di cattivo gusto.

Chi lo salverà porterà alla luce sia l’oscuro passato della città, intrecciato con la guerra, il pogrom di Kielce e la Shoah, sia il futuro di una nuova generazione.

In che modo la pelle dei nostri nonni riposa su di noi, scavata, come un ricordo?

La storia che ricordiamo è anche la storia che vogliamo ricordare?

Può prestarsi a un mito identitario?

“Pakuła scrive in modo tale che la testa è piccola, gli occhi enormi, le budella sono contorte, le mani tremano e le gambe sono di cotone. È un colpo da maestro riuscire a raccontare storie personali in questo modo e, allo stesso tempo, storie sociali più ampie. Si può guardare al futuro solo misurandosi con il passato”. (Jan Peszek)