Dall’annuncio, lo scorso 25 settembre, dei primi risultati delle elezioni politiche italiane, l’attenzione della stampa sia nazionale che internazionale si è concentrata, e non senza ragione, sulla netta vittoria della coalizione guidata da Giorgia Meloni. Nei giorni successivi, l’orientamento politico dello stato italiano e dei suoi cittadini sono spesso stati descritti in termini molto generali, presentando la maggioranza risultata dalle elezioni del 25 settembre come “la scelta dell’Italia”, senza ulteriori dettagli.
Questa tendenza alla generalizzazione non può che produrre una visione sbagliata della situazione politica italiana, poiché ignora deliberatamente una caratteristica centrale del paesaggio politico peninsulare. Ignora, cioè, che l’Italia si divide in diverse aree geografiche che, lungi dall’esprimersi con una sola voce, hanno da sempre presentato tendenze politiche molto divergenti. Infatti, in molti casi, le divisioni tra regioni si organizzano secondo linee di conflitti così chiare da rendere pericolosa ogni analisi globale. In un contesto politico così frammentato, più importante dell’individuazione di tendenze generali è quindi l’analisi dei clivaggi e della geografia elettorale.
Una cluster analysis 1 del risultato delle ultime elezioni politiche nei quasi 8000 comuni italiani svela come si struttura l’elettorato italiano. Ci consente di individuare nove gruppi di comuni che compongono quelli che chiamiamo nove “arcipelaghi italiani”, ossia spazi che mostrano comportamenti di voto simili al loro interno e, allo stesso tempo, differiscono significativamente l’uno dall’altro. La metafora dell’arcipelago, introdotta dal politologo Jérôme Fourquet allo scopo di render conto delle profonde divisioni che travagliano la contemporanea società francese 2, ci sembra riflettere in modo molto adeguato anche la realtà della politica italiana degli ultimi decenni.
Questi arcipelaghi si organizzano secondo tre principali linee di clivaggio. La maggiore linea di divisione è quella che separa Nord e Sud, con una zona di transizione in Lazio e Abruzzo. All’interno delle zone settentrionali e meridionali, si può poi osservare un secondo divario, anche quello molto significativo, tra zone urbane, periurbane e rurali. Una terza divisione, di minore rilevanza numerica su scala nazionale ma politicamente chiarissima, separa le due regioni italiane dotate di un sistema partitico autonomo (Valle d’Aosta e Alto Adige) dal resto della penisola.
Nel resto di questo articolo, proseguiamo con la descrizione di questi nove cluster, e individuiamo in modo breve le caratteristiche di ognuno di essi. Nei grafici, i risultati dei partiti del centrosinistra (rosso: PD, rosso scuro: AVS, rosa: +E e IC) e del centrodestra (blu scuro: FDI, verde: Lega, azzurro: FI e Moderati/UDC) vengono sommati.
Il Nord Italia (4 cluster, pari al 63% dell’elettorato totale)
Le grandi città, la Toscana e l’Emilia-Romagna
Le grandi zone urbane del Nord (Torino, Genova, Milano, Trento, Venezia), Roma, gran parte della Toscana e dell’Emilia-Romagna nonché alcuni specifici comuni del Sud compongono il primo e numericamente più importante dei nostri “archipelagi”. Si tratta poi dell’unico cluster nel quale il Partito Democratico ottiene più voti di ogni altro partito, con 18% di elettori a favore (pari a circa 26% dei votanti). La relazione privilegiata tra il Pd e le regioni urbane del nord ha contribuito in modo importante al suo relativo successo su scala nazionale: il 42% degli elettori totali del Pd provengono di queste zone. Fratelli d’Italia è il secondo partito. Nonostante i buoni risultati del Pd e i pochi voti Lega e FI in comparazione con le altre zone settentrionali, il centrodestra ottiene più voti del centrosinistra in queste aree. Un’ipotetica alleanza del centrosinistra con il terzo polo o le Cinque stelle vi otterrebbe comunque un’ampia maggioranza.
Le zone periurbane
Nelle zone periurbane del Centro-Nord, anch’esse molto popolate (17% dell’elettorato totale), si concentrano i voti per il centrodestra, che può contare tanto sulla grande popolarità di FdI, che vi ottiene il sostegno di quasi 30% dei votanti, quanto sulla persistenza di un significativo voto leghista – quasi il 30% degli elettori totali della Lega vivono nei comuni di questo cluster. Di conseguenza, il centrodestra vince facilmente in queste aree del nord del paese.
Le periferie del Centro-Nord
Nei comuni più rurali del Centro-Nord, eccetto Lombardia e Veneto, la vittoria del centrodestra può sembrare, al primo sguardo, ancora più larga; ed è vero che i risultati del centrosinistra, dei Cinque Stelle e del terzo polo sono molto più modesti che nelle grandi città. Comunque, il centrodestra non ha, in realtà, convinto una proporzione più ampia dell’elettorato. Il fatto più marcante è invece l’alta quota di astensione, che raggiunge il 37%.
Le zone rurali più di destra
Un voto massiccio per i partiti di destra (FdI e Lega) si esprime nelle zone rurali del nord, sopratutto in Lombardia e Veneto, dove oltre il 60% dei votanti sceglie uno dei quattro partiti della coalizione di centrodestra. Sebbene in queste aree si concentri solo il 6% degli elettori, vi troviamo rispettivamente il 10 e il 15% degli elettori dei FdI e della Lega. I voti di sinistra sono pochissimi, pari al 10% dell’elettorato, mentre l’affluenza alle urne risulta piuttosto alta, a differenza di altre zone periferiche del nord.
Il Sud (3 cluster, pari al 32% del elettorato totale)
Le aree urbane e periurbane
Nel principale cluster del Mezzogiorno, che contiene tra l’altro le principali città della macroregione, l’astensione risulta più alta che nelle regioni del Nord: più di quattro elettori su dieci non parteciparono al voto. I Cinque Stelle sono il primo partito. La regione gioca così per i pentastellati un ruolo essenziale, simile a quello delle aree urbane del nord per il Pd, fornendo al M5S il 42% dei suoi voti totali. Ma anche FdI e Pd ricevono una quota piuttosto alta dei loro voti complessivi (circa 16%) in queste aree dove vive circa un quarto della popolazione italiana. A differenza del Nord, e nonostante la seconda posizione dei FdI, un’alleanza tra centrosinistra e M5S vi otterrebbe un’ampia maggioranza.
Le aree periferiche
Le zone di più alta astensione – tra il 55 e il 60% – si incontrano in alcune aree periferiche del Sud, particolarmente in Calabria e Sardegna, dove più della metà degli elettori si è astenuta. In queste regioni, vince FdI, seguito da vicino da M5S e Pd. Il centrodestra non ottiene però la maggioranza dei voti espressi. La regione conta poco nel risultato definitivo dei diversi partiti, visto la sua limitata rilevanza numerica (circa 8% degli elettori) e la sua bassissima quota di affluenza alle urne.
La Sicilia Nord-Orientale e il successo di “Sud Chiama Nord”
Una dinamica unica, anche manifestatasi all’occasione delle elezioni regionali siciliane, si esprime nel Nord-Est dell’isola. In questa regione, il partito di ispirazione meridionalista e autonomista siciliano Sud chiama Nord (SCN) guidato da Cateno De Luca (sindaco di Messina) viene votato da più di un elettore su dieci. A causa di questa mobilitazione, l’astensione è più bassa che nel resto del meridione, e la quota di affluenza è paragonabile a quella delle zone periferiche del Nord Italia.
Sistemi autonomi (2 cluster)
L’Alto Adige / Südtirol
La provincia autonoma di Bolzano – Alto-Adige (Südtirol) è caratterizzata da un sistema partitico particolare, dominato da anni dal Partito popolare sudtirolese (Südtiroler Volkspartei, Svp) di ispirazione autonomista. Come solitamente accade alle elezioni nazionali, il Svp riceve un’ampia maggioranza dei voti espressi nella regione, pari a circa il 60% del totale. Con solo trecentomila votanti, la provincia di Bolzano gioca un ruolo limitato nella politica nazionale: invia a Montecitorio 3 deputati, tutti e tre esponenti del Svp.
La Valle d’Aosta / Vallée d’Aoste
La regione autonoma Valle d’Aosta / Vallée d’Aoste presenta anch’essa un sistema partitico autonomo. L’unico deputato dei centomila elettori valdostani viene eletto in una circoscrizione uninominale speciale, nella quale quest’anno vince Franco Manes, candidato della coalizione regionalista Vallée d’Aoste, che ottenne circa il 40% dei voti espressi. Il candidato unico del centrodestra giunge in seconda posizione.
Conclusione: governa il Nord senza le grandi città, Toscana, Valle d’Aosta e Alto Adige; nel Mezzogiorno dominano le opposizioni
La divisione dell’Italia in nove arcipelaghi produce vincitori diversi nel Centro Nord, inclusa Roma (FdI), in Toscana, Emilia-Romagna e alcune grandi città (Pd), nella maggior parte del Mezzogiorno (M5S), in Valle d’Aosta (VdA) e in Alto Adige (Svp).
Ancora più importante per la prossima legislatura è il divario esistente tra le diverse aree del paese per quanto riguarda la quota di voto a favore di uno dei partiti del futuro governo di centrodestra. Mentre la nuova maggioranza può contare sul sostegno di più della metà dei votanti nelle regioni del Nord, nella maggior parte del Sud e nelle metropoli (inclusa Roma), la sua base elettorale è molto più debole. Caso non troppo eccezionale nel contesto politico europeo attuale, governerà quindi una parte del paese contro l’altra. Il fatto che contrassegna l’Italia nella comparazione internazionale è, però, il forte carattere di regionalità degli elettorati. Una regionalità che non sembra in grado di ridurre una maggioranza eletta soprattutto grazie ai voti del Nord.
Note
- L’algoritmo usato è un k-means clustering dei vettori di risultati per l’elezione alla Camera dei deputati (astensione, schede nulle et bianche e voti di lista) in ogni comune, senza ponderazioni. Si noti che questo metodo non favorisce a priori l’individuazione di cluster geograficamente connessi. Il fatto che questi si strutturino in modo coerente nello spazio rifletta quindi la struttura effettiva del voto. Vista l’assenza di ponderazione e il fatto che si rappresentano i risultati medi dei comuni di ogni cluster, i valori presentati nei successivi grafici possono leggermente differire dal risultato aggregato nei singoli cluster.
- Vedasi Jérome Fourquet, L’archipel français.