Il filosofo che aveva denunciato l’espansionismo russo

"Quello che sto dicendo è che questa situazione è intelligibile solo dal punto di vista del confronto". Mentre le truppe di Putin invadono l'Ucraina, Raffaele Alberto Ventura rilegge Devant la guerre di Cornelius Castoriadis.

Cornelius Castoriadis, Devant la guerre : les réalités,, Fayard, 1981, 286 pagine

“La Russia è condannata a preparare la Guerra perché non può e non sa fare nient’altro”

Cornelius Castoriadis

Il nome di Cornelius Castoriadis è indissolubilmente legato all’esperienza del gruppo Socialisme ou Barbarie, da lui fondato assieme a Claude Lefort nel 1949 in rottura contro la sinistra dell’epoca, accusata di essere troppo tiepida con l’Unione Sovietica. Secondo i membri del gruppo, che ebbe un’influenza fondatrice sull’ultrasinistra francese e non solo, il sedicente “socialismo” realizzato da Lenin e dai suoi successori non era altro che una forma di capitalismo più avanzata e brutale, caratterizzato dalla dimensione burocratica. Filosofo, economista e teorico politico, Castoriadis difese per decenni un altro tipo di socialismo, contaminato con la tradizione anarchica, sindacalista e consiliarista, che lo portò a teorizzare il concetto di autonomia: dalla sua riflessione e dalla sua militanza nacquero i semi del Sessantotto, ma oggi viene considerato anche come precursore dell’ecologia politica. Anche economista di primo piano all’OCSE, fu tra gli ispiratori di un approccio nuovo alle politiche di sviluppo, centrato sulla dimensione sociale.

Nel 1981, una vivace polemica accompagnò l’uscita del suo libro Devant la guerre, nel quale Castoriadis denunciava la minaccia militare dell’espansionismo russo ricorrendo ad ampia documentazione e a una teoria originale del capitalismo burocratico. All’epoca le sue previsioni parvero eccessive, se non addirittura russofobe. La caduta dell’Unione Sovietica, pochi anni dopo, sembrò confutare le sue paure. Ma il rischio non era stato cancellato: era solo stato rimandato. Quarant’anni dopo, nell’anno del centenario della nascita di Castoriadis, sembra essere giunto il momento di rileggere Devant la guerre per capire la crisi ucraina: la sua attualità appare sorprendente. E poi che cosa sono quarant’anni, visti dal promontorio della storia, se non un lieve ritardo?

La prospettiva di una guerra mondiale

Castoriadis non intendeva fare profezie, ma era convinto che una più nitida comprensione della situazione potesse aiutare a “sfuggire alla trappola in cui la storia sembra volerci rinchiudere”, ovvero l’escalation bellica. Se la terza guerra mondiale ci sarà o non ci sarà dipenderà da innumerevoli fattori, ma comunque vadano le cose (all’epoca come oggi) tutti agiscono tenendo in considerazione questa possibilità. Si vive non “prima della guerra”, appunto, ma “davanti alla guerra”. Si tratta per lui d’individuare delle tendenze e delle aspettative che strutturano il campo geopolitico, che “appare intelligibile soltanto nella prospettiva di un potenziale conflitto”. Nella filosofia di Castoriadis è centrale l’idea che non esistono determinismi storici, sensi della storia o destini ineluttabili, perché tutto deve essere immaginato e istituito.

Si tratta quindi innanzitutto di capire quali siano le caratteristiche essenziali del capitalismo di stato sovietico: la Russia “persegue incessantemente l’espansione della propria potenza, processo che si incarna nell’aumento continuo del suo potenziale militare e si manifesta in varie forme di conquiste territoriali indirette.” Affermare che “ci troviamo, di nuovo, nell’ottica di una guerra mondiale” significa che quest’ottica è quella che motiva gli attori politici nelle loro scelte, nei loro investimenti, nelle loro paure, nelle loro decisioni: questa prospettiva “apre la possibilità effettiva di un conflitto aperto tra le due superpotenze”, USA e Russia.

Questo era vero quarant’anni fa, non ha cessato di essere vero da allora ed è tanto più vero oggi: rinunciando alla prospettiva della guerra come “fattore di formazione di sviluppi effettivi” sarebbe difficile spiegare alcunché di questa crisi. Putin non motiva forse la sua operazione militare accusando le basi americane troppo vicine al suo territorio? E queste basi non sono state disposte precisamente per contrastare una potenziale minaccia russa? Come nei più tragici dilemmi della teoria dei giochi, ampiamente citati nel libro, non si capisce bene se sia nato prima l’uovo o la gallina.

Nella filosofia di Castoriadis è centrale l’idea che non esistono determinismi storici, sensi della storia o destini ineluttabili, perché tutto deve essere immaginato e istituito.

raffaele alberto ventura

La militarizzazione dell’economia russa

La tesi centrale di Devant la guerre era che l’Unione sovietica aveva un’economia a due velocità: un’economia civile miserabile e un’economia militare fiorente, capace di sottomettere altre nazioni. Castoriadis illustra come secondo lui l’industria militare russa fosse, per le sue caratteristiche tecniche, chiaramente progettata per l’attacco e non per la difesa. Pagine e pagine del libro sono dedicate all’esame preciso delle forze in campo, dette “conti di chincaglieria militare”.

Ma il cuore del libro è l’esame del funzionamento di questa economia di guerra, attraverso il duplice sguardo di un teorico marxista e di un economista abituato a esaminare i conti nazionali. Secondo Castoriadis, l’economia sovietica “screma sistematicamente le migliori risorse, tra cui ovviamente quelle umane, per orientarle verso l’apparato militare”. Il che, inevitabilmente, lasciava scoperta l’economia civile: da una parte si accumulano armi, con risultati quantitativi e qualitativi sorprendenti, mentre dall’altra non si riescono a soddisfare i bisogni “elementari” della popolazione, a partire da quelli alimentari. La tesi centrale è che la Russia si stava compiutamente trasformando in una “stratocrazia”, dal greco “stratos” per esercito. Secondo Castoriadis, “l’esercito diventa il corpo sociale che assume la direzione e l’orientamento dell’intera società”. 

Questa militarizzazione avveniva all’epoca in un contesto di crisi: “crisi energetica, inflazione accelerata, sommovimento e rallentamento del corso apparentemente segnato del capitalismo moderno”. All’epoca come oggi, insomma, le tensioni internazionali appaiono direttamente collegate alle scosse sistemiche: “gli eventi e i loro effetti si accumulano e si influenzano a vicenda, si amplificano” nel contesto di una crisi dell’ordine mondiale che aveva retto tra il 1953 e il 1973. 

La tesi centrale di Devant la guerre era che l’Unione sovietica aveva un’economia a due velocità: un’economia civile miserabile e un’economia militare fiorente, capace di sottomettere altre nazioni.

raffaele alberto ventura

Il sistema sovietico viveva allora “una malattia cronica”, in quanto “incapace di riformarsi”. E di fronte a questa “paralisi della società burocratica russa”, conseguenza del fallimento del suo modello economico sedicente “socialista”, non restava altro che la “fuga in avanti nell’espansione imperialista”. Non poteva andare altrimenti, perché la scelta di dare priorità alla casta burocratica “parassitaria” sottraeva inevitabilmente risorse all’economia reale. Secondo Castoriadis, che a simili calcoli aveva dedicato vent’anni all’OCSE, una diversa allocazione delle risorse avrebbe garantito al paese un’economia più prospera, egualitaria e quindi pacifica. Ma questo non conviene alle classi dominanti, perché un’economia che cresce porta alla formazione di una società civile, e chi dice società civile annuncia il rischio che emerga una domanda di emancipazione che metterebbe in crisi il sistema: “lo sviluppo dell’economia civile non interessa” ai dirigenti russi, “perché questo sviluppo sarebbe anche, in una certa misura, sviluppo della società stessa”.

Al cuore della teoria di Castoriadis c’è l’idea che la Russia è condannata all’espansione dalla struttura stessa del suo regime politico-economico. Se i regimi occidentali “si trovano a uno stadio del loro sviluppo che non richiede un’estensione territoriale della dominazione, e ancor meno una dominazione territoriale diretta”, questo non vale per la Russia, dove “le forze e le inerzie spingono irresistibilmente a una politica di espansione”. Questo perché da una parte l’economia socialista non garantisce la crescita, mentre dall’altra la casta dominante pretende comunque di prelevare la sua quota di plusvalore, e quindi l’espansione è l’unico sbocco. La militarizzazione nasce da un fallimento: “La Russia è condannata a preparare la Guerra perché non sa e non può fare nient’altro”. 

Dietro il socialismo, l’ideologia imperiale russa

Ma queste analisi possono applicarsi ancora alla Russia di Putin? Ci sono almeno due ragioni per ritenerlo. La prima è che Castoriadis ha molto insistito sul carattere irreversibile delle trasformazioni realizzate dai regimi socialisti: insomma non c’è ragione di ritenere che la società russa abbia preso un’altra strada. Il marxismo-leninismo, anzi, ha aiutato a far emergere un immaginario centrato sulla forza e sull’espansione, necessario per mobilitare la popolazione attorno ai fini imperialisti di una ridotta élite dirigente. La seconda ragione è che il tramonto dell’URSS finiva per operare lo smascheramento di qualcosa di più profondo:

La sola « ideologia » che in Russia resta viva, o che può restarlo, è lo sciovinismo della grande Russia. Il solo immaginario che conserva un’efficacia storia, è l’immaginario nazionalista o imperiale. Questo immaginario non aveva bisogno del Partito se non come maschera.

Castoriadis non soltanto aveva inquadrato le cause del collasso dell’economia civile sovietica — “da sessant’anni il Partito cerca di modernizzare la società senza riuscirci” — ma inoltre aveva capito che in seguito a quello smascheramento sarebbe rimasto soltanto il potere dell’apparato burocratico-militare — quello stesso, aggiungiamo noi, da cui viene il funzionario del KGB che governa il paese da vent’anni. Nel 1981 era già scorretto, per Castoriadis, “parlare della Russia come di una società dominata dal Partito o di uno stato totalitario, creazione di Lenin perfezionata da Stalin”, perché bisognava prendere atto della sua trasformazione in società stratocratica, “nella quale il corpo sociale dell’Esercito è l’organo principale della dominazione effettiva e non soltanto il garante dell’ordine”. O per dirla altrimenti:

L’Esercito è il solo settore e corpo moderno in una società arretrata, il solo che funziona efficacemente, e inoltre il solo a essere efficace ideologicamente, sul piano dell’immaginario, in quanto incarnazione organica e naturale dell’ideologia e dell’immaginario nazionalista, della grande Russia, imperiale, mentre l’ideologia del Partito diventa sempre più insignificante.

Se l’Esercito russo è tanto più efficace del Partito comunista, se l’economia militare è tanto più efficiente della sua controparte civile, è proprio perché “si è svincolata dall’influenza del Partito, con le sue statistiche taroccate e le sue nomine clientelari”. L’ideologia marxista non era altro che uno strumento per fare carriera e garantire l’espansione della classe dei burocrati: il risultato era quel “nazional-comunismo che nascondeva dietro un lessico marxista dei significati immaginari – Nazione e Impero russo – funzionali al modo di dominazione e di sfruttamento tipicamente burocratico”.

Oggi che la liquidazione del marxismo da parte del potere putiniano è stata definitivamente realizzata, l’analisi di Castoriadis appare più attuale che mai:

La Russia è instradata, in modo costante, in un processo di espansione e di dominazione, diretta o indiretta, nel quale le fasi di distensione non sono altro che pause tattiche o imposte dall’esterno.

Ed ecco che gli ultimi decenni ci appaiono come nient’altro che una lunga pausa, il tempo necessario al sistema economico per riprendere le sue forze dopo il collasso della sua incarnazione precedente.

Oggi che la liquidazione del marxismo da parte del potere putiniano è stata definitivamente realizzata, l’analisi di Castoriadis appare più attuale che mai.

raffaele alberto ventura

USA contro Russia

Secondo Castoriadis, non bisogna credere al “discorso ridicolo, e raramente innocente, sull’accerchiamento della Russia, l’insicurezza e l’angoscia dei poveri abitanti del Cremlino”. I russi parlano di accerchiamento, aggiunge ironicamente, “soltanto perché la terra è rotonda”. Eppure molti giornalisti, negli ultimi giorni, hanno preso per oro colato le parole di Putin.

Non stupisce che Castoriadis sia stato accusato all’epoca di mettersi al servizio di una retorica atlantista, parlando della necessità per l’Occidente di “opporsi efficacemente all’espansione militare e territoriale russa”, chiedendosi quando si riconoscerà il superamento di un limite… Ma il filosofo non promuove un’offensiva militare, bensì incoraggia i popoli e in particolare il popolo russo a opporsi a ogni escalation militare. Anche oggi, le speranze più incoraggianti ci vengono dalle manifestazioni per la pace nelle strade delle città russe.

Devant la guerre non è, appunto, un libro anti-russo, in quanto precisamente denuncia lo sfruttamento del popolo russo da parte della sua classe dirigente come causale principale della dinamica espansionista. Ma queste manifestazioni non potranno avere effetto senza liquidare definitivamente l’immaginario nazionalista, “finzione scialba, assemblaggio disordinato di pezzi”, che parla di “nazione” in assenza di un vero riferimento se non “la semplice giustapposizione di un gran numero d’individui tenuti assieme dalla violenza dello Stato e qualche vaga somiglianza”. Una reazione militare americana sarebbe, invece, catastrofica. 

Se Devant la guerre è stato considerato per anni come un libro datato, superato, forse anche sbagliato, ha ritrovato oggi la sua impressionante attualità. Le sue analisi sono convincenti, le domande che pone sono urgenti. Come questa:

Cosa succederà quando gli americani decideranno che l’accumulazione di vantaggi locali da parte dei russi costituisce un problema globale?

Ma una simile attualità non è certo una buona notizia.

Credits
Di Cornelius Castoriadis le edizioni LUISS University Press publicheranno in marzo l'antologia Contro l'economia. Scritti 1948-1997, a cura di Raffaele Alberto Ventura.
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