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In occasione del Secondo Vertice dei Presidenti dei Parlamenti dei Balcani occidentali, lo scorso giugno, il presidente Sassoli ha dichiarato che l’allargamento rappresenta più che mai un investimento geostrategico per un’Europa stabile, forte e unita. Qual è, oggi, la logica politica o economica dell’allargamento?
Condivido appieno le parole del Presidente Sassoli: l’allargamento dell’Ue ai Balcani Occidentali rappresenta un investimento essenziale di lungo periodo per l’Europa, dal quale dipenderanno la sicurezza e la stabilità dell’Unione stessa e dei suoi Stati membri. Non possiamo lasciare che la regione torni a essere un’area di instabilità, un’eventualità che avrebbe pesanti ricadute anche all’interno dei confini dell’Unione. Pensiamo, ad esempio, ai racket criminali che vi sono radicati, che potrebbero estendere le loro attività anche all’interno dell’Ue, o perfino al potenziale transito di terroristi che potrebbero sfruttare la cosiddetta “rotta balcanica” per raggiungere il Vecchio Continente e condurre attività di proselitismo e attentati. Inoltre, i Balcani Occidentali stanno divenendo sempre più un’area di competizione geostrategica tra l’Ue e altri attori internazionali che mirano a incrementare la propria influenza nella regione, propugnando spesso un modello alternativo a quello proposto da Bruxelles.
Se l’Unione europea vuole diventare un attore geopolitico credibile su scala globale è fondamentale che sia in grado di assurgere al ruolo di protagonista nei Balcani Occidentali – anche in considerazione del fatto che il progetto europeo non potrà dirsi completo fino alla piena inclusione di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. Solo se saremo in grado di garantire una prospettiva di allargamento concreta per tutti i sei Paesi, motivandoli a implementare le riforme strutturali di cui necessitano, e mettendoci alla guida della loro definitiva stabilizzazione, potremo garantire la nostra stessa sicurezza e ritagliarci un ruolo di primo piano nelle dinamiche globali. L’Ue dovrebbe pertanto adottare un approccio marcatamente politico con coraggio e lungimiranza, mettendo da parte le mere considerazioni economiche dietro le quali alcuni Stati membri si sono nascosti per rallentare il processo di adesione.
Ferma restando l’essenzialità del rispetto dei criteri per l’accesso, l’Unione dovrebbe supportare in maniera consistente gli sforzi dei singoli Paesi dei Balcani Occidentali. Nello specifico, sarebbe fondamentale prevedere criteri di premialità come l’apertura di nuovi capitoli negoziali e la stipula di accordi di natura economico-finanziaria quando i singoli Stati compiano dei passi in avanti e, al contempo, dotarsi di strumenti per sanzionare le battute d’arresto. Insomma, dovremmo adottare un vero approccio “more for more, and less for less”, come peraltro previsto dalla nuova metodologia per l’allargamento approvata nel marzo 2020. Solo così potremo inaugurare un “nuovo momento balcanico” per l’Ue, evitando che i sei Paesi dell’allargamento finiscano per guardare altrove.1
Il vertice UE-Balcani Occidentali in Slovenia è sembrato andare nella giusta direzione, tuttavia l’assenza di un orizzonte temporale definito del processo negoziale rischia di alimentare le frustrazioni dei paesi nella regione. Come interpreta i risultati del vertice a Brdo pri Kranju?
Ritengo che il vertice Ue-Balcani Occidentali di Brdo pri Kranju possa essere visto, da un lato, come un’ulteriore prova dell’impegno costante di Bruxelles verso i sei Paesi dell’allargamento, e dall’altro come l’ennesima occasione mancata2. Gli aspetti positivi del summit riguardano prevalentemente l’ambito economico-finanziario, un versante sul quale Bruxelles non ha mai fatto mancare il suo sostegno concreto e fattuale. Infatti, il piano economico e di investimenti da oltre 30 miliardi di euro presentato al vertice sloveno fornirà un’occasione unica per supportare la ripresa economica post-pandemia, favorendo al contempo l’adozione di un modello produttivo votato alla sostenibilità e orientato al futuro grazie all’enfasi posta sulla transizione digitale e la connettività. Proprio su quest’ultimo punto è importante notare come l’impegno per il progressivo abbattimento delle tariffe di roaming telefonico e dei dati mobili sia un passo in avanti per avvicinare i Balcani Occidentali all’Unione, offrendo nuove possibilità alle imprese e ai singoli cittadini.
Questi elementi mostrano chiaramente come l’Ue sia ad oggi il principale partner dei sei Paesi dell’allargamento, un impegno che sarà mantenuto e amplificato nel prossimo futuro anche grazie all’incremento nella fornitura di vaccini contro il COVID, con l’ambizione di raggiungere tassi di vaccinazione comparabili a quelli degli Stati membri entro la fine del 2021. Pur essendoci mossi con colpevole ritardo nella fornitura e distribuzione dei vaccini, questo rinnovato impegno ci permetterà di rimediare parzialmente, riacquisendo quindi quella credibilità che era stata messa in dubbio dalla nostra inazione e dalle campagne propagandistiche di altri attori internazionali più tempestivi.
Al contrario, per quanto riguarda il lato politico, i risultati del summit appaiono decisamente meno soddisfacenti. La dichiarazione congiunta finale, infatti, si limita a rimarcare il “sostegno inequivocabile [dell’Ue e dei suoi Stati membri] alla prospettiva europea dei Balcani occidentali”, una frase ripetuta ormai decine di volte che però non ha ancora portato a progressi concreti. Anzi, molto spesso questa promessa è stata completamente disattesa, come nel caso della mancata apertura dei negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord. Se la prospettiva di allargamento al 2025 avanzata dalla precedente Commissione europea era sembrata fin dal principio troppo ottimista, l’assenza di un orizzonte temporale per l’accesso dei sei Paesi rischia di scoraggiare ulteriormente le popolazioni e le leadership politiche. Non si tratta di vendere illusioni per un accesso repentino e a costo zero, quanto piuttosto di riconoscere gli sforzi già compiuti dai singoli Paesi, specie quelli che rimangono fermamente ancorati alla prospettiva europea e che, seppur con non poche difficoltà di carattere interno, continuano a impegnarsi con serietà per soddisfare i criteri richiesti.
Se continueremo ad anteporre considerazioni legate ai tornaconti elettorali nazionali alla necessità strategica di procedere con convinzione nel processo di allargamento, rischiamo di far scemare l’entusiasmo europeista che resiste ancora nella regione. Ai margini del vertice sloveno, il Premier albanese Edi Rama ha dichiarato come non ci fosse un sentimento di delusione per gli esiti del vertice, perché non c’era mai stata l’illusione che questo potesse essere decisivo. Ecco, per ora l’integrazione nell’Unione rimane la stella polare per il cammino dell’Albania e di quasi tutti gli altri Paesi, ma se continueremo a non offrire certezze non si può escludere che la frustrazione possa prendere il sopravvento, portando le singole capitali a guardare altrove, o perlomeno a mettere in discussione l’opportunità di intraprendere processi di riforme costosi e faticosi.
Quali sono le azioni concrete che il Parlamento europeo può condurre nel processo di allargamento?
All’interno del processo di allargamento, l’organo istituzionale dell’Ue maggiormente coinvolto è il Consiglio. Dall’approvazione all’unanimità di quest’ultimo, infatti, dipende la possibilità di aprire i negoziati per l’adesione dei singoli Paesi e, pertanto, l’opposizione di alcuni Stati membri dell’Ue può risultare una discriminante capace di bloccare l’avvio e l’avanzamento dell’iter negoziale. La dipendenza dall’unanimità in sede di Consiglio ha aperto qualche frizione tra le istituzioni dell’Ue, in quanto esso si è sempre contraddistinto per un parziale conservatorismo e una scarsa attitudine all’innovazione per quanto riguarda l’allargamento. Al contrario, il Parlamento europeo si è spesso mostrato molto più possibilista e ha fatto sentire la sua voce a favore del progressivo avanzamento dei negoziati. Questa ferma volontà dell’Europarlamento è stata dimostrata recentemente dalla richiesta alla Commissione e al Consiglio, nata da una lettera di cui sono stato promotore e firmatario insieme ad altri 17 europarlamentari, di identificare gli strumenti più appropriati per includere i Paesi dell’allargamento nella Conferenza sul futuro dell’Europa, un esercizio di democrazia diretta che garantirà la partecipazione e lo scambio di idee dal basso e che, pertanto, non potrà prescindere dalla partecipazione dei suoi futuri cittadini, ossia quelli dei sei Paesi dei Balcani Occidentali.
Tra le attività che può condurre il Parlamento europeo, la più significativa è quella di dare il suo parere favorevole, in base all’articolo 49 del TUE, ad ogni nuova adesione all’UE, un potere che viene però esercitato solo nella fase finale dei negoziati. Tuttavia, anche durante la fase negoziale il Parlamento svolge un importantissimo ruolo diplomatico e di controllo. La commissione per gli affari esteri è infatti la commissione politicamente responsabile dei lavori dell’istituzione in materia di allargamento e nomina i relatori permanenti per tutti i paesi candidati e potenziali candidati. Inoltre, il Parlamento esprime ogni anno le proprie posizioni sull’allargamento sotto forma di risoluzioni in risposta alle relazioni elaborate dalla Commissione sullo stato dell’arte e i progressi registrati dai singoli Paesi dell’allargamento rispetto ai criteri per l’accesso. È importante segnalare inoltre che le decisioni del Parlamento hanno anche un peso significativo sugli aspetti finanziari dell’adesione: i suoi poteri di bilancio gli danno un’influenza diretta sugli importi destinati allo strumento di assistenza preadesione (IPA). Grazie alla mediazione del Parlamento abbiamo recentemente raggiunto un accordo per 14,2 miliardi in IPA per il periodo 2021-2027. Questo strumento permetterà un sostegno più intelligente, più mirato, visibile e sostenibile per i paesi dei Balcani occidentali nel loro percorso verso l’UE.
Oltre a queste azioni, uno degli elementi distintivi e più importanti del ruolo del Parlamento europeo nel processo di allargamento è legato alla diplomazia parlamentare. Infatti, come europarlamentari abbiamo la possibilità di stabilire relazioni bilaterali con i parlamenti dei paesi dei Balcani occidentali su base regolare, incontrandoci in media due volte all’anno per discutere le questioni inerenti al processo di adesione e trovare soluzioni comuni. In particolare, ad oggi il Parlamento sta facilitando la riconciliazione tra i partiti politici in Macedonia del Nord e in Serbia. L’avanzamento di tutti i sei Paesi verso l’adesione all’UE dipende da riforme durature, profonde e irreversibili in settori fondamentali come lo stato di diritto e il funzionamento efficace delle istituzioni democratiche, come è stato ricordato anche al recente summit di Brdo. Visto il ruolo chiave del Parlamento in questi ambiti, è nell’interesse dell’Ue stessa assicurarne la partecipazione attiva in tutte le fasi chiave dei negoziati di adesione.
L’Istituto di Studi sulla Sicurezza dell’UE, nel 2018, ha pubblicato un Chaillot Paper nel quale si prospettavano tre potenziali, e contrastanti, scenari per il futuro dei Balcani Occidentali nell’orizzonte temporale del 2025. Il primo scenario, “L’ora dell’Europa”, disegna un ottimistico futuro di inclusione della regione verso l’integrazione europea. A questo si affianca uno scenario dalle prospettive più moderate, “I Balcani nel limbo”: il cammino di integrazione europea sarà ancora in corso, ma non senza difficoltà. Infine, se l’UE non dovesse riuscire ad imporsi come partner geostrategico nella regione, l’ISS prospetta lo scenario più buio: i Balcani occidentali saranno perseguitati dai “fantasmi del passato“. Quale scenario ritiene realisticamente ipotizzabile?
Ritengo che il secondo scenario descritto, I Balcani nel limbo, sia quello che rappresenta più realisticamente la situazione da qui al 20253. Potremmo definire questo scenario come “ciò che sarà”, mentre il primo e il terzo rappresentano rispettivamente “ciò che sarebbe dovuto essere” e “ciò che dobbiamo assolutamente scongiurare”. Purtroppo non è stato possibile portare avanti il processo di allargamento alla velocità sperata, e l’obiettivo di arrivare all’accesso della Serbia e del Montenegro nel 2025 auspicato dalla precedente Commissione guidata da Jean-Claude Juncker appare oggi completamente irrealizzabile, così come i consistenti passi in avanti che era lecito aspettarsi dagli altri quattro Paesi sono stati in realtà piuttosto esigui. Da un lato, non si è registrata un’accelerazione sufficiente da parte dei singoli Paesi dei Balcani Occidentali per quanto riguarda il raggiungimento dei requisiti per l’accesso nell’Ue: anzi, nel caso della Serbia si sono registrati veri e propri passi indietro, che sono coincisi con l’avvicinamento a due competitor geopolitici dell’Ue nella regione come la Russia e la Cina. Dall’altro lato, all’Unione, e soprattutto ad alcuni dei suoi Stati membri, è mancato il coraggio di investire in maniera consistente, chiara e univoca sul futuro europeo dei Balcani Occidentali. Pensiamo ai veti di Francia, Danimarca e Paesi Bassi sull’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord in occasione del Consiglio europeo di ottobre 2019.
Pertanto, resto convinto del fatto che, a meno di una decisa inversione di rotta da parte dell’Ue e dei suoi Stati membri, il processo di allargamento procederà a rilento, e che tanto sulla stabilità regionale, quanto sulla collocazione geopolitica dei singoli Stati rimarrà un velo di incertezza. Le crescenti tensioni tra la Serbia e il Kosovo ai valichi di confine di Jarinje e Brnjak sono lì a ricordarci come, senza una definitiva stabilizzazione che potrà avvenire solo in seno all’Ue, la possibilità che i fantasmi del passato possano tornare a tormentare la regione sia tutt’altro che remota – con gravi effetti a cascata sull’intero continente europeo.
Come spiega la mancanza di pragmatismo che ha caratterizzato la condotta dell’UE nei Balcani, concedendo spazio di manovra ad altri attori nella regione, tra cui Russia, Cina, Turchia e Paesi del Golfo?
La mancanza di coraggio e ambizione da parte di alcuni leader europei può essere considerata come la causa della mancanza di pragmatismo dell’Ue verso i Balcani Occidentali, e ha agevolato l’accresciuta presenza di altri attori internazionali. Parlo di agevolazione del ruolo di altri attori in quanto, soprattutto nel caso della Russia e della Turchia, esistono legami storici con alcuni dei Paesi della regione e le loro componenti etnico-religiose. Mosca, ad esempio, si è sempre proposta come guida delle comunità ortodosse, creando quindi forti legami di lungo periodo soprattutto con la Serbia, mentre Ankara ha spinto sull’eredità dell’Impero Ottomano per mantenere solide relazioni con le comunità di fede islamica e i Paesi a maggioranza musulmana. Grazie a tali “canali privilegiati”, questi due attori sono stati in grado di sfruttare elementi di soft-power, come l’utilizzo dei media o la costruzione di luoghi di culto, per portare dalla loro parte le leadership politiche e una porzione della società civile.
A essi si aggiungono i Paesi del Golfo che, oltre a investire copiosamente in campo infrastrutturale ed energetico, risultano molto attivi anche in settori più tradizionali, come quello religioso e quello sociale, dove si pongono in contrapposizione all’operato di Ankara, riproponendo lo scontro già presente in altri teatri. Invece, la Cina non può contare sugli stessi canali, e si è pertanto concentrata principalmente sul versante economico investendo nei singoli Paesi.
La ricerca di influenza nella regione da parte di questi attori internazionali è stata sempre accompagnata da attività di propaganda e disinformazione. La loro finalità appare essere quella di ingigantire il supporto fornito dai rispettivi stati e minimizzare quello proveniente dall’Ue, la quale viene spesso descritta come un partner disinteressato e distante nonostante sia, nei fatti, il principale investitore e donor nella regione. Quanto successo durante le prime fasi della pandemia di COVID-19 è esemplificativo delle attività di disinformazione condotte nei Balcani Occidentali. Benché l’Ue avesse messo a disposizione ingenti capitali e garantito l’invio di strumentazione medica essenziale, i media tradizionali e, soprattutto, i social media dei singoli Paesi erano bombardati di informazioni parziali o fallaci sul ruolo giocato da altri attori internazionali, mentre il supporto dell’Unione veniva lasciato in secondo piano.
Anche alla luce del fatto che l’operato dei competitor dell’Ue nella regione è spesso motivato da meri interessi geostrategici più che dalla sincera volontà di sostenere i Paesi della regione, come esemplificato dalla richiesta di rimborso del debito contratto dal Montenegro con Pechino per la costruzione dell’autostrada tra le città di Bar e Boljare, l’Ue ha il dovere di contrastare l’influenza di attori terzi. Ciò richiede un consistente impegno politico per confermarsi come partner principale e credibile. Nell’immediato, si rende necessario contrastare la disinformazione attraverso apposite campagne di comunicazione strategica basate sulla presentazione di quanto fatto da Bruxelles e sul fact-checking delle informazioni riportate da alcuni media ostili. Oltre a ciò, il Piano economico e di investimento per i Balcani Occidentali varato lo scorso novembre, che garantirà investimenti europei fino a 9 miliardi di euro per sostenere la ripresa economica post-pandemia e la convergenza con gli standard dell’Ue, va nella giusta direzione. Sarà essenziale dare sostanza all’iniziativa e presentare al meglio i risultati raggiunti ai cittadini della regione.
A questo riguardo, lo scorso maggio si è fatto promotore di un’altra lettera, questa volta alla Commissione e all’Alto Rappresentante Borrell, per correggere la situazione. Ha avuto riscontri?
In effetti, a maggio 20214 sono stato promotore e firmatario insieme ad altri 16 deputati di una lettera indirizzata all’Alto Rappresentante Borrell, al Vicepresidente esecutivo Vestager, al Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare Kyriakides, e al Commissario per il vicinato e l’allargamento Várhelyi, chiedendo che l’Ue aumentasse il proprio sostegno ai Balcani Occidentali nei loro sforzi per attivare tempestivamente e in maniera massiccia dei piani di vaccinazione anti-COVID-19 per porre fine all’emergenza sanitaria. La stesura della lettera è stata preceduta da incontri bilaterali con gli Ambasciatori dei sei Paesi dell’allargamento per far luce sulle difficoltà che stavano incontrando e comprendere al meglio che cosa l’Ue avrebbe potuto cambiare nel suo approccio alla questione.
Dagli incontri è emerso come i Paesi dei Balcani Occidentali si sentissero in qualche modo abbandonati dall’Ue, la quale era stata fino a quel momento praticamente inattiva sulla questione. Infatti, la Commissione si è impegnata a consegnare un numero considerevole di dosi di vaccino (651.000 unità di Pfizer/BioNTech) ad Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia solo alla fine di aprile, e le operazioni di consegna sono iniziate circa un mese dopo. A quel punto, e complice anche i ritardi delle consegne attraverso il programma internazionale COVAX, alcuni dei paesi dei Balcani avevano già iniziato a guardare altrove per ricevere supporto, trovando interlocutori – soprattutto Cina e Russia, come abbiamo già ricordato – ben disposti a mostrarsi come partner più benevolenti e interessati dell’Ue nella lotta al coronavirus.
Indipendentemente dalla condotta di altri attori internazionali, però, va sottolineato come il ritardo della nostra azione non fosse accettabile nello spirito del nostro partenariato con i Balcani Occidentali e incompatibile con i precetti della politica di allargamento. I ritardi accumulati e le titubanze mostrate hanno rappresentato sicuramente un errore di portata considerevole non solo da un punto di vista di salute pubblica, ma anche in termini di mancanza di visione politica e geostrategica.
Credo però che la lettera inviata insieme ai colleghi europarlamentari abbia sortito buoni effetti, in quanto la consegna dei vaccini è stata accelerata, e il sostegno dell’Unione europea ai paesi dei Balcani occidentali si è intensificato anche dal punto di vista degli aiuti economici per la ripresa post-pandemia – come dimostra, in ultimo, il recente summit di Brdo. Nonostante un iniziale lento avvio, l’UE ha infatti continuato a sostenere i Balcani occidentali nella loro lotta contro il coronavirus.
Dovremmo tutti trarre una lezione da quanto accaduto: spesso il costo dell’inazione supera enormemente quello dell’azione. Pertanto, in futuro sarà necessario agire con tempestività e in maniera efficace, altrimenti rischieremo di venire continuamente sorpassati – almeno nella percezione pubblica e nelle simpatie delle élites politiche – da attori che non aspettano altro che l’occasione giusta per incrementare la propria influenza nella regione a scapito dell’Ue.
Non crede che, spesso, le incertezze europee nei Balcani siano dovute ad un problema non solo politico, ma di percezione?
Credo che all’interno dell’Unione, e in particolar modo nelle capitali di alcuni Stati membri, esistano senza dubbio problemi di percezione per quanto riguarda i Balcani Occidentali, i quali si accompagnano a logiche di politica interna volte a ottenere facili consensi elettorali nell’immediato, che però lasciano da parte considerazioni geostrategiche di lungo periodo. Infatti, in alcuni Stati membri l’eventuale allargamento ai Balcani Occidentali viene visto più come un ulteriore fattore di debolezza per l’Ue che come il tassello finale dell’integrazione europea. Alle già evidenti difficoltà dei sei Paesi a soddisfare i criteri fissati per l’adesione, sia sul versante economico che sui principi fondamentali, che hanno raffreddato fino a oggi l’entusiasmo degli Stati membri più “rigoristi” circa l’avanzamento dei negoziati per l’adesione, si sono aggiunti gli effetti di lungo periodo della crisi economico-finanziaria del 2009, della crisi migratoria del 2013 e, più recentemente, della recessione economica legata alla pandemia da COVID-19 che temo ci accompagneranno anche per il prossimo futuro.
Tutti questi elementi hanno contribuito al trinceramento di alcuni Stati membri su posizioni conservatrici, facendo quindi diminuire la propensione ad accettare una sfida certamente complessa ma non più procrastinabile come quella dell’allargamento. Ciò si è ovviamente riverberato sulle decisioni prese in sede di Consiglio, rallentando l’avanzamento dei negoziati per l’accesso dei sei Paesi dell’allargamento. Insomma, una mancanza di coraggio da parte dei leader europei, motivata principalmente da una percezione erronea e da interessi di partito.
“I Balcani occidentali non sono una periferia sconfitta dell’Occidente, ma sono il cuore pulsante dell’Unione europea”, ha dichiarato. Alla luce di questo, pensa che la Conferenza sul futuro dell’Europa possa invertire questa tendenza? E in che modo?
Mi sono battuto fin dalle fasi organizzative della Conferenza sul Futuro dell’Europa affinché i Balcani Occidentali fossero inclusi tra i partecipanti ai lavori5. Proprio in questo contesto ho ritenuto necessario farmi portavoce della lettera ai co-presidenti e ai membri del comitato esecutivo della Conferenza a cui si è già fatto riferimento in precedenza, chiedendo loro di considerare l’adozione urgente di alcune proposte per garantire un reale coinvolgimento dei rappresentanti istituzionali e della società civile dei Balcani occidentali nella Conferenza, compresa la convocazione di un panel dei Cittadini Europei con un focus specifico sull’allargamento. Questo avrebbe permesso non soltanto di ascoltare le idee che arrivano dal basso, ossia dai cittadini europei e degli Stati dei Balcani Occidentali in merito a come dovrebbe proseguire il processo di allargamento, ma avrebbe rappresentato anche un’opportunità irripetibile e imperdibile per dare un segnale ai Paesi dell’allargamento e alle loro società civili circa il fatto che il loro futuro è all’interno dell’Unione. Infatti, dobbiamo partire dall’assunto che i Paesi dei Balcani Occidentali non sono semplici amici o partner privilegiati, ma rappresentano i futuri membri della grande famiglia europea. Pertanto, ritenevo illogico pensare di discutere del futuro della nostra Unione senza coinvolgere nel dibattito quelle persone e quei Paesi che un domani – auspicabilmente non troppo lontano – ne saranno parte integrante.
Le reazioni alla richiesta sono state positive, in particolare con l’istituzione di un panel dei cittadini a tema “UE e mondo”, di cui una parte dedicata alla politica di vicinato e allargamento. Tuttavia, non posso negare che ci aspettavamo che venisse attuata la possibilità di avere una partecipazione ufficiale e istituzionale dei sei Paesi alla Conferenza. Questo sarebbe stato certamente un modo per rinsaldare ulteriormente i legami tra Bruxelles e le sei capitali, mettendo sul tavolo della discussione le idee, le prerogative e i sogni comuni per il futuro dell’Unione. Ciò probabilmente non avverrà a livello istituzionale, ma sono certo che lo scambio intellettuale e di conoscenze che si svilupperà tra i cittadini, che rappresentano il vero cuore pulsante della democrazia, potrà parzialmente sopperire a questa mancanza, rinvigorendo la convinzione e la speranza delle centinaia di migliaia di giovani dei sei Paesi dell’allargamento che sognano un futuro nell’Unione.
Qual è la posizione dell’Unione sull’iniziativa Open Balkan? C’è il rischio che questo progetto di cooperazione regionale finisca per trasformarsi in una valida alternativa di medio-lungo periodo all’integrazione dei Balcani nell’UE?
La recente iniziativa Open Balkan6, in precedenza conosciuta come “mini-Schengen”, ratificata lo scorso 29 luglio dai Capi di Stato e di Governo di Albania, Macedonia del Nord e Serbia, ha il potenziale per rafforzare la cooperazione regionale e, dunque, anche per accelerare il processo d’integrazione in seno all’Unione. Appare infatti evidente come, affianco ai risparmi economici e all’incremento del commercio intra-regionale, un progetto cooperativo di tale portata possa contribuire a fugare alcuni dei pregiudizi più frequenti verso una regione dal passato turbolento e caratterizzata da tensioni etniche mai completamente sopite.
Ciononostante, l’accelerazione che ha portato alla ratifica di Open Balkan ha destato alcune perplessità tra gli osservatori, in quanto ritenuta una parziale duplicazione di alcuni piani di sviluppo già presentati al Vertice UE-Balcani Occidentali tenutosi a Sofia nel novembre 2020. Su tutti, il Common Regional Market (CRM) 2021-2024 che indicava tra i suoi obiettivi proprio quello di creare un’area commerciale regionale per la libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone in linea con gli standard dell’Ue. Al pari di altre importanti iniziative europee, il CRM ha un respiro ben più ampio rispetto a Open Balkan, in quanto ambisce anche a istituire un’area digitale comune, propone un piano per armonizzare e razionalizzare gli investimenti su scala regionale in linea con le best practices dell’Unione, e mira a creare un’area regionale industriale e di innovazione per trasformare i settori produttivi e renderli competitivi sui mercati internazionali anche di fronte alle sfide del futuro.
Inoltre, per quanto riguarda Open Balkan, permangono alcune criticità legate alla mancata partecipazione di tre Stati della regione, ossia Bosnia ed Erzegovina, Kosovo e Montenegro, che hanno deciso per un opt-out per motivi molto differenti tra loro.
Pertanto, ritengo che si debba guardare con favore a un’iniziativa che si prefigge l’obiettivo di rafforzare i legami transfrontalieri nella regione, ma questo non deve far spostare l’attenzione da quelli che sono i programmi e i progetti già avviati in seno all’Unione. Non credo che iniziative come Open Balkan possano ambire a raggiungere la portata dei programmi e progetti lanciati dall’Unione e, pertanto, dubito che essi possano rappresentare un’alternativa credibile al futuro europeo dei sei Paesi dei Balcani Occidentali. Neanche un eventuale supporto a questo tipo di iniziative da parte di altri attori internazionali di primo piano come Russia, Turchia o Cina potrebbe soppiantare il ruolo dell’Unione, con quest’ultima che rimane il principale donor e partner commerciale della regione, benché il potenziale coinvolgimento di competitor geostrategici vada monitorato attentamente al fine di adottare delle contromisure all’altezza della sfida.
Note
- https://the-president.europarl.europa.eu/it/newsroom/sassoli-balcani-occidentali-i-parlamenti-motore-dellallargamento
- “L’assenza del riferimento al 2030 è il risultato della discussione di oggi”, ha dichiarato il premier sloveno Janša. “La Slovenia voleva una data ultima su cui basare il calendario dei negoziati, come è successo con noi nel 2004”. Le cose però sono andate diversamente
- https://www.iss.europa.eu/content/balkan-futures-three-scenarios-2025
- https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Europarlamentari-scrivono-alle-istituzioni-UE-rimettere-al-centro-i-Balcani-occidentali-210840
- Qui il testo della dichiarazione dell’On. Castaldo: https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Massimo-Castaldo-Balcani-occidentali-cuore-pulsante-dell-UE-210490
- https://balkaninsight.com/tag/open-balkan/