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Ancora una volta Mario Draghi scommette sull’Europa. Non è certo una novità, ma il presidente del consiglio italiano ha subito compreso che la crisi afghana rappresenta anzitutto un’opportunità per l’Unione Europea. Per Draghi, l’Atlantismo si compie in un convinto europeismo. Solo con un’Europa adulta e consapevole del proprio ruolo nel mondo si può rafforzare il progetto di ricostruzione dell’Occidente. Una missione che il premier italiano ha ben chiara davanti a sé: non è casuale che nelle prime ore successive alla presa di Kabul l’ex capo della Bce abbia chiesto all’Europa di mostrarsi unita, per sollecitare la più ampia collaborazione possibile su scala globale. Da qui, il potenziale della presidenza italiana del G20 e il tentativo di celebrare un vertice straordinario sull’Afghanistan, lanciato di fatto nell’intervista al Tg1 del 17 agosto 1. E’ proprio il G20 il formato ideale per Draghi, per far sedere allo stesso tavolo l’Occidente con tutti gli altri attori globali e regionali. Così, il presidente del consiglio italiano, dopo aver sentito i partner europei e gli Stati Uniti, ha chiamato in causa Turchia, Russia, Cina, Arabia Saudita. Chiarendo le sfide comuni: coniugare sicurezza e accoglienza, contrastare infiltrazioni terroristiche e traffici illeciti, garantire il rispetto dei diritti umani, con particolare riguardo alla condizione femminile, accogliere i profughi e chi ha collaborato con le missioni umanitarie per difendere i nostri principi. Valorizzando così la tradizionale capacità di dialogo dell’Italia, storicamente aperta, atlantica, mediterranea, curiosa.
L’Afghanistan è un vero e proprio stress test per la comunità occidentale, che deve ritrovare senso e missione. Una sfida che Draghi ha colto sin dall’inizio del suo mandato, avviatosi quasi in contemporanea a quello di Joe Biden a Washington. Non c’è dubbio che da tempo gli Stati Uniti ritengano meno strategico il Mediterraneo così come il Medio Oriente, non solo per questioni di approvvigionamento energetico, e che guardino con più interesse all’Indo-Pacifico. Per Washington, lo Stretto di Hormuz ha forse ormai meno rilievo del cyberspazio e dello spazio profondo.
Il ritiro dall’Afghanistan, nei modi e nei tempi in cui è avvenuto, si è rivelato, però, assolutamente azzardato. Biden ha sottolineato come i partner della Nato fossero da tempo al corrente delle intenzioni di Washington. Per l’Europa, però, si è trattato di una scelta unilaterale dell’amministrazione Usa. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha rivelato: da una conclusione della missione “condition – based”, gli americani sono passati ad uno schema “time-based”, a cui di fatto gli alleati hanno dovuto adeguarsi.
“Non posso fare promesse sull’esito della situazione in Afghanistan”, ha detto Joe Biden il 19 agosto 2. E forse questo è il passaggio più delicato della sua conferenza stampa. L’Europa non è abituata ad un’America che non fa promesse, che rinuncia a decidere anche per il vecchio continente. Nessuno di noi è abituato a immaginare l’America come remissiva, ripiegata su se stessa. Dopo la debacle di Kabul, però, Washington sa di non poter restare da sola. Perché se c’è un elemento che è emerso chiaramente in questa vicenda già diventata un crinale della storia recente è che l’Occidente non può permettersi di perdere l’Afghanistan. E di lasciare che la Cina provi ad allineare Pakistan, Afghanistan per l’appunto, Uzbekistan e Turkmenistan e Iran. Da Teheran sono già giunti messaggi molto collaborativi verso Pechino. E la Cina coltiva da tempo il dialogo con i talebani, tanto che già il 28 luglio il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva accolto a Tianjin una delegazione talebana guidata dal capo dell’ufficio politico di Doha, il mullah Abdul Ghani Baradar.
Per tutta una serie di motivi, dunque, “Draghi si è immediatamente reso conto del potenziale ruolo dell’Europa in questo teatro”, ha affermato al Grand Continent l’ambasciatore Giampiero Massolo – presidente dell’Ispi e di Fincantieri. “Tocca all’Europa sviluppare un’azione diplomatica con tutti gli altri attori, giocando sulle cointeressenze. Quello che è accaduto a Kabul obbliga l’Occidente a serrare i ranghi e a mostrarsi unito”, afferma. “Gli Stati Uniti potrebbero anche essere contenti della loro insularità, disconoscendo un interesse strategico in Medioriente, ma gli europei non possono fare come se quella regione si debba sostenere da sola, anche perché sarebbero i primi a pagare le conseguenze della crisi, a partire dai flussi migratori. E siccome l’alleanza e i valori comuni tra le due sponde dell’Atlantico restano forti, in questo momento è compito dell’Europa, sottolinearlo. Anche perché le difficoltà che avremo di fronte- dal rischio terrorismo ai traffici illeciti, fino al bisogno di coordinare gli aiuti umanitari– metteranno in luce l’esigenza che Europa e Stati Uniti restino dalla stessa parte”, conclude Massolo.
Al G7 in Cornovaglia, dove Draghi ha avuto un lungo e affettuoso bilaterale con Joe Biden, il presidente del Consiglio italiano ha affermato: “Con la Cina bisogna cooperare, ma senza fare sconti e ricordandosi di essere competitor”. Dall’inizio del suo mandato, ha segnato una netta discontinuità nelle relazioni con il regime cinese, rispetto al suo predecessore. Draghi ha di fatto mandato in soffitta i progetti della Via della Seta terrestre, che Conte, dopo la firma del memorandum, si era addirittura premurato di suggellare, partecipando, unico tra i leader del G7, all’evento di lancio a Pechino.
Il presidente del Consiglio ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, anche con l’utilizzo del cosiddetto golden power, con il quale ha bloccato alcune operazioni cinesi ritenute lesive dell’interesse nazionale italiano, soprattutto nelle telecomunicazioni e per settori industriali strategici. E c’è un altro tema ricorrente negli interventi del premier italiano: la tutela dei diritti umani e la difesa della democrazia. Fondamenta della cultura occidentale, per i quali l’ex banchiere centrale non ha rinunciato ad aprire un piccolo scontro diplomatico con Recep Tayyip Erdogan. Per Mario Draghi, la difesa del modello di vita occidentale è un asset irrinunciabile e di alterità rispetto alle società di altri attori geopolitici, come Cina e Russia, con i quali bisogna comunque cooperare anche sullo scenario afghano. Ankara è cruciale per l’accoglienza dei profughi. Un tema delicato per Roma. Per questo, Mario Draghi da presidente di turno del G20 non ha mai esitato ad indicare la via del multilateralismo, anche nell’interlocuzione con Joe Biden.
In questo momento, la sua è probabilmente la leadership europea più forte, anche in vista del ciclo elettorale in Germania e Francia. Le elezioni tedesche in autunno apriranno il dopo Merkel. La gestazione del futuro governo potrebbe essere lunga e comunque potrebbe non consegnare un cancelliere immediatamente forte e riconoscibile sullo scacchiere internazionale.
Emmanuel Macron si appresta ad affrontare la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo anno. Ha dunque un importante fronte interno, ma si è mostrato molto determinato nel chiarire che la comunità internazionale deve essere unita per evitare che l’Afghanistan torni ad essere un “santuario del terrorismo”.
A febbraio, l’Italia sceglierà il suo nuovo presidente della Repubblica. Se Mario Draghi dovesse traslocare al Quirinale, sarebbe comunque il garante delle alleanze del Paese, con una capacità di indirizzo della nostra politica estera che dal Colle ha iniziato a consolidarsi con le presidenze di Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, soprattutto in momenti di crisi. Draghi potrebbe quindi continuare a lavorare per il rafforzamento dell’Europa e per la ricostruzione dell’Occidente, così come nell’eventualità di dover restare a Palazzo Chigi fino al 2023.
Anche Ursula Von Der Leyen ambisce da sempre a fare dell’Europa una potenza geopolitica. Il pragmatismo di Mario Draghi potrebbe far sì di non elevare l’autonomia strategica dell’Ue a dogma, almeno per il momento, e di perseguire con convinzione la strada di una rinnovata e leale alleanza con gli Stati Uniti. Il presidente del Consiglio italiano mira a far sì che l’Europa sia finalmente capace di costruire un’agenda credibile sulle sfide di questo tempo: difesa, sicurezza, transizione energetica, governance dello spazio, competizione con la Cina sull’innovazione tecnologica e digitale. Missione, quest’ultima, che Draghi richiama spesso e che ripropone necessariamente la ricostruzione del campo occidentale. Come si evince non solo dai suoi interventi pubblici, Draghi insiste su principi e valori nelle relazioni internazionali. Un metodo distante da quello cinese, che predilige una mera convergenza di interessi.
E’ sui valori comuni che un Occidente smarrito potrà ritrovarsi, con la consapevolezza che è giunto il tempo di rinnovare il Patto Atlantico e che la definizione del nuovo “concetto strategico” è un’opportunità reale. Per Draghi, l’Alleanza può rigenerarsi solo con un’Europa più forte, meno remissiva, e capace di ricordare agli Stati Uniti che la battaglia per i valori di democrazia e libertà vale più della tentazione di ripiegarsi su se stessi, limitandosi al proprio nation building spinti dalla suggestione di qualche sondaggio.
Note
- Afghanistan, intervista al Tg1 del Presidente Draghi, YouTube, 17 agosto 2021.
- Casa Bianca, Remarks by President Biden on Evacuations in Afghanistan, 20 agosto 2021.