L’idea di un 28th regime legale europeo nasce dall’esigenza di superare la frammentazione delle diverse cornici normative dei singoli Stati membri, nell’ottica di compiere un passo in avanti verso l’ambita Capital Markets Union. Sebbene non si tratti di una iniziativa propriamente recente, avendo alle spalle numerosi tentativi similari, dal progetto del codice civile europeo alla istituzione della Società europea (SE), è negli ultimi anni che la tematica è tornata alla ribalta, grazie anche ai lavori di ex Presidenti del Consiglio italiani come Enrico Letta e Mario Draghi.
L’attualità è legata alle sfide del continente in questa fase storica, specie per quanto concerne l’innovazione e le economie di scala: dinnanzi alla competizione crescente nello scacchiere globale, la frammentazione, non solo politica ma anche giuridica, viene considerata un freno allo sviluppo.
Da qui, la necessità, secondo i sostenitori, di velocizzare il processo di integrazione tramite l’ingegneria giuridica, nella speranza che a questa segua poi la risposta politica.
Non è un caso che proprio nel recente A Competitiveness Compass for the EU della nuova Commissione la proposta del 28th sia emersa tra le principali linee guida.
Trattandosi di un progetto ambizioso, non sembra possa prendere luce nel 2025, bensì più presumibilmente nel 2026. L’obiettivo però rimane: creare un 28th regime legale che semplifichi le regole, specie per le imprese innovative e startup, a partire dalle norme di diritto societario, dell’insolvenza, del lavoro e tributario, riducendo i costi del fallimento e permettendo alle imprese di beneficiare di un quadro uniforme, a prescindere da dove operino o investano all’interno del mercato unico.
Sono almeno tre le ragioni alla base di questa idea:
- Superare la frammentazione giuridica che ostacola la competitività europea;
- Ispirarsi modello del Delaware americano, regime in cui sono incorporate circa metà delle società quotate statunitensi;
- Approfittare della libertà di stabilimento, che già spinge molte imprese a trasferire la propria sede negli Stati che offrono il diritto più favorevole, come i Paesi Bassi.
Alla luce di questi tre aspetti, la proposta mira a creare un 28th Stato virtuale, che rappresenti una sorta di Delaware europeo, prendendo il posto, di riflesso, dell’Olanda, e garantendo quella uniformità normativa che i precedenti tentativi già menzionati non sono mai riusciti a raggiungere.
Il rischio, tuttavia, è che l’iniziativa si traduca in una fallimentare finzione giuridica, ossia un regime incompiuto e disfunzionale addirittura meno attrattivo di quelli attuali.
Unendo riflessioni teoriche ed esempi concreti, si proverà a evidenziare gli aspetti più rilevanti della questione, che si auspica saranno affrontati di dovere nel momento della discussione sul come disegnare la proposta.
Le sedi di una società
Come si articola una società nelle diverse geografie giuridiche?
La sede legale di una società definisce l’ordinamento in cui questa è incorporata e, di conseguenza, il diritto ad essa applicabile e le autorità cui è sottoposta 1.
Inizialmente coincide con la sede di costituzione, e ciò è rappresentato dall’iscrizione presso il relativo Registro delle imprese; poi, come si vedrà, può mutare ed essere trasferita in altri luoghi o proprio ordinamenti. La sede amministrativa, che può coincidere o meno con quella legale, è invece la sede operativa, in cui si riunisce il management per prendere le decisioni.
Ad esempio, Unicredit S.p.a. ha sede legale e operativa in Italia, a Milano; di conseguenza, ad essa si applicherà la legge italiana nelle sue diverse forme. Stellantis N.V. ha sede legale ad Amsterdam e sempre nei Paesi Bassi ha la sede operativa. EssilorLuxottica S.A., risultante dalla fusione della italiana Luxottica con la francese Essilor, è la holding del gruppo leader nella produzione di occhiali e ha sede a Parigi: di conseguenza, è regolata dal diritto francese.
Il rischio, tuttavia, è che l’iniziativa si traduca in una fallimentare finzione giuridica, ossia un regime incompiuto e disfunzionale addirittura meno attrattivo di quelli attuali.
Luca Picotti
Un’ulteriore sede per quanto concerne le società quotate è quella relativa al mercato in cui vengono negoziati i titoli, che può essere più di uno. Unicredit S.p.a. è quotata presso la Borsa di Milano, Francoforte e Varsavia. Stellantis N.V. presso la Borsa di Milano, New York e Parigi. EssilorLuxottica S.A. presso la Borsa di Parigi. La holding che gestisce gran parte dei mercati di quotazione europei è una società di diritto olandese, Euronext N.V., con sede legale ad Amsterdam e sede operativa a Parigi, che controlla tra le altre anche Borsa Italiana S.p.a.
Alla sede legale corrisponde il diritto societario, l’autorità competente a farlo rispettare, l’eventuale vigilanza se quotata; quella amministrativa determina il diritto tributario applicabile e le relative autorità; infine, quella di quotazione comporta l’applicazione delle specifiche normative in materia di trasparenza e tutela del mercato 2.
Libertà di stabilimento, Centros e trasferimento della sede legale
Una delle maggiori discrasie del costrutto giuridico europeo è la cristallizzazione di principi quali la libertà di stabilimento in assenza di un quadro giuridico unitario.
Ciò significa che le istituzioni europee, nel tentativo di difendere le libertà all’interno del mercato unico, hanno creato un ambiente nel quale le imprese sono legittimate a muoversi a proprio piacimento tra gli ordinamenti dei singoli Stati membri, che però, lungi dall’essersi unificati, rimangono piuttosto differenti. Il risultato pratico è una concorrenza degli ordinamenti finalizzata ad attrarre le imprese, con sistemi vincitori a discapito di altri.
Qual è stato in questo senso lo spartiacque?
Lo si può identificare nella sentenza della Corte di giustizia europea, l’organo che più ha influenzato il processo di integrazione europea con la propria giurisprudenza, spesso creativa, nel caso Centros del 1999.
Una vicenda emblematica in cui il gioco tra ordinamenti diversi viene legittimato dalla Corte 3.
In particolare, due cittadini danesi, i coniugi Bryde, avevano costituito una private limited company (“Centros”) secondo il diritto inglese, chiedendo poi alla direzione generale del commercio del Regno di Danimarca l’iscrizione di una succursale nel paese, in quanto era proprio in Danimarca che svolgevano nel concreto l’attività d’impresa. La scelta dell’ordinamento inglese era dettata dalle differenti norme in materia di capitale minimo, meno gravose di quelle danesi: per costituire una società in Danimarca bisognava conferire duecentomila corone danesi, mentre in Inghilterra non vi erano simili prescrizioni in materia di capitale minimo, tanto che i due coniugi costituirono Centros con sole cento sterline, corrispondenti a mille corone danesi. La direzione generale del commercio danese rifiutò l’iscrizione, sull’assunto che la scelta dell’ordinamento inglese rappresentasse un modo per eludere le normative danesi in una vicenda che altrimenti sarebbe stata solo domestica (visto che l’attività di impresa era svolta in Danimarca).
Il risultato pratico è una concorrenza degli ordinamenti finalizzata ad attrarre le imprese, con sistemi vincitori a discapito di altri.
Luca Picotti
La Corte di giustizia ha però dato ragione ai coniugi, con un principio di diritto che sarà poi confermato da diverse altre pronunce (v. Überseering; Inspire Art):
“Il fatto che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento. Infatti, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all’esercizio nell’ambito del mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal trattato”.
La separazione tra sede legale e sede reale, alla ricerca di un diritto più conveniente, suffragata dalla Corte, stimolerà il noto fenomeno, sofferto molto in Italia ma non solo 4, delle migrazioni societarie.
Verso dove? Se nei primi anni si tratterà soprattutto di Regno Unito e Lussemburgo, in seguito a farla da vincitrice sarà l’Olanda.
Il trasferimento della sede in Olanda: le migrazioni intra-Ue
Il fenomeno è diventato oggetto di dibattito soprattutto a partire dagli anni Dieci del Duemila. L’evento scatenante, per quanto riguarda l’Italia, è stato il trasferimento nel 2014 della sede legale di Fiat S.p.a. in Olanda, nella nuova denominazione di Fiat Chrysler Automobiles N.V (Naamloze Vennootschap).
Un’operazione che ha poi riguardato tutto il gruppo Agnelli e che si è mantenuta con Stellantis N.V. Diversi altri casi hanno fatto discutere: da Cementir Holding a Campari, da MFE a Ariston, da Iveco a Brembo. In Olanda dovrebbe inoltre essere costituita la joint venture nella gestione del risparmio tra Generali e Natixis.
Molti hanno letto queste migrazioni o scelte ab origine della sede come tentativi di ottenere vantaggi fiscali.
Non però propriamente corretto: a parte qualche beneficio nella distribuzione dei dividendi, il trasferimento della sede legale ha molto più a che fare con la convenienza del diritto societario applicabile che con le ragioni di carattere fiscale, anche perché la dimensione tributaria è perlopiù legata a dove si producono concretamente i redditi 5.
Sebbene molto spesso al mero trasferimento della sede legale possa seguire pure il trasferimento di altre sedi (amministrativa, di quotazione, residenza fiscale), la tematica va anzitutto letta come maggiore attrattività di un dato ordinamento rispetto all’altro. In questo senso, il diritto olandese, in materia di corporate governance, voti maggiorati, rapporti con le minoranze, autonomia privata, tutela giurisdizionale, è l’elemento che ha spinto diversi gruppi industriali, italiani ma non solo, a optare per quel ventaglio di regole.
I due ingredienti fondamentali sono, da un lato, proprio le norme di diritto societario applicabile (a partire dal voto maggiorato, ossia la possibilità per gli azionisti di lunga durata di avere più voti per azione), dall’altro l’ecosistema venutosi a creare, frutto di prassi, attrazione di professionisti, proiezione internazionale, che si manifesta anche nella presenza di giudici specializzati, con ampie competenze e sensibilità giuridico-economica, a partire dalla concentrazione del contenzioso societario in un’unica Corte, la Enterprise Chamber of the Amsterdam Court of Appeal.
Il trasferimento di sedi legali verso i Paesi Bassi va anzitutto letta come maggiore attrattività di un dato ordinamento rispetto all’altro
Luca Picotti
L’ambiente olandese, unendo la cultura del civil law con quella del common law, i principi continentali con l’ampia autonomia statutaria, è emerso come modello vincente, risultando più attrattivo di sistemi come quello italiano, francese o tedesco e anche del Lussemburgo, ordinamento utilizzato soprattutto per holding familiari e gestioni di ricchezze, ma che non può vantare la stessa cultura giuridica d’impresa sviluppatasi in Olanda.
L’Olanda come Delaware europeo?
Paradossalmente, si può dire che un Delaware europeo, in parte, c’è già: i Pesi Bassi.
Un piccolo Stato in cui le imprese decidono di trasferire le proprie sedi legali per beneficiare del contesto professionale e business friendly che informa le sue regole.
A ben vedere, sono molte, effettivamente, le analogie con il Delaware, in cui, come si diceva, circa la metà tra le prime cinquecento società americane e la metà di quelle quotate ha ottenuto l’incorporation.
Ad esempio, anche (e soprattutto) il Delaware ha sviluppato un ecosistema molto professionalizzato e ruotante attorno alla qualità del diritto, con la Delaware Court of Chancery e i suoi giudici specializzati, oltre che tramite un’autonomia statutaria molto apprezzata dalle imprese.
È una questione, anche qui, di regole ed ecosistema.
Rimane tuttavia una differenza sostanziale tra Paesi Bassi e Delaware.
Da una parte c’è uno Stato membro di un costrutto multilivello frammentato, percorso da diversi sistemi normativi, culture giuridiche, lingue e prassi.
Dall’altra uno Stato all’interno di un sistema federale unitario 6.
Le implicazioni non sono poche ed evidenziano come l’Olanda rappresenti un Delaware europeo solo in parte e peraltro in un contesto in cui gli Stati soffrono tali migrazioni – considerate come degli impoverimenti dei propri tessuti giuridico-economici.
Ad esempio, l’incorporazione nel Delaware muta sì il diritto societario applicabile, ma non incide né sul mercato di quotazione, unico negli Stati Uniti, a New York, e non diviso in tante borse nazionali come in Europa, né sull’autorità di vigilanza, anch’essa unica in America, la Securities and Exchange Commission (SEC), a differenza delle diverse autorità competenti in Europa (Consob in Italia, AMF in Francia, BaFin in Germania, CNMV in Spagna etc.).
Ancora, la scelta del Delaware non ha conseguenze decisive sul mercato dei servizi professionali, in quanto il suo diritto è studiato in tutte le università americane, in lingua inglese, e i titoli delle diverse law school permettono di sostenere e superare il bar exam (per diventare avvocato) anche nel Delaware, così come la comunanza di lingua e cultura giuridica e professionale non ostano a ruoli nei board o tra gli advisor per quanto riguarda i soggetti appartenenti ad altri Stati.
Come è stato lucidamente affermato da A. Pomelli, “in un sistema federale politicamente, culturalmente ed economicamente integrato come quello degli Stati Uniti, il dominio del Delaware nel campo del diritto societario non ha particolari conseguenze sistemiche per gli altri Stati”.
Per quanto concerne invece il sistema europeo, le migrazioni in Olanda si traducono in una concorrenza tra ordinamenti: non c’è un mercato di quotazione unico, né una autorità di vigilanza unica, né una lingua comune, né studi universitari comuni, con diverse conseguenze sul tessuto giuridico-economico e il mercato delle professioni legali.
Trattasi di un Delaware solo dalla prospettiva delle imprese, tutelate dai principi europei della libertà di stabilimento, non di un Delaware a livello di sistema.
Numerosi Stati stanno provando a frenare tale migrazione. Senza poterlo fare tramite barriere, perché i principi europei non ammettono restrizioni salvo che per ragioni di sicurezza nazionale, ciò che rimane è una corsa alle modifiche legislative in senso emulativo. In sostanza, concorrenza degli ordinamenti per attrarre a sé, o quantomeno mantenere, le sedi legali delle maggiori imprese.
Il 28th regime: esperimenti di ingegneria giuridica tra nobili ambizioni e limiti strutturali.
L’idea di un ventottesimo regime legale, che si aggiunge, senza sostituirli, ai singoli regimi domestici, può risolvere le discrasie che attualmente percorrono le arterie del mercato unico?
L’obiettivo, come si diceva, è quello di creare un sistema virtuoso, come quello del Delaware, superare la frammentazione per favorire lo sviluppo di imprese europee, specie innovative, e risolvere quanto già accade nella prassi dei trasferimenti di sede tra ordinamenti.
Una impresa potrebbe scegliere l’applicazione di tale 28th regime — come attualmente fa ad esempio con l’ordinamento olandese — pur operando in un altro Stato. Il quadro giuridico dovrebbe essere disegnato in maniera tale da risultare attrattivo, in modo che, tramite questo primo passo ingegneristico, si sviluppi negli anni un regime parallelo e uniforme, in prima battuta facoltativo, indirizzato soprattutto a start-up e alternativo a quello degli Stati membri, in prospettiva unico (perché ormai adottato dalla maggior parte delle imprese) e idoneo a fornire la base della tanto agognata Capital Markets Union – che potrebbe così procedere affiancando al diritto societario unico il mercato di quotazione unico e l’autorità di vigilanza unica.
Ambizioni nobili e per un certo verso anche coerenti.
Il rischio, però, e i precedenti fallimentari fungono da campanello d’allarme, è quello di fare un passo più lungo della gamba, creando una disfunzionale giurisdizione senza Stato o, meglio, una giurisdizione frammentata tra gli Stati, in parte autonoma in parte dipendente dagli ordinamenti sovrani. Un insegnamento che l’Unione europea dovrebbe avere ormai imparato, specie in questa difficile fase di transizione, è che aggiungere senza togliere può essere sempre un problema: incertezza normativa, ipertrofie regolatorie, disfunzionalità, contenziosi interpretativi sugli equilibri del sistema multilivello.
Il 28th regime dovrebbe invece nascere da un legislatore atipico, quello europeo, che metta insieme le diverse anime e contemperi le sfumature dei vari ordinamenti per dare vita ad un unico sistema uniforme.
Luca Picotti
In questo senso, nel momento in cui si parte dalla consapevolezza di non potere sostituire i diritti privati e commerciali dei singoli Stati con un codice unico, e si opta pertanto sulla costruzione di un ulteriore sistema di regole, il rischio è che la sfida sia già persa in partenza. Senza volere bocciare sul nascere l’idea, si riporterà qui i nodi più problematici dell’iniziativa, che qualsivoglia discussione dovrà affrontare e, auspicabilmente, superare prima di procedere.
1 — Un diritto settoriale è spesso problematico
Il diritto è spesso un sistema, frutto di una particolare cultura giuridica, in cui le norme dialogano tra loro. Ad esempio, il diritto societario italiano ha la propria sede principale nel codice civile e si trova calato dunque nella cornice del diritto privato. Lo stesso diritto fallimentare, essenziale per una maggiore integrazione del mercato unico (si pensi alle diverse sorti dei prestiti obbligazionari), opera sovente in dialogo con il relativo diritto privato, regolandone la fase patologica.
Costruire un 28th regime focalizzandosi solo su certi rami — societario, fallimentare, lavoro e tributario — rischia di essere un’operazione chirurgica che traduce in diritto positivo uniforme alcune aree senza avere un sistema in cui inserirle, per colmarne le lacune, interpretarle e applicarle. Il campo di riferimento è molto più complesso di quello del classico diritto pubblico europeo.
2 — A quale tradizione giuridica apparterrebbe il 28° Stato?
La cultura giuridica è cruciale e si intreccia con la lingua, nonché con le diverse tradizioni sviluppatesi nei singoli Stati.
Il 28th regime dovrebbe invece nascere da un legislatore atipico, quello europeo, che metta insieme le diverse anime e contemperi le sfumature dei vari ordinamenti per dare vita ad un unico sistema uniforme.
Mentre realtà come il Delaware o l’Olanda si sono sviluppate in modo spontaneo, traducendosi in un salto qualitativo delle rispettive culture giuridiche, in questo caso si tratterebbe di un diritto calato dall’alto, frutto di inevitabili compromessi artificiosi — che, se va bene, e non è detto che vada bene, potrà radicarsi come cultura giuridica solo dopo anni e anni di faticosa prassi.
3 — Un diritto senza giurisdizione
Questa finzione giuridica si scontrerebbe anche con l’assenza di una giurisdizione propria.
Delaware e Olanda sono attrattivi perché i rispettivi diritti sono conosciuti, interpretati e applicati da decenni da giudici specializzati. Le imprese apprezzano anche e soprattutto la certezza del diritto, la velocità della decisione, la sensibilità e preparazione di queste corti mono-settoriali.
Il diritto del 28th regime non avrebbe una propria corte e sarebbe, si presume, collegato alle singole corti nazionali, che dovrebbero destreggiarsi con un diritto estraneo, nuovo, artificiale e prodotto in altra lingua (salvo non intasare il Tribunale dell’Ue e la Corte di Giustizia, che in ogni caso non avrebbero alcuna competenza in materia, nuova anche per essi).
4 — Un diritto senza territorio
Il 28th regime legale sarebbe scisso tra la finzione giuridica e la territorialità dell’impresa, inevitabilmente localizzata in uno Stato, nonché tra normazione positiva e collegamenti rispetto all’ordinamento in cui è ubicata, specie per quanto concerne le norme di ordine pubblico degli Stati, che non potrebbero in alcun modo essere incise.
Ancora, la presenza fisica in uno Stato, unita alla scelta del regime europeo, determinerebbe ulteriori interrogativi, dalle norme penali applicabili alle autorità competenti, dalle già menzionate corti alla vigilanza, passando per le stesse norme di diritto del lavoro, tradizionalmente collegate al luogo in cui è svolta l’attività di impresa.
Se nel trasferimento di sede in Olanda le implicazioni sul fronte delle regole sono (abbastanza) lineari, trattandosi di due ordinamenti distinti, l’ibridazione del 28th regime con lo Stato della presenza fisica può essere foriero di numerose problematiche.
Nel caso del 28th regime legale si tratterebbe di un diritto calato dall’alto, frutto di inevitabili compromessi artificiosi — che, se va bene, e non è detto che vada bene, potrà radicarsi come cultura giuridica solo dopo anni e anni di faticosa prassi.
Luca Picotti
5 — Limiti di sicurezza
Quale autorità avrebbe potere sull’impresa incorporata nel 28th regime in materia di tutela della sicurezza nazionale (controlli sugli investimenti esteri o sui trasferimenti di tecnologia, qualora ad esempio l’impresa sia attiva in settori strategici come i semiconduttori o lo spazio)?
La sicurezza nazionale è di competenza dei singoli Stati (art. 4 TUE) e ognuno, tramite le proprie normative, tutela le imprese incorporate nei propri ordinamenti. Anche qui – sebbene sia un tema che già in parte si presenta con le holding – l’ibridazione con lo Stato della presenza fisica darebbe luogo a ulteriori nodi.
6 — Uno Stato inesistente è sempre uno Stato concorrente
Infine, se già ora i diversi Stati membri stanno vivendo con ostilità il tema delle migrazioni, in quanto il trasferimento di sedi legali all’estero impoverisce il tessuto giuridico-economico-politico del paese (professioni legali, peso dell’autorità di vigilanza domestica, corti, controllo statale), è difficile immaginare che accoglieranno con piacere un ulteriore ordinamento concorrente di matrice europea.
Questo su due fronti: quello degli Stati che già subiscono l’emigrazione delle proprie imprese e che quindi si troverebbero, da una parte, a combattere l’emigrazione in altri Stati membri, dall’altra a combattere quella (eventuale) nel 28th regime; quello di paesi come l’Olanda che vedrebbero nel 28th regime legale un tentativo di sottrarle il primato costruito negli anni.
In sostanza, non sarà facile trovare il consenso politico, specie in una fase in cui i diversi Stati stanno cercando soluzioni per mantenere le imprese nel territorio, difendere le proprie borse valori, costruire ambienti normativi domestici più favorevoli.
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Cultura giuridica, lingua, qualità del legislatore, importanza delle corti e dei professionisti, ordine pubblico e sicurezza nazionale, gelosie domestiche, il diritto come sistema.
Sono solo alcuni dei nodi che dovranno essere considerati nel sentiero verso il 28th regime.
Insormontabili?
Non è dato saperlo. Sicuramente non trascurabili.
L’auspicio è che i decisori possano bilanciare le nobili ambizioni con la dovuta cautela, nel delicato equilibrio tra il coraggio delle spinte in avanti e l’attenzione a non compiere disfunzionali passi più lunghi della gamba.
Note
- Sul punto ci si permette di rimandare a L. Picotti, È più importante la lex societatis o la nazionalità del controllo?, in Osservatorio Golden Power, 3 giugno 2024.
- Sulle tre sedi e le relative regole, si veda A. Pomelli, Dall’arbitraggio regolamentare all’arbitraggio sistemico: il vero gioco (e rischio) delle migrazioni societarie in Olanda, in Corporate Governance, 2, 2024, pp. 340-341.
- Si riprende l’ottima sintesi proposta da A. Zoppini, Il diritto privato e i suoi confini, il Mulino, 2020, pp. 98-101.
- Sebbene l’Italia rappresenti il caso più patologico, con 15 dei 36 casi di trasferimento di sede all’interno di un paese Ue nel periodo 2000-2021, anche Germania e Francia sono stati interessate, con 6 e 5 casi, tanto che si pongono assieme all’Italia tra i paesi scettici verso i trasferimenti di sede e promotori di riforme domestiche volte a rafforzare l’ecosistema nazionale. V. sui dati F. Pernazza, Corporate Governance e arbitraggio regolamentare. Premesse metodologiche e valutazioni operative, in Corporate Governance, 2, 2024, p. 318.
- Vedi: L. Enriques, Migrazioni societarie in Olanda e voto maggiorato, in FCHub Financial Community Hub (Link: https://fchub.it/migrazioni-societarie-in-olanda-e-voto-maggiorato/).
- Sulle principali differenze si veda sempre A. Pomelli, Dall’arbitraggio regolamentare all’arbitraggio sistemico: il vero gioco (e rischio) delle migrazioni societarie in Olanda, in Corporate Governance, pp. 351-352.