Dottrine della Russia di Putin

Siberizzazione: la teoria della felicità in Russia secondo Karaganov

Una nuova idea sta prendendo piede nella Russia di Putin: provocare lo sviluppo economico e sociale delle periferie per realizzare il destino imperiale di un'espansione verso la “Grande Eurasia”.

Questo bizzarro sogno ha ormai un nome: Siberizzazione — e ha persino un proprio think tank.

Segno della sua importanza, il principale ideologo di Putin, Sergej Karaganov, se ne è impossessato.

Dal «secondo voltaggio a est» al Lebensraum climatico, traduciamo e commentiamo la sua inquietante visione del futuro della Russia.

Autore
Guillaume Lancereau
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Omsk, Siberia. © Alexey Malgavko/SIPA

Sergej Karaganov non è sconosciuto alle lettrici e ai lettori del Grand Continent, che lo conoscono come il principale artefice della nuova dottrina geopolitica del regime putiniano. In questa veste, si è distinto in particolare per le minacce esplicite rivolte a diversi paesi occidentali, per i suoi appelli a un riassetto degli equilibri mondiali, per la sua aspirazione alla rinascita del sogno eurasiatico della Russia. 

Meno noto è invece il suo progetto riguardante la Russia stessa, il suo sviluppo economico, culturale e spirituale. Questa visione si riassume in una parola: siberizzazione.

Per tornare a essere se stessa, in altre parole per ricongiungersi con l’ideale di grandezza che si suppone sia inscritto nel profondo del suo essere transistorico, la Russia avrebbe un solo futuro possibile: dare un nuovo slancio alle regioni orientali e meridionali del Paese, concepite sia come una finestra sull’Asia nel quadro di una nuova lotta tra grandi potenze, sia come fonte dell’identità russa.

Il testo che traduciamo qui di seguito sviluppa questa visione in tono ora esaltato, ora aggressivo, a seconda che evochi l’epopea di Alessandro Nevskij e la conquista dell’Estremo Oriente russo o che sottolinei piuttosto la necessità vitale di ottenere oggi la vittoria sul terreno ucraino — con l’aiuto di attacchi nucleari se necessario.

Queste idee hanno il vento in poppa. Sono state presentate solennemente a Tobolsk, lo scorso aprile, nell’ambito delle «Letture di Tobolsk», un nuovo think tank interamente dedicato alla promozione della siberizzazione come «idea nazionale del XXI secolo»

Bisogna constatare che non siamo ancora a quel punto. La Siberia è oggi dilaniata tra poli di estrazione di idrocarburi, di cui l’autore preferisce non parlare per sottolineare come la sua visione vada oltre le città cupe, dove i giovani uomini tornano in bara dal fronte ucraino, e oltre i villaggi che sopravvivono a stento o agonizzano. Sergej Karaganov ha ragione a sottolineare che tutto ciò non toglie nulla al potenziale, ampiamente sottoutilizzato, della regione, né alle prospettive di apertura verso l’Iran, l’India, la Cina, l’Asia centrale o sud-orientale. D’altra parte, è dubbio che giovani moscoviti o pietroburghesi perfettamente occidentalizzati nelle loro abitudini culturali, alimentari, professionali, sportive o religiose — nonostante ciò dispiaccia a questo cantore dell’identità russa eterna — sognino, da qui a dieci anni, di andare a vivere a Novokuzneck, Omsk o Ulan-Udė.

Perché ogni resistenza inizia con la conoscenza e per tornare alle origini dei progetti imperiali che minacciano l’Europa, Le Grand Continent traduce, introduce, contestualizza e commenta riga per riga i dottrinari della Russia di Putin, della Cina di Xi Jinping e dell’America di Trump. Questo testo va letto in parallelo a un’intervista esclusiva della rivista con Sergej Karaganov che uscirà nei prossimi giorni. Per riceverla in anteprima, abbonatevi al Grand Continent

Alla fine degli anni 2000, insieme a un gruppo di giovani colleghi, ho iniziato a difendere l’interesse, e persino la necessità, di una svolta della Russia verso l’Est, in concomitanza con l’attuale ministro della Difesa, Sergej Šojgu, che parallelamente portava avanti un progetto simile con i propri collaboratori. A quella data, la suddetta “svolta” comprendeva, nei suoi concetti fondamentali e nelle sue prospettive, l’intera Siberia e il pre-Ural, una regione che costituisce un’unica entità dal punto di vista storico, economico e umano.

È infine nato un progetto alternativo: quello che qui chiamerò la «Primo Svolta» verso l’Asia e i suoi mercati. A livello amministrativo, si è data priorità all’espansione verso la Siberia pacifica, e poi verso l’Artico. Questo Svolta orientale, iniziata negli anni 2010, ha conosciuto alcuni successi, ma si è trattato di successi parziali. Se sono stati solo parziali, è anche perché si era separato artificialmente l’Estremo Oriente dalla Siberia orientale e occidentale, due regioni molto più potenti in termini di risorse umane, industriali e naturali, che però continuavano a soffrire della «maledizione continentale» — il loro isolamento rispetto ai mercati.

La nuova configurazione geostrategica che si sta delineando oggi richiede un ritorno all’idea originaria, quella di una svolta orientale di tutta la Russia che ponga l’accento sullo sviluppo dell’intera Siberia, compresa la regione pre-uralica.

Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una siberizzazione dell’intero Paese.

Gli addii della Russia all’Europa

L’Europa si è chiusa in se stessa per gli anni a venire. Non potrà — né dovrà — mai più essere un partner di primo piano. L’Asia, al contrario, sta vivendo un vigoroso sviluppo.

La guerra provocata e intrapresa dall’Occidente in Ucraina non deve farci perdere di vista questo movimento essenziale verso Sud e verso Est, cioè verso quegli spazi dove, proprio in questo momento, si sta spostando l’epicentro dello sviluppo dell’umanità.

Come passaggio obbligato nella propaganda putiniana, l’inversione accusatoria secondo cui sarebbe stato «l’Occidente» a scatenare la guerra in Ucraina compare molto presto nel testo. Qualora fosse ancora necessario ricordarlo, quella che il Cremlino chiama «operazione militare speciale» è stata avviata dalla Russia di Putin il 24 febbraio 2022, dopo oltre otto anni di preparativi per questo tentativo di invasione su larga scala di un paese sovrano, attraverso atti ostili e bellicosi.

Questa nuova situazione, che si preannunciava da tempo, ci assegna dei compiti, ci esorta a «tornare a casa». È più che mai tempo di porre fine all’avventura europea, questa avventura lunga più di trecento anni, che ci ha dato molto, ma i cui benefici si sono esauriti da un secolo. Senza dubbio, senza questa avventura, questo viaggio iniziato da Pietro il Grande, la Russia avrebbe perso molti successi. Il più prezioso di questi è senza dubbio la nostra letteratura, la più grande letteratura del mondo, frutto dell’incontro tra la cultura, la religione e la morale russe e la cultura europea. Dostoevskij, Tolstoj, Pushkin, Gogol, poi Blok, Pasternak, Solzhenitsyn e gli altri colossi dello spirito che hanno forgiato la nostra identità moderna, non sarebbero probabilmente mai esistiti senza questo «innesto europeo».

Senza commentare l’idea stessa delle «classifiche» mondiali delle letterature nazionali, non si può fare a meno di sottolineare l’assurdità dell’essenzializzazione di una «cultura russa» da un lato e di una «cultura europea» dall’altro. Esempi sufficienti sembrano dimostrare che la cultura danese, se esiste, non è esattamente la cultura portoghese, se esiste. 

È invece certo che l’Europa e la Russia si sono arricchite reciprocamente grazie ai loro scambi culturali di lunga data e che lo strappo dall’Europa auspicata da Karaganov rischia fortemente di non convincere l’intera popolazione russa odierna, che legge più Erich Maria Remarque e Georges Orwell che Sadegh Hedayat o Lokenath Bhattacharya, per restare in ambito culturale.

La conquista dell’Est

Nel corso di questi tre secoli, abbiamo quasi dimenticato le radici orientali del nostro Stato e del nostro popolo. I mongoli ci hanno certamente saccheggiato, ma hanno anche contribuito al nostro sviluppo.

La storiografia ritiene che la Russia medievale abbia vissuto sotto il «giogo mongolo» o «tataro-mongolo» dal XIII al XV secolo, tra il momento in cui l’Orda d’Oro impose un tributo ai principi russi in cambio di una lettera patente (di cui si parlerà più avanti nel testo) e lo scontro tra Ivan III di Mosca e Akhmat Khan, che si concluse con il ritiro dei mongoli nel 1480.

Infatti, sia nel confronto che nella collaborazione, abbiamo integrato molti elementi della loro struttura statale, il che ci ha permesso di dare vita a un potente Stato centralizzato e a un pensiero su scala continentale. È all’impero di Gengis Khan che dobbiamo la nostra apertura culturale, nazionale e religiosa, un’apertura unica al mondo. I mongoli non imponevano né la loro cultura né la loro fede, erano perfettamente aperti sul piano religioso. Per questo motivo, fu proprio con loro che il santo e nobile principe Alessandro Nevskij ritenne opportuno stringere un’alleanza per preservare la Russia.

La Grande Russia non sarebbe mai nata, non sarebbe mai uscita dalla pianura russa, circondata dai suoi avversari e nemici a ovest e a sud, se i russi del XVI secolo non si fossero lanciati in massa «oltre la Roccia», oltre gli Urali, «all’incontro con il Sole». Non si può spiegare questo improvviso slancio senza ricorrere alla volontà divina. In sessant’anni, i cosacchi raggiunsero il Grande Oceano.

La conquista della Siberia segnò la rottura con l’antica Russia, il regno di Russia, per far emergere la Grande Russia. Ancor prima della proclamazione dell’Impero, le risorse della Siberia – prima «l’oro dolce», le pellicce, poi l’argento, l’oro, vari minerali – resero possibile la creazione e il mantenimento di un potente esercito e di una flotta. Anche le carovane della Via della Seta settentrionale hanno svolto il loro ruolo, portando in Russia, via Kiakhta, merci cinesi scambiate con pellicce. È ancora lì, in Siberia, che i russi hanno iniziato, attraverso la concorrenza e gli scambi, a interagire con i popoli dell’Asia centrale, i Bukharani, come venivano chiamati allora.

La Siberia ha consolidato il meglio del carattere russo: l’apertura culturale e nazionale, la sete di libertà, il coraggio senza limiti. La conquista della Siberia è stata opera di una decina di nazionalità che si sono mescolate con le popolazioni locali. Da qui, naturalmente, il senso della collettività: senza aiutarsi a vicenda, nessuno poteva sopravvivere, trionfare sulle distese infinite e sugli elementi. Così si è formato il siberiano, un precipitato del meglio dell’uomo russo, che si tratti del russo russo, del russo tataro, del russo buriato, del russo giacuto, del russo ceceno e di molti altri ancora. Il famoso giornalista e scrittore Anatoli Omeltchouk, di Tioumen, ha perfettamente ragione nel vedere nella Siberia «l’infusione del carattere russo».

Ben presto seguì un’impresa senza pari, sotto l’azione delle élite (Witte, Stolypin e i loro collaboratori) e del popolo stesso, che costruirono la Transiberiana in tempo record. Sembravano guidati dal vecchio motto: «Andiamo incontro al sole», che si mescolava a una nuova idea: «Avanti, il Grande Oceano ci aspetta!».

È giunto il momento di lanciare un nuovo motto: «Avanti verso la grande Eurasia!».

Il tempo dei grandi progetti

Tutti coloro che hanno lavorato con fatica e abnegazione a questa grande missione meritano la nostra gratitudine, compresi coloro che sono arrivati in Siberia contro la loro volontà. Non si può sottovalutare il contributo dei forzati e dei detenuti del Gulag allo sviluppo del Paese, anche se questo rimane insufficientemente riconosciuto.

Fu lì che prese forma un progetto entusiasmante, quello della conquista sovietica dell’Artico; fu lì che nacquero i grandi cantieri del Komsomol, dove le famiglie di tutti i popoli dell’Unione Sovietica stringevano amicizia e lavoravano fianco a fianco. Il burro, i cereali, le pellicce della Siberia, i cavalli della Mongolia, della Buriazia e della Tuva e, naturalmente, le truppe siberiane: tutti questi elementi furono determinanti per la vittoria e la salvezza di Mosca durante la Grande Guerra Patriottica. 

L’era del petrolio e del gas siberiano iniziò solo in un secondo momento.

Il principale contributo della Siberia al tesoro comune di tutta la Russia rimane la sua popolazione, un popolo audace, tenace, forte, intraprendente: in una parola, l’incarnazione dello spirito russo. Oggi non solo è necessario incoraggiare la migrazione dei cittadini russi dal centro del Paese (compresi i territori riunificati) verso la Siberia, ma anche invitare i siberiani, con la loro ricca esperienza, il loro orizzonte culturale e il loro senso di vicinanza all’Asia, a partecipare alla gestione del Paese.

Le generazioni di cittadini russi che hanno contribuito allo sviluppo della Siberia, compresi i più visionari tra loro, non hanno sempre percepito chiaramente che collegando la Russia ai mercati asiatici la rendevano una grande potenza eurasiatica. Questo futuro si è realizzato. 

All’ombra della terza guerra mondiale

Lo scontro avviato dall’Occidente, la dissoluzione delle sue società alimentata dalle sue stesse élite, così come il rallentamento duraturo dello sviluppo dell’Europa: tutti questi elementi confermano che il futuro della Russia è a Est e a Sud, là dove si sta spostando il vero centro del mondo.

Quanto alla Russia, con la sua cultura e la sua apertura uniche, è innegabilmente destinata a diventare una parte importante di questo cambiamento, una delle sue figure di spicco: è destinata a diventare ciò che il destino, Dio e gli sforzi costanti dei nostri antenati le hanno riservato: l’Eurasia settentrionale. Deve essere il suo punto di equilibrio, il suo pilastro militare e strategico, la garante di una rinascita libera da ogni dominio, da ogni oppressione di cui hanno sofferto in passato tante culture, paesi e civiltà.

Stiamo assistendo alla nascita di un nuovo mondo. Da questo punto di vista, abbiamo in un certo senso svolto il ruolo di levatrici, minando il principale fondamento del dominio dell’Europa e dell’Occidente, un dominio che dura da oltre cinque secoli: la sua superiorità militare.

Oggi respingiamo quella che speriamo sia l’ultima offensiva di un Occidente in declino, che cerca di riportare indietro la storia infliggendoci una sconfitta strategica sui campi di battaglia dell’Ucraina. Dobbiamo uscire vincitori da questa lotta. Non dobbiamo temere, se necessario, di minacciare o addirittura di ricorrere ai mezzi più drastici. È una condizione indispensabile non solo per garantire la vittoria del nostro Paese, ma anche per prevenire lo scoppio di una terza guerra mondiale.

Una nuova rinascita orientale

Lo ripeto: lo scontro con l’Occidente non deve distoglierci dai nostri compiti costruttivi più essenziali, primo fra tutti la riconquista e il risanamento di tutta la parte orientale del Paese. Le sfide geoeconomiche e geopolitiche, ma anche l’inevitabile cambiamento climatico dei prossimi decenni, rendono necessaria e confermano la fattibilità e la pertinenza di una nuova svolta siberiana della Russia, di uno spostamento verso est del suo centro di sviluppo spirituale, umano ed economico.

Le risorse minerarie della Russia, le sue terre ricche, le sue foreste, la sua acqua dolce in abbondanza sono destinate a diventare, grazie alle moderne tecnologie e, soprattutto, agli stessi siberiani, uno dei pilastri dello sviluppo dell’Eurasia. Il compito che ci attende è quello di aggrapparci saldamente alla Siberia e svilupparla al meglio delle nostre possibilità, per il bene dei nostri cittadini, del nostro Paese e dell’umanità intera.

Per il momento, ne estraiamo soprattutto risorse poco trasformate. La sfida consiste nel creare, sotto la guida dello Stato, complessi industriali su scala nazionale. L’industria meccanica siberiana deve essere ricostruita su basi completamente nuove e basarsi sul flusso continuo di ordini delle imprese della difesa. Allo stesso modo, è indispensabile trasferire verso est una serie di centri amministrativi di livello nazionale, dai ministeri agli organi legislativi, passando per le sedi delle grandi imprese, e con essi la gioventù ambiziosa e patriottica, nel senso migliore del termine. Se Pietro il Grande fosse ancora vivo, non mancherebbe di fondare una nuova capitale in Siberia, aprendo così un’immensa finestra sull’Asia.

So che molti abitanti degli Urali e di oltre gli Urali portano in sé lo spirito ardente dei loro antenati, quei grandi pionieri. So che molti desiderano la rinascita e la prosperità della Russia, innanzitutto attraverso il rilancio della Siberia stessa. Purtroppo, una parte significativa di loro, non vedendo sul posto né prospettive per il futuro né opportunità per realizzare i propri sogni e mettere a frutto i propri talenti, sceglie di spostarsi verso le regioni centrali più sviluppate, quando non si rassegna a sfiorire in silenzio nelle piccole città e nei villaggi delle regioni orientali del Paese.

Abbiamo accennato in precedenza a questo divario crescente tra la Russia centrale, più visibile mediaticamente, culturalmente ed economicamente, e le Russie periferiche — che, dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, si trovano ancor più isolate sotto ogni aspetto.

È in nostro potere ed è nel nostro interesse valorizzare questo considerevole capitale umano, abbattere le barriere indesiderate tra le regioni più remote della Siberia, i grandi centri amministrativi del centro e il resto della Russia, ricostituendo il grande asse geografico e civile che struttura la nostra storia. Il riorientamento della coscienza nazionale e del modo di pensare di tutti i nostri concittadini, la riunificazione con tutto il passato, il presente e il glorioso futuro della Siberia, è nell’interesse dell’intero Paese. Non mancheranno di trovare eco nel cuore stesso dei siberiani. Lo ripeto: non sono solo le regioni degli Urali, della Siberia o dell’Estremo Oriente ad aver bisogno di una strategia siberiana, ma tutta la Russia.

Una strategia culturale ed economica

Questa strategia non deve basarsi su freddi calcoli economici, anche se questi esistono già e sono perfettamente convincenti, come hanno dimostrato gli studi dei ricercatori di Novosibirsk e dei loro colleghi di Mosca. L’essenziale è il ritorno spirituale e culturale al centro stesso della coscienza nazionale russa, allo spirito grandioso e affascinante della conquista della Russia asiatica. Ogni cittadino patriota del nostro Paese deve poter fare propria questa storia della Siberia, ricca di avventure, vittorie e colpi di scena. La conquista dell’Ovest americano, che tutti conoscono, è solo un vano fantasma in confronto alle imprese dei nostri antenati, senza contare che questi ultimi non hanno commesso genocidi, ma si sono letteralmente fusi con le popolazioni locali.

Karaganov va qui contro tutto ciò che si sa della storia della conquista dell’Est da parte dei russi che, sebbene meno devastante in termini numerici di quella dell’ovest degli Stati Uniti, non fu meno violenta. La conquista della Siberia fu accompagnata da una serie di massacri tra il XVI e il XVIII secolo, uno dei più famosi dei quali fu quello degli Ciukci, una delle popolazioni indigene, ad opera di Dmitri Pavloutski. Indipendentemente dall’avanzata verso est, anche l’espansione della Russia verso sud ha causato violenze di massa, tra cui la pulizia etnica dei circassi. L’eccezionale «apertura» russa ha quindi le mani sporche di sangue, storicamente, quanto quelle di qualsiasi potenza coloniale dell’epoca moderna o contemporanea.

Eppure, la maggior parte dei russi, compresa gran parte dell’intellighenzia, non sa praticamente nulla di questa storia. Chi conosce la spedizione intrapresa da Alessandro Nevskij alla fine degli anni ’40 del XIII secolo, che durò quasi un anno e mezzo e attraversò tutta l’Asia centrale e la Siberia meridionale fino a Karakorum, la capitale dell’Impero mongolo, per ottenere una lettera patente? È lì che risiedeva, nello stesso periodo, Kubilaï-Khan, ben noto grazie ai racconti di Marco Polo, che si apprestava a diventare imperatore, a fondare la dinastia Yuan e a unificare la Cina. È quasi certo che si siano incontrati. È quindi con la spedizione di Alessandro Nevskij che deve iniziare la storia della conquista della Siberia e delle relazioni tra Russia e Cina, oggi alleate e destinate a diventare il pilastro del nuovo ordine mondiale.

È inoltre necessario costruire nuovi corridoi meridionali per collegare il sud della Siberia alla rotta marittima settentrionale, che sbocca sulla Cina e, attraverso di essa, verso il Sud-Est asiatico. Il Pre-Ural e la Siberia occidentale devono invece ottenere un accesso all’India, ai paesi dell’Asia meridionale e al Medio Oriente. A questo proposito, non si può che rallegrarsi del fatto che sia finalmente iniziata, anche se con un certo ritardo, la costruzione della linea ferroviaria che unirà la Russia, comprese le regioni siberiane, all’Oceano Indiano attraverso l’Iran.

Lo sviluppo della Siberia, con le sue notevoli risorse idriche, deve anche integrare i paesi amici dell’Asia centrale che soffrono sia di carenza idrica che di eccesso di manodopera. Questa iniziativa non deve sfociare in progetti assurdi di deviazione dei corsi d’acqua, ma nella creazione collettiva di un’industria in settori ad alto consumo idrico: si tratterebbe, in sostanza, di un’esportazione di «acqua virtuale» destinata alla produzione di beni alimentari e di altre merci. Questa simbiosi di sviluppo tra la Siberia e l’Asia centrale rappresenterà un enorme vantaggio per tutti gli attori che vi si impegneranno.

Infine, la carenza di manodopera deve essere in parte compensata dal reclutamento massiccio di lavoratori nordcoreani, laboriosi e disciplinati.

Si misura nuovamente il valore di questa «apertura» russa celebrata da Karaganov e il carattere strettamente interessato di questa mano tesa a un «paese amico», che consiste essenzialmente nel fornire carne da cannone e manodopera alle fabbriche, senza la minima prospettiva di uno scambio equo.

Abbiamo finalmente abbandonato la stupida imitazione della linea occidentale nei confronti della Corea del Nord, per ristabilire con essa relazioni amichevoli. So inoltre che l’India e il Pakistan hanno manifestato il loro interesse per questo progetto di fornitura di manodopera, anche stagionale.

La seconda svolta verso l’Est

Inauguriamo oggi il progetto «Seconda Svolta verso l’Est», orientato alla Siberizzazione della Russia, all’interno della Scuola superiore di economia e in collaborazione con l’Istituto di economia e organizzazione della produzione industriale della Divisione siberiana dell’Accademia delle scienze di Russia, nonché con altri istituti delle divisioni siberiana e dell’Estremo Oriente dell’Accademia, e infine in partenariato con le università di Tomsk, Barnaul, Chabarovsk e Krasnojarsk.

Lo Stato deve attuare una politica ambiziosa nel campo degli studi orientali, dell’apprendimento delle lingue, della conoscenza dei popoli e delle culture dell’Oriente, fin dalla più tenera età. La Russia, con la sua apertura culturale e religiosa unica, gode di un vantaggio comparativo incommensurabile in questo campo. Lo deve ai suoi antenati che, migrando verso est, non hanno né asservito né distrutto, come hanno fatto gli europei, ma hanno integrato i popoli e le culture che incontravano sul loro cammino.

Sun Tzu, Confucio, Kautilya (o Vishnugupta), Rabindranath Tagore, Ferdowsi, il re Dario, Tamerlano, xal-Khwârizmî, fondatore dell’algebra, Ibn Sina o Avicenna, padre della medicina moderna, Fatima al-Fihriya, fondatrice della prima università del mondo: tutte queste figure dovrebbero essere familiari a un russo colto quanto lo sono Alessandro Magno, Galileo, Dante, Machiavelli o Goethe. Dobbiamo incorporare non solo l’essenza del cristianesimo ortodosso, ma anche quella dell’islam e del buddismo. Tutte queste religioni, tutte queste correnti spirituali sono già profondamente radicate nella nostra memoria spirituale. Non ci resta che preservarle e coltivarle.

Inoltre, tenendo conto degli inevitabili cambiamenti climatici dei prossimi decenni, la Siberia amplierà notevolmente la zona abitabile dall’uomo. La natura stessa ci invita a questa nuova svolta siberiana verso est.

Ritroviamo qui l’idea di un necessario Lebensraum per la Russia di Vladimir Putin, questa volta inserita nel lungo periodo del cambiamento climatico che si profila all’orizzonte.

Ancora una volta: il lancio e l’attuazione di questo programma non hanno solo il valore di un ritorno alle fonti della nostra potenza e della nostra grandezza, ma anche di un’apertura di orizzonti, di orizzonti inediti per noi stessi e per le generazioni future, di una rinascita dell’antica idea-sogno russa, dai tratti sempre rinnovati: l’aspirazione alla grandezza del Paese, alla prosperità e alla libertà, alla libertà russa, che incarnano il meglio di noi stessi: lo spirito dei russi.

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